Dopo la manifestazione del 18 settembre, avanzare passo dopo passo con determinazione e scienza! Fino alla vittoria!
Dalla GKN di Firenze a tutto il paese, organizzarsi ed estendere la mobilitazione per mettere fine allo smantellamento dell’apparato produttivo!
La manifestazione del 18 settembre è stata la marcia dei 40 mila, questa volta quella buona! Alla chiamata del Collettivo di Fabbrica GKN hanno risposto in decine di migliaia di persone. Hanno risposto operai in lotta contro chiusura e delocalizzazione della produzione come quelli di Whirlpool ed ex Embraco o contro la “delocalizzazione di diritti, leggi e contratti” come quelli di Texprint, operai di fabbriche in morte lenta come Piaggio, Stellantis di Pomigliano e Pratola Serra, Sanac, di fabbriche che funzionano come Same, Nuovo Pignone e altre. Hanno risposto i lavoratori di Alitalia. Hanno riposto gli studenti. Hanno risposto i sindacati alternativi e di base. Ha risposto il movimento NO TAV presente con una piccola ma significativa delegazione. Hanno risposto l’ANPI e i sindaci della zona. Hanno risposto il grosso dei partiti e delle organizzazioni che compongono il movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese. Alla manifestazione del 18 settembre c’erano persino uno spezzone di Sinistra Italiana e di Possibile e parlamentari del PD e del M5S. Hanno appoggiato la manifestazione indetta dal Collettivo di Fabbrica della GKN anche i promotori della mobilitazione contro il G20 dell’Agricoltura (che si è tenuta in contemporanea il 18 settembre a Firenze) così come Medicina Democratica, il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, il Coordinamento nazionale No Triv, Attac Italia e gli altri firmatari dell’appello lanciato dal coordinamento “Società della cura” (https://societadellacura.blogspot.com/2021/09/firenze-18-settembre-insorgiamo.html).
E la marcia dei 40 mila del 18 settembre sta dando i suoi frutti e aprendo una strada. Subito dopo la manifestazione c’è stata la sentenza del Tribunale di Firenze che ha accolto il ricorso della FIOM contro GKN per comportamento antisindacale e annullato la procedura di licenziamento, la AST di Terni ha ritirato i licenziamenti collettivi, i lavoratori di Alitalia hanno occupato la sede di ITA, gli operai dell’Elica di Ancona hanno occupato la superstrada…
Che fare dopo il successo della manifestazione del 18 settembre è la questione che si pone ora a ognuno dei promotori e dei partecipanti.
Diffondere sulla scala più ampia di cui siamo capaci l’appello a “insorgere” lanciato dal Collettivo di Fabbrica della GKN e tradurlo in pratica.
“Insorgere” vuol dire in primo luogo organizzarsi, cioè formare comitati di lavoratori in ogni azienda. Tra le centinaia di aziende minacciate di riduzione, chiusura, delocalizzazione, e in più quelle destinate ad essere minacciate nel prossimo futuro, che hanno già il fiato del padrone sul collo, quello che ha fatto la differenza alla GKN è che lì c’è un comitato operaio di vecchia data, che ha esperienza di lotta e di intervento all’interno e all’esterno della fabbrica, una certa influenza sulle masse popolari che sono malcontente e insofferenti. “Noi abbiamo un’organizzazione interna abbastanza importante, creata negli anni e un’esperienza data da quei compagni che venivano dal mondo FIAT. Compagni che hanno avuto la possibilità di viversi degli anni importanti, gli anni ’70 e anche purtroppo gli anni ’80, caratterizzati da una grave sconfitta che ha segnato la storia del movimento operaio e del mondo del lavoro. Noi ereditiamo, quindi, una forte organizzazione e l’abbiamo trasformata negli anni. Non abbiamo una struttura sindacale classica all’interno, abbiamo una struttura molto composita che ha al suo vertice l’assemblea dei lavoratori, l’assemblea generale che decide su tutto. Abbiamo una Rsu, come si chiama oggi la struttura sindacale interna, la rappresentanza sindacale unitaria. Per i numeri che abbiamo dovremmo essere in 6, ma siamo, in realtà, in 8 grazie a un’accordistica interna, dove il settimo ce lo siamo, come dire, preso in aggiunta scontrandoci con l’azienda. L’ottavo è un delegato che si occupa solo di temi di sicurezza, quindi è un Rls. Sotto questa struttura c’è un’altra struttura di nomina della Rsu che prende un po’ spunto dalle regole dei Consigli di Fabbrica degli anni ’70, una struttura di 12 delegati di raccordo, che sono sindacalisti sostanzialmente e lavoratori dell’officina fondamentalmente. Questi 12 lavoratori sono distribuiti il più possibile tra i reparti di produzione. Dicevo che sono nominati dalla Rsu, perché sono una emanazione della Rsu stessa, ma comunque la lista dei 12 che viene rinnovata ogni anno viene approvata dall’assemblea dei lavoratori. Oltre a questo abbiamo un gruppo di lavoratori aperto, apertissimo, che si chiama Collettivo di Fabbrica, che sostanzialmente dà la disponibilità alla Rsu, e agli altri delegati di raccordo, di approfondire le tematiche che vengono trattate in assemblea. Normalmente il Collettivo di Fabbrica gira su presenze di 40, 45, 50 lavoratori. Questo gruppo di lavoratori si riunisce fuori dall’orario di lavoro, non ha quindi i permessi sindacali come i delegati di raccordo e la Rsu. Si riunisce la sera o nel fine settimana, perché noi lavoriamo a turni. In queste riunioni vengono discusse e approfondite le tematiche interne, o esterne. Abbiamo espresso nel corso della nostra storia molta solidarietà alle lotte che sono state svolte nel territorio. Ultimamente seguivamo le problematiche della Texprint, qui a Prato, un’azienda tessile che vede 18 lavoratori in lotta da tantissimo tempo, quasi un anno. Grazie a questa struttura, all’arrivo della lettera, quindi della comunicazione dell’azienda di cessare l’attività produttiva, c’è stata una risposta molto forte e importante (dall’intervista a Matteo Moretti, RSU FIOM dello stabilimento GKN di Firenze, pubblicata su La Città Futura n. 353-18.09.2021).
Fare di ogni azienda minacciata di delocalizzazione, chiusura, ristrutturazione un centro promotore della lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo del nostro paese. Non è semplice. Implica fare i conti con la linea fallimentare praticata e promossa per decenni dai sindacati di regime e dai sindacalisti complici e che consiste nel
1. non organizzare la mobilitazione già ai primi segnali premonitori di delocalizzazione o chiusura: subentro di fondi finanziari nella proprietà dell’azienda; trasferimento dei brevetti, dei macchinari e delle capacità produttive (attraverso trasferte di operai dall’Italia verso sedi estere e viceversa); chiusura dei settori ricerca e progettazione dell’azienda; aumenti di produzione anomali, cioè non giustificati dall’andamento corrente dell’attività produttiva o da commesse straordinarie (quindi che servono a fare magazzino in modo da evadere le commesse in corso prima della chiusura e non perdere neanche un soldo);
2. condurre ogni lotta separatamente dalle altre in nome delle particolarità dell’azienda coinvolta (in nome cioè del fatto che ogni azienda ha una determinata proprietà, fa riferimento ad uno specifico settore produttivo, ha un proprio tavolo istituzionale, ecc.);
3. non lavorare all’unità delle lotte e al coordinamento degli operai convolti con la motivazione che “diminuirebbe la visibilità della singola lotta e quindi minerebbe gli interessi degli operai”;
4. limitare gli obiettivi della lotta all’ottenimento di ammortizzatori sociali perché “sono il massimo che è possibile ottenere in tempi di crisi”;
5. nel caso in cui la lotta è diretta da gruppi di operai organizzati con capacità di azione indipendente dal sindacato, assecondare la loro lotta e far leva su questo per mantenerla “dentro” l’orizzonte dei tavoli istituzionali, per tirare per le lunghe, per depotenziare le spinte a forme di lotta radicali, ecc.
Farla finita con questa linea fallimentare dei sindacati di regime e dei sindacalisti complici è possibile, anche solo perché risponde alla necessità comune a ogni lavoratore di aziende minacciate di delocalizzazione e chiusura di difendere efficacemente il proprio posto di lavoro.
Favorire la confluenza tra la mobilitazione lanciata dal Collettivo di Fabbrica della GKN contro le delocalizzazioni e in generale lo smantellamento delle aziende che producono beni e servizi e ogni organismo e movimento popolare. Non è principalmente per solidarietà con gli operai della GKN (fermo restando che la solidarietà è un’arma, rafforza chi la riceve e chi la esprime, rinsalda i legami di classe). Ma perché la tutela e la riorganizzazione dell’apparato produttivo sono la base per tutti gli altri obiettivi della resistenza delle masse popolari: 1. la fine delle discriminazioni di genere, di nazione e di razza, 2. la tutela e il miglioramento della Terra, 3. lo sviluppo crescente delle attività specificamente umane (lavorare tutti, lavorare meno), 4. il ripristino e miglioramento dei servizi pubblici (igiene pubblica e assistenza sanitaria, ricerca scientifica, istruzione e formazione delle nuove generazioni, abitazioni). Tutti obiettivi che nella mobilitazione reazionaria i rispettivi promotori, per arretratezza o per soggezione alla borghesia imperialista e al suo clero, isolano l’uno dall’altro e li contrappongono, ma così non ne realizzano nessuno perché nell’ambito del dominio della borghesia imperialista ognuno di essi è incompatibile con gli interessi dei capitalisti: la valorizzazione del capitale (il profitto).
La lotta lanciata dal Collettivo di Fabbrica della GKN è la lotta di tutti i lavoratori, di tutte le masse popolari, di tutti i progressisti e sinceri democratici che sono per applicare la Costituzione del 1948 e far valere la sovranità nazionale. Mettere fine allo smantellamento dell’apparato produttivo, riorganizzarlo assegnando un lavoro utile e dignitoso a ogni persona in grado di lavorare e compiti produttivi a ogni azienda per svolgere le tante piccole opere che servono per rimettere in sesto il paese: questo è la base per realizzare le aspirazioni di ogni movimento popolare, da quello studentesco a quello ambientale, fino a quello contro il green pass, perché “il vero dualismo al centro della società non è vax sì, vax no, green pass sì, green pass no, ma tra chi sfrutta e chi è sfruttato, tra chi licenzia e chi viene licenziato. Sulla base di questo dualismo discutiamo del resto, di vaccini, di brevetti, di chi dovrebbe controllare questa società e farci uscire dalla crisi pandemica” (dall’intervento di Dario Salvetti, RSU FIOM della GKN di Firenze all’assemblea nazionale dei delegati e delle delegate FIOM tenutasi il 16 settembre a Bologna).
Indirizzare ogni organismo e movimento popolare alla lotta per cacciare il governo Draghi, il governo dello smantellamento dell’apparato produttivo del nostro paese, delle delocalizzazioni, della repressione, della gestione criminale della pandemia, dell’eliminazione delle conquiste dei lavoratori, delle guerre dall’Afghanistan all’Africa, delle sanzioni contro i governi e gli Stati che non sottostanno ai gruppi imperialisti e costituire un governo d’emergenza che
– vieta la vendita di aziende ai gruppi industriali esteri che sfuggono all’Autorità dello Stato italiano e ai fondi di investimento italiani e stranieri che usano le aziende come carte nel gioco d’azzardo della speculazione finanziaria,
– impedisce lo smembramento delle aziende, la riduzione del personale, la chiusura e la delocalizzazione,
– impone a ogni azienda che opera in territorio italiano di sottoporre ad un vero Ministero dello Sviluppo Economico i propri piani industriai per ottenere il benestare dal punto di vista della qualità dei prodotti, dell’occupazione e dell’impatto ambientale.
Il Collettivo di Fabbrica della GKN può impedire la chiusura della fabbrica e tener fede al ruolo che ha assunto con la grande manifestazione del 18 settembre solo mettendosi con coscienza e determinazione alla testa del movimento delle organizzazioni operaie e popolari per la costituzione di un loro governo d’emergenza. Come ha detto giustamente Dario Salvetti all’assemblea nazionale dei delegati e delle delegate FIOM tenutasi il 16 settembre, “abbiamo provato a scrivere una bozza di legge sulle delocalizzazioni per impedire che scrivessero questa legge sulle nostre teste, stiamo manutenendo noi la fabbrica, la stiamo tenendo viva, stiamo incontrando ingegneri per studiare progetti di riconversione e nel frattempo stiamo andando avanti insieme alla FIOM con la vertenza e la trattativa. C’è una strana carovana di esponenti delle istituzioni che ci vengono a dire “siamo solidali ma non ci possiamo fare nulla, non abbiamo gli strumenti per intervenire”. Se alla fine facciamo tutto noi, teniamo aperta la fabbrica, impediamo con i nostri corpi la chiusura, scriviamo le leggi, discutiamo progetti, la domanda a chi sta sopra di noi, al governo e alle istituzioni, è “ma voi a che cazzo servite?”. E non ci si venga a dire che questa è l’economia, perché noi siamo l’economia, voi esattamente chi cazzo siete, perché non producete niente, distruggete fabbriche e posti di lavoro. Sono il nulla, sono una classe dirigente che non ha più diritto a rovinare le nostre vite”.
Spingere avanti i personaggi che, per la posizione che già occupano nella vita sociale, possono diventare oggi promotori del movimento per la costituzione di un governo di emergenza popolare e domani membri di esso. Questo oggi vale in particolare per i dirigenti della sinistra dei sindacati confederali e dei sindacati alternativi e di base che hanno indetto sciopero generale per l’11 ottobre. “Non abbiamo governi amici” è il bilancio o la conferma che i sindacati alternativi e di base tirano dall’esperienza dei governo M5S. Ma la verità è sempre concreta. A ragione i sindacati alternativi e di base contro la complicità con i governi a guida PD promossa da Epifani, Camusso e gli altri nipoti di Craxi e compari di Sacconi hanno fatto valere che “non abbiamo governi amici”. Però nella situazione attuale essere sindacati di classe significa partecipare, con il loro ruolo specifico, alla lotta generale per porre fine al catastrofico corso delle cose che i vertici della Repubblica Pontificia impongono nel nostro paese. Tanto più che gli obiettivi che essi stessi indicano nella proclamazione dello sciopero generale dell’11 ottobre richiedono un governo del paese. La nostra azione perché da centri di aggregazione del movimento delle masse popolari i sindacati di base e alternativi diventino centri promotori e dirigenti della costituzione del Governo di Blocco Popolare fa leva sul fatto che lo sviluppo del coordinamento tra loro e il rafforzamento della resistenza dei lavoratori e del resto delle masse popolari che esso suscita, porranno più apertamente e immediatamente all’ordine del giorno il problema del governo del paese. Tanto più che mantenendo la lotta sul terreno puramente sindacale, i sindacati di base e alternativi non riescono più neanche ad adempiere ai propri compiti sindacali: come diceva qualche mese fa in un’assemblea Aldo Milani (SI Cobas), “abbiamo strappato un contratto migliorativo, ma poi hanno chiuso l’azienda”. Bisogna appunto creare le condizioni per tenere aperte e in funzione le aziende, nonostante e contro le decisioni dei capitalisti di chiuderle, delocalizzarle o ridurle. Oggi la questione non si pone per qualche singola azienda qua e là, ma per una parte crescente dell’apparato produttivo del paese.
E vale per i parlamentari eletti con il M5S ora espulsi o usciti, una parte dei quali organizzati nel gruppo “L’Alternativa c’è”, o che rimangono nel M5S “turandosi il naso”. Come minimo devono imporre in Parlamento la votazione della legge contro le delocalizzazioni redatta da un gruppo di giuristi e approvata dall’assemblea permanente dei lavoratori GKN. Ma possono andare oltre e vanno incalzati a farlo. La maggioranza parlamentare del governo Draghi non reggerebbe senza il gruppo parlamentare M5S. Difficilmente il il PD e la Lega accetterebbero di stare ancora nella maggioranza parlamentare del governo Draghi senza il gruppo parlamentare M5S, in particolare in settimane in cui sono in ballo le elezioni amministrative. Vanno incalzati facendo leva sul fatto che hanno votato per sostenere un governo “che prevedesse un super-ministro della transizione ecologica e che difendesse i principali risultati raggiunti dal M5S” e si ritrovano con un governo che sta smantellando quello che di favorevole alle masse i governi Conte avevano fatto (vedi reddito di cittadinanza, quota 100, blocco licenziamenti e sfratti) e con un ministro della transizione ecologica che promuove il ritorno al nucleare!
Questa è la linea che il (n)PCI chiama tutti i membri della sua Carovana del (n)PCI, tutti i comunisti e i lavoratori avanzati a perseguire per sviluppare i risultati della manifestazione del 18 settembre. Lo sciopero globale per il clima del 24 settembre, le elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre, lo sciopero generale nazionale indetto dai sindacati di base per l’11 ottobre sono altrettante occasioni per farlo. Questa è la linea che devono mettere in opera tutti i comunisti e tutti quelli che vogliono porre fine al catastrofico corso delle cose che la borghesia imperialista impone nel nostro paese e nel mondo.
La resistenza popolare è un fiume che ribolle per aprirsi uno sbocco al mare! Nel 2010-2011 la resistenza degli operai della FIAT di Pomigliano al piano Marchionne rilanciata dalla FIOM di Landini e Cremaschi ha dato il via a un movimento che ha riguardato larga parte delle masse popolari del nostro paese, ha impresso un carattere superiore e un ritmo più veloce alla lotta di classe (da lì sono venuti la rivolta degli immigrati di Rosarno, il movimento di Non Una Di Meno, la vittoria ai referendum sull’acqua pubblica e i beni comuni, le prime giunte arancione) e portato al licenziamento del governo Berlusconi a fine 2011. Quel movimento non è avanzato perché chi lo dirigeva non ha osato avanzare: quando Sergio Marchionne alla ex Bertone di Grugliasco, nel 2011, la mise apertamente di fronte alla scelta se accettare il ricatto o assumersi la responsabilità di far fronte alle conseguenze della vittoria dei NO al referendum, cioè tenere aperta la ex Bertone e tutte le altre fabbriche che i capitalisti volevano chiudere, delocalizzare o ridurre, la FIOM ha fatto retromarcia. Ma il fiume ha continuato a ribollire. E infatti nel 2018 ha portato al governo il M5S, il movimento che si era fatto portavoce del malcontento e dell’insofferenza popolare verso i partiti delle Larghe Intese e il programma comune che i loro governi hanno attuato da quarant’anni a questa parte. Ma anche in questo caso, chi era alla testa ha fatto dietrofront. La resistenza popolare per arrivare al mare ha bisogno di una direzione decisa a vincere!
Adesso il fondo finanziario-speculativo Melrose ha messo gli operai GKN in condizioni tali che riescono a difendere il proprio posto di lavoro solo se promuovono e si mettono alla testa di una mobilitazione nazionale di lavoratori e masse popolari tale da rendere impossibile al governo Draghi di continuare a governare il paese. Fino al punto che il governo Draghi o per calmare le acque induce almeno Stellantis a interrompere temporaneamente lo smantellamento del settore autoveicoli e ottiene che la mobilitazione nel frattempo sviluppata si calma effettivamente oppure i vertici della Repubblica Pontificia lo dimettono e affidano il governo a qualche combinazione politica in grado di “calmare le acque”.
È un sogno? Certo! È un sogno alla Pisariev. Bisogna imparare a sognare alla Pisariev!
Sta a noi comunisti mobilitare le masse popolari contro ognuna delle malefatte dei capitalisti e organizzarle perché si uniscano e costruiscano un proprio sistema di potere fino a diventare capaci di instaurare il proprio governo.
Ai comunisti il compito di elevare il livello della mobilitazione e organizzazione delle masse popolari, di far avanzare la rivoluzione che farà dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuirà alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato in tutto il mondo!
Per questo lotta il (nuovo)Partito Comunista Italiano.
Che si arruolino quelli che condividono il compito che ci siamo assunti!
Arruolatevi nel (n)PCI!
Comunicato CC 28/2021 – 22 settembre 2021
Comitato Centrale del (n)PCI http://www.nuovopci.it