L’indignazione fa male alla salute, la volontà non può nulla. E allora? Passivismo unica via!
Franco «Bifo» Berardi: Rassegnatevi / 3
Rassegnatevi / 3
L’indignazione fa male alla salute, la volontà non può nulla. E allora? Passivismo unica via!
di Franco «Bifo» Berardi
Indignatevi! è il titolo di un libro di Stéphane Hessel (2010) che ebbe una certa influenza negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008, quando il movimento Occupy tentò di opporsi all’arroganza del ceto dominante e all’impoverimento che venne imposto alla società per ripagare il debito delle banche.
Ci indignammo in gran numero e marciammo nelle vie di New York, di Genova, del Cairo e di Hong Kong, ma l’automa finanziario prevalse, e la logica degli algoritmi costrinse i lavoratori a rinunciare a ogni residuo governo politico sulle vicende dell’economia.
L’estate greca del 2015 fu il momento culminante dell’indignazione, ma anche dell’impotenza: il 62% degli elettori disse No alle ingiunzioni della finanza centrale europea, ma due giorni dopo Alexis Tsipras fu costretto a firmare l’imposizione depredatrice, e a quel punto tutti capimmo che la democrazia era finita proprio dove 25 secoli fa l’avevano inventata.
Da allora abbiamo continuato a indignarci, ma l’indignazione impotente fa male alla salute. E la salute della società è andata di male in peggio, soprattutto quella mentale.
So che non è possibile liberarsi della rabbia con un gesto di volontà, ma è utile sapere che da decenni l’equilibrio mentale della popolazione è corroso dal combinato disposto di indignazione per l’intollerabile, e inesorabilità dell’impoverimento e dell’umiliazione prescritti dalla logica degli algoritmi finanziari.
Poiché la volontà non può nulla contro un sistema di automatismi astratti, è utile elaborare la rabbia perché evolva in estraneità e quindi autonomia.
Gianandrea Gaiani: Tra maccartismo vaccinale e deriva illiberale chi valuta il rischio strategico?
Tra maccartismo vaccinale e deriva illiberale chi valuta il rischio strategico?
di Gianandrea Gaiani
In un editoriale intitolato “L’impatto della vaccinazione di massa: scommessa al buio?” pubblicato su Analisi Difesa l’8 agosto 2021, venne posta l’attenzione sul rischio strategico legato a vaccinazioni sperimentali di massa: un tema rimasto inspiegabilmente al di fuori dal pur ampio (anche se schizofrenico) dibattito sul contrasto al Covid.
In quell’articolo venne posto il focus sui rischi legati ai possibili effetti negativi su vasta scala dei vaccini sperimentali, effetti che neppure i produttori erano e sono in grado di valutare nel tempo, ma anche sulle prospettive politiche e sociali legate alle discriminazioni dei cittadini e dei lavoratori, le false informazioni utilizzate per indurli ad accettare la vaccinazione sperimentale, la fitta selva di limitazioni alle libertà individuali imposte con cadenza ora divenuta ravvicinata quanto isterica.
Dopo quasi un anno di “maccartismo vaccinale” e di assurda contrapposizione tra “pro-vax” e “no-vax”, che ha portato a tensioni e spaccature sociali e a una deriva autoritaria che non hanno eguali nella storia recente della Repubblica e dell’Europa, i fatti sembrano purtroppo confermare le valutazioni espresse in quell’editoriale.
Incredibile che nessuno prenda in considerazione il rischio che l’uso di massa di vaccini sperimentali possa minare le fondamenta stesse della società e della Nazione.
In un contesto di sperimentazione di sieri di tipologia mai utilizzata in precedenza e di cui le stesse aziende produttrici non sono in grado di valutare le conseguenze nel tempo né di assumersene la responsabilità, inocularli a gran parte della popolazione espone l’Italia, e tutte le nazioni che utilizzano su vasta scala quei tipi di vaccini, a un rischio strategico di portata mai vista fino ad oggi.
Yascha Mounk: Omicron è l’inizio della fine
Omicron è l’inizio della fine
di Yascha Mounk*
Tutti noi in questo momento conosciamo più di una persona con il Covid. Ma ci sono alcune ragioni concrete per credere che stiamo per vivere la fine della pandemia come fenomeno sociale
Sembra che tutti quelli che conosco abbiano il Covid. Nei primi mesi della pandemia, la maggior parte dei miei amici hanno evitato il contatto diretto con il virus. Forse erano più attenti, o forse sono stati solo fortunati. Quale che sia la ragione, oggi la loro buona sorte sembra averli abbandonati. Sette cari amici recentemente mi hanno detto di essere risultati positivi. Molti altri hanno il sospetto di avere il Covid, ma non riescono a fare il test. Per fortuna tutti hanno sintomi decisamente lievi (senza dubbio in parte perché sono tutti vaccinati e non sono categorie ad alto rischio).
Quello che capita nella mia cerchia di amici sembra corrispondere a quanto sta accadendo in Sudafrica, il primo Paese in cui Omicron è stata identificata. Il numero di casi aumenta velocemente, mentre quello dei decessi sembra farlo molto più gradualmente, ciò che potrebbe indicare che Omicron è più contagiosa ma causa malattia meno grave rispetto alle precedenti varianti. Tuttavia, i segnali provenienti da altri luoghi sono più preoccupanti, e anche un ceppo significativamente meno letale potrebbe causare molti morti se la diffusione è particolarmente rapida.
Savino Balzano: Papa Francesco e la “sinistrucola”
Papa Francesco e la “sinistrucola”
di Savino Balzano
Due sono le cose che mi hanno colpito recentemente in merito alle dichiarazioni del Santo Padre: le sue parole, ovviamente, ma anche (e forse soprattutto) quelle di chi lo ha criticato.
Ora, premettiamo una cosa: il fatto che Francesco sia diventato il nuovo punto di riferimento della sinistra del paese è, a mio avviso, assolutamente indicativo del grado di decadenza che la nostra politica ha raggiunto. Il fatto che la sinistra non riesca a trovare altri punti di riferimento, altri contenuti, altre parole d’ordine, rispetto a quelle pronunciate dal capo della Chiesa a me lascia decisamente perplesso. Basta fare un giro la sera attorno al colonnato del Bernini per cogliere la contraddizione esistente tra le frasi pronunciate e la disperazione di chi è costretto a dormire per strada, con tanto di tende e cartoni per coprirsi. Storia vecchia.
Il Papa si è incazzato con i giovani: «le coppie non vogliono più figli, ma hanno cani e gatti. Questo toglie umanità». Un’uscita semplicemente inaccettabile, figlia dell’anomia nella quale ormai siamo precipitati, indifferente alla condizione di prostrazione che molte donne e molti uomini vivono nel nostro tempo, soprattutto i più giovani.
Davide Rossi: Cento miliardi di galassie, dentro cui leggere il dovere all’impegno per la comunità umana
Cento miliardi di galassie, dentro cui leggere il dovere all’impegno per la comunità umana
di Davide Rossi
La bellezza e la complessità dell’ultima pregevolissima fatica del gruppo di scrittura collettiva formato da Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli rende ardua una sintesi, anche solo abbozzata, dei tanti temi trattati, piuttosto apre scenari pieni di ricordi per chi, credendo nella concretezza della realtà materiale, non disegna il confronto con l’assoluto, riassunto nel titolo: “Cento miliardi di galassie – Per un realismo resiliente della praxis”. Valga poi come ulteriore premessa che gli autori non hanno desiderio di contestare le tante dimensioni spirituali che afferiscono al sentimento dei singoli e dei popoli, quanto piuttosto muovere una critica serrata a quell’idealismo che è servito da paravento per contestare e frenare, lungo il XIX secolo, l’ascesa delle masse popolari e il loro riconoscersi nella realtà fattuale e materiale, anzi, di più, queste preziose pagine ci confermano, ancora una volta come l’idealismo si sia fatto prima strumento dell’affermazione della borghesia e poi come questa, proprio in ragione della sua opposizione all’affermazione del proletariato, abbia saldato con la reazione i suoi destini contrastando il marxismo.
lorenzo merlo: Viva la guerra
Viva la guerra
di lorenzo merlo
Possiamo girarci intorno. Possiamo aver paura di parlarne. Possiamo credere che le cose stiano diversamente. Possiamo convincerci dell’assurdità che comporta. Possiamo perfino dire che la storia insegna per sottoscrivere che la guerra è male. Ma, liberi da ideologie e dal loro ontologico moralismo, la sola osservazione possibile che possiamo fare sulla storia è che essa, certamente, si ripeterà. Non è vero che la cosa sola certa è che moriremo. È di pari verità che, finché gli uomini si identificheranno nei sentimenti che provano, la storia si ripresenterà nell’eterno ritorno dell’identico. La storia è sentimento e i sentimenti sono solo due. Se non escogitiamo come fare per divenire amore, l’equilibrio, per quanto momentaneo, ce lo renderà solo l’odio.
Non c’è pace in territorio di pace. La pace richiede la consapevolezza e la pratica dell’evoluzione spirituale. Diversamente, quella ottenuta per consuetudini morali, è falsa. Vera perché non impiega le armi che condanna. Ma falsa perché ne impiega di ogni altro tipo. La progressiva coercizione dei pensieri, dei diritti, messa in campo da anni, ne è un campione esistente.
Salvatore Bravo: Radicalità e agorafobia intellettuale
Radicalità e agorafobia intellettuale
di Salvatore Bravo
La casa editrice Petite Plaisance continua nell’azione meritoria di pubblicare i testi di Costanzo Preve. Uno degli ultimi testi ripubblicati “Le avventure dell’ateismo” è un testo breve e prezioso per orientarsi in una realtà storica sempre più liquida e caratterizzata dalle campagne informative di Stato sempre più coincidenti con gli interessi oligarchici del grande capitale.
Nel testo Costanzo Preve chiede al lettore di trascendere categorie e stereotipi politici consegnati alla storia per mettersi in ascolto del presente. Senza comprensione del passato politico della sinistra il futuro non si apre dinanzi a noi. Il passato va trasformato in esperienza per decodificare il presente e riorganizzare il futuro. Senza la capacità critico-filosofica di tenere assieme i tre segmenti: presente, passato e futuro non vi è politica e non vi è speranza.
L’attualità si connota per l’azione critica del cattolicesimo reazionario che ha in Monsignor Viganò il punto di riferimento. Si susseguono in rete gli appelli critici del Monsignore che uniscono la critica alla chiesa di Bergoglio sempre più alleata ed integrata con la globalizzazione alla critica al nuovo reset globale.
Joseph Halevi e Peter Kriesler: Michal Kalecki e il marxismo economico del ‘900
Michal Kalecki e il marxismo economico del ‘900
di Joseph Halevi e Peter Kriesler (1)
I quindici anni che vanno dalla fine del XIX secolo allo scoppio della prima guerra mondiale, formarono forse il periodo più ricco nella storia dell’economia marxiana. Questa ricchezza – magistralmente presentata e resuscitata da Paul Sweezy nel suo insuperabile classico (1942) The Theory of Capitalist Development (1951 edizione italiana) – era stata molto stimolata dalla natura non unicamente accademica del dibattito. I partecipanti, provenienti dall’Europa di lingua tedesca e dall’impero zarista, che in quegli anni includeva anche la Polonia, si sforzavano di capire le dinamiche di accumulazione del capitale in un contesto che sicuramente non era quello di Marx. Il principale sviluppo tra il periodo in cui scriveva Marx e quello dei dibattiti russo-tedeschi fu il cambiamento della natura del sistema capitalista. Il riferimento è alla forza della concorrenza come intesa da Marx quando scriveva:
Inoltre, lo sviluppo della produzione capitalistica rende costantemente necessario aumentare la quantità del capitale investito in una data impresa industriale, e la concorrenza fa sì che le leggi immanenti della produzione capitalistica siano sentite da ogni singolo capitalista, come leggi coercitive esterne. Essa lo costringe ad estendere costantemente il suo capitale per conservarlo, ma egli non può estenderlo se non per mezzo dell’accumulazione progressiva (tradotto da: Karl Marx, Il Capitale, Vol. 1, cap. 24, https://marxists.architexturez.net/archive/marx/works/1867-c1/ch24.htm, visitato il 3/12/20021).
Questa legge coercitiva della concorrenza si manifesta attraverso la “Legge generale dell’accumulazione capitalistica” che Marx sviluppa nel capitolo 25 del primo volume del Capitale(edizione di Mosca) dandogli il medesimo titolo. La legge consiste nel fatto che: (a) il tasso di profitto e il tasso del salario si muovono, l’uno rispetto all’altro, rigorosamente in direzione inversa, (b) tutto il plusvalore viene automaticamente investito indipendentemente dal fatto che il suo ammontare sia alto o basso.
Sergio Bianchi: La pattumiera della storia
La pattumiera della storia
di Sergio Bianchi
A introduzione del corso su Gli autonomi Le storie, le lotte, le teorie (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/gli-autonomi-le-storie-le-lotte-le-teorie), pubblichiamo il Prologo di Sergio Bianchi all’omonimo libro (Vol. I).
«Estremisti», «violenti», «provocatori», «mestatori», «prevaricatori», «squadristi», «diciannovisti», «fiancheggiatori», «terroristi». Questi sono solo alcuni degli epiteti coniati nel corso degli anni Settanta da illustri opinionisti, intellettuali, dirigenti di partito e di sindacato per definire gli autonomi, una variegata area di rivoluzionari attivi in quegli anni nel nostro paese.
Il giorno 7 aprile 1979 un’imponente iniziativa giudiziaria accusò decine di dirigenti e militanti autonomi di essere a capo di tutte le organizzazioni armate attive in Italia e il cervello organizzativo di «un progetto di insurrezione armata contro i poteri dello Stato».
Il «teorema Calogero», dimostratosi col tempo del tutto infondato, fece da iniziale supporto ad arresti di massa, detenzioni preventive nei carceri speciali, processi durati anni e condanne a lunghe pene.
Ma gli autonomi erano davvero solo quel coacervo di estremismo irrazionale, violento e disperato così come risulta dalle cronache istituzionali dell’epoca?
Non vi è dubbio che la demonizzazione mediatica e la criminalizzazione giudiziaria ebbero la meglio nel consegnarli alla storia successiva con questo drastico giudizio. Resta però il fatto che a trent’anni da quegli eventi nessuno ha voluto o è riuscito a narrare che cosa è stata realmente l’area dell’autonomia operaia, quali sono state cioè le sue origini, le sue basi teoriche, le sue linee politiche e le sue pratiche conseguenti, le sue differenze dai gruppi extraparlamentari e da quelli che animarono la lotta armata.
I «vincitori», protagonisti residui ed epigoni del sistema dei partiti che governarono allora la cosiddetta Prima repubblica, non hanno ovviamente oggi alcun interesse nel promuovere una revisione di quel giudizio. I «perdenti», quelli non direttamente annientati, hanno nei decenni trascorsi adottato un profilo perlopiù silente, forse per effetto dell’interiorizzazione catastrofica di una sconfitta vissuta non solo sul piano politico ma anche su quello, ben più delicato, dell’esistenza nel suo complesso.
Andrea Cavazzini: Totalità, critica e mediazione
Totalità, critica e mediazione
Dalla crisi del marxismo all’ultimo Fortini
di Andrea Cavazzini
Una discussione su totalità, critica e mediazione è senz’altro un’occasione importante per riprendere questi concetti e riformularne la genealogia e le implicazioni.
Mi pare che si possa iniziare cercando di situare il problema della totalità (e quindi del pensiero dialettico) nella storia discontinua e contraddittoria del movimento comunista, nelle sue crisi e nella sua dissoluzione alla fi del Novecento. Non mi pare necessario insistere sulle ragioni di considerare questa storia come una storia provvisoriamente conclusa: questa constatazione mi sembra non dover essere associata né alla disperazione né all’euforia, ma credo sia imposta dal bilancio della fi del Novecento, a trent’anni dalla dissoluzione dell’URSS e a quarantacinque dalla fi della Rivoluzione Culturale. In compenso, il problema resta interamente aperto rispetto alla possibilità di individuare e riconoscere un’eredità possibile di questa sequenza storica.
Un recupero o un rilancio delle categorie intellettuali associate al marxismo dovrebbero, in qualche modo, farsi carico della storia attraverso cui tali categorie arrivano fino a noi, e del modo in cui le nostre attuali forme di comprensione del mondo dipendono anche da questa storia, dalle riscritture, dalle cancellazioni e dalle deformazioni che essa ha imposto ai concetti e ai discorsi che oggi si offrono alla nostra interpretazione e ai nostri eventuali riusi. Nessun confronto con il pensiero o la teoria di Marx e della tradizione marxista può evitare di costruire una teoria della ricezione che dia un senso non apologetico o metaforico al termine “tradizione”: con ciò’ si vuol dire che l’insieme o gli insiemi di concetti di volta in volta designati da locuzioni come “critica dell’economia politica”, “materialismo storico”, “pensiero dialettico”, eccetera, non possono essere considerati come trasparenti, dati ad una lettura oggettiva, disponibili per un’appropriazione immediata che trascuri o rimuova le storie di cui essi sono i sintomi.
Andrea Zhok: La spallata
La spallata
di Andrea Zhok
L’elezione di Mario Draghi alla Presidenza della Repubblica sancirebbe in Italia un passaggio ad un presidenzialismo de facto senza legittimazione popolare (si potrebbe usare un’altra definizione politica per questa fattispecie). Il progetto, piuttosto trasparente e supportato da autorevoli testate giornalistiche, è quello di una Presidenza della Repubblica che di fatto sceglie il proprio successore alla Presidenza del Consiglio nel novero dei propri portavoce o plenipotenziari. E se le prossime elezioni non porteranno ad uno sconvolgimento rispetto alle forze attualmente in parlamento, questo modello potrà vedersi riconfermato anche per la prossima legislatura.
È utile vedere questo passaggio alla luce di quanto sta accadendo negli altri principali paesi europei.
In Francia Macron è dato per favorito alle prossime elezioni presidenziali, per una riconferma. Come in Italia per Draghi, anche in Francia l’apparato mediatico mainstream ne sostiene la candidatura, per quanto in Francia un’opposizione sostanziale esista ancora e sia battagliera.
Marco Cattaneo: Ma quali riforme strutturali!
Ma quali riforme strutturali!
di Marco Cattaneo
L’elenco delle baggianate euriste che si sono lette e ascoltate in questi anni è decisamente moooooolto lungo, però in posizione alta nella classifica c’è quella secondo cui “l’euro non c’entra, l’Italia ha un problema di produttività, lì bisogna intervenire: con le riforme strutturali”.
Le fantomatiche riforme strutturali, lo dicevo parecchio tempo fa ma rimane totalmente vero oggi, non si è mai capito quali dovrebbero essere, salvo precarizzare il lavoro, tagliare il welfare state e comprimere verso il basso retribuzioni e diritti.
Tutto questo non ha risolto nessun problema dell’economia italiana (anzi) e in particolare non ha fatto assolutamente nulla di positivo per la produttività (ri-anzi).
Tuttavia la litania eurista rimane la stessa: la medicina ha fatto male “quindi” aumentiamo le dosi, perché “evidentemente” non se ne è assunta abbastanza. L’eventualità che sia sbagliata la cura non è contemplata.
La stagnazione della produttività del lavoro in Italia parte esattamente con l’aggancio all’euro.
Eleonora Piegallini: Il Green Pass e il Capitalismo di sorveglianza 2.0
Il Green Pass e il Capitalismo di sorveglianza 2.0
di Eleonora Piegallini
Il passaporto vaccinale, o green pass, è ormai una realtà in molti Paesi. Le problematiche che da mesi vengono sollevate da attivisti, politici e gente comune sono varie e, a fronte del dato, ossia che ad oggi il passaporto vaccinale potrebbe restare nelle nostre vite a lungo, dovremmo iniziare ad interrogarci sui rischi che comporta tale controllo capillare dei cittadini.
Le Big Tech spingono per un green pass perenne
Problemi di privacy, rischio di uso improprio dei dati anagrafici, informazioni sensibili nelle mani di aziende tecnologiche e dello Stato (che, peraltro, come hanno dimostrato gli ultimi due anni, intrattengono relazioni non proprio trasparenti), sono solo alcune delle criticità poste dall’introduzione di tale ,misura. E, come si legge in un recente articolo apparso su The Intercept, “L’evidenza supporta i sospetti dei più critici”.
Infatti, continua The Intercept,“ogni governo che introduce un passaporto vaccinale giura che l’uso che se ne fa è su base volontaria e che nessuna informazione personale non necessaria sarà conservata.
Cattive ragazze: Di nuovo Dad?
Di nuovo Dad?
di Cattive ragazze*
L’appello lanciato da alcuni presidi per il posticipo della riapertura delle scuole ha avuto una risonanza enorme sui grandi media. Molti e molte lo trovano inaccettabile per diverse e robuste ragioni. Il collettivo Cattiveragazze, tra gli altri, si chiede quanti dirigenti in questi due anni hanno chiesto spazi alternativi, più grandi, per le attività didattiche, ma anche quanti dirigenti hanno fatto ammenda per avere, negli anni passati, devastato le scuole dividendo le aule pur di avere altri studenti nel loro portafoglio. “La DAD – ricordano in un messaggio prezioso diffuso in rete – non ha efficacia formativa ed è deleteria per la socialità delle studentesse e degli studenti (piccoli e grandi). Alcuni istituti di ricerca privati vicini a Confindustria ne hanno valutato il costo economico, noi il costo umano, sulle vite delle studentesse e degli studenti…”
Leggiamo con sconforto l’appello lanciato dai Presidi per il posticipo della riapertura delle scuole (firmato anche da alcuni dirigenti scolastici del nostro territorio). La richiesta di tornare alla DAD ci sembra inaccettabile, la loro lettura dei dati pandemici strumentale e scorretta, la loro attenzione alla Scuola assolutamente in linea con quanto dicono di denunciare.
Solo alcune considerazioni:
1) I Presidi chiedono «una programmata e provvisoria sospensione delle lezioni in presenza (con l’attivazione di lezioni a distanza) per due settimane». Perché non una sospensione da recuperare a giugno in presenza, quando al solito la curva dei contagi decresce, magari rinviando gli esami?
2) Il problema è il personale non in regola con la vaccinazione obbligatoria e il personale positivo al COVID. Ma questo personale non ci sarà neanche per la DAD.
Pier Paolo Caserta: Le cose, le parole e le vocali
Le cose, le parole e le vocali
di Pier Paolo Caserta
Quanti difendono le ragioni della “grande battaglia” dell’asterisco e della schwa argomentano che il linguaggio si evolve e non c’è nulla di strano, dunque, nell’accogliere un cambiamento doveroso e “inclusivo”. Una risposta seria e scientificamente ponderata è arrivata di recente da alcuni linguisti dell’Accademia della Crusca. In sintesi, gli studiosi hanno fatto notare che certamente la lingua si evolve e cambia, ma non su ordinazione!
Altri chiamano in causa il relativismo linguistico per sottolineare come le scelte codificate nella lingua non siano affatto neutre, perorando, dunque, la causa del cambiamento.
Nella sua duplice componente, culturale e linguistica, il relativismo moderno asserisce che ogni sistema di pensiero è relativo alla particolare cornice culturale all’interno della quale viene formulato e non può quindi essere considerato valido in assoluto.
Negli scritti di B.L. Whorf, linguista americano attivo nella prima metà del Novecento, questo principio prende esplicitamente la forma di una riabilitazione delle culture extra-europee, che l’antropologia di quel periodo, influenzata dal neopositivismo (oggi di ritorno) e fedele a una concezione lineare del progresso, inteso ingenuamente come sviluppo da una condizione peggiore ad una migliore, considerava ancora come uno stadio primitivo dell’evoluzione dell’uomo.
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