Siamo in guerra contro la Russia. Una guerra non dichiarata per paura del nucleare ma, per il resto, siamo in guerra. Se non ci crediamo, basta sentire i media. La propaganda che va in onda è quella tipica dello stato di guerra, ossia la demonizzazione del nemico. Tutto ciò è aberrante.
Antonio Martone: Contro la Nato e la Federazione russa
Contro la Nato e la Federazione russa
di Antonio Martone
Siamo in guerra contro la Russia. Una guerra non dichiarata per paura del nucleare ma, per il resto, siamo in guerra. Se non ci crediamo, basta sentire i media. La propaganda che va in onda è quella tipica dello stato di guerra, ossia la demonizzazione del nemico. Tutto ciò è aberrante. Senza forze che facciano da mediazione, l’abisso si fa più vicino.
Temo l’escalation. Quando inizia un flagello nessuno ci crede: prima o poi, però, tutti ne dovranno prendere atto. Basta anche un errore. Un piccolo errore, un equivoco, un fraintendimento, una bomba che finisce per caso accanto ad una centrale nucleare, un incidente casuale, e l’Europa e la grande storia del mondo, non esiste più.
L’aspetto tanatologico della guerra nasce dagli impulsi più distruttivi (e autodistruttivi) dello spirito umano. Quando si vuole la pace, però, occorre principalmente non attentare alle condizioni di vita e di esistenza di un altro, individuo o popolo che sia, accogliere le sue ragioni, evitare di cedere alla propria tracotanza e volontà di potenza: non smettere mai di mediare, nella consapevolezza della comune (sebbene breve) appartenenza alla terra.
Pierluigi Fagan: Ucraina axis mundi
Ucraina axis mundi
di Pierluigi Fagan
Nel suo discorso alla nazione in cui spiegava le ragioni del ritiro dopo venti anni dalla guerra in Afghanistan, Biden condensò la ragione dicendo che gli Stati Uniti non dovevano più esaurirsi nel gestire i problemi del 2001 (11 settembre), perché dovevano concentrarsi su quelli del 2021. Diede solo un sintetico ragguaglio su questo nuovo scenario: Russia e Cina.
La Russia è il principale competitor militare degli USA sebbene tra i due ci sia una certa distanza in termini di complessiva forza militare, la supposta “parità atomica” funge da deterrente a scalare i pioli di un possibile conflitto diretto. Abbiamo detto “supposta” parità atomica perché se in termini di testate è certa, in termini di capacità di lancio ed intercetto nessuno può sapere davvero come stanno le cose. Non foss’altro perché i sistemi d’arma spaziali (satelliti) sfuggono ad ogni reale rilevazione da parte degli analisti che si occupano di queste cose. L’aggiornamento dell’arsenale nucleare è stato, con qualche zigzag, praticamente costante negli ultimi settanta anni. La ricerca della preminenza ipotetica che sarebbe la facoltà di un “first strike” annichilente o la ricerca sul come annichilire la risposta avversaria, sono fini in sé. Lo sono per alimentare in continuità il sistema “ricerca e produzione” in un campo che altrimenti non consuma mai il suo prodotto. Lo sono per il fall out tecnologico che questa ricerca produce, fall out che può riversarsi non solo sul campo militare. Lo sono perché obbliga lo e gli avversari a sfinirsi in una continua distrazione di ricchezza su investimenti militari e non civili. Sebbene sia sbagliato dare a questa ultima dinamica ruoli eccessivi, nelle analisi sui perché del crollo sovietico, c’è stata anche una sottolineatura di come questa continua riconcorsa abbia fiaccato -nel tempo- l’economia sovietica, in molte analisi dei principali studiosi in materia.
Demostenes Floros: Energia e materie prime. Il baricentro del mondo si sposta ad est
Energia e materie prime. Il baricentro del mondo si sposta ad est
intervista a Demostenes Floros
«Ci stiamo mettendo all’angolo soli. Dobbiamo utilizzare l’energia per riallacciare un dialogo, non per un ricatto». Demostenes Floros, senior energy economist CER, Centro Europa Ricerche, il centro studi fondato negli anni ‘80 da personalità quali Giorgio Ruffolo e Luigi Spaventa, oggi di proprietà Sator S.p.A e Rekeep S.p.A e autore di Guerra e Pace dell’Energia, non ha dubbi.
È quanto mai urgente riallacciare un dialogo con la Federazione Russa. Ma a quale prezzo? «Abbiamo una certezza – spiega il ricercatore – con questi prezzi del gas il 60% della manifattura tedesca e il 70% di quella italiana rischia di chiudere. Noi europei dobbiamo sederci ad un tavolo e trattare. Diversamente abbiamo di fronte la stagflazione. Nessuna crescita e un’inflazione da anni ’70».
* * * *
Dottor Floros, in questi giorni drammatici sono tornati in voga termini che pensavamo aver relegato alla storia: dazi, autarchia, divieto all’export. A suo avviso siamo di fronte a un “disaccoppiamento” del mondo tra est e ovest?
«In realtà è già da diversi anni che gli Stati adottano misure protezionistiche. Credo che la globalizzazione stia lasciando posto ad una “regionalizzazione” del mondo, cioè ad una suddivisione in aree economiche integrate al loro interno in cui avanzano processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali. Da un punto di vista geopolitico accanto al blocco euroatlantico stiamo così assistendo alla nascita di un blocco euroasiatico a guida Russo-Cinese».
Collettivo politico comunista: Il Recovery Plan
Il Recovery Plan
Il capitale tra programma e propaganda
di Collettivo politico comunista
“L’Unione Europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation Eu (Ngeu). È un programma di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale”. [1] È questa la retorica che lo stesso Mario Draghi pone a premessa del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), ovvero del Recovery Plan, approntato dal suo governo nell’aprile scorso e approvato dalla Commissione Europea nel giugno scorso. Attraverso tale Piano si dovrebbe definire la destinazione dei 191,5 miliardi di euro stanziati dall’Ue per il nostro paese nel cosiddetto Recovery Fund e cioè nell’ambito del programma Next Generation Eu, di cui 122,6 miliardi di prestiti e 68,9 di sovvenzioni, da spalmare tra il 2021 e 2026, secondo le previsioni di bilancio elaborate dagli organi europei. A fianco del Pnrr, viene attivato anche il Fondo React Eu, sempre parte del programma Next Generation Eu, ma attingente ai tradizionali fondi di politiche sociali e di coesione dell’Ue (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo, Fondo di aiuti europei agli indigenti).
Effettivamente, come afferma Draghi, si tratta di un passaggio inedito nella storia dell’aggregato imperialista europeo: un ulteriore meccanismo di centralizzazione finanziaria dell’Unione rispetto ai singoli Stati, basato sull’emissione, per la prima volta, di titoli di debito europei, i cosiddetti Eurobond, come avviene da inizio estate 2021.
comidad: L’etica sacrificale del sacro occidente
L’etica sacrificale del sacro occidente
di comidad
Il “soft power” è molto bravo a fare pubblicità a se stesso. Ci è stato raccontato che i film di Rocky, la serie televisiva “Dallas” e la febbre del sabato sera sono stati decisivi per la vittoria dell’Occidente sul comunismo. I giornalisti vanno pazzi per queste cose. Ma se davvero i messaggi individualistici o edonistici hanno fatto mancare il terreno sotto i piedi all’ideologia comunista, è anche più vero che il Sacro Occidente non si fa mancare all’occorrenza l’etica del sacrificio dell’individuo al Bene supremo della collettività. Un ex comunista come Piero Fassino perciò torna utile per ammonirci e ricondurci sulla retta via. Voi egoisti volevate riscaldarvi la casa e mantenervi il posto di lavoro? No, non si deve subordinare il rispetto dei valori alle forniture di gas. Pensavate di essere dei fessi qualsiasi? Invece siete degli Occidentali. Soffrite dunque gioiosi per la vittoria dei valori del Sacro Occidente. Fassino sembra ormai la fotocopia di Shel Shapiro nella parte di Pietro l’Eremita nel film “Brancaleone alla Crociate” di Monicelli. Del resto Fassino fa di nome Piero, quindi era destino che venisse proprio lui a chiamarci ad una nuova crociata.
Pierluigi Fagan: Guerra alla complessità
Guerra alla complessità
di Pierluigi Fagan
Si è formalizzato ieri il fronte di guerra alla complessità. Non che ieri sia nato, non è mai “nato”, c’è sempre stato, noi viviamo in un universo mentale semplificato, da sempre. Né ieri si è manifestata la sua discesa in campo per la conquista dei cuori e delle menti relativamente all’orientamento delle pubbliche opinioni rispetto alla guerra in Ucraina. Sono ventuno giorni che domina indisturbato. Ieri ha solo attaccato coloro che avanzano riserve su questo dominio del semplificato.
Di sua prima base, il complesso deriva dal suo etimo: intrecciato assieme. Tante e diverse variabili tra loro interrelate (relate a due vie) fanno sistemi complessi. Poche variabili, poche interrelazioni, poco complesso. Tante variabili, tante interrelazioni, molto complesso. In mezzo varie gradazioni. Nel complesso si osserva un oggetto o un fenomeno assieme al contesto. Infine, si cerca di risalire alla matassa intrecciate di cause che l’hanno preceduto. Questo di prima base poi c’è molto altro.
Semplificando, invece, si possono ridurre le variabili e le interrelazioni a proprio piacimento. Si può ridurre il problema del potere in Russia il cui studio impegna una manciata di studiosi da anni ad un singolo pazzo, ex-KGB, omofobo e violento.
Tiziana Barillà: Nell’era della propaganda dire la verità è un crimine
Nell’era della propaganda dire la verità è un crimine
Via libera all’estradizione di Assange
di Tiziana Barillà
Assange verso l’estradizione negli Usa: la Corte Suprema inglese respinge il ricorso
Non poteva arrivare in un momento più tragico questa notizia. Mentre la propaganda di guerra soffoca l’informazione e qualche manipolo di giornalisti si asservisce al potere mettendo a repentaglio il lavoro dei tanti.
Una pessima notizia per il giornalismo, per la libertà, per ognuno di noi.
La giustizia britannica ha dato il via libera all’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti dove è accusato di spionaggio per le rivelazioni di Wikileaks. Negli Usa il giornalista rischia una pesantissima condanna per aver contribuito a diffondere documenti riservati svelando prove di crimini di guerra commessi tra Afghanistan e Iraq:
175 anni di prigione per aver pubblicato prove di crimini di guerra, abusi e corruzione.
La giustizia britannica, insomma, gli ha negato il ricorso alla Corte Suprema perché ritiene insussistenti le richieste della difesa: le condizioni di salute e psichiche di Assange, a rischio di suicidio se lasciato ai rigori della giustizia statunitense.
Pasquale Cicalese – Sergio Calzolari: Italia anello debole nel Mediterraneo
Italia anello debole nel Mediterraneo
di Pasquale Cicalese – Sergio Calzolari
Nella teoria del dominio, vi sono due visioni, una di Mackinder, secondo il quale il cuore mondiale è l’Eurasia e chi controlla l’Eurasia controlla il mondo. L’altra visione, talassocratica, è dell’Ammiraglio Mahan, del controllo dei mari. Una prima avvisaglia vi era stata lo scorso anno con il blocco di Suez. Negli ultimi decenni è avvenuto un fatto storico: il Mediterraneo ridiventa centro mondiale dei traffici Est-Ovest tramite il canale di Suez, l’unico che può far transitare le portacontainer di nuova generazione. Ecco che i porti italiani diventano appetibili. I cinesi firmano l’accordo sulla Via della Seta con noi nel 2019 ma poi la dirigenza italiana lo disconosce. E’ dalla fine degli anni novanta che i cinesi sono interessati a Taranto, non c’è stato niente da fare. Tre anni fa il porto di Gioia Tauro, l’unico italiano che può accogliere portacontanienr di 20 mila unità, è passato di mano dai tedeschi a Aponte di Msc,. Costui è amico di Macron, filoamericano e feroce anticinese. I cinesi non possono mettere piede nei porti italiani, così hanno sviluppato reti portuali nella Sponda Sud del Mediterraneo. Primavere arabe nuove in vista? E poi, il conflitto ucraino, che blocca la via della seta terrestre nell’Eurasia, sposta il focus sull’Italia? La dirigenza italiana, alla luce di ciò, dopo 30 anni, aprirà gli occhi sulle enormi potenzialità del sud?
Raoul Kirchmayr: Avete giocato con l’abisso, ora ce l’avete davanti
Avete giocato con l’abisso, ora ce l’avete davanti
di Raoul Kirchmayr
Il gelo scende nello studio, quando, intervistata da Lilli Gruber, Iryna Vereshchuk, divisa verde e sguardo di ghiaccio, dice che a) Il governo ucraino sa qual è la verità e ha il coraggio di dirla; b) la verità è una sola; c) il presidente è il popolo, il popolo si riconosce nel presidente; d) no-fly zone subito sulle centrali nucleari; e) intervento militare degli USA in Ucraina; f) garanzie internazionali occidentali, da parte di USA e GB, per l’Ucraina per il dopoguerra; g) Crimea e Donbass restituite all’Ucraina, dopo periodo di monitoraggio internazionale; h) né il riconoscimento delle repubbliche del Donbass né della Crimea né la neutralità dell’Ucraina possono costituire base di trattativa con la Russia
A “Otto e mezzo” di ieri sera c’è stato un momento, durato una decina di minuti circa, in cui si è capito che un atterrito Massimo Giannini (La Stampa) ha capito. Ha capito che qualcosa non torna più, nel racconto, o meglio, nella narrazione della guerra in Ucraina. Da questa parte dello schermo lo abbiamo capito dallo sguardo sbarrato e dalle labbra serrate in una sorta di smorfia angosciata. Perfino Lilli Gruber è parsa vacillare, non sapendo più da dove e come riprendere il filo del discorso. Poi, con molto mestiere e bravura, ha rimediato. L’unico che è parso non sorpreso è stato Caracciolo, il direttore di Limes, che evidentemente non si era fatto soverchie illusioni. E, pur tuttavia, aveva il volto parecchio tirato e un po’ scavato.
Piccole Note: Ucraina: o la realpolitik o la guerra senza fine
Ucraina: o la realpolitik o la guerra senza fine
di Piccole Note
Ieri il Washington Post ha pubblicato un interessante articolo di Matt Bai, il quale spiega che finora la guerra ucraina è proseguita su un binario dalla lettura molto semplice, creando unità nel mondo occidentale e “chiarezza di intenti” contro l’aggressione russa.
“Ma questo periodo di scelte facili e trame semplici sta volgendo al termine. Stiamo raggiungendo la fase della crisi in cui gli interessi dell’Ucraina e quelli degli Stati Uniti non saranno più perfettamente allineati”.
Mentre Zelensky continua a chiedere un più intenso impegno della Nato, la “realpolitik” impone a Biden di evitare un conflitto tra Nato e Russia, che “provocherebbe una crisi esistenziale alla quale un ampio segmento del pianeta potrebbe non sopravvivere”.
Così, prima o poi occorrerà iniziare a “fare pressione su Zelensky affinché accetti una soluzione negoziata che è palesemente ingiusta […]. Nessuno vuole dirlo ora, ma l’America preferirebbe vedere l’Ucraina cedere del territorio piuttosto che rischiare una guerra totale. Sarebbe una soluzione imperfetta, ma in cui continueremmo a vivere per riprendere la lotta in un’altra occasione”.
Roberto Fineschi: Fare la pace o fare la guerra?
Fare la pace o fare la guerra?
di Roberto Fineschi
Per fare la pace bisogna ovviamente volerlo; e lo devono volere tutti i soggetti in campo. La domanda è dunque se essi vogliano effettivamente fare la pace. A questo punto bisogna ulteriormente chiedersi chi sono gli attori in campo.
Per rispondere è necessario da subito mettere da parte tutta la retorica diritto-umanista: parlare della questione accettando questo terreno di confronto significa da subito omettere le cause reali, gli obiettivi reali, le strategie reali. Del resto tutti i soggetti in causa hanno dato ampia dimostrazione in un passato recente e remoto di quanto stiano loro a cuore i diritti umani e l’autodeterminazione dei popoli: sono tutti delle belve sanguinarie.
Ma chi sono? Stati Uniti da una parte, Russia dall’altra. Chi sono coinvolti? Cina e Stati Europei ricchi.
Qual è l’oggetto del contendere? Prima ancora della concretezza geopolitica, lo sfondo su cui tutto ciò accade è la difficile valorizzazione del capitale tipica del capitalismo crepuscolare.
Grandi Stati Europei, Russia e soprattutto Cina stanno da anni sviluppando delle importanti convergenze di sviluppo economico. Il grande progetto della via della seta prospetta all’orizzonte un’integrazione di sistema che va dalla Spagna alla Cina e passa anche dall’Africa dove gli interessi cinesi sono crescenti. I cinesi non arrivano con i carri armati, ma con una montagna di investimenti, coi soldi, insomma: comprano per produrre ricchezza. La loro è un’egemonia strutturale che si insinua con una rete capillare possibile solo grazie al sistema di investimento che include la collaborazione tra grande capitale pubblico e privato che agiscono in maniera coordinata.
coniarerivolta: Le conseguenze del liberismo e le dinamiche della disuguaglianza
Le conseguenze del liberismo e le dinamiche della disuguaglianza
di coniarerivolta
Mentre infuriano i venti di guerra e si consumano le conseguenti tragedie umane, si iniziano a palesare con evidenza le conseguenze indirette sull’economia europea (e non solo), legate ai micidiali aumenti dei prezzi delle materie prime e alla correlata spirale al rialzo di tutti i prezzi che, in assenza di interventi decisi sui salari dei lavoratori, comportano e comporteranno gravi effetti sulle tasche della maggioranza delle persone acuendo povertà e disuguaglianze sociali. Come la crisi pandemica ha avuto, oltre ai suoi nefasti effetti sanitari, drammatiche conseguenze socio-economiche, con una crescita sostenuta della povertà, l’attuale crisi internazionale sta già scatenando i suoi effetti indiretti sulle classi sociali subalterne e sui lavoratori di gran parte del mondo.
Si tratta dell’ennesima mazzata a collettività che, in Italia come altrove, subiscono da anni le conseguenze di politiche economiche restrittive e crisi che stanno dilaniando il corpo sociale acuendo le disuguaglianze e la povertà.
Il rapporto OXFAM sulle disuguaglianze
Ogni anno la benemerita organizzazione OXFAM (Oxford Committee for Famine Relief), confederazione di ONG dedite alla lotta alla povertà in tutto il mondo, pubblica un rapporto sulle disuguaglianze. Ed ogni anno il rapporto, impietoso, registra il drammatico e inesorabile deterioramento del quadro sia in relazione ai livelli di povertà assoluta e relativa sia rispetto all’allargamento del divario tra ricchi e poveri.
Mario Porro: La scienza pensa?
La scienza pensa?
di Mario Porro
Nel cuore della tragedia pandemica – ha osservato il filosofo della scienza Etienne Klein (Vita e pensiero, n. 1, 2021) –, vi è stata l’opportunità rara di svolgere un’opera di divulgazione sulle procedure della metodologia scientifica. Al di sotto del baccano assordante di tanti dibattiti, qualche voce accorta ha cercato di chiarire cosa fossero un esperimento a doppio cieco o randomizzato, quale fosse la differenza fra una correlazione e una relazione di causa-effetto, ha spiegato come fare buon uso delle statistiche. Sforzi tanto più meritevoli nel nostro paese, dove il preoccupante analfabetismo di ritorno si allea talvolta con l’atavica diffidenza verso il sapere scientifico (anche negli ambienti “culturali”).
Nell’esplorare l’ignoto o il poco noto, la ricerca scientifica, soprattutto in ambito terapeutico, richiede un lungo e paziente lavoro di analisi, di sperimentazioni e controlli; confronti serrati e critiche severe devono (dovrebbero) intrecciarsi fra ricercatori di molteplici laboratori, nel lavoro collettivo che si svolge all’interno della comunità o della città scientifica, come la chiamava Gaston Bachelard. Quel che abbiamo sperimentato in questi due anni è che la ricerca del vaccino anti-Covid può restare a lungo immersa nel chiaroscuro delle incertezze, conoscere tentennamenti ed errori. E non sempre si tratta degli errori “giusti” che, come vorrebbe l’epistemologia popperiana, confutando le prime congetture riorientano la ricerca verso strade più proficue.
Purtroppo anche qualche esperto ha dimenticato che la temporalità della ricerca scientifica non obbedisce alla logica implacabile dell’immediato, cara ai media e ai social network, all’impazienza di massa che attende risposte rassicuranti.
Franco Piperno: Lavoro e tempo di lavoro in Marx
Lavoro e tempo di lavoro in Marx
di Franco Piperno
Dopo aver analizzato la nozione di tempo nel pensiero di Aristotele, Franco Piperno si rivolge ora a un’indagine sullo sviluppo del rapporto tra tempo e lavoro nelle opere di Marx
I) Cento anni dopo
A più di un secolo dalla morte, Marx viene trattato, tanto nell’opinione quanto nell’accademia, come «un cane morto». La situazione è quindi ottima per riprendere lo studio dei suoi testi, per rifare i conti con lui. Procedere su questa strada, comporta,in primo luogo, sgombrare il terreno dall’ovvio, rifiutare la relazione di causalità tra l’attuale discredito di cui gode il Nostro e il crollo del socialismo di stato nell’Europa dell’Est. L’inconsistenza logica della dottrina marxista, così come la cattiva astrazione sulla quale si fondava la legittimità dei regimi socialistici, erano nascoste solo agli occhi di chi non voleva vedere. Tutto era chiaro già da prima, da molto prima. A testimonianza che il senso comune non ha atteso il crollo del muro di Berlino per formulare un giudizio sulla teoria del socialismo scientifico e sulla natura del socialismo di stato riproponiamo, qui di seguito,un breve commento a riguardo, scritto nel 1983, in occasione del centenario della morte di Marx, quando il Paese dei Soviet esisteva ancora[1]:
La celebrazione di K. Marx, nel centenario della morte, costituisce quel piccolo dettaglio più illuminante che un intero discorso. Innanzi, tutto chi celebra chi? Giacche’ bisognerà bene augurarsi che esista qualche differenza tra il Marx celebrato dal compagno Andropov, attuale primo ministro sovietico ed ex-capo del K.G.B.; e quello di cui si ricorda il militante dell’Autonomia nelle prigioni italiane. Non che ci siano celebrazioni illegittime; è solo che, forse, Marx, il nostro Marx, non merita d’essere celebrato[2] né dagli agenti segreti,né dai professori universitari e nemmeno dai militanti di Autonomia.
Mario Lombardo: Ucraina, due pesi e due misure
Ucraina, due pesi e due misure
di Mario Lombardo
Tra gli argomenti preferiti dalla propaganda USA/EU sulle operazioni militari russe in Ucraina spicca soprattutto in questi ultimi giorni quello dei crimini di guerra, di cui Vladimir Putin si sarebbe già abbondantemente macchiato. Violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale sono più che probabili in situazioni come quella in atto e, se esse hanno effettivamente avuto luogo, dovrebbero in teoria essere oggetto almeno di indagine. Tuttavia, anche accettando come vere le accuse fino ad ora rivolte dall’Occidente al presidente russo, il livello di gravità dei crimini commessi in Ucraina non si avvicina nemmeno lontanamente a quelli attribuibili ai suoi accusatori, oltretutto con prove e testimonianze quasi sempre incontrovertibili.
Il bombardamento di un ospedale pediatrico nella località di Mariupol qualche giorno fa ha dato l’occasione ai governi che appoggiano il regime di Kiev di aumentare ancora di più le pressioni su Mosca, offrendo all’opinione pubblica occidentale un episodio dai contorni raccapriccianti che dimostrerebbe senza nessun margine di dubbio la ferocia gratuita russa.
Norberto Fragiacomo: Chi dissente è perduto
Chi dissente è perduto
di Norberto Fragiacomo
L’altra sera mi è capitato di commentare un post su FB: un “amico” faceva un paragone (piuttosto strampalato, a parer mio) fra Che Guevara e Putin e, in ossequio allo spirito dei tempi, ingiuriava il secondo.
Cos’ho scritto di così terribile in calce al messaggio? Nulla: ho espresso la mia ammirazione per il Che, la cui memoria sopravvivrà nei secoli, e fatto notare che Putin è “uno statista in un mondo di politicanti” del calibro di un Di Maio.
Apriti cielo! Un tale, che non val la pena di nominare, mi ha investito con una bordata di insulti, cui ho replicato con un certo sarcasmo… poi, visto che non la finiva più (e che il limite di sopportazione era stato abbondantemente superato), l’ho bloccato: arrivederci e grazie.
Non mi dispiacciono le polemiche anche animate, mentre non tollero le aggressioni (esistono pure quelle verbali: consultare il vocabolario per credere).
Mike Davis: I grandi uomini che non fanno la storia
I grandi uomini che non fanno la storia
di Mike Davis
A dispetto del fatto che il potere formale sia concentrato in poche mani, Mike Davis fa notare che i potenti della terra sono ormai incapaci di fornire qualsiasi idea di futuro. Per questo si rifugiano nei passati immaginari
L’egemonia richiede un grande disegno? In un mondo in cui oligarchi dorati, sceicchi miliardari e divinità del silicio governano il futuro umano, non dovremmo sorprenderci nello scoprire che l’avidità genera menti rettiliane. L’aspetto che mi sembra più rilevante di questi strani giorni, in cui le bombe termobariche squagliano i centri commerciali e attorno ai reattori nucleari infuriano gli incendi, è l’incapacità dei nostri attuali superuomini di esercitare il loro potere verso la produzione di una qualsiasi narrazione plausibile del prossimo futuro.
Putin si circonda di astrologi, misticismo e perversione come facevano i Romanov nell’ultima fase del loro potere. A detta di tutti è sinceramente convinto di dover salvare gli ucraini dall’Ucraina, perché il destino celeste della Rus’ possa compiersi. Il presente deve essere distrutto per trasformare in futuro un passato immaginario.
Antiper: Il nazionalismo ucraino è fascista?
Il nazionalismo ucraino è fascista?
di Antiper
Una delle argomentazioni più ricorrenti che vengono utilizzate per confutare la caratterizzazione in senso ultra-reazionario dell’attuale assetto politico dominante in Ucraina consiste nel mostrare come le due principali organizzazioni neo-naziste ucraine – Pravy Sektor e Svoboda – abbiano raccolto nelle due ultime tornate elettorali presidenziali un consenso molto limitato, intorno al 2% nel 2014 [1] (e grosso modo lo stesso anche nel 2019 [2]).
Si tratta di un’argomentazione apparentemente convincente che tuttavia non coglie il punto della questione; e il punto della questione non è costituito dal consenso elettorale delle organizzazioni neo-naziste, ma piuttosto dal ruolo che esse hanno svolto nel contesto dell’Euromaidan – diciamo pure, del colpo di stato del 2014 – e in quello della repressione delle regioni ribelli del Donbass.
Non solo, il problema del carattere fascista del nazionalismo ucraino va molto al di là delle organizzazioni che si richiamano esplicitamente al nazismo e chiama in causa l’intera storia novecentesca di quel paese.
Luca Grecchi: Il desiderio chiamato Utopia
Il desiderio chiamato Utopia
di Luca Grecchi
Jameson indica la strada giusta, quella di chi ritiene necessario non solo criticare, ma soprattutto costruire: criticare senza costruire è cosa ancor più sterile del semplice stare a guardare
Fredric Jameson, critico letterario statunitense e teorico politico marxista nato nel 1934, è noto al grande pubblico soprattutto per i suoi studi letterari (è stato allievo di Erich Auerbach), nonché per la sua ottima analisi del postmoderno. In questo libro, tuttavia, egli tratta specificamente di un tema troppo spesso ingiustamente snobbato dalla teoria marxista, ovvero quello dell’utopia. Il suo approccio risulta in merito, come mostreremo (leggendo il suo libro Il desiderio chiamato Utopia, Feltrinelli, Milano 2007, ed. or. 2005.), non viziato dai consueti pregiudizi marxisti, in quanto la sua valutazione dell’utopia come ideale riferimento teoretico e politico, risulta essere nella sostanza molto positiva.
Jameson inizia sottolineando, come si fa di consueto, la ambivalenza del termine «utopia», interpretabile – secondo l’etimologia greca volta per volta preferita – sia come «luogo inesistente» (per i detrattori dell’utopia), sia come «buon luogo» (per gli ammiratori dell’utopia).
Leonardo Clausi, Serafino Murri: La guerra vista dalla luna
La guerra vista dalla luna
di Leonardo Clausi, Serafino Murri
Pubblichiamo un intervento di Leonardo Clausi e Serafino Murri, autori di Pandemia Capitale (manifestolibri, 2021), sull’attuale guerra in Ucraina
Si vis pacem para bellum, se vuoi la pace preparati alla guerra, recita il tristo adagio latino (anzi romano: i romani sono stati i primi, veri imperialisti). Tutta la storia d’Europa – e del mondo quando ancora era assoggettato dall’Europa – è nel segno di questa logica primordiale, ferina, quella del Leviatano e del patto sociale di non aggressione che fagocita le sue parti. Ha continuato a esserlo dopo la Seconda guerra mondiale, nella Guerra fredda a cui la caduta dell’Urss non ha messo la parola fine, e in quelle, bollenti, mosse prevalentemente dall’Occidente liberal-consumista negli ultimi trent’anni per difendere «i mercati» travestiti da libertà dei popoli in nome della democrazia e dell’autodeterminazione. Nella cosiddetta deterrenza nucleare e nella Nato, ex-ferrovecchio (cfr. il grande mediatore neogollista Macron) sopravvissuto alla fine della Storia che però, mannaggia, non era ancora finita.
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