Salomé è una leader nativa del popolo Kichwa nell’Amazzonia ecuadoriana ed è una delle tante donne coraggiose dell’Amazzonia che sono state prese di mira e attaccate per il proprio lavoro in difesa della più grande foresta pluviale del mondo e per la sua lotta in difesa dei diritti umani.
Dopo aver avvertito il presidente Moreno dei rischi ambientali collegati alle attività petrolifere e dopo aver denunciato i casi di violenze sessuali contro le donne indigene, Salomé e la sua famiglia sono stati attaccati e minacciati con pietre nella loro casa.
Nonostante lei abbia presentato una denuncia formale, le autorità non hanno compiuto alcun progresso nelle indagini e non hanno offerto alcuna protezione a Salomé e alla sua famiglia.
Il governo del presidente Moreno deve garantire giustizia e protezione alle donne dell’Amazzonia che difendono la natura e i nostri diritti umani.
Per firmare la petizione:
Salomé rischia la vita – Amnesty International Italia
Il caso
“Questo attacco è la loro risposta alla mia lotta in difesa della vita e dei nostri territori dalla minaccia dello sfruttamento del petrolio“.
Salomé è una leader nativa del popolo Kichwa che lotta per difendere la foresta amazzonica e il diritto delle donne della sua comunità a vivere in un ambiente sano e libero dal pericolo della violenza sessuale.
Salomé è la leader delle donne e delle famiglie nel comune di Moretecocha, nella provincia di Pastaza.
Ha denunciato pubblicamente, anche durante l’incontro delle donne amazzoniche con il presidente Moreno, il 22 marzo 2018, i possibili impatti ambientali delle operazioni petrolifere nel bacino del fiume Villano, nella provincia di Pastaza, oltre ai casi di violenze sessuali contro le donne indigene.
A poche settimane da quell’incontro, il 13 maggio 2018, un gruppo di individui sconosciuti ha attaccato e minacciato Salomé e la sua famiglia lanciando pietre contro la loro abitazione.
L’ufficio del procuratore provinciale di Pastaza non ha ancora identificato gli autori materiali e intellettuali dell’attacco e non ha compiuto progressi significativi nelle indagini, nonostante Salomé abbia presentato un reclamo formale.
Le autorità non hanno offerto misure di protezione per lei e la sua famiglia dal rischio di ulteriori attacchi.
Le altre donne minacciate
Le minacce a Salomé non sono un caso isolato. In questi mesi abbiamo raccolto le storie di altre difensore dei diritti umani sotto attacco in Amazzonia.
Margoth Escobar
“Dobbiamo continuare a difenderla ovunque siamo nel mondo. Il contributo che apportiamo alla natura è la cosa più preziosa che possiamo fare per le generazioni future. Stiamo cercando il bene comune per tutti, perché questa è la migliore eredità che possiamo lasciare all’umanità“.
Margoth è una donna che si definisce “meticcia” e che ha scelto di dedicare la sua vita a difendere l’ambiente e i diritti dei popoli nativi.
Nell’agosto 2015, con il presidente Rafael Correa ancora in carica, Margoth è stata attaccata dagli agenti di polizia mentre partecipava a uno sciopero nazionale indetto dai movimenti sociali a Puyo, nella provincia di Pastaza.
È stata trattenuta in detenzione preventiva per più di una settimana nonostante le ferite riportate negli scontro con gli agenti. Rilasciata su cauzione, è stata accusata di “attacco e resistenza”.
L’assoluzione è arrivata dalla Camera multi-giurisdizionale della Corte provinciale di Pastaza con una risoluzione del 24 dicembre 2015.
Il 29 settembre 2018, dopo l’entrata in carica del presidente Lenín Moreno, la casa di Margoth è stata incendiata intenzionalmente. L’incendio distrusse tutto, compresi i prodotti che aveva accumulato con altri commercianti per venderli durante il periodo natalizio.
Il 1° ottobre 2018, il comandante dei vigili del fuoco di Puyo ha dichiarato che l’incendio della casa di Margoth era stato intenzionale. Il 2 ottobre, Margoth ha presentato una denuncia penale all’ufficio del procuratore provinciale di Pastaza, che è stato inizialmente respinto. Nonostante l’inizio di un’indagine, tuttavia, gli autori materiali e intellettuali non sono stati ancora identificati.
Margoth ha inoltre rifiutato di far parte del Sistema nazionale di protezione e assistenza alle vittime, testimoni e altri partecipanti al processo penale (Spavt) a causa della sfiducia nei confronti della polizia dopo l’infortunio e i maltrattamenti ricevuti negli anni precedenti.
“Non ho voluto aderire al sistema di protezione delle vittime e dei testimoni – ha spiegato – perché non ho fiducia nell’attuale governo, non ho fiducia nell’indipendenza del sistema legale in Ecuador, né nelle forze militari o di polizia“.
Patricia Gualinga
“Siamo uniti e continueremo la nostra lotta per difendere la Madre Terra“.
Patricia è una leader nativa del popolo Kichwa della comunità dei Sarayaku e lotta per difendere i diritti del suo popolo e per vivere in un ambiente sano di fronte al grave impatto che potrebbe causare l’avvio di attività petrolifere in quella zona.
Nel 2012, la comunità indigena Sarayaku ha ottenuto una vittoria storica per le popolazioni native dopo aver segnalato una concessione petrolifera che aveva installato esplosivi sul loro territorio senza consultarli.
La Corte interamericana dei diritti umani ha ordinato all’Ecuador di riconoscere di aver violato il loro diritto a una consultazione libera, preventiva e informata, per compensare i danni causati e rimuovere gli esplosivi, che sono ancora sul loro territorio. Il 26 luglio 2018, il popolo Kichwa di Sarayaku ha reso pubblica l’iniziativa Kawsak Sacha (Living Forest), un’iniziativa che mira a proteggere la natura e a creare uno sviluppo sostenibile sul loro territorio.
Nelle prime ore del 5 gennaio 2018, un uomo sconosciuto ha minacciato di morte Patricia e l’ha attaccata con delle pietre mentre era nella sua casa a Puyo, nella provincia di Pastaza. Patricia ricorda che, quando si è affacciata per identificare il suo aggressore, l’uomo ha gridato “La prossima volta ti uccideremo!“.
In occasione di una conferenza stampa Patricia ha spiegato così questo attacco: “Io difendo i diritti umani, i diritti dei popoli nativi. La mia posizione in relazione a questioni estrattive come lo sfruttamento del petrolio è molto chiara. Non ci aspettavamo che accadessero cose del genere [con questo governo]. ”
Dopo l’attacco, Patricia e la sua famiglia hanno dovuto lasciare la loro abitazione perché il proprietario “era terrificato che le sarebbe successo qualcosa“.
Nema Grefa
“Mi minacciano di morte, ma non ho paura di queste parole. Come donna di Sápara, ho intenzione di combattere per il mio territorio“.
Nema è la presidentessa di nazionalità Sápara dell’Ecuador. Difende il territorio amazzonico e il diritto del suo popolo a proteggere il proprio ambiente.
Dopo essere stata legalmente riconosciuta come presidentessa di nazionalità Sápara dell’Ecuador nel gennaio 2018, la sua nomina è stata formalmente contestata da un gruppo di persone che, secondo Nema, sostengono le attività petrolifere sul territorio di Sápara e che rivendicano il titolo di presidente per uno dei loro membri.
Il 10 aprile 2018, a seguito di questa disputa, la nomina di Nema è stata revocata tramite una risoluzione del Sottosegretariato di plurinazionalità e interculturalità del Segretariato nazionale per la gestione delle politiche.
In un video diffuso sui social media il 27 aprile 2018, un uomo armato di lancia identificato da Nema come appartenente al gruppo che aveva sfidato la sua nomina, l’ha minacciata di morte e ha sostenuto che non aveva legittimità come presidentessa di nazionalità Sápara dell’Ecuador, affermando: “I presenti qui sono uniti nel respingerla e stanno quindi per uccidere Nema Grefa; lei non ha territorio“.
Il volto dell’aggressore è chiaramente visibile nel video, che è ancora in circolazione sui social media.
A un anno dall’incidente, e nonostante Nema abbia presentato una denuncia formale, l’ufficio del procuratore provinciale di Pastaza non ha effettuato alcuna valutazione del video, cosa che avrebbe consentito di determinare la presunta responsabilità penale.
Il 19 ottobre 2018, dopo che un giudice costituzionale aveva concordato una misura di protezione proposta dall’Ufficio del difensore civico e la leadership della nazionalità Sápara finalizzata a riconoscere la leadership di Nema, il Segretariato nazionale per la gestione politica ha finalmente riconosciuto la difensora dei diritti umani come presidentessa e si è scusato pubblicamente.
Nonostante questo importante riconoscimento, Nema sostiene che le misure di protezione che ha ricevuto non siano sufficienti e che rimanga alto il rischio per lei e la sua comunità.
Il testo della petizione
Diana Salazar
Fiscalía General del Estado
Av. Patria y 12 de Octubre Edificio Patria
170143, Quito
Ecuador
Gentile Procuratore generale,
Per tutto il 2018, Amnesty International ha registrato una serie di attacchi contro le difensore dei diritti umani Patricia Gualinga, Nema Grefa, Salomé Aranda e Margoth Escobar, tutte appartenenti al collettivo Donne amazzoniche, in Ecuador.
L’ufficio del procuratore generale non è riuscito a indagare in modo efficace su questi crimini e a concedere misure di protezione per le donne. Questo le ha costrette a rischiare la vita e quella delle loro famiglie per continuare il loro importante lavoro.
Come Procuratore generale dell’Ecuador, il potere e la responsabilità di porre fine a questa situazione sono nelle sue mani.
Per questi motivi, le chiediamo di:
avviare le indagini sugli attacchi e sulle minacce subite da Patricia Gualinga, Nema Grefa, Salome Aranda e Margoth Escobar immediatamente, esaustivamente, in modo indipendente e imparziale;
indagare sulla possibilità che gli attacchi siano una conseguenza del loro lavoro in favore dei diritti umani, identificare tutti i responsabili materiali o intellettuale e consegnarli alla giustizia;
progettare e attuare un protocollo di indagine per i reati contro le difensore dei diritti umani, al fine di rafforzare il coordinamento tra i meccanismi e le autorità responsabili delle indagini penali.
La ringrazio per l’attenzione.
Per firmare la petizione:
Salomé rischia la vita – Amnesty International Italia