Spesso il sindacato è definito “antistorico”: in qualche modo si cerca di far passare l’idea secondo cui le organizzazioni sindacali costituirebbero una sorta di zavorra, di ostacolo, di freno sulla via dello sviluppo, della modernità, del progresso.
A me è capitato spessissimo, soprattutto nei dibattiti relativi a ciò che scrivo, che qualcuno mi accusasse di essere “luddista” (espressione tornata di moda), fuori dal tempo e dallo spazio, quasi strampalato. E per giustificare l’accusa, l’invito rivoltomi aspramente è sempre stato lo stesso: «conta gli iscritti al sindacato!».
Sentirselo dire fa malissimo, credetemi, perché la crisi del sindacato è reale: negarla è semplicemente disonesto. Non solo l’attaccamento al mondo sindacale è imparagonabile a quello del passato, ma anche la distribuzione delle iscrizioni riflette la tipicità del periodo che viviamo: non è un mistero che la categoria più rappresentativa all’interno di tutte le confederazioni italiane sia quella dei pensionati. I pensionati rappresentano la maggioranza degli iscritti dei principali sindacati italiani. E parliamo di maggioranza assoluta: comandano loro.
Non contesto il fatto che il sindacato sia in crisi. Contesto la causa che si attribuisce a questa crisi.
Il sindacato non è in crisi in quanto si ostina a resistere all’ineluttabile percorso verso il progresso: è in crisi perché ha tradito, perché si è asservito, perché ha abbandonato la lotta e il conflitto in difesa dei più fragili, scegliendo di piegarsi in vantaggio del capitale, narrando di abbracciare la responsabilità e la pace sociale. Il sindacato, insieme ai principali partiti socialdemocratici europei, ha voltato le spalle al mondo del lavoro e ha deciso di sostenere gli interessi del grande capitale finanziario. Tutto qui: è a questo che si deve la crisi del sindacato, anche perché i numeri e la distribuzione degli iscritti registravano risultati assai felici proprio nei momenti di maggiore conflittualità. Il conflitto esisteva ed esiste perché contrapposti sono gli interessi: quelli degli ultimi, dei subalterni, sacrificati sull’altare dell’avidità di pochi satolli, e quelli del grande capitale.
Ci sono momenti e fasi, precisi e ben individuabili, nei quali si scrive la storia del mondo del lavoro e di chi nutre l’ambizione (ormai spesso l’infondata, ipocrita e immeritevole arroganza) di rappresentarlo deve saperlo: quello che viviamo è uno di essi.
Le manifestazioni contro il green pass di ieri non possono essere ignorate: è semplicemente vergognoso non trovare alcuna dichiarazione da parte dei principali attori sindacali del paese sulla mobilitazione di ieri. È semplicemente inaccettabile, inconcepibile. Il sindacato ha il dovere di intervenire e di prendere una posizione chiara, netta, precisa: a sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori, in difesa dei loro diritti, della loro dignità, della loro libertà. Com’è possibile che il sindacato taccia dinanzi a decine e decine di migliaia di persone per strada, dinanzi all’urlo di dolore sollevatosi ieri da Piazza S. Giovanni a Roma?
E cosa hanno da dire le grandi organizzazioni sindacali in merito a quanto sta accadendo a oltre diecimila lavoratori in Alitalia? In particolar modo dinanzi al disegno di Draghi – recentemente applaudito da Confindustria (con Bonomi che lo paragona a De Gasperi!) – di destrutturare le regole in materia di cessioni di ramo d’azienda, coll’intento di limitare enormemente se non cancellare completamente i diritti dei lavoratori ceduti.
Hanno ragione coloro i quali ci invitano a contare gli iscritti al sindacato (benché non tutti i sindacati siano in crisi: c’è chi ancora merita di girare a testa alta!), ma le ragioni della disfatta sono ben diverse: altro che sindacato antistorico e ostinato! Il sindacato ha tradito.
SAVINO BALZANO
27 Settembre 2021