Sono decine sparse in quasi tutte le regioni, alcune ospitano migliaia di soldati e altre le testate nucleari, e sono usate anche per la guerra in Ucraina.
L’invasione della Russia in Ucraina ha riportato a tema di discussione la presenza e il ruolo delle basi e strutture della NATO, l’alleanza militare di parte dei paesi europei e di quelli del Nord America, e di quelle statunitensi sul territorio italiano. Le due tipologie peraltro spesso coincidono. Non tutte le basi hanno la stessa rilevanza, e anzi in certi casi più che basi sono semplici stazioni di telecomunicazione, antenne radar, poligoni di addestramento, centri di ricerca, depositi. Le strutture sono in tutto 120, sparse in quasi tutte le regioni, a cui si aggiungono una ventina di basi segrete americane, non riconosciute ufficialmente per motivi di sicurezza.
In Italia ci sono alcune decine di testate nucleari, dislocate tra Aviano, in Friuli Venezia Giulia, e Ghedi, in Lombardia: si stima che siano un centinaio in tutta Europa.
L’Italia fu tra i fondatori della NATO e firmò il Patto Atlantico nel 1949 assieme ad altri undici paesi, diventati poi nei decenni trenta: il trattato serviva a creare un’organizzazione di sicurezza basata sul principio della mutua difesa in caso di attacco esterno da parte del blocco sovietico. Per la sua posizione geografica, l’Italia era considerata strategica nell’ambito dell’alleanza occidentale. Nel 2005 furono resi noti vecchi piani militari del patto di Varsavia che avevano ipotizzato un ipotetico scenario di Terza guerra mondiale, prevedendo in caso di attacco da parte della NATO una serie di bombardamenti sulle aree strategiche di Veneto e Lombardia, e un piano d’invasione che ipotizzava di arrivare a Bologna in 13 giorni. Sempre nel 2005, in una trasmissione televisiva condotta da Carlo Lucarelli, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga disse che invece il piano della NATO in caso di guerra prevedeva che all’Italia toccasse il compito di bombardare Praga e Budapest.
Per decenni la NATO svolse un ruolo strategico di deterrenza. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 sembrava che le basi in Italia avessero perso la loro funzione fondamentale, ma l’organizzazione fu mantenuta in vita rinsaldando i rapporti di collaborazione con l’ONU, che attribuì alla NATO funzioni di peacekeeping in aree considerate instabili. Le prime vere operazioni militari furono organizzate proprio negli anni Novanta, prima in Kuwait durante l’invasione irachena e poi soprattutto nelle guerre nella ex Jugoslavia, prima in Bosnia e poi in Kosovo.
Tra il 1998 e il 1999, secondo i dossier ufficiali pubblicati al termine della guerra, l’Italia contribuì per il 10% alle azioni belliche decise dalla NATO per fermare l’aggressione della Serbia del presidente Slobodan Milošević. Fu il momento in cui il ruolo dell’Italia nella NATO subì le maggiori critiche e ostilità, specialmente da parte dei movimenti pacifisti. L’esercito italiano contribuì utilizzando 54 aerei in 1.300 missioni operative, e molti dei voli che bombardarono obiettivi in Serbia, uccidendo anche centinaia di civili, partirono proprio dalle basi aeree italiane, in particolar modo da quella di Aviano.
Oggi, nuovamente, in tutte le basi NATO in Europa, e quindi anche in Italia, si sono attivate le procedure per un eventuale stato di pre-allerta operativa. Lo stesso presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci, parlando delle basi presenti sull’isola, ha detto: «Il sistema di difesa in Sicilia assume un ruolo strategico proprio per la posizione geografica, come sbocco nel Mediterraneo. Abbiamo la base NATO di Sigonella e quella di Trapani Birgi, è normale che questo sistema di difesa sia in stato di allerta già da diversi giorni».
Una base NATO gode di extraterritorialità: non è soggetta ai poteri giuridici della nazione in cui si trova e quello che avviene all’interno è coperto da segreto. In generale, vengono svolti l’addestramento di uomini e le esercitazioni coi mezzi, pianificata l’attività di spionaggio, controspionaggio e sabotaggio e la sperimentazione di nuovi sistemi bellici. Quale sia la consistenza numerica delle forze all’interno delle basi sul territorio italiano è un segreto: la NATO ha comunque pochissime forze armate permanenti, contando sugli eserciti dei 30 paesi aderenti al patto.
Le basi in Italia di NATO e Stati Uniti sono di quattro tipi: una parte furono concesse agli Stati Uniti in base a due accordi firmati negli anni Cinquanta, e rimangono sotto comando italiano mentre gli Stati Uniti detengono il controllo militare su equipaggiamento e operazioni; poi ci sono le basi NATO vere e proprie; poi le basi italiane messe a disposizione della NATO in base agli accordi dell’alleanza atlantica; e infine ci sono le basi promiscue, condivise da Italia, Stati Uniti e NATO.
La base forse più importante per la NATO in Italia è a Sigonella, in Sicilia, celebre peraltro per la crisi del 1985, quando ospitò una tesa situazione di stallo tra forze dell’ordine italiane e militari americani, sviluppata intorno alla gestione dei miliziani palestinesi atterrati lì dopo il dirottamento della nave da crociera Achille Lauro. Sigonella è una base aerea italiana che ospita anche la Naval air station dell’aviazione della Marina statunitense ed è utilizzata anche, appunto, per le operazioni della NATO.
A Sigonella si trova, dal 2017, l’Alliance ground surveillance, il programma che dal 2017 fornisce dati in tempo reale ai paesi membri dell’alleanza atlantica, grazie a un sistema di radar e utilizzo di droni. Il sistema è utilizzato per fornire protezione alle truppe e mantenere il controllo aereo delle frontiere e la sicurezza in mare. È da Sigonella che partono i droni Global Hawk che sorvolano i confini dell’Ucraina e controllano lo spostamento delle truppe russe. Da Sigonella possono partire anche i droni d’attacco Reaper (fu con un Reaper che il 30 gennaio 2020 in Iraq venne ucciso il generale iraniano Qasem Soleimani).
Il Corpo d’armata italiano di reazione rapida della NATO, che può essere inviato velocemente ovunque in scenari di crisi, è nella caserma Ugo Mara a Solbiate Olona, in provincia di Varese. L’Italia fornisce il 70% dei militari mentre il restante 30% è costituito da soldati di altri paesi alleati. Il comando è affidato a un italiano. Per due periodi il Corpo d’armata italiano di reazione rapida ha guidato le missioni Isaf (International security assistance force) in Afghanistan.
Altro luogo fondamentale per l’alleanza atlantica in Europa è ad Aviano dove l’aeroporto, una struttura militare italiana, è utilizzato dall’Usaf, l’aeronautica militare statunitense. Dal 1955 è in vigore un accordo tra Stati Uniti e Italia per l’utilizzo congiunto della base, che è anche della NATO. Ad Aviano sono ospitate alcune bombe atomiche B61-4. Numeri precisi non ne vengono forniti, ma fonti ufficiose parlano di circa 40 testate. A gennaio gli Stati Uniti hanno annunciato l’inizio della costruzione di bombe B61-12, che non vengono sganciate in verticale come le precedenti B-61 ma a distanza dall’obiettivo, su cui si dirigono guidate da un sistema satellitare. La B61-12 può entrare nel sottosuolo e distruggere i bunker: la testata nucleare ha quattro opzioni di potenza, selezionabili in base all’obiettivo.
Altre bombe nucleari (il numero dovrebbe essere tra 20 e 40) di tipo B61-3, B61-4 e B61-7 sono all’aeroporto militare di Ghedi, in provincia di Brescia. La struttura è totalmente a gestione italiana ma le bombe sono americane: in caso di guerra, in base agli accordi NATO, potrebbero essere lanciate da aerei italiani.
Nel porto di Gaeta (Latina) si trova la base permanente della Sesta flotta statunitense. È anche una base NATO.
Il Deployable air command and control centre della NATO si trova nella base aerea dell’aeronautica militare italiana di Poggio Renatico, in provincia di Ferrara: controlla lo spazio aereo dell’alleanza atlantica ed è in grado di schierarsi ovunque per operazioni militari e missioni di pace. Nel personale di comando ci sono militari di 16 paesi. A Taranto si trova invece il comando delle forze navali e anfibie offerto dall’Italia alla NATO.
A Motta di Livenza, in provincia di Treviso, nella caserma Mario Fiore, è di stanza il Multinational Cimic group, reparto multinazionale interforze a guida italiana che ha la funzione di coordinare e agevolare la cooperazione tra la componente militare e le organizzazioni civili dove si svolgono le operazioni. Anche queste forze possono essere velocemente spostate in qualsiasi parte del mondo. In Liguria, a La Spezia, c’è il Centre for maritime research and experimentation, centro della NATO che si occupa di ricerche in campo scientifico e tecnologico.
Non è invece una base NATO, al contrario di quanto spesso viene riportato, Camp Darby, nella tenuta di Tombolo, in provincia di Pisa. È una base italiana sotto la responsabilità dell’esercito italiano, dove però operano unità militari statunitensi. Fu creata nel 1951 con un accordo tra Italia e Stati Uniti.
Camp Ederle, a Vicenza, è invece proprio una base militare degli Stati Uniti dove sono di stanza migliaia di militari americani. Nel 2013 è stato inaugurato un altro campo che ha affiancato l’Ederle, il Camp Del Din. Infine, tra le strutture della NATO in Italia c’è il NATO Defense College a Roma. Si trova nella città militare della Cecchignola ed è una scuola militare internazionale. Fu voluta dall’allora generale Dwight Eisenhower nel 1951 ed è stata a Parigi fino al 1966, per poi essere trasferita a Roma. Lo staff è composto da 130 tra militari e civili di 21 paesi e i corsi servono a formare sia le più alte cariche sia nell’ambito della NATO sia degli eserciti dei paesi membri dell’alleanza.
17/03/2022