Il punto della situazione
Roberto Buffagni: Seconda settimana di ostilità in Ucraina
Seconda settimana di ostilità in Ucraina
Il punto della situazione
di Roberto Buffagni
1. Con la massima brevità faccio il punto della situazione dopo la seconda settimana di ostilità in Ucraina.
2. Dal 10 marzo è gratuitamente disponibile in rete una intervista al generale Fabio Mini1 che dice tutto il necessario per capire il quadro politico e militare della situazione. Per una analisi più approfondita, si può leggere l’articolo di Mini in “Limes” 2/2022, La Russia cambia il mondo, p. 203-216. Concordo al 100% con le analisi di Mini.
3. I dati fondamentali del conflitto militare mi paiono i seguenti:
4. La Russia conduce una guerra limitata per obiettivi limitati, per così dire una guerra “vestfaliana”2. Gli obiettivi che dichiara e persegue sono: a. neutralità dell’Ucraina b. “demilitarizzazione” dell’Ucraina (riduzione del potenziale militare ucraino) c. “denazificazione” dell’Ucraina (nessun esponente di formazioni che si richiamino al nazional-socialismo nel governo ucraino) d. riconoscimento Repubbliche del Donbass e. riconoscimento annessione della Crimea.
5. La Russia sta impiegando nel conflitto circa il 15% dei suoi effettivi e una frazione probabilmente anche minore dei suoi mezzi militari. L’Ucraina sta impiegando, nel conflitto, tutti i suoi effettivi (o quasi) e tutti i suoi mezzi militari (o quasi). Sul terreno, la Russia ha saldamente in mano l’iniziativa e un controllo quasi completo del cielo, e ha spezzato la coesione delle unità e del comando ucraino: le unità ucraine sono isolate e non possono coordinarsi con il comando centrale. Esse dunque possono resistere e contrattaccare ottenendo vittorie tattiche, ma non predisporre una controffensiva generale per strappare l’iniziativa ai russi.
Pierluigi Fagan: Reality
Reality
di Pierluigi Fagan
Zelensky è la Chiara Ferragni della politica internazionale. L’hanno pensato per dire “vedi ce la potresti fare anche tu” e questo piace. Inutile cercare di rompere questo sogno alla gente, la realtà è così brutta che sognare è l’unico balsamo. In più è gratis, o tale si pensa.
Un secondo dopo che accade qualcosa o lui fa accadere qualcosa, madri incinte che sanguinano, centrali atomiche colpite da missili o in blackout, dopo aver parlato con Biden o Johnson ed addirittura Westminster in diretta e solo perché Dio aveva da fare, lui va in video e twitta. Tutti i giorni, più volte al giorno. Ha sempre un testo pronto, ha una intera squadra di spin doctor sotto. E visto che gente manda alle trattative, mi riesce difficile pensare siano ucraini. E vista la pertinenza, la velocità, la struttura della narrazione è ridicolo il solo pensarlo.
Pensate davvero che uno che sta intronato dopo 14 giorni di bombardamento, semi assediato, con la nazione in fiamme milioni di cittadini sfollati, m-i-l-i-o-n-i di donne-vecchi-bambini, invaso da uno dei più potenti eserciti del mondo, con mille ed uno problemi operativi da risolvere o da non risolvere come sfollare per tempo un ospedale di una città che i russi hanno impiegato giorni a cingere d’assedio, è credibile vada in video a fare occhiolino o la versione affranta o quella che urla “maledetti europei date l’assenso alla no-fly-zone, venite dietro al Vostro Capitan Libertà che sto lottando anche per voi!”? Tutti i giorni, più volte al giorno? Davvero riuscireste a farlo? Siate onesti. Dai, non ci credo. Tutto ciò vi sembra credibile?
Vincenzo Comito: Conseguenze economiche e finanziarie della guerra in Ucraina
Conseguenze economiche e finanziarie della guerra in Ucraina
di Vincenzo Comito
Nel reticolo di interessi dato dalla globalizzazione non è semplice definire chi è destinato a guadagnare e chi a perdere dalla guerra. Alcuni elementi però iniziano a delinearsi: l’Europa ha da perderci più di chiunque altro. E la Russia viene costretta a una alleanza più stretta con la Cina
Questo articolo non vuole coprire tutte le tematiche economico-finanziarie legate alla guerra in Ucraina e alle sanzioni occidentali, ma guardare soltanto ad alcuni dei temi relativi, con particolare riferimento al ruolo della Cina nella crisi e, in misura minore, alle possibili conseguenze del tutto per il quadro europeo. Parte delle note che seguono, vista anche la situazione di grande confusione in atto e l’urgenza di informare, saranno dunque soggette a imprecisioni ed incertezze.
E’ ben noto che con le guerre c’è sempre chi ci guadagna, anche molto e nel nostro caso faranno certamente salti di gioia i produttori di armi (anche noi ne abbiamo qualcuno; così, mentre la Borsa italiana crollava, il titolo Leonardo guadagnava il 15%). Macron ha già dichiarato che i 50 miliardi di euro stanziati in bilancio dalla Francia per il 2022 non bastano più, mentre, il cancelliere Scholz ha annunciato la creazione di un fondo di 100 miliardi di euro per il settore della difesa; attendiamo con impazienza un qualche annuncio italiano in proposito. Intanto partono dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti grandi carichi militari per l’Ucraina. Non mancheranno certo di arricchirsi anche i trader di prodotti energetici e agricoli, nonché di qualche minerale, oltre che, come sempre, gli speculatori di Borsa.
Un difficile equilibrio
Anche se le opinioni in merito divergono molto, la Cina per alcuni aspetti potrebbe essere danneggiata dagli avvenimenti, mentre per altri forse risulterà avvantaggiata. Il bilanciamento tra i due punti dipenderà molto da come si metteranno le cose in futuro.
Matteo Bortolon: Crisi ucraina, la guerra più scontata della storia
Crisi ucraina, la guerra più scontata della storia
di Matteo Bortolon
Numerosi esperti di strategia, diplomatici e figure politiche aveva previsto la strada verso il precipizio delle politiche occidentali verso l’Ucrania, eppure non si è cambiato strada.
La cosa più affascinante della guerra in Ucraina è il gran numero di grandi pensatori di strategia che hanno lanciato avvertimenti per anni che sarebbe arrivata se avessimo continuato sulla stessa strada. Nessuno li ha ascoltati ed eccoci qui.
Il primo è George Kennan, probabilmente il più grande stratega di politica estera americano, l’architetto della strategia americana della guerra fredda. Già nel 1998 aveva avvertito che l’espansione della NATO era un “tragico errore” che alla fine avrebbe potuto provocare una “reazione negativa da parte della Russia”:
«Penso che sia l’inizio di una nuova guerra fredda. Penso che i russi reagiranno gradualmente in modo piuttosto negativo e ciò influenzerà le loro politiche. Penso che sia un tragico errore. Non c’era alcun motivo per questo. Nessuno stava minacciando nessun altro. Questa espansione farebbe rivoltare nelle loro tombe i Padri Fondatori di questo paese. Ci siamo formalmente impegnati a proteggere un insieme di paesi anche senza averne i mezzi o una seria intenzione di farlo davvero. [L’allargamento della NATO] è stata solo un atto spensierato da parte di un Senato che non ha reale interesse alla politica estera. Quello che mi infastidisce è quanto sia stato superficiale e mal informato l’intero dibattito al Senato. Sono stato particolarmente infastidito dai riferimenti alla Russia come un paese che muore dalla voglia di attaccare l’Europa occidentale.
Lorenzo Velotti: L’alba di tutto, ovvero: non siamo mai stati stupidi
L’alba di tutto, ovvero: non siamo mai stati stupidi
di Lorenzo Velotti
Un giorno d’ottobre 2018, in una Londra decisamente già troppo invernale, entravo nervoso in una classe stracolma. Anche ai lati, per terra, gli spazi scarseggiavano. Riuscii a sedermi per terra, quasi sotto un banco. Il professore, David Graeber, che vedevo in quel momento per la prima volta, era impegnato a scrivere sulla lavagna: “Rousseau; Hobbes; De Lahontan; Kandiaronk…”. Si girò e ci rassicurò: avrebbe chiesto all’amministrazione una classe più grande. Poi cominciò la lezione, con un po’ di studenti costretti a seguire da fuori, sbirciando dalla porta aperta. Fu la prima lezione del corso “Antropologia e Storia Globale”, che si tenne solo quell’anno e del quale gran parte dei contenuti erano relativi al libro che, ci rivelò, stava scrivendo con l’archeologo David Wengrow. Il corso si interrogava sulla relazione tra antropologia e storia, e culminava con le domande: “In che modo la storia è consapevolmente prodotta da chi ne partecipa? Secondo quali dinamiche la potenziale inquadratura narrativa degli eventi diventa un elemento chiave in politica o, addirittura, l’aspetto decisivo dell’azione politica stessa?”
Ora, queste non sono, almeno esplicitamente, le domande che pone il libro L’alba di tutto. Una nuova storia dell’umanità (Rizzoli 2022), che Wengrow e Graeber finirono di scrivere soltanto una settimana prima della prematura morte di quest’ultimo (avvenuta a Venezia nel settembre 2020). Tuttavia, sono domande particolarmente utili da cui partire per cogliere gli aspetti fondamentali di questa ricerca. Infatti, nonostante i sospetti postmoderni nei confronti delle metanarrative, queste ultime sembrano aver costituito, da sempre, un elemento fondamentale nell’intreccio tra storia e azione politica.
Ferdinando Pastore: Il punto che non vogliamo affrontare
Il punto che non vogliamo affrontare
di Ferdinando Pastore
Nell’edizione domenicale del foglio propagandistico curato dai falchi di Washington, Angelo Panebianco si è lanciato nella scrittura di un vero e proprio compendio di guerra. Non una chiara esortazione a imbracciare fucili e kalashnikov ma una puntuale trattazione ideologica sull’etica che accetta l’idea del conflitto. Il manuale parte da una constatazione. Crollato il comunismo e la sua visione universalistica del progresso, i nemici della “rule of law” e dell’espansionismo di mercato vivono in una stanca condizione di debolezza. Al contrario l’Occidente è compatto nelle proprie idee-forza. Per cui il motto della Fine della Storia è più attuale che mai. Ma il mondo multipolare al di fuori delle sue barriere è molto pericoloso. Senza imbarcarsi in crociate occorre applicare un sano realismo. Di crociata.
Quindi per Panebianco non esiste nulla di attrattivo oltre la cultura mercantilista. Solo i nostri imperativi di concorrenza, di individualismo competitivo, annunciano capacità di fascinazione.
Nico Maccentelli: La sinistra petalosa ed euroliberista fomenta la guerra dal salotto di casa
La sinistra petalosa ed euroliberista fomenta la guerra dal salotto di casa
di Nico Maccentelli
Tra gatti russi “rimbalzati” a mostre feline, direttori d’orchestra russi a cui viene imposta abiura sull’operato dei suoi connazionali e messe alla gogna di Dostoevskij come all’Università Milano Bicocca, stiamo assistendo a una campagna isterica antirussa che non si ferma alla sola critica dell’operato bellico delle classi dirigenti putin-dughiniane e oligarchiche ma si estende a una messa al bando culturale che ha tutto il sapore dei righi di libri di nazista memoria. E infatti se mettiamo in correlazione il sostegno che il PD con personaggi come Pittella e la Quartapelle hanno dato al regime di Kiev bypassando gli otto anni di atrocità ucraine in Donbass e i battaglioni nazisti, con queste purghe culturali dal sapore totalitario e hitleriano, il quadro che ne emerge è veramente inquietante per quei pochi spazi di democrazia che ancora permangono dopo due anni di censura e discriminazioni sulla popolazione italiana portate avanti con la gestione criminale e lucrosa della pandemia.
Devono farsene una ragione a sinistra: chi porta avanti con il massimo livore questo schema: espungere dalla nostra società tutto ciò che parla di Russia, non sono le destre, ma una sinistra euroliberista e falsamente dirittoumanitarista che si nasconde dietro le bandiere della pace e a paragoni demenziali sulla nostra Resistenza con la parte belligerante Ucraina per seguire pedissequamente la politica guerrafondaia della Casa Bianca. Infatti, è proprio in questa situazione che si dovrebbero aprire le porte del dialogo, per non scadere nell’escalation e per dare una chanche alla pace come cantava John Lennon. Insieme alla censura isterica vengono del tutto occultatele ragioni russe, che non sono poi così aliene dal buon senso.
Marco Della Luna: Mostro presunto: voci dal putinferno
Mostro presunto: voci dal putinferno
di Marco Della Luna
Dai mass media appare questo: Putin ha violato clamorosamente il diritto internazionale attaccando e dividendo uno stato indipendente riconosciuto dall’ONU, senza legittimo motivo, e si è cacciato in una situazione di isolamento internazionale che danneggia gravemente l’economia russa, mentre le forze armate russe, sebbene molto più potenti sulla carta, vengono efficacemente contrastate da una valorosa resistenza ucraina. Forse i capi di stato Maggiore russi, per adulare Putin, lo avevano illuso che avrebbero conquistato l’Ucraina con una guerra lampo. Forse Putin è uno psicopatico oppure è impazzito oppure è molto malato, come suggerisce la sua faccia apparentemente gonfia di cortisone, e vuole realizzare qualcosa di importante per passare alla Storia. Potrebbe spingersi fino ad attaccare la Finlandia e la Svezia o a scatenare una guerra nucleare, appunto perché è mentalmente squilibrato. Ma in ogni caso non sarà in grado di mantenere l’occupazione di paesi contro la volontà della loro popolazione, quindi ciò che sta facendo o che potrebbe fare è del tutto illogico e conferma l’ipotesi che non sia lucido.
Manlio Dinucci: Ucraina, era tutto scritto nel piano della Rand Corp
Ucraina, era tutto scritto nel piano della Rand Corp
di Manlio Dinucci
Manlio Dinucci, l’unico analista di spessore a scrivere su Il Manifesto, spiega i motivi per cui ha deciso di porre fine alla lunga collaborazione con il quotidiano.
“L’8 marzo, dopo averlo per breve tempo pubblicato online il Manifesto ha fatto sparire nottetempo questo articolo anche dall’edizione cartacea, poiché mi ero rifiutato di uniformarmi alla direttiva del Ministero della Verità e avevo chiesto di aprire un dibattito sulla crisi ucraina. Termina così la mia lunga collaborazione con questo giornale, su cui per oltre dieci anni ho pubblicato la rubrica L’Arte della guerra.”
Qui a seguire l’ottimo articolo censurato.
* * * *
Il piano strategico degli Stati uniti contro la Russia è stato elaborato tre anni fa dalla Rand Corporation (il manifesto, Rand Corp: come abbattere la Russia, 21 maggio 2019). La Rand Corporation, il cui quartier generale ha sede a Washington, è «una organizzazione globale di ricerca che sviluppa soluzioni per le sfide politiche»: ha un esercito di 1.800 ricercatori e altri specialisti reclutati da 50 paesi, che parlano 75 lingue, distribuiti in uffici e altre sedi in Nord America, Europa, Australia e Golfo Persico. Personale statunitense della Rand vive e lavora in oltre 25 paesi.
Andrea Zhok: “Ehi, vi ricordate del Covid?”
“Ehi, vi ricordate del Covid?”
di Andrea Zhok
Ehi, vi ricordate del Covid?
Quella terribile malattia che, secondo la Pravda nostrana non lasciava scampo, faceva strage d’innocenti e poteva essere contenuta solo con le misure più draconiane?
Direte, dov’è sparita?
Tranquilli, è ancora serenamente là, ieri abbiamo avuto circa lo stesso numero di contagi del picco delle ondate precedenti (40.000) e circa 200 decessi (ora come allora, con età media 80 anni).
Le inoculazioni sono ferme, il super green pass è ancora in funzione, la gente sospesa dal lavoro è ancora sospesa, i ragazzi discriminati per andare a fare sport o altro sono ancora discriminati, ecc. ecc.
Però l’allarme e l’isteria collettiva sono cessati di botto.
Questo perché la nostra realtà è integralmente una realtà mediaticamente costruita, e la regola aurea della, chiamiamola, “informazione” è che c’è spazio per un solo titolone a piena pagina, per un solo scoop d’apertura, per una sola chiamata alle armi dei teledipendenti.
Dante Barontini: La guerra si evita trattando. Sempre…
La guerra si evita trattando. Sempre…
di Dante Barontini
La guerra è una fogna, e mai come in questi giorni tanti sognano di farci un tuffo “igienizzante”. La guerra fatta tra chi ha armi nucleari sarebbe anche l’ultima, ma non si può certo dire “per fortuna”.
La guerra ha sempre delle cause, ossia interessi che qualcuno intende come “ragioni”. Chi vuole distinguere l’informazione dalla propaganda di guerra va a cercare di capire quali siano le cause.
I guerrafondai “senza se e senza ma” fanno invece come Mario Draghi in Parlamento: “non è il momento di fare i conti con se stessi e con gli altri ma di fare i conti con la storia, non quella passata ma di oggi e di domani. A questo punto il passato, quello che abbiamo fatto, gli errori… Tutto questo è utile perché migliora la consapevolezza personale, ma è inutile se ci divide. Quello che abbiamo davanti è qualcosa che ci deve unire“.
Se si seguisse il suo consiglio, ci ritroveremmo incolonnati con un vecchio fucilino (gli “otto milioni di baionette” sono un precedente tutto sommato recente) a ripercorre la strada che porta alla guerra. Contro la Russia, per di più…
Antiper: La guerra è già mondiale alla periferia degli imperi
La guerra è già mondiale alla periferia degli imperi
di Antiper
Quando parliamo di guerra sarebbe sempre importante definire cosa si deve intendere con questo termine nella fase attuale e considerare l’impatto delle nuove tecnologie sul modo di farla.
E quando parliamo di guerra mondiale che cosa dobbiamo intendere? Non tanto, evidentemente, una guerra alla quale partecipano tutti i paesi del mondo, ma piuttosto una guerra che negli obiettivi – e ancor più negli esiti – tende a ridefinire le sfere di egemonia globale.
Nonostante tutti i principali attori internazionali siano attivi in questo momento in Ucraina – chi “sul campo”, come russi e ucraini, chi con armi di ogni genere, ma indirettamente, come USA e UE, chi solo a livello “diplomatico” e in modo soft, come la Cina… – quella che si combatte in Ucraina non è una guerra mondiale, ma piuttosto la nuova tappa di una vecchia guerra mondiale che è già in atto sin dai primi anni ‘90 e la cui scansione si è dipanata attraverso una serie di conflitti “regionali” (Jugoslavia, Iraq, Somalia, Sudan, Serbia, Afghanistan, Libia, Siria, Ucraina…). L’aveva intuito persino il Papa (che per il ruolo che ricopre è costretto ad avere uno sguardo globale) che siamo di fronte ad una terza guerra mondiale combattuta “a pezzi” [1].
Paolo Ferrero: Pace o barbarie
Pace o barbarie
Alba Vastano intervista Paolo Ferrero – Prc, Vice presidente Sinistra europea
Solo pochi giorni fa aleggiavano venti di rinnovato ottimismo per la fase discendente della pandemia e una prudente euforia per il ritorno alla normalità si andava diffondendo da persona a persona, di città in città. ‘La guerra imprevista contro il virus l’abbiamo vinta, per ora,- si vociferava- intanto ci riprendiamo la nostra vita, la nostra libertà’. Non sta andando così e il virus non è il motivo. Cambio di paradigma. Dal 24 febbraio stravolge la nostra vita un’altra guerra. Una guerra vera questa volta, fatta da uomini e con le armi. Una guerra prevista, perché scatenata dai fatti storici precedenti e dal mancato rispetto degli accordi risalenti al 2014 (Minsk) Una guerra scaturita dall’odio fra uomini che del potere ne hanno fatto la ragione della loro squallida e irresponsabile vita, provocando da molto tempo una reazione a catena di violenze e soprusi su popoli indifesi. Oggi, 77 anni dopo la fine del conflitto mondiale, siamo di nuovo sull’orlo del baratro. Ci salverà solo un forte movimento pacifista e l’uscire dal sonno delle ragione che, com’è noto, non può che generare mostri.
Dell’invasione dell’Ucraina, da parte di Putin, delle motivazioni di questo efferato gesto, della storia di lungo corso che c’è dietro, del pericolosissimo precipitare degli eventi da scongiurare avanzi e delle possibili soluzioni, ma anche del miracolo Cuba (nonostante il bloqueo) ce ne parla Paolo Ferrero, del partito della Rifondazione comunista e vicepresidente della Sinistra europea. Ѐ di ritorno da Cuba, dove ha potuto constatare come un Paese, sia pur sottoposto alla pressione imperialista da lungo tempo, ha mantenuto alto il livello di partecipazione popolare e della democrazia. Cuba, nel biennio che ha visto il mondo stravolto dalla pandemia, ha mostrato la sua vera anima basata sulla solidarietà fra i popoli e ha dato vita, grazie al progresso delle scienze biotecnologiche ad un vaccino che ha salvato l’intera comunità cubana. La parola a Paolo Ferrero.
Fabrizio Poggi: La guerra in Ucraina e i laboratori biologici USA a L’vov, Poltava e Khar’kov
La guerra in Ucraina e i laboratori biologici USA a L’vov, Poltava e Khar’kov
di Fabrizio Poggi
C’è ancora incertezza sull’andamento generale dei colloqui tra le delegazioni russa e ucraina in Bielorussia: «per ora non hanno dato risultati che possano portare a un miglioramento della situazione», hanno dichiarato ieri dalla presidenza ucraina al termine del terzo round; e il capo-delegazione russo, Vladimir Medinskij ha detto che «le nostre aspettative sui negoziati non si sono avverate, ma speriamo che la prossima volta saremo in grado di fare passi avanti più significativi. I negoziati continuano».
Così, da vari centri ucraini continuano a giungere notizie inquietanti, che riguardano la sorte di tutte quelle persone che cercano di mettersi in salvo attraverso i corridoi umanitari lasciati aperti dalle forze russe attorno alle città ucraine assediate.
Dopo la vicenda del membro della delegazione ucraina al primo round di colloqui, Denis Kireev, assassinato a Kiev dai Servizi di sicurezza ucraini e rivelatosi essere non una “spia”, come asserito dai Servizi, bensì un agente dell’Intelligence militare, che ne fa il necrologio qualificandolo “eroe”, altra “impresa patriottica” dei nazionalisti ucraini, che hanno sequestrato e torturato il noto lottatore di MMA (Arti marziali miste) Maksim Ryndovskij, “colpevole” di allenarsi nel club ceceno “Akhmat” e di essersi recato nelle Repubbliche popolari del Donbass.
Fabio Mini: Guerra in Ucraina, invio di armi e propaganda
Guerra in Ucraina, invio di armi e propaganda
Intervista al gen. Fabio Mini
“Negoziare, finirla con il pensiero unico e la propaganda, aiutare l’Ucraina a ritrovare la ragione e la Russia ad uscire dal tunnel della sindrome da accerchiamento non con le chiacchiere ma con atti concreti.” E’ il pensiero di Fabio Mini, generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano, già Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. “E quando la crisi sarà superata, sperando di essere ancora vivi, Italia ed Europa dovranno impegnarsi seriamente a conquistare quella autonomia, dignità e indipendenza strategica che garantisca la sicurezza europea a prescindere dagli interessi altrui”, dichiara a l’AntiDiplomatico. E’ stato scritto correttamente come le voci più sensate nel panorama della propaganda a senso unico siano quelle dei generali, di coloro che conoscono bene come pesare le parole in momenti come questi. Come l’AntiDiplomatico abbiamo avuto l’onore di poter intervistare uno dei più autorevoli.
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L’INTERVISTA
Dal Golfo di Tonchino alle armi di distruzione di massa in Iraq- e tornando anche molto indietro nella storia – Generale nel suo libro “Perché siamo così ipocriti sulla guerra?” Lei riesce brillantemente a ricostruire i falsi che hanno determinato il pretesto per lo scoppio di diverse guerre. Qual è l’ipocrisia e il falso che si cela dietro il conflitto in corso in Ucraina?
Il falso è che la guerra sia cominciata con l’invasione russa dell’Ucraina. Questo in realtà è un atto nemmeno finale di una guerra tra Russia e Ucraina cominciata nel 2014 con l’insurrezione delle provincie del Donbas poi dichiaratesi indipendenti.
John Mearsheimer: Perché John Mearsheimer incolpa gli Stati Uniti per la crisi in Ucraina
Perché John Mearsheimer incolpa gli Stati Uniti per la crisi in Ucraina
Isaac Chotiner intervista John Mearsheimer
Il New Yorker pubblica un’intervista al prof. John Mearsheimer, politologo e studioso delle relazioni internazionali tra i più autorevoli e conosciuti nel suo campo, una assoluta autorità in materia, in cui lo studioso svolge una argomentata e severa critica alla politica estera americana degli ultimi decenni e più in generale dell’occidente, accusati di una pericolosa mancanza di realismo e di una grave miopia nei confronti del vero concorrente degli USA, che non è la Russia, ma la Cina
Il politologo John Mearsheimer afferma da anni che l’aggressione di Putin nei confronti dell’Ucraina è causata dall’intervento occidentale. Gli eventi recenti gli hanno fatto cambiare idea? Mearsheimer è stato uno dei più famosi critici della politica estera americana dalla fine della Guerra Fredda. Forse meglio conosciuto per il libro che ha scritto con Stephen Walt, “The Israel Lobby and US Foreign Policy“, Mearsheimer è un sostenitore della politica delle grandi potenze, una scuola di relazioni internazionali realistiche che presume che, in un tentativo egoistico di preservare la sicurezza nazionale, gli stati agiranno in via preventiva per anticipare gli avversari. Per anni, Mearsheimer ha sostenuto che gli Stati Uniti, spingendo per espandere la Nato verso est e stabilendo relazioni amichevoli con l’Ucraina, hanno aumentato le probabilità di una guerra tra potenze nucleari e hanno gettato le basi per la posizione aggressiva di Vladimir Putin nei confronti dell’Ucraina. Infatti, nel 2014, dopo che la Russia ha annesso la Crimea, Mearsheimer ha scritto che “gli Stati Uniti e i loro alleati europei condividono la maggior parte della responsabilità per questa crisi”.
L’attuale invasione dell’Ucraina ha rinnovato il dibattito di lunga data sulle relazioni tra Stati Uniti e Russia. Sebbene molti critici di Putin abbiano sostenuto che avrebbe perseguito una politica estera aggressiva nei confronti delle ex repubbliche sovietiche indipendentemente dal coinvolgimento occidentale, Mearsheimer mantiene la sua posizione, secondo la quale gli Stati Uniti sono colpevoli di averlo provocato. Di recente ho parlato con Mearsheimer per telefono. Durante la nostra conversazione, che è stata modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza, abbiamo discusso sul fatto se la guerra in corso avrebbe potuto essere evitata, se ha senso pensare alla Russia come a una potenza imperiale e quali sono i progetti di Putin sull’Ucraina.
Alessandro Mangia: Si caelum digito tetigeris
Si caelum digito tetigeris
Osservazioni sulla legittimità costituzionale degli obblighi vaccinali
di Alessandro Mangia*
Obbligo vaccinale e legittimità costituzionale: dalla tipologia di autorizzazione EMA all’indennizzo del danno, dall’interesse della collettività al diritto individuale, dalla sperimentazione all’irreversibilità della vaccinazione
1. Una precisazione e un punto di partenza
Per inquadrare adeguatamente le questioni relative alla possibilità di introdurre un obbligo vaccinale diretto, in sostituzione del meccanismo per misura equivalente previsto dal d. l. 6 agosto 2021 n. 111 (c.d. obbligo di Green Pass) (1) , è necessario, prima di tutto, muovere da una corretta ricostruzione della situazione di fatto sulla quale una disciplina del genere pretende di incidere.
E, trattandosi di una situazione in cui è determinante il ruolo degli accertamenti tecnici di settore, è necessario inquadrare la situazione alla luce delle conoscenze disponibili al momento: ciò che, nel discorso comune, viene genericamente espresso in termini di “rinvio alla ‘scienza’”.
La prima precisazione da fare è che il discorso giuridico non è il discorso comune. La ‘scienza’ di cui si è parlato fin troppo negli ultimi mesi è, in realtà, un sapere settoriale, caratterizzato da un suo specifico statuto metodologico, la cui applicazione produce risultati diffusi all’interno di una comunità di riferimento. E non altro (2).
Men che meno può essere oggetto di ‘fede’.
Si tratta di una precisazione sgradevole, ma necessaria, che tocca fare per riportare – almeno fra i giuristi – il discorso sui binari che gli sarebbero dovuti essere propri fin dall’inizio.
E mondarlo da connotazioni (precomprensioni) inquinanti (3). La fede riguarda – o, in un mondo normale, dovrebbe riguardare – qualcos’altro, che, comunque la si metta, esula (o trascende) il discorso razionale. Sicché, se collocata nel mondo del diritto, l’espressione ‘fede nella scienza’ rappresenta un ossimoro. O, al massimo, nel campo delle scienze psicologiche, un ottimo esempio di dissonanza cognitiva.
Stefano Lucarelli: Distruzione creatrice, sviluppo economico e decadenza
Distruzione creatrice, sviluppo economico e decadenza
Un invito a rileggere davvero Schumpeter
di Stefano Lucarelli
1. Dinanzi all’esigenza di uscire dalla crisi economica successiva alla Pandemia, da più parti si è fatto riferimento alla teoria economica di Schumpeter e in particolare alla “distruzione creatrice”. Nel farlo però, si lascia intendere che Schumpeter sia un antesignano della teoria della crescita economica dominante. In queste note sosterrò che siamo piuttosto di fronte ad uno stravolgimento della visione schumpeteriana, a una re-interpretazione infedele dei concetti introdotti da Schumpeter. Un po’ come quando si riduce Adam Smith alla mano invisibile, senza peraltro averne compreso il significato originario[1]. Lo stesso trattamento viene riservato al concetto schumpeteriano di distruzione creatrice, dinanzi dall’esigenza innegabile di fare i conti con un cambio epocale. Cercherò inoltre di mostrare che la teoria dello sviluppo economico schumpeteriana non è riducibile ad una teoria dell’azione imprenditoriale, poiché da un lato essa è una particolare teoria monetaria della produzione, e dall’altro conduce a fare i conti con la stessa evoluzione del capitalismo. Infine, concluderò il mio discorso con alcune note relative al ruolo che la politica assume in una prospettiva schumpeteriana, distinguendo fra ciò che Schumpeter scrive e ciò che invece sostengono gli studiosi che hanno aperto delle linee di ricerca innovative a partire dall’opera schumpeteriana.
2. Il concetto di distruzione creatrice di cui tanto si è parlato a seguito del rapporto sulle politiche post-Covid del Gruppo dei Trenta (il think tank, fondato su iniziativa della Rockefeller Foundation nel 1978)[2] è stato declinato in una prospettiva poveramente darwinista. Si è detto che i governi non dovrebbero sprecare soldi per sostenere le aziende che sono destinate al fallimento, le “aziende zombie”, ma dovrebbero assecondare la “distruzione creatrice” del libero mercato, lasciando queste aziende al loro destino e favorendo lo spostamento dei lavoratori verso le imprese virtuose che continueranno a essere redditizie e che si svilupperanno dopo la crisi.
Militant: Guerra, Infotainment, “No-Putin Pass” e mobilitazioni
Guerra, Infotainment, “No-Putin Pass” e mobilitazioni
di Militant
Dal 24 febbraio e nel giro di pochi giorni l’aria politica e culturale di questo paese si è fatta velocemente irrespirabile, saturata da una propaganda di guerra di cui facciamo fatica a ricordare un precedente recente. Nell’apparato dell’infotainment italiano la caccia all’untore che aveva caratterizzato tutto il periodo della pandemia è stata rapidamente sostituta dalla stigmatizzazione del filoputiniano. La compagnia di giro che per oltre due anni aveva riempito i talkshow sul Covid si è prontamente riconvertita in commentatori di guerra, mentre generali e analisti geopolitici hanno soppiantato i virologi. In questo frame bellicista chiunque sollevi un dubbio di fronte alla narrazione binaria della lotta del bene contro il male, propinataci a reti unificate, è immediatamente additato come “giustificazionista”, chiunque provi a problematizzare e ad argomentare che la storia non è iniziata 10 giorni fa, o addirittura ad indicare nella Nato il convitato di pietra di questa guerra, viene immediatamente tacciato di essere un “cripto-russo”.
Salvatore Bravo: Lavorare per la pace con la Filosofia
Lavorare per la pace con la Filosofia
di Salvatore Bravo
La storia si ripete, la Russia si difende da un’aggressione, l’ennesima, ma l’aggredito è rappresentato come l’aggressore e demonizzato. Le ragioni della Russia non sono da utilizzare per giustificare la guerra, ma per favorire la soluzione diplomatica al conflitto. Lavorare per la pace significa “capire” e non schierarsi in modo preconcetto e alzare le grida per facili invocazioni alla pace. La guerra è sempre da evitare, ma la cultura della pace ridotta a flash mob e a manifestazioni arcobaleno non incoraggiano la cultura della pace, ma un semplicismo utile al potere che usa l’ingenuità di molti pacifisti per affilare le armi. Manca la dimensione della complessità, una guerra la si studia nei suoi elementi e nelle sue variabili genetiche allo scopo di comprenderla per agire politicamente allo scopo di consolidare la pace. Tutto questo manca, anzi, se si pongono domande e si fanno emergere problemi si è osteggiati dai media del potere che controllano l’informazione. Tale atteggiamento svela l’inautenticità delle invocazioni della pace, si inneggia alla pace, ma le oligarchie preparano la guerra usando i popoli, schierandoli in battaglia e manipolandoli.
Federico Dezzani: La Russia verso l’autarchia
La Russia verso l’autarchia
di Federico Dezzani
Autarchia 2.0: petrolio, acciaio e Huawei
Sull’onda della “operazione speciale” in Ucraina, l’Occidente ha adottato durissime sanzioni di natura finanziaria contro Mosca: nelle prossime ore o giorni, questi provvedimento saranno probabilmente coronati dall’arma assoluta: l’embargo sul petrolio e sul gas. La globalizzazione post-1991, già entrata in affanno col Covid, collasserà definitivamente: al suo posto, risorgeranno le grandi economie continentali ed autarchiche. La Russia è di per sé autosufficiente ed è capace di soddisfare qualsiasi bisogno grazie alla Cina: nella lotta tra i blocchi, rischiano di andare in frantumi le medie potenze esportatrici come Italia e Germania.
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Non è certo casuale se, negli ultimi anni, il mito di Stalin aveva avuto una seconda giovinezza in Russia: la figura dello zar rosso bene s’addiceva ai tempi che sarebbero dovuti venire e puntualmente sono venuti. Fautore del “socialismo in un solo Paese”, Stalin è infatti lo statista che, sin dal finire degli anni ‘20, aveva impostato l’economia russa su basi autarchiche costruendo, pur tra mille sacrifici ed errori, quel sistema bellico-industriale che avrebbe consentito all’URSS di emergere vittoriosa dalla guerra.
Vincenzo Costa: Sulla figura dell’anticomplottista
Sulla figura dell’anticomplottista
di Vincenzo Costa
Quali sono gli scopi di Zelensky e dell’occidente?
Siamo troppo occupati a chiederci che cosa abbia in mente Putin, e non ci stiamo facendo quella che è una domanda almeno altrettanto importante: che cosa ha in mente l’Occidente? Dove vuole arrivare?
L’opinione pubblica ha oramai del tutto perso il ben dell’intelletto. La gente davvero crede che Putin voglia arrivare a Berlino e magari, perché no?, a Roma. Lo dice quello che è l’eroe mondiale del momento, Zelensky.
Crediamo davvero che i Russi vogliano far saltare le centrali nucleari? Perché bisogna proprio avere la farina nel cervello per pensarlo, ma qui ci sono anche intellettuali che lo scrivono, che ci vogliono fare credere che i russi intendono fare esplodere il più grande reattore nucleare al mondo proprio vicino a casa loro.
La capacità di farsi due domande è completamente svanita. E il motivo è semplice: se ti fai una domanda significa che dai ragione e quelli che dicono “non ce lo dicono”.
Giorgio Mascitelli: La questione ambientale e gli “amici di Putin”
La questione ambientale e gli “amici di Putin”
di Giorgio Mascitelli
Ieri ho ascoltato l’intervista effettuata da Limes a Massimo Nicolazzi, professore di economia delle fonte energetiche dell’Università di Torino, che verteva sulla questione del Gas.
Fondamentalmente ha detto cose che si sapevano: Italia ed Europa dipenderanno dal gas russo ancora per parecchi anni perché non esiste alternativa, il gas liquido americano è troppo caro, la stessa Russia prima di sostituire l’Europa con la Cina come cliente ha davanti a sè un periodo di transizione stimabile in 8-9 anni.
Alcune cose non le sapevo: intanto la dipendenza italiana è recente e dovuta alla riduzione della produzione interna che negli ultimi 10 anni è passata da 17 a 3 miliardi di metri cubi. In secondo luogo Nicolazzi non faceva grande affidamento sull’aumento di gas dall’Algeria e dal Tap per diverse ragioni.
Per affrancarsi dal gas russo occorrevano sostanzialmente due strade: da un lato usare altre fonti energetiche in quegli ambiti in cui si può sostituire il gas e dall’altro cercare di aumentare la produzione nazionale soprattutto tramite le trivellazioni nell’Adriatico e un sveltimento burocratico della concessione dei permessi.
Rosso Malpelo: Murphy e la rana bollita
Murphy e la rana bollita
di Rosso Malpelo
A volte può essere gratificante avere ragione dai fatti, ma questa volta non c’è nulla di cui compiacersi. L’avevo scritto meno di tre mesi fa: il disciplinamento imposto in questi ultimi due anni ai popoli di mezzo mondo, in particolare quello occidentale, poteva avere anche un fine bellico. E infatti la guerra è scoppiata in Ucraina e ci troviamo a transitare da un’emergenza sanitaria ad una bellica. Basta che le emergenze non finiscano mai perché consentono di governare i popoli senza tanti vincoli, di curare i propri affari nell’ombra della distrazione generata dall’emergenza di turno nell’opinione pubblica e in ciò che resta della libera stampa (da noi quasi nulla).
Lo sapevano gli strateghi del capitalismo nordamericano ed europeo dove si stava andando a parare? Ma certo che lo sapevano, è un quarto di secolo che gli USA, in violazione agli accordi Reagan-Gorbaciov, estendono la NATO verso est, inglobando uno alla volta tutti gli stati aderenti all’ex Patto di Varsavia, nell’ordine Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Albania, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord.
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