Gli Stati Uniti sono tornati a minacciare la Cina paventando la possibilità di intervenire militarmente a Taiwan. Nel corso di un dibattito sulla CNN, il presidente statunitense Joe Biden ha detto che gli Stati Uniti sono pronti a intervenire a Taiwan per difendere l’isola da un eventuale aggressione della Cina.
«Abbiamo un impegno su questo», ha affermato Biden a proposito di quella che a Washington definiscono la difesa di Taipei da eventuali aggressioni di Pechino. «Gli Usa – ha proseguito – hanno preso un sacro impegno per quel che riguarda la difesa degli alleati della Nato in Canada e in Europa e vale lo stesso per il Giappone, per la Corea del Sud e per Taiwan».
La Cina risponde al presidente Usa, invitando alla cautela e assicurando che su Taiwan «non ci sono margini per compromessi».
Gli Stati Uniti e la trappola di Tucidide
Recentemente il presidente cinese Xi Jinping aveva evocato la trappola di Tucidide in riferimento agli atteggiamenti assunti dagli Stati Uniti nei confronti della Cina. A giudicare dalle mosse statunitensi le preoccupazioni espresse dal massimo dirigente cinese sono più che legittime.
In quel di Washington hanno infatti definito la Cina come loro principale nemico da fermare a tutti i costi. Conseguentemente a questa sciagurata decisione vi è il pericolo di cadere nella cosiddetta trappola di Tucidide: il grande storico attribuiva lo scoppio della guerra fra Atene e Sparta nel V secolo avanti Cristo alla crescita della potenza ateniese, e alla paura che tale crescita ingenerò nella rivale Sparta. Oggi come ai tempi di Tucidide i rapporti internazionali vengono pensati per lo più come giochi a somma zero: se una potenza dominante ma in declino si trova a dover fare i conti con una potenza emergente, facilmente – proprio come Sparta – avrà paura e ciò finirà per scatenare la guerra.
La trasposizione ai giorni nostri è di facile lettura. Abbiamo gli Stati Uniti, potenza a lungo dominante ma entrati in una fase di irreversibile declino, che si trovano a fronteggiare una potenza in grade ascesa come la Cina. Quindi non è peregrina l’ipotesi che nel disperato tentativo di fermare l’avanzata cinese gli Stati Uniti siano pronti a lanciarsi in una guerra che potrebbe gettare in un baratro il mondo intero.
Taiwan è Cina
La questione riguardante la riunificazione di Taiwan con la Cina che reclama Pechino viene presentata dal circuito mainstream sempre in maniera fuorviante. Quasi a far apparire quella della Cina come una volontà di conquista e non la volontà di recuperare un territorio storicamente cinese, ma che fu strappato a Pechino dal Giappone.
Taiwan – per ricordare come si è giunti all’attuale situazione – è parte della Cina sin dal XII secolo, quando l’isola dipendeva amministrativamente dalla provincia del Fukien. Oltre il 90% dei suoi abitanti sono cinesi originari del Fukieng e Cekiang e il dialetto parlato è quello delle regioni cinesi citate. Il Giappone si impadronì di Taiwan nel 1895 approfittando della crisi e della debolezza del regime imperiale cinese. Ma il popolo di Taiwan non accettò il dominio giapponese e vi furono vari tentativi insurrezionali. Poi nel 1943 con le dichiarazioni del Cairo e di Potsdam, le grandi potenze tra cui gli Stati Uniti, riconfermarono l’appartenenza di Taiwan alla Cina. La resa del Giappone poi sancì la restituzione dell’isola alla sua madrepatria. Successivamente a Taiwan trovarono rifugio le forze nazionaliste del Kuomitang spazzate via dal popolo cinese guidato dal Partito Comunista che nel 1949 darà vita alla Repubblica Popolare. Proprio nel dicembre del 1949 il Dipartimento di Stato di Washington in un Policy Information Paper riconosceva che «Taiwan è politicamente, geograficamente e strategicamente parte della Cina».
La Dichiarazione del Cairo recitava: «E’ nostro proposito che tutti i territori che il Giappone ha strappato alla Cina, come la Manciuria, Formosa e le Pescadores, debbano essere restituite alla Repubblica cinese (Dichiarazione del 1 dicembre 1943, sottoscritta da Roosvelt, Churchill e dall’allora presidente cinese Chiang Kai-shek). A Potsdam venne ribadito: «Le condizioni della dichiarazione del Cairo dovranno essere rispettate».
La Cina minaccia Taiwan?
La Cina minaccia Taiwan. I caccia di Pechino violano lo spazio aereo taiwanese per intimidire il governo dell’Isola. Quante volte avete ascoltato frasi del genere ripetute fino all’ossessione dai propagandisti filo-occidentali sugli schermi televisivi o sulla carta stampata?
Secondo una certa narrazione anti-cinese Pechino minaccia Taiwan che sarebbe sola e abbandonata al proprio ineluttabile destino.
La situazione non sta proprio così. Taiwan continua a espandere i suoi armamenti, non solo difensivi, come testimoniano i contratti per l’acquisizione di armi dagli Stati Uniti. Gli stessi Stati Uniti che avrebbero inviato proprie truppe sull’isola per addestrare l’esercito locale. Come se la Cina inviasse propri ufficiali militari per addestrare secessionisti in Texas o California. Gli Stati Uniti lo accetterebbero? Pensiamo proprio di no. Per molto meno dichiarerebbero guerra a Pechino.
Taipei, con l’ombra statunitense che si staglia alle spalle, prevede di portare la spesa militare a circa 16,89 miliardi di dollari per il prossimo anno fiscale. Una somma aumentata vertiginosamente rispetto al budget del 2021 di 453,4 miliardi di T$.
Dell’importo proposto, 40,1 miliardi di T$ (1,44 miliardi di dollari statunitensi) sono destinati a nuovi aerei da combattimento. Sebbene il governo non abbia specificato i dettagli, è probabile che i caccia in esame siano gli F-16, secondo quanto riferisce The EurAsian Times.
Gli Stati Uniti, nel 2019, avevano approvato una vendita da 8 miliardi di dollari di caccia F-16 a Taiwan. Questo accordo porterebbe il numero totale di aerei da guerra F-16 dell’isola a più di 200, il numero più grande in tutta l’Asia.
Taiwan sta anche cercando di procurarsi missili da crociera a lungo raggio dagli Stati Uniti, ha rivelato un funzionario della difesa.
Taiwan vorrebbe caccia stealth ma è improbabile che l’aeronautica taiwanese, ufficialmente l’aeronautica della Repubblica di Cina (ROCAF), ottenga presto questo tipo di caccia. Sebbene Taipei sviluppi e costruisca i propri caccia convenzionali, è abbastanza certo che l’isola secessionista non possa permettersi di sviluppare un caccia stealth domestico.
Inoltre, non può permettersi di acquistare caccia stealth F-35, del valore di circa 100 milioni di dollari ciascuno.
Ma un’alternativa più praticabile è all’orizzonte da un po’ di tempo. Il ROCAF potrebbe armare i suoi attuali aerei non invisibili con armi che eludono i radar. Taipei sta progettando i propri missili a lungo raggio per fornire al territorio dell’isola la capacità di colpire in profondità nel continente cinese. Inoltre Taiwan è in trattative per ottenere da Washington armi più avanzate.
Insomma, è bastato cambiare il punto di vista per smontare la fallace propaganda occidentale. Chi minaccia chi? La Cina intimidisce Taiwan o manda messaggi all’Isola per far comprendere ai dirigenti secessionisti che non sarà tollerato nessun atto di aggressione. Peggio se istigato da capitali straniere, come Washington, che soffia per alimentare i venti di guerra e infiammare la regione?
Possiamo qui nitidamente vedere materializzarsi l’immagine della trappola di Tucidide evocata da Xi Jinping.
Riunificazione pacifica o ‘indipendenza’?
«L’unificazione in modo pacifico è più in linea con l’interesse generale della nazione cinese, compresi i compatrioti di Taiwan», ha ribadito il presidente cinese Xi Jinping in occasione di un evento di commemorazione per i 110 anni dalla rivoluzione che rovesciò l’ultima dinastia imperiale nel 1911. «Ma nessuno dovrebbe sottovalutare la ferma determinazione, la ferma volontà e la forte capacità del popolo cinese di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale. Il compito storico della completa riunificazione della madrepatria deve essere adempiuto, e sarà sicuramente adempiuto».
Seguendo la strada traccia da Xi, con una riunificazione pacifica alla madrepatria, Taiwan otterrebbe un certo grado di autonomia come avviene per Hong Kong con il principio ‘un paese, due sistemi’. Altrimenti, seguendo la via della cosiddetta ‘indipendenza’ come caldeggiato anche in quel di Washington, la linea è già tracciata. Superando una di quelle linee rosse stabilite dalla Cina sarebbe guerra.
Lo scorso mese di gennaio lo aveva affermato a chiare lettere Wu Qian, portavoce del ministero della Difesa cinese: «indipendenza di Taiwan» significa guerra.
Scriveva il quotidiano Global Times a tal proposito: «Taiwan e gli Stati Uniti dovrebbero comprendere che non devono giudicare male o sottovalutare la determinazione e la volontà della Cina continentale di difendere la propria integrità territoriale e di punire severamente gli atti sconsiderati delle forze “indipendentiste di Taiwan”. Se l’isola di Taiwan e gli Stati Uniti considerano gli atti dell’ultimo minuto della precedente amministrazione statunitense come un nuovo punto di partenza dei loro legami e continuano a promuovere “l’indipendenza di Taiwan”, è prevedibile che si scateneranno conflitti militari attraverso lo stretto di Taiwan».
L’analisi del quotidiano di Pechino continuava evidenziando che da «quando l’autorità di Tsai Ing-wen è salita al potere, si è rifiutata di riconoscere il Consenso del 1992, minando fondamentalmente lo sviluppo reciproco attraverso lo Stretto. Hanno anche abusato dei legami di Taiwan con gli Stati Uniti, spingendo i due in un vicolo cieco strategico. La terraferma li ha bloccati dal fronte e sarebbe un atto suicida per loro continuare a correre sulla strada sbagliata. Se vogliono trovare un nuovo modo, la loro unica scelta è fermarsi, tornare indietro e uscire dal vicolo cieco.
L’autorità del DPP (Partito Democratico Progressista di Taiwan) deve comprendere appieno che sono già in pericolo. Si impegnano in atti “indipendenti di Taiwan” sotto copertura e rafforzano la loro collusione con gli Stati Uniti, aumentando il costo del continente per affrontare la questione di Taiwan. Il loro comportamento ha irritato la Cina continentale. L’opinione pubblica continentale parla sempre più di usare le forze e di promuovere la pace e la riunificazione con l’uso della forza. Se le autorità di Taiwan continuano a compiere importanti mosse in collusione con gli Stati Uniti» non sarebbe sorprendente vedere una decisa risposta dell’Esercito Popolare di Liberazione.
Le autorità di Taiwan sono deboli e completamente appiattite sulla strategia guerrafondaia di Washington. Fare però troppo affidamento sugli Stati Uniti, come insegna la storia, porta a sonore batoste. Gli Stati Uniti utilizzano i paesi solo in base alle opportunità strategiche e geopolitiche del momento.
Al contrario di quanto afferma la propaganda mediatica anti-cinese, la Cina non minaccia proprio nessuno. Rivendica un proprio diritto. Sarebbe anche nell’interesse del popolo taiwanese fare ritorno alla madrepatria. Riunificarsi con quella Cina che è già il primo attore economico a livello mondiale. Restare invece ostaggio dei falchi di Washington è una scelta criminale e foriera di sventure.
FABRIZIO VERDE (Direttore de l’AntiDiplomatico)
25 Ottobre 2021