[n p c i] Antonio Gramsci e l’Appello ‘Ora l’unità. Per il Partito Comunista in Italia’

Il 22 gennaio si terrà a Roma un’assemblea nazionale di presentazione dell’Appello Ora l’unità. Per il Partito Comunista in Italia, lanciato il 13 novembre scorso da un numero considerevole di esponenti di organismi, raggruppamenti e pubblicazioni

Avviso ai naviganti 117

18 gennaio 2022

[Scaricate il testo del comunicato in Open Office / Word ]

Ai promotori e ai partecipanti dell’assemblea del 22 gennaio

Antonio Gramsci e l’Appello Ora l’unità. Per il Partito Comunista in Italia

 

Il 22 gennaio si terrà a Roma un’assemblea nazionale di presentazione dell’Appello Ora l’unità. Per il Partito Comunista in Italia, lanciato il 13 novembre scorso da un numero considerevole di esponenti di organismi, raggruppamenti e pubblicazioni che negli ultimi mesi si sono fatti promotori di “costituenti del partito comunista”: Associazione politico-culturale Cumpanis, Marx 21, La Città Futura, PC (Rizzo), PCI (Alboresi), PRC (Acerbo), Movimento per la Rinascita del PCI e l’Unità dei Comunisti, Gramsci Oggi, Centro Culturale Concetto Marchesi (Milano), NO Guerra NO NATO, La Cina Rossa. Tra il 13 novembre e oggi l’Appello ha raccolto oltre 1.000 adesioni, a conferma che nel nostro paese ci sono migliaia di compagni che aspirano a riprendere in mano la bandiera della lotta per l’Italia socialista issata da Antonio Gramsci, ammainata dai revisionisti moderni Togliatti e Longo, gettata nel fango dai Berlinguer, Napolitano e dalla leva di esponenti della sinistra borghese (gli Occhetto, Veltroni, D’Alema, ecc.) che nel 1991 decise lo scioglimento del PCI.

Nell’editoriale pubblicato su Cumpanis il 24.12.2021 per promuovere l’assemblea del 22 gennaio, Fosco Giannini, uno dei principali animatori dell’Appello, cita l’articolo di Gramsci Contro il pessimismo (da L’Ordine Nuovo del 15 marzo 1923) per dire che la “nuvolaglia di pessimismo, passività politica, torpore intellettuale, scetticismo verso l’avvenire” di cui parla Gramsci “si addicono perfettamente alla condizione politica, esistenziale, psicologica di una parte sicuramente non irrilevante dei comunisti italiani di questa nostra fase, siano essi iscritti ai loro partiti che comunisti senza tessera e organizzazione, cellule comuniste dormienti”.

Nell’articolo Che fare?, pubblicato nel novembre 1923 sul giornale della Federazione giovanile comunista italiana (FGCI) La Voce della gioventù, lo stesso Gramsci indicava la strada per superare la “nuvolaglia di pessimismo, passività politica, torpore intellettuale, scetticismo verso l’avvenire”. Lo riportiamo in Appendice perché contiene due indicazioni fondamentali per chi oggi aspira a dare vita al partito comunista “politicamente e ideologicamente coeso” indicato nell’Appello.

1. Non bisogna aver timore di riconoscere i nostri errori e limiti. Certo, dobbiamo contrastare le denigrazioni e le calunnie che la borghesia e il clero non perdono occasione di vomitare sul movimento comunista o l’oblio che cercano di stendere sulla sua esperienza. Ma il nostro compito non è difenderci dalle calunnie della borghesia e del clero, convincerli che sbagliano o esagerano. Non è neanche esibire con orgoglio e fierezza la nostra storia e al diavolo chi non ne vede la grandezza e l’eroismo e chi non fa che sollevare dubbi e domande. Il nostro compito è far conoscere l’esperienza del movimento comunista e soprattutto farne il bilancio: imparare dai comunisti che ci hanno preceduto per portare a compimento l’opera che essi hanno lasciato interrotta. Dobbiamo cioè correggere gli errori e superare i limiti a causa dei quali i partiti comunisti non hanno instaurato il socialismo in nessuno dei paesi imperialisti. E a questo fine, come dice Gramsci, non ci sono scappatoie: “bisogna fare una spietata autocritica della nostra debolezza, bisogna incominciare dal domandarsi perché abbiamo perso, chi eravamo, cosa volevamo, dove volevamo arrivare”.

2. L’unità dei comunisti non è una questione organizzativa, non si realizza mettendosi insieme e rinunciando ognuno a qualcosa in nome dell’unità. Gramsci indica in modo chiaro da dove occorre partire: conoscere il terreno in cui operiamo e assumere la concezione comunista del mondo (la scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia) come base dell’unità del partito. Il problema principale che i comunisti devono risolvere non è una questione organizzativa, ma la questione della teoria. Il partito comunista è l’unione di quelli che assimilano, sviluppano e applicano alle condizioni italiane e mondiali la concezione comunista del mondo e le lezioni del bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976). Chi mette i problemi e le soluzioni organizzative prima dell’assimilazione e applicazione della scienza comunista adotta un approccio contrario a quello di Marx ed Engels (che prima di fondare la I Internazionale scrissero L’ideologia tedesca e Manifesto del partito comunista) e di Lenin (che prima di scrivere Che fare? e fondare l’Iskra scrisse Che cosa sono gli “amici del popolo” e Lo sviluppo del capitalismo in Russia). E quindi quanto alla linea resta ancora vittima dell’una o dell’altra delle tare del primo PCI: elettoralismo (solo via parlamentare al socialismo), economicismo (solo difesa sindacale e/o politica delle condizioni di lavoro e di vita delle masse popolari), militarismo (agli attacchi del nemico, l’unica risposta possibile è la risposta armata).

Su questa base (bilancio della prima ondata e analisi del corso delle cose) è possibile distinguere per combinarle in modo positivo l’unità d’azione dei comunisti e l’unità dei comunisti in partito. È possibile sviluppare l’“immediata mobilitazione unitaria dei comunisti nelle piazze, di fronte alle fabbriche, ai cantieri, alle scuole, agli ospedali” indicata nell’Appello, per estendere e rafforzare la mobilitazione delle masse popolari contro il governo Draghi, moltiplicare gli organismi operai e popolari, coordinarli tra loro, coalizzarli intorno all’obiettivo di cacciare il governo Draghi e imporre un governo formato da esponenti indicati dagli organismi operai e popolari. E contemporaneamente fare dell’azione comune (l’unità d’azione) in questo campo l’occasione per sviluppare la ricerca delle cause dell’esaurimento della gloriosa lotta che il movimento comunista ha svolto nel passato e della linea da praticare per dare vita al partito comunista cui aspirano tanti dei firmatari dell’Appello.

È in questo modo, e non opponendo la propria “costituente” alle altre, che si superano i “giochetti personali”, i “vari e vani tentativi, del tutto autoreferenziali, apparsi in quest’ultimo lungo trentennio come risposta resistenziale a quella che storicamente, piaccia o no, è stata una sconfitta di classe”, il “ricominciare tutto in eterno, secondo gli umori o i desiderata del momento, senza mai intravedere una reale via d’uscita” denunciati dai Segretari provinciali PCI della Toscana e del Segretario Regionale PCI Toscana nella loro Dichiarazione congiunta del 17 gennaio.

Le masse popolari del nostro paese e tra esse gli operai hanno assoluto bisogno del partito comunista, ma hanno bisogno di un partito comunista che sia all’altezza del ruolo che deve svolgere nella lotta di classe in corso oggi. Il partito comunista non è né solo né principalmente il promotore delle lotte rivendicative contro i padroni (sindacali) e contro il loro governo e le loro autorità (politiche). Esso è principalmente il promotore dell’instaurazione del socialismo: il governo del paese nelle mani delle masse popolari organizzate attorno al partito comunista, la gestione pubblica delle attività economiche, la promozione dell’accesso delle masse popolari alle attività specificamente umane dalle quali la classe dominante le ha da sempre escluse il più che le è stato possibile. Il partito comunista si costruisce sul bilancio della prima ondata, l’analisi del corso delle cose e la linea per conquistare il potere!

Antonio Gramsci – CHE FARE?

(reperibile sul sito del (nuovo)PCI al link http://nuovopci.it/classic/gramsci/letaredvocegiov.html)

Questo testo scritto a Mosca nell’ottobre 1923 e pubblicato il 1° novembre successivo a firma Giovanni Masci sul giornale della Federazione giovanile comunista italiana (FGCI) La Voce della gioventù, segnala il ritorno di Gramsci all’impegno diretto nella situazione italiana, dopo il periodo (da fine maggio 1922) trascorso come rappresentante del partito italiano nel Comitato esecutivo dell’Internazionale Comunista. Per leggerlo con profitto bisogna tenere a mente che Gramsci lo scrive per il partito comunista italiano poco dopo la Marcia su Roma dei fascisti e che esso vale, l’esperienza lo ha dimostrato, per il PCI che prese in mano i risultati della vittoria della Resistenza e della vittoria dell’URSS contro l’aggressione nazifascista.

***

Cari amici di La Voce,

ho letto nel n. 10 (15 settembre) di La Voce l’interessante discussione tra il compagno G.P. di Torino e il compagno S.V. [redazione di La Voce della gioventù, ndr]. È chiusa la discussione? Si può domandare che ancora per molti numeri la discussione rimanga aperta e invitare tutti i giovani operai di buona volontà a parteciparvi, esprimendo, con sincerità e onestà intellettuale, la loro opinione in proposito?

Come va posto il problema.

Incomincio io e affermo senz’altro che, mi pare almeno, il compagno S.V. non ha impostato bene il problema ed è caduto in qualche errore, gravissimo del suo stesso punto di vista.

Perché è stata sconfitta la classe operaia italiana? Perché essa non aveva un’unità? Perché il fascismo è riuscito a sconfiggere, oltre che fisicamente, anche ideologicamente, il partito socialista che era il partito tradizionale del popolo lavoratore italiano? Perché il partito comunista non si è rapidamente sviluppato negli anni 1921-22 e non è riuscito a raggruppare intorno a sé la maggioranza del proletariato e delle masse contadine? Il compagno S.V. non si pone queste domande. Egli risponde a tutte le angosciose inquietudini che si manifestano nella lettera del compagno G.P. con l’affermazione che sarebbe bastata l’esistenza di un vero partito rivoluzionario e che la sua organizzazione futura basterà nel futuro, quando la classe operaia avrà ripreso la possibilità di movimento. Ma è vero tutto ciò, o, almeno, in che senso ed entro quali limiti è vero?

Il compagno S.V. suggerisce al compagno G.P. di non pensare più entro determinati schemi, ma di pensare entro altri schemi che non precisa. Bisogna precisare.

Ed ecco cosa appare necessario fare immediatamente, ecco quale deve essere l’ “inizio” del lavoro per la classe operaia: bisogna fare una spietata autocritica della nostra debolezza, bisogna incominciare dal domandarsi perché abbiamo perso; chi eravamo, cosa volevamo, dove volevamo arrivare. Ma bisogna prima fare anche un’altra cosa (si scopre sempre che l’inizio ha sempre un altro… inizio): bisogna fissare i criteri, i principi, le basi ideologiche della nostra stessa critica.

Ha la classe operaia la sua ideologia?

Perché i partiti proletari italiani sono sempre stati deboli dal punto di vista rivoluzionario? Perché hanno fallito quando dovevano passare dalle parole all’azione? Essi non conoscevano la situazione in cui dovevano operare, essi non conoscevano il terreno in cui avrebbero dovuto dare la battaglia.

Pensate: in più di trenta anni di vita, il partito socialista non ha prodotto un libro che studiasse la struttura economico-sociale dell’Italia. Non esiste un libro che studi i partiti politici italiani, i loro legami di classe, il loro significato. Perché nella Valle del Po il riformismo si era radicato così profondamente? Perché il partito popolare, cattolico, ha più fortuna nell’Italia settentrionale e centrale che nell’Italia del sud, dove pure la popolazione è più arretrata e dovrebbe quindi più facilmente seguire un partito confessionale? Perché in Sicilia i proprietari terrieri sono autonomisti e non i contadini, mentre in Sardegna sono autonomisti i contadini e non i grandi proprietari? Perché in Sicilia e non altrove si è sviluppato il riformismo dei De Felice, Drago, Tasca di Cutò e consorti? Perché nell’Italia del sud c’è stata una lotta armata tra fascisti e nazionalisti che non c’è stata altrove?

Noi non conosciamo l’Italia, così com’è realmente e quindi siamo nella quasi impossibilità di fare previsioni, di orientarci, di stabilire delle linee d’azione che abbiano una certa probabilità di essere esatte. Non esiste una storia della classe operaia italiana. Non esiste una storia della classe contadina.

Che importanza hanno avuto i fatti di Milano del ‘98? Che insegnamento hanno dato? Che importanza ha avuto lo sciopero generale di Milano del 1904? Quanti operai sanno che allora, per la prima volta, fu affermata esplicitamente la necessità della dittatura proletaria? Che significato ha avuto in Italia il sindacalismo? Perché ha avuto fortuna tra gli operai agricoli e non fra gli operai industriali? Che valore ha il partito repubblicano? Perché dove ci sono anarchici ci sono anche repubblicani? Che importanza e che significato ha avuto il fenomeno del passaggio di elementi sindacalisti al nazionalismo prima della guerra libica e il ripetersi del fenomeno su scala maggiore per il fascismo?

Basta porsi queste domande per accorgersi che noi siamo completamente ignoranti, che noi siamo disorientati. Sembra che in Italia non si sia mai pensato, mai studiato, mai ricercato. Sembra che la classe operaia italiana non abbia mai avuto una sua concezione della vita, della storia, dello sviluppo della società umana. Eppure la classe operaia ha una sua concezione: il materialismo storico; eppure la classe operaia ha avuto dei grandi maestri (Marx, Engels) che hanno mostrato come si esaminano i fatti, le situazioni, e come dall’esame si traggano gli indirizzi per l’azione.

Ecco la nostra debolezza, ecco la principale ragione della disfatta dei partiti rivoluzionari italiani: non avere avuto una ideologia, non averla diffusa tra le masse, non avere fortificato le coscienze dei militanti con delle certezze di carattere morale e psicologico. Come meravigliarsi che qualche operaio sia diventato fascista? Come meravigliarsene se lo stesso S.V. dice in un punto “chi sa mai anche noi, persuasi, potremmo diventare fascisti”? (Queste affermazioni non si fanno neppure per scherzo, neppure per ipotesi di propaganda). Come meravigliarsene, se in un altro articolo, dello stesso numero di La Voce, si dice: “Noi non siamo anticlericali”? Non siamo anticlericali? Che significa ciò? Che non siamo anticlericali in senso massonico, dal punto di vista razionalistico dei borghesi? Bisogna dirlo, ma bisogna dire che noi, classe operaia, siamo anticlericali, in quanto materialisti, che noi abbiamo una concezione del mondo che supera tutte le religioni e tutte e filosofie finora nate sul terreno della società divisa in classi. Purtroppo… la concezione non l’abbiamo, ed ecco la ragione di tutti questi errori teorici, che hanno poi un riflesso nella pratica, e ci hanno condotto finora alla sconfitta e all’oppressione fascista.

L’inizio… dell’inizio!

Che fare dunque? Da che punto incominciare? Ecco: secondo me bisogna incominciare proprio da questo; dallo studio della dottrina che è propria della classe operaia, che è la filosofia della classe operaia, che è la sociologia della classe operaia, dallo studio del materialismo storico, dallo studio del marxismo. Ecco uno scopo immediato per i gruppi di amici di La Voce: riunirsi, comprare dei libri, organizzare lezioni e conversazioni su questo argomento, formarsi dei criteri solidi di ricerca e di esame e criticare il passato, per essere più forti nell’avvenire e vincere.

La Voce dovrebbe, in tutti i modi possibili, aiutare questo tentativo, pubblicando schemi di lezioni e di conversazioni, dando indicazioni bibliografiche razionali, rispondendo alle domande dei lettori, stimolando la loro buona volontà. Quanto meno finora si è fatto, tanto più è necessario fare, con la massima rapidità possibile. I fatti incalzano: la piccola borghesia italiana, che aveva riposto nel fascismo le sue speranze e la sua fede, vede quotidianamente crollare il suo castello di carta. L’ideologia fascista ha perso la sua espansività, perde anzi terreno: spunta nuovamente il primo albore della nuova giornata proletaria.

Scarica, stampa e con le dovute precauzioni affiggi!

Affiggere la locandina è un’operazione di guerra: vedere che il Partito arriva dovunque, infonde fiducia e coraggio nelle masse popolari e smorza l’arroganza dei padroni e delle loro autorità!

Sharing - Condividi