C’è qualcosa di quasi rasserenante nel rivedere sempre le stesse dinamiche, per quanto repellenti.
Così per mesi abbiamo ricevuto dall’apparato mediatico come unica verità asseribile una camionata di menzogne, omissioni, e distorsioni lunari sulla strategia pandemica, il tutto accompagnato da censure violente e stigmatizzazioni delle voci dissonanti.
Ora è cambiato il tema, ma le modalità sono rimaste esattamente identiche, con la differenza – non piccola per chi si trova dal lato del dissenso – che in questo caso un numero maggiore di cittadini hanno esperienza pregressa sufficiente a insospettirsi, o addirittura a rilevare distintamente l’inaffidabilità della propaganda mediatica. (Sul tema pandemico il pubblico era “epistemologicamente vergine”, e quindi l’appello a fidarsi degli “esperti bollinati” di regime funzionava praticamente senza resistenza, qui invece una parte significativa del pubblico ha quel tanto di memoria storica per non bersi tutto senza percepire almeno delle dissonanze.)
Ma nonostante questa sorta di quasi-serenità che possiamo avvertire nel reidentificare un medesimo pattern, lo stupore – e il disagio – di fronte alla potenza di costruzione mediatica della realtà rimane grande.
Così, riuscire a far passare appelli in prima pagina all’assassinio politico di leader di potenze straniere per “libertà di stampa di cui siamo orgogliosi alfieri”, mentre vengono sospesi (su richiesta politica) contratti di informazione TV a voci dissenzienti (Orsini) è al tempo stesso meraviglioso e angosciante.
O similmente, sbattere fuori con ignominia ogni cenno alla Russia e alla cultura russa da ogni contesto possibile, letterario, musicale, sportivo, accademico e poi rivendicare di parlare a nome dei valori di tolleranza dell’Occidente, anche questo è bellissimo.
Oppure, dopo aver costruito per mesi e anni la catena di equivalenze riduttive per cui chi rivendicava gli interessi della sovranità nazionale era “sovranista”, se eri “sovranista” eri “nazionalista”, e se eri “nazionalista” allora eri nazifascista, ora parte la riduzione inversa, per cui nazisti col bollino sono nazionalisti, che a loro volta in fondo sono solo buoni patrioti scesi in campo a difesa della sovranità nazionale.
Oppure si spiega che la sovranità nazionale ucraina non ammetteva mitigazione alcuna e che non c’era assolutamente nessun pericolo rappresentato da Nato/USA, e poi si menziona come minuzie trascurabili che l’Ucraina era luogo di ripetute esercitazioni militari Nato, che l’esercito ucraino era già in precedenza addestrato e armato dagli USA, che l’Ucraina ospitava 16 biolaboratori sotto la sovraintendenza diretta degli USA, che il figlio del presidente in carica era (è) nel CdA della maggior azienda energetica ucraina e che il babbo fece licenziare il pubblico ministero (ucraino) che lo stava indagando, che il colpo di stato del 2014 era stato finanziato con soldi di provenienza estera, ecc. ecc. (tutto nel nome dell’autonomia sovrana dell’Ucraina, va da sé.)
Oppure si applaude in Parlamento, nel nome della democrazia, un presidente che ha appena soppresso ed eliminato tutti i partiti di opposizione nel proprio Parlamento.
E si potrebbe continuare a lungo, e sarebbe anche divertente, se non fosse che la direzione in cui tutto questo conduce non è divertente, ma tragica. Questo lavoro ai fianchi da parte del Ministero della Verità non è semplicemente ignobile e disgustoso per chiunque abbia ancora un briciolo di onestà intellettuale; questo sarebbe il meno; il problema è che esso prepara sempre il terreno a decisioni radicali che devono apparire necessarie, fatali, richieste dalle circostanze.
Così in Italia è già passato, dopo anni di stand-by, un finanziamento militare straordinario (60 miliardi nei prossimi 15 anni); così in Germania è ripartito in grande stile il riarmo bellico dopo il ’45; e così, giorno dopo giorno, la menzione americana di possibili “incidenti” che potrebbero portare “come ultima risorsa” all’utilizzo dell’arma nucleare prende piede.
Ecco, rammentate che nelle guerre frontali (non in quelle “per procura”) succede sempre così: prima si lavora alla demonizzazione del nemico (creazione del mostro), poi si alza il livello del rischio percepito nella popolazione (paura del mostro) e infine “ci si rassegna” al conflitto, presentato come esito lungamente posposto, ma oramai inevitabile col mostro.
Andrea Zhok
26/03/2022