Trasformisti, Sofristi e Alberto Negri
Incidentalmente: tutti si augurano di vedere consacrata l’unità nazionale attorno a Draghi (?) da un voto unanime al primo turno per la presidenza della Repubblica. Infatti era successo solo in due altre occasioni: Cossiga e Ciampi. Due figuri, un gladiatore e un banchiere, venuti da “fuori” come quelli attuali, che hanno fatto meglio di tutti per avviare la patria (nostra) alla distruzione.
Opportunamente. nella ricorrenza di quella che chiamano la “Giornata contro la Schiavitù”, che celebra qualcosa che non è mai avvenuto, ma semmai si è trasformata e attualizzata, abbiamo dedicato il nostro “Sancho” alla dittatura incipiente e, per molti versi, già in atto.
Tra strumenti e condizioni che favoriscono l’avvento di questa forma di controllo della stragrande maggioranza dell’umanità da parte di una ridotta cricca di malfattori, alla specie umana alieni e alienati, ne abbiamo trascurato qualcuno. I dittatorandi hanno palesemente sempre praticato la disgregazione delle comunità, naturalmente portate all’aggregazione e alla collaborazione, tra sessi, confessioni, delatori e delati, classi, colore, etnie, lingue e quant’altro si presta allo sminuzzamento.
Fieramente Scilipoti
Ma c’è un altro strumento, più raffinato ed efficace: il saltafosso. Un tempo lo chiamavano “trasformismo” e si riferivano a quello di Agostino Depetris, nel, 1882, con il ricorso della sua insufficiente maggioranza di sinistra al voto della Destra Storica. Ma rispetto alla pratica dei veri saltafosso, quello era ancora un modello di coerenza. Abbiamo vissuto la stagione vergognosa degli Scilipoti e Razzi, vergognosa per la bassezza e rozzezza dei personaggi, autentiche macchiette autosqualificanti che agli approdi su cui si alternavano recavano più danno che beneficio.
Tanto in politica quanto nel giornalismo dei nostri tempi, un mezzo secolo, si è imposta una nuova categoria di saltafosso, più sofisticata ed efficace. Si può dividere in due tipologie, quelli che ci sono stati dall’inizio e quelli che ci sono diventati. Quanto ai politici, darei ai primi il nome di “grillisti” (da contro tutti, a con tutti) e ai secondi quello di “sofristi” (da Lotta Continua al Foglio), oppure “langheristi” (da “Più lento, più profondo, più dolce” a “Bombardiamo Belgrado”). In campo mediatico, invece, le possibilità di una bella qualifica sono innumerevoli.
Il campionario mediatico
Basta spilluccare nel giornale “il manifesto” tra coloro che lì si sono fatti l’apprendistato, per poi trasvolare nella stampa più reazionaria e di regime che l’Italia produca. Scegliete tra “gianniriottismo”, “tizianamaiolismo”, “albertonegrismo” (che però da giornale dei padroni è passato a giornale del Deep State). Porte girevoli tra fogli padronali proclamati e gazzette criptopadronali. Esattamente come, per esempio, tra Dipartimento di Stato degli USA, massacratori di diritti umani, e Amnesty International, o Human Richts Watch, “difensori” di diritti umani.
Oggi, il salto strategico è dall’acqua di cui mondarsi (il mondo immondo della critica all’esistente fasciosanitario) alla melma del vaccinariato in cui sguazzare, abbiamo subito meritato una definizione. Ce la offre il protagonista eccellente di tale pratica: Pasquale Bacco, da medico negazionista, a medico collaborazionista. Dunque “bacchismo”.
Se sia della specie che in politica si chiama “grillismo”, cioè uno infiltrato da subito tra i “contro”, per poi allestire la spettacolare “conversione” a favore dell’ex-nemico; o se sia un “soffrista”, che ci è arrivato allo scopo di salvare la pelle e il salvadanaio, nessun lo sa.
In ogni caso, nel momento più spinoso per lo schiacciasassi iperfascio-farmaceutico, il medico negazionista che agitava le folle dai palchi e dagli schermi contro coloro che ci stavano somministrando “acqua di fogna” (sic), è stato come l’apparizione della Madonna a Medjugorie. Anche perchè da bravo pifferaio del “ritorno al dialogo”, della pacificazione”, della “riconciliazione”, si è subito procurato un bel seguito di neofiti e convertiti. Mille microfoni arrazzati sono andati a perquisire le terapie intensive per ricavarne un “mi pento”, con conseguente “atto di dolore”, da imbrattarci paginoni e schermoni.
Albertonegrismo
Voglio dedicare due righe a ‘sto Alberto Negri, elevatosi dal quotidiano dei padroni più spudorati (Il Sole 24 ore), a quello dei padroni più infingardi e mimetizzati (il manifesto). E’ uno che prima si dà una credibilità tra utili idioti rimbrottando sauditi e statunitensi, poi salta il fosso e incensa mercenari tipo curdi amerikani in Siria, o Fratelli Musulmani.
La stupita ammirazione che nutro per le sue acrobazie, s’è rafforzata quando, aderito a un confronto con me sulla vicenda e sul personaggio Giulio Regeni da Byoblu, la sera prima s’è poi sottratto. Un fugone spiegabile col fatto che non avrebbe avuto argomenti per replicare agli argomenti che producono un’irrimediabile immagine di Giulio Regeni. Un giovane virgulto dell’intelligence anglosassone, formato, istruito e pagato da istituti, centrali e datori di lavoro dello spionaggio internazionale, scoperto come tale dalla Sicurezza egiziana, di conseguenza bruciato ed eliminato dai suoi mandanti, ma gettato tra i piedi di un presidente egiziano sgradito. Soprattutto reso insopportabile per aver sottratto, a favore del parvenu italiano ENI, l’osso del giacimento più grande del Mediterraneo, Zhor, a BP, Shell, BP, Exxon.
Rimediata la figuraccia, Negri ha continuato ad esercitarsi sul romanzo Regeni, innocente ricercatore, martire della dittatura in piena consonanza con l’incessante mobilitazione di Amnesty (che, con Suzanne Nossel, recluta i suoi capi nel Dipartimento di Stato). Per essere bravi da propagandisti di qualcuno, o qualcosa, tocca rinunciare al proprio ruolo professionale e alla relativa deontologia. E, magari, riprendersi il ruolo rivestito nell’ISPI, Istituto di Studi di Politica Internazionale che, più onestamente del “fogliaccio “de sinistra”, esprime il proprio totale adeguamento alle direttrici e direttive imperiali. Pensate che vi sia qualche contraddizione tra lavorare per l’ISPI e scrivere sul “manifesto”. Credetemi, non ce n’è nessuna.
Eccolo, esemplare, l’Alberto Negri, in doverosa veste reginiana, sul “manifesto” del 3 dicembre u.s.
Per oscurare una probabile spia, inveire contro un improbabile carnefice
Titolo “Siamo nelle mani del Pinochet del Mediterraneo” e giù un vero e proprio rigurgito di dileggi, invettive, accuse immonde, contro uno che ha soprattutto la colpa di essere stato portato al potere dalla rivolta di massa contro la repressione sociale e oscurantista dei Fratelli Musulmani (da sempre quinta colonna colonialista nel mondo arabo) e del governo di Mohammed Morsi. Governo della Sharìa imposta, in cui si bastonavano gli operai che scioperavano, si bruciavano le Chiese Copte cristiane e si serviva fedelmente la causa occidentale in Libia e a Gaza.
Il presidente Al Sisi ha una caterva di colpe. Ha raddoppiato in meno di un anno il Canale di Suez, da cui l’Egitto ricava sostentamento. Ha risolto in pochi giorni il sabotaggio del container gigante incagliatosi nel Canale. Ha decongestionato il Cairo avvelenato dai gas, costruendo nel deserto un’intera nuova capitale e un nuovo Grande Museo Egizio. Ha moltiplicato l’occupazione e ha sollevato dalla povertà centinaia di migliaia di derelitti. Ha recuperato il turismo. Ha assistito e ricostruito Gaza, polverizzata e insanguinata da Israele. Ha solidarizzato con Damasco aggredita e ha ritirato l’Egitto dalla guerra allo Yemen. Sostiene l’unità nazionale e laica della Libia contro le milizie jihadiste del regime dei Fratelli Musulmani a Tripoli (regime ovviamente caro a Erdogan e alla “comunità internazionale”). Ha addirittura rapporti amichevoli e redditizi con la Russia dell’orco Putin.
Questo, dunque, è il “Pinochet” di Negri, ma anche, in perfetto stile giornalistico, il “mascalzone”, il “dittatore”, il “macellaio”, il “sanguinario”, “l’assassino di Regeni”. Assomiglia, il diffamatore, alla Myrta Merlino, o alla Lilli Gruber di La7 quando, in preda a delirio motorio e verbale, si avventano su presunti dubbiosi del Vax, o del Pass.
Naturalmente, Negri non sa nulla dell’Egitto di Al Sisi, nè vuole saperne, salvo le nequizie che il parimenti ignaro agitprop di Washington, Amnesty, sparge sui credenti dell’Impero del Bene. I catturati della canea terrorista dell’ISIS, braccio armato della Fratellanza e delle guerre Nato-sunnite, che imperversa con la guerriglia in Sinai e con attentati in tutto l’Egitto, nei resoconti oggettivi di stampa e ONG diventano “prigionieri politici”, maltrattati, torturati, liquidati, desaparecidos. E, a risalire i meriti antiegiziani abbiamo, appunto, un martire Giulio Regeni di cui evidentemente qualcuno apprezza il tentativo – reso evidente dal video che mostra Regeni tentare di corrompere un occhiuto sindacalista – di innescare una nuova destabilizzazione del più importante e influente paese arabo e africano.
Alberto Negri, te lo propongo di nuovo: vogliamo misurare le tue buone ragioni al confronto con gli “Istituti del Mondo Unito” frequentati da Giulio Regeni all’insegna della collaborazione praticata dal suo fondatore con la CIA? Oppure vogliamo esaminare il lavoro di rapporteur svolto dal giovanotto per gli spioni di “Oxford Analytica”, la ditta dell’inventore degli Squadroni della Morte John Negroponte, dall’ex-Capo dei Servizi britannici, Colin McColl, e dal regista del Watergate, David Young?. O, infine, che ne possiamo pensare della militanza nei Fratelli musulmani delle sue due tutor a Cambridge e all’Università Americana del Cairo?
Alberto, ti ricordi quando abbiamo incontrato Robert Fisk, grande specialista del Medioriente del “The Independent” e notorio OO7 del MI6 di Sua Maestà? Tu lo ritenevi un maestro. Già.
Che fai, Alberto, scappi ancora?
Fulvio Grimaldi
SABATO 4 DICEMBRE 2021
https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2021/12/dittatura-mezzi-modi-e-personaggi.html