Questo Stato borghese, strumento del dominio di classe borghese, Marx e Lenin hanno ripetuto che occorreva “spezzarlo”, e, idea molto più importante, hanno correlato questa “distruzione” dello Stato borghese con l’“estinzione” ulteriore del nuovo Stato rivoluzionario […].
Carlo Di Mascio: Il «problema dello Stato» nel marxismo rivoluzionario di Evgeny Pashukanis
Il «problema dello Stato» nel marxismo rivoluzionario di Evgeny Pashukanis*
di Carlo Di Mascio
Questo Stato borghese, strumento del dominio di classe borghese, Marx e Lenin hanno ripetuto che occorreva “spezzarlo”, e, idea molto più importante, hanno correlato questa “distruzione” dello Stato borghese con l’“estinzione” ulteriore del nuovo Stato rivoluzionario […]. In altri termini, essi hanno pensato la distruzione dello Stato borghese anche sulla base dell’estinzione e della fine di ogni Stato. Ciò dipende da una tesi fondamentale di Marx e di Lenin: non è solo lo Stato borghese ad essere oppressivo, ma ogni Stato.
Louis Althusser, 22ème Congrès
1. Stato, rapporti di produzione e classe dominante
Se nel marxismo rivoluzionario di Evgeni Pashukanis il «problema dello Stato», e se si vuole dell’intera sua filosofia del diritto, ha poco da condividere con la tradizione marxista legata ad una nozione ancora «romantica» e «utopica» di democrazia ottocentesca, ha invece molto a che fare con la maturità dell’analisi marxista-leninista del capitalismo, nonché con l’approfondimento teorico degli antagonismi scaturenti dai suoi intricati processi economici e amministrativi. E’, difatti, proprio in forza dell’analisi dello sviluppo del capitale – quel capitale che, in coincidenza con il contesto storico in cui La Teoria generale del diritto e il marxismo1 viene pubblicata, inizia aggressivamente a ricercare nuovi mercati in grado di assimilare sempre più pluslavoro, e che Lenin in particolare negli scritti su L’imperialismo del 1916 aveva con lungimiranza già individuato, sia per l’enorme concentrazione del potere capitalistico nella figura dei singoli Stati imperialistici che nella forza di distruzione che lo scontro tra gli stessi metteva in risalto2 – che tende a potenziarsi in Pashukanis il discorso sullo Stato come strumento borghese capace di proteggere interessi di classe e, soprattutto, di mediare le transazioni di mercato per consentire l’accumulazione capitalistica.
Andrea Zhok: Il massacro di Bucha, i camion di Bergamo e il Metaverso
Il massacro di Bucha, i camion di Bergamo e il Metaverso
di Andrea Zhok
I. I fatti e la cornice
In questi giorni al centro della discussione pubblica troviamo il cosiddetto “massacro di Bucha”, che viene presentato, secondo un canone bellico noto, come un’efferatezza delle truppe russe occupanti.
Un tempo, quando avevamo a che fare con fatti violenti, ad esempio un omicidio in città, eravamo soliti attendere gli accertamenti della magistratura, e finché questi non erano avvenuti i giornali nominavano i possibili colpevoli con espressioni tipo “l’indagato”, “il presunto sospetto”, ecc. per evitare colpevolizzazioni precoci. Oggi invece, davanti a un mucchio di morti nel contesto bellico di un paese straniero – cioè in condizioni donde le informazioni giungono sempre con difficoltà e condizionamenti – il giorno stesso dell’annuncio per la stampa internazionale era tutto chiaro e inchiodato ad un’unica versione possibile: autori, modalità, identità delle vittime, motivazioni. Qualche immagine, sezione istantanea del reale, è stata presentata come parte evidente di una storia già pronta.
Ora, né lo scrivente, né tutti quelli che hanno ricevuto la notizia di seconda mano (tra cui tutti i caporedattori dei quotidiani principali) sanno cosa sia accaduto. C’è spazio per congetture educate, deduzioni e controdeduzioni, ma non c’è conoscenza dei fatti. Ci asteniamo perciò dal proporre la nostra versione, e, in mancanza di un’indagine indipendente, proviamo a tener fermo il quadro d’insieme degli eventi, che è invece alquanto chiaro.
Un primo dato di cornice è legato alla classica questione che va sempre posta, soprattutto in situazioni di carenza di dati certi: “ A chi giova?”. Chiunque non sia sciocco o in malafede deve ammettere che c’è una parte, quella ucraina, che ha l’interesse a presentare incidenti che scandalizzino l’opinione pubblica internazionale (e spingano a sostenere la loro causa) e un’altra, quella russa, che ha l’interesse opposto.
Wolfgang Streeck: Guerra: tutti perdenti
Guerra: tutti perdenti
di Wolfgang Streeck
Proponiamo la traduzione di un articolo di Wolfgang Streeck, comparso originariamente sulla rivista «El Salto» (https://www.elsaltodiario.com/carta-desde-europa/wolfgang-streeck-guerra-ucrania-todos-perdedores), in cui sono analizzate le motivazioni geopolitiche che si annidano dietro all’attuale Guerra in Ucraina. Streeck affronta il punto di vista russo, europeo e americano, non risparmiando ampie critiche alle ingerenze degli Stati Uniti nelle vicende europee e al ruolo di subordinazione assunto dall’Ue in un conflitto che sembra a tutti gli effetti configurarsi come una propaggine della Guerra fredda.
I motivi per cui il sistema statale europeo è precipitato nella barbarie della guerra – per la prima volta dal bombardamento di Belgrado da parte della Nato nel 1999 – non possono essere spiegati ricorrendo a una «psicologia semplificata». Perché la Russia e l’«Occidente» hanno dato il via a un implacabile guerra sull’orlo dell’abisso, con il rischio per entrambi di cadere, infine, nel precipizio?
Ora più che mai, mentre viviamo queste tremende settimane, comprendiamo quello che Gramsci intendeva con l’espressione «interregno»: una situazione «in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere», una situazione in cui «si verificano i fenomeni morbosi più svariati», come paesi potenti che consegnano il loro futuro alle incertezze di un campo di battaglia offuscato dalla nebbia della guerra.
Nessuno sa, al momento in cui scriviamo, come finirà la guerra in Ucraina, e con quale spargimento di sangue. Quello su cui possiamo provare a ragionare, a questo punto, è su quali possano essere state le ragioni – e gli individui hanno sempre delle ragioni per agire, per quanto possano irritare gli altri – dietro alla politica di pressione psicologica (brinkmanship) esercitata senza compromessi sia dagli Stati Uniti che dalla Russia. Questo è il terrificante scenario: l’escalation del confronto, la rapida diminuzione delle possibilità per entrambe le parti di salvare la faccia a meno di una vittoria totale, che termina con l’assalto omicida della Russia a un paese vicino con cui un tempo condivideva uno Stato comune.
In questo conflitto troviamo notevoli parallelismi, così come le ovvie asimmetrie, tra Russia e Stati Uniti, due imperi che da lungo tempo si trovano a dover fare i conti con la strisciante decadenza del loro ordine interno e della loro posizione internazionale e a tentare di mettere un argine a questo processo.
Pierluigi Fagan: Oh, mon Dieu!
Oh, mon Dieu!
di Pierluigi Fagan
Nella foto, Mrs Europa rimane colpita da qualcosa che i nuovi dioscuri ucraini a difesa dei valori della civiltà occidentale hanno voluto mostrarle, il succo della antica civiltà a cui apparteniamo è tutta nella foto qui sotto.
Allarghiamo il frame. S. Karaganov intervistato dal Corsera (capo del Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca) ha detto che quella contro l’Ucraina è una guerra in buona parte anche contro l’Europa. Ma il tono dell’articolo risente molto delle contingenze tematiche che ha voluto dargli in Corsera secondo le scansioni concettuali della propaganda odierna. Ripulendo queste parti di nessun vero interesse, proviamo a ridire quello che ha detto Karaganov in altra maniera.
L’Europa è al contempo una definizione geografica ed una definizione politica. Quella geografica arriva sino agli Urali ed include quindi la Bielorussia, il grosso del popolo russo ed un pezzetto di Kazakistan, più Armenia, Georgia e Azerbaijan al confine sud-est caucasico. Una cinquantina di stati, un quarto di quelli del mondo, sebbene la popolazione sia solo un decimo.
Michele Paris: Ucraina, il tempo delle “false flag”
Ucraina, il tempo delle “false flag”
di Michele Paris
Gli elementi emersi in questi giorni sulla presunta strage di civili nella città di Bucha fanno pensare in maniera sempre più convincente a una messa in scena delle forze di sicurezza ucraine. Per la stampa ufficiale in Occidente, invece, le immagini provenienti dalla località a nord di Kiev continuano in larga misura a essere usate come una prova inconfutabile della criminalità dei militari russi e del presidente Putin. Dietro a questo comportamento non c’è solo superficialità o servilismo, entrambi peraltro tratti comuni a quasi tutti i media “mainstream”, ma anche e soprattutto un’agenda ben precisa che collega la propaganda occidentale e ucraina all’evolversi delle vicende militari sul campo nel paese dell’ex Unione Sovietica.
Gli aspetti più importanti sono già stati ampiamente discussi, almeno sui media indipendenti, dalla cronologia degli eventi seguiti all’evacuazione dei soldati russi da Bucha ai sospetti sull’autenticità dei cadaveri filmati ai bordi delle strade della città ucraina, dalla minaccia delle forze ucraine di sterminare sabotatori e collaborazionisti alle improbabili immagini satellitari pubblicate dal New York Times.
Federico Dezzani: La Russia ed il prossimo “gold standard” euroasiatico
La Russia ed il prossimo “gold standard” euroasiatico
di Federico Dezzani
Tra le misure adottate dalla Russia in risposta alla sanzioni occidentali, spicca sopratutto la decisione di ancorare il rublo ad una quantità fissa d’oro. Il ritorno della Russia al gold standard si propone, nell’immediato, di sostenere la valuta ma, in prospettiva, ha anche obiettivi di medio termine: creare un sistema finanziario alternativo al dollaro ed alle sue cicliche destabilizzazioni.
* * * *
L’oro della Moscova
Ogni guerra sistemica o egemonica è anche una guerra tra sistemi finanziari opposti. Pochi ricordano, infatti, che la Seconda Guerra Mondiale sia stata anche uno scontro tra concezioni finanziarie divergenti: da una parte c’erano le nazioni “plutocratiche-democratiche” che, forti della loro ricchezza accumulata e della loro industrializzazione, controllavano quasi il 90% delle riserve auree mondiali (solo gli USA ne detenevano più della metà) ed erano le paladine del gold standard. Dall’altra, erano le nazioni “proletarie-totalitarie” che, detenendo una quantità irrisoria di oro, erano passate ai circuiti monetari ed al sistema del clearing per gli scambi commerciali.
Giuseppe Cantarelli: La fine del 25 aprile
La fine del 25 aprile
di Giuseppe Cantarelli
Insomma, alla fine è successo di nuovo: a distanza di circa 80 anni dagli eventi della seconda guerra mondiale, l’Italia si trova nuovamente dalla parte dei nazisti. Il Kurtz di Cuore di Tenebra, l’opera di Konrad, avrebbe buoni motivi per gridare all’Orrore! In effetti non esiste un termine più adatto per indicare ciò che sta succedendo in questi giorni. Difficile capacitarsi di un tale voltafaccia, anche se siamo abituati in questo paese ai frequenti cambi di casacca. Ma come è successo? Come è stato possibile? Sembra un cambio repentino, eppure, andando a cercare, ci sono elementi che ci permettono di capire che tutto questo si stava preparando da tempo.
Vediamo alcuni episodi.
Il primo risale al novembre 2014, ovvero la votazione all’ONU della mozione presentata dalla Russia, che proponeva di condannare la glorificazione del nazismo. Il risultato fu di 115 voti a favore, 55 astenuti e 3 contrari. I tre voti contrari furono quelli di Ucraina, Stati Uniti e Canada, mentre l’Italia si astenne insieme agli altri paesi europei e NATO. Naturalmente la notizia venne tenuta accuratamente nascosta dai media mainstream italiani, evidentemente per l’imbarazzo che avrebbe suscitato.
Giacomo Cervo: Contro l’esercito comune europeo
Contro l’esercito comune europeo
di Giacomo Cervo
L’invasione russa pare aver dato una decisa accelerazione alla discussione sull’opportunità di creare le forze armate dell’Unione Europea. Qui tre buone ragioni per essere contrari.
In questi giorni si è tornati a parlare con insistenza di Esercito Comune Europeo. Non è una novità nel nostro dibattito pubblico, ma la guerra alle porte dei confini europei sembra per la prima volta porre il tema come un’assoluta esigenza: di fronte all’irrilevanza diplomatica dell’Unione Europea nelle trattative di pace, la corsa al riarmo e l’Esercito Comune sembrano le due risposte più logiche per smettere di essere vaso di coccio fra i vasi di ferro statunitense e russo. Ma una simile costruzione porta con sé insidie politiche e democratiche su cui vale la pena ragionare.
Una questione (geo)politica. La prima, più ovvia perplessità rispetto ad un Esercito Comune è come immaginare una forza militare condivisa fra Stati con interessi e politiche divergenti, se non concorrenti. Visegrad, Francia, Germania e Europa Meridionale mantengono interessi e zone d’influenza ben distinte, talvolta conflittuali. I nazionalismi dell’Europa Orientale hanno poi dimostrato tutta la loro pericolosità nel quadro del conflitto in Ucraina, fra la volontà di allegare il conflitto (Polonia) o legami con il sistema di potere putiniano (Ungheria).
Enzo Pellegrin: Difendere la democrazia attraverso un nazionalismo fascista e una spesa militare suicida? No grazie
Difendere la democrazia attraverso un nazionalismo fascista e una spesa militare suicida? No grazie
di Enzo Pellegrin
Se Ennio Flaiano fosse chiamato oggi a pronunciarsi sul mainstream italiano in argomento guerra, ne uscirebbe sicuramente con uno dei suoi paradossi ad effetto “Non è tanto quel che vedo o leggo a farmi impressione, ma quel che sento: quell’insopportabile rumore delle unghie che si arrampicano al vetro”.
Sugli altoparlanti dell’egemonia mediatica è andata in onda a reti unificate la difesa ad ogni costo delle parole ed opere del governo ucraino, quali che fossero i mezzi da questo utilizzati, il tutto in vista di una costosa militarizzazione dell’intera Europa, già con l’acqua alla gola per la crisi economica.
La gustosa intervista ad un comandante del Battaglione Azov – composto da nazionalisti dell’ultradestra ucraina, che confessa di “leggere Kant” ai propri soldati, la comparsata della band di “Kiev calling” che canta con le magliette di Banderas, hanno scoperto più di un nervo della narrativa dominante. Una volta emerso che il cavallo politico su cui si era contato consentiva un’agibilità senza paragoni ad organizzazioni ispirate al nazismo, al nazionalismo etnico, ai collaborazionisti del Terzo Reich venerati come “eroi nazionali” con tanto di monumenti, è partita la corsa a negare l’evidenza, a ridimensionare un fenomeno che il governo ucraino per primo si rifiuta di ridimensionare, oppure ad utilizzare narrazioni consolatorie e giustificazioniste, slegate dalla realtà, come quella per cui “i nazisti esistono su entrambi i fronti”.
Va fatta la solita premessa, d’obbligo di questi tempi per non vedere il proprio ragionare delegittimato a tifo: la natura della Russia governata da Putin è di tutta evidenza un regime oligarchico nel quale il blocco storico dominante (composto da un blocco politico alleato a precisi blocchi economici privati e controllati dallo Stato) utilizza tutti gli strumenti della propaganda, della gestione sociale e della repressione per la perpetuazione del potere.
Alessandro Visalli: Politica estera basata sui valori o sull’autodeterminazione. Note sulla svolta di Biden
Politica estera basata sui valori o sull’autodeterminazione
Note sulla svolta di Biden
di Alessandro Visalli
Un anno fa la nuova amministrazione democratica americana ha convocato un ambizioso evento, invitando ben 110 nazioni del mondo[1], dal nome “Summit for democracy”[2]. Lo slogan era “la democrazia non accade per caso. Dobbiamo difenderla, lottare per essa, rafforzarla, rinnovarla”. A questo evento, cui ne seguiranno altri e che rappresenta il nucleo di una nuova dottrina internazionale più interventista, come scrivono in modo esemplare ‘adatta al movimento’ in corso, l’amministrazione ha invitato paesi asiatici come il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan, ma anche l’India e le Filippine, e non Singapore. In cambio era invitato il cosiddetto “Presidente ad interim” del Venezuela Juan Guaidó, ma anche i leader, o attivisti eminenti, dell’opposizione di Hong Kong, Birmania, Egitto, Bielorussia. Un notevole e sovradimensionato spazio è stato affidato, infine, ai paesi europei nordici che si affacciano sulla Russia: la Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Danimarca.
La crisi Ucraina ha prodotto qualche smagliatura su questo schema “noi/loro”. In questi giorni, ad esempio, il governo di Singapore si è mosso verso la coalizione occidentale[3], se pure con qualche dichiarazione rispettosa verso la Cina, mentre l’India si sta chiaramente avvicinando alla Russia[4] e persino alla Cina. D’altra parte, storici alleati Usa come la Thailandia e le Filippine da tempo si stanno avvicinando alla Cina, e, recentemente le Isole Salomone (fronteggianti l’Australia) hanno dichiarato di voler stipulare un accordo di cooperazione militare con il gigante asiatico (ricavandone le minacce del vicino anglosassone). Inoltre, il Pakistan, che fino ad anni recenti era stato alleato degli Stati Uniti, si sta muovendo con decisione verso la Russia e partnership più pronunciate con la Cina (ma è stato fermato, al momento da una severa crisi di governo con probabili nuove elezioni).
Il Lato Cattivo: Moriremo «green»?
Moriremo «green»?
A proposito di capitalismo verde
di Il Lato Cattivo
Ogni modo di produzione implica rapporti storicamente determinati con un dato puramente fisico- biologico, un sostrato pre-sociale modificabile ma insopprimibile1. Da una diversa angolazione, si potrebbe anche affermare che i modi di produzione storici non sono mai (stati) altro che differenti varianti di un soggiacente rapporto con questa datità fisico-biologica, che include allo stesso tempo la natura non-umana e l’umanità come specie. In ogni caso, nel corso dei millenni, rapporti sociali di produzione determinati si sono instaurati, sviluppati e succeduti sulla base di un sostrato minerale, vegetale e animale, che questi stessi rapporti hanno trasformato in misura maggiore o minore a seconda dei casi.
Il modo di produzione capitalistico (MPC) non è il solo né il primo modo di produzione ad avere significative ricadute su questo sostrato. Semplicemente, tali ricadute assumono oggi, con questo modo di produzione, proporzioni e determinazioni qualitative inedite. È il nocciolo di verità contenuto nel concetto, per altri versi contestabile, di antropocene. Questo fatto si iscrive nella differenza essenziale che distingue il MPC dai modi di produzione precedenti: in questi ultimi, il plusprodotto non veniva sistematicamente e prevalentemente reinserito nel processo di produzione. Per i signori feudali, per le burocrazie statali del modo di produzione asiatico, per i patrizi della Roma antica, per le proto-classi delle società di cacciatori-raccoglitori del paleolitico superiore etc., l’elemento preminente nella gestione del plusprodotto è il suo dispendio. Viceversa, nel MPC l’elemento predominante è l’investimento, nella fattispecie l’investimento in capitale costante (mezzi di produzione e materie prime). Quando si parla di accumulazione del capitale, si parla essenzialmente di questo.
Pierluigi Fagan: VAR cognitivo
VAR cognitivo
di Pierluigi Fagan
Gli amanti del calcio sapranno esserci questa tecnologia che permette di vedere in modo ravvicinato presunti falli di gioco che possano determinare rigori, espulsioni ed altre punizioni. Il vantaggio è quello di andare molto vicino ai fatti, lo svantaggio è quello di perdersi l’intera dinamica di gioco. L’arbitro, che fino a prova contraria dovrebbe esser super partes, può valutare veniale un intervento visto che segue la dinamica di gioco. Ma se si isolano i frames del contatto incriminato, si può rilevare come il veniale sia invero letale. È la solita storia del testo e del contesto. Il testo dice delle cose il cui significato cambia se lo si mette in un contesto.
La strategia del discorso pubblico in accompagno agli eventi dell’ultimo mese e passa in quel di Ucraina, è stata preparata ed imposta ai solerti diffusori allineati come infervorati testimoni di Geova che scampanellano dai nostri media 7/24, imponendo il VAR cognitivo: c’è un aggredito ed un aggressore. È fallo! Poche ciance, è rigore, è netto, non c’è niente da discutere e chi vuole ancora discutere è troppo tifoso per esser preso sul serio. Anzi, non va fatto neanche parlare. Cos’è che non si vuol far vedere di più ampio in ciò che sta succedendo?
Nico Maccentelli: Nazisti, pennivendoli e pistole
Nazisti, pennivendoli e pistole
di Nico Maccentelli
Due i fatti significativi. Uno: qualche giorno fa a Non è l’arena, quella fogna di talkshow condotto da Massimo Giletti, Vladislav Maistrouk, l’ucronazi che si spaccia per giornalista ha minacciato di morte il giornalista russo Alexej Bobrobsky con queste parole:
“Per tutti coloro che sono i mandanti, per tutti i propagandisti e gli esecutori dei crimini contro i civili ucraini dovete avere paura fino all’ultimo giorno della vostra misera esistenza.
Ridi finché puoi, ridi, poi non riderai più.
Abbi paura fino alla fine dei tuoi giorni perché noi vi troveremo tutti e come ha fatto Israele dopo il 72, dopo l’attentato, troveremo tutti e li puniremo e capirete la lezione di Dostoevskij, del delitto e del castigo.
Quindi ridi, finché puoi”
La propaganda guerrafondaia condotta dal regime servo della NATO e degli USA, dal governo Draghi, ormai legittima ogni voce di odio rendendola autorevole, purché si affermi l’appoggio militare all’Ucraina nazista.
Angelo d’Orsi: Falsi e veri lacchè
Falsi e veri lacchè
di Angelo d’Orsi
In un post su Facebook il sottoscritto rilevava che una foto pubblicata da La Stampa, un paio di settimane fa, e spacciata, nella sostanza come opera dei russi, era invece una immagine (tra l’altro rubata al suo autore e pubblicata senza autorizzazione) che ritraeva una strage appena compiuta dagli ucraini in Donbass. E Il Fatto ne diede puntuale resoconto per la penna di Tommaso Rodano. Scrissi una lettera al direttore del quotidiano torinese Massimo Giannini per deprecare questo “errore” (per niente casuale), e Giannini andò in tv a raccontare che al suo giornale non interessa chi compia “la carneficina” (questo il titolo a tutta pagina de La Stampa), ma solo mostrare “gli orrori della guerra”. E non contento, lancia un tweet in cui insulta “pseudo storici, sedicenti giornalisti e miserabili lacchè di Santa Madre Russia”, con evidente riferimento al sottoscritto.
Vado, due giorni fa, al programma de La 7 “Piazzapulita”, di Corrado Formigli, il quale (dopo mezzanotte) mi dà la parola e dopo la prima mezza frase vengo interrotto da un gentiluomo a me ignoto, presentato come Stefano Cappellini (scopro poi essere addirittura “Capo della Redazione Politica de la Repubblica”).
Zhang Yugui: Gli Stati Uniti hanno iniziato una guerra economica per mantenere la supremazia globale
Gli Stati Uniti hanno iniziato una guerra economica per mantenere la supremazia globale
di Zhang Yugui (chinadaily.com.cn)
Tra tante chiacchiere fondate sulle veline del Pentagono (e, giù per li rami, tutte le “istituzioni subordinate”) vale sempre la pena di cogliere punti di vista alternativi. Naturalmente, non ci possono interessare le “dietrologie” (che combattiamo da sempre), né le letture semplicistiche di un problema complesso come una possibile guerra nucleare.
Abbiamo perciò deciso di tradurre questa analisi – di cui c’è un disperato bisogno, tra tanta “emotività” a costo zero – tratta dal China Daily (testata cinese alquanto autorevole, praticamente ufficiale) per informare su come altre potenze del mondo vedono gli eventi attuali.
Non si tratta ovviamente di stabilire quale sia il punto di vista sicuramente “giusto” sul piano politico e morale, ma di sapere cosa sta accadendo e come, con quali attori, per quali scopi.
Questa analisi si concentra inevitabilmente sul mondo finanziario a guida Usa. Perché quello è il motore ancora funzionante – insieme al complesso militare-industriale – di una superpotenza ormai a corto di argomenti e di appeal.
Buona lettura.
Andrea Vento: Il ruolo della geopolitica nelle crisi internazionali. Il caso dell’Ucraina
Il ruolo della geopolitica nelle crisi internazionali. Il caso dell’Ucraina
di Andrea Vento
L’escalation del conflitto in Ucraina, provocata dall’invasione russa iniziata il 24 febbraio 2022, ha costretto analisti e studiosi a riprendere in mano il “dossier Ucraina”, già in precedenza salito alla ribalta dopo il colpo di stato di piazza Maidan del febbraio 2014 ai danni del russofono Yanukovich. Il nuovo governo, a seguito dello spostamento a destra dell’asse politico e del riposizionamento geopolitico filoccidentale, finì per innescare, nei mesi successivi, la repressione della popolazione russofona dell’est del Paese da parte dei nazionalisti ucraini, l’annessione russa della Crimea e lo scoppio della guerra nel Donbass contro le auto-proclamate Repubbliche Popolari di Donestk e Lugansk. Una guerra terminata con gli accordi di Minsk 2 del febbraio 2015 che, nonostante la scarsa copertura mediatica occidentale, ha provocato gravi distruzioni e la morte di 13.000 civili ucraini di lingua russa.
Il Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati, che all’epoca aveva cercato di comprendere radici e sviluppi della crisi ucraina tramite l’analisi delle sue vicende geopolitiche e la pubblicazione di un’agile dispensa dall’eloquente titolo Ucraina, il boomerang delle sanzioni europee, aveva indagato il diverso impatto prodotto, sulle due aree geo-economiche occidentali, dalle sanzioni economiche imposte dagli Usa alla Russia, e, obtorto collo, adottate anche dai loro subordinati europei.
I più letti degli ultimi tre mesi
Barbara Spinelli: Una guerra nata dalle troppe bugie
Manlio Dinucci: Ucraina: l’attacco lo lanciò la Nato otto anni fa
Marco Bertolini: Il generale Marco Bertolini spiega cosa sta succedendo in Ucraina
Pino Arlacchi: E’ la NATO che sta alla base della crisi ucraina, e della sua soluzione
Fabio Mini: Guerra in Ucraina, invio di armi e propaganda
Carlo Di Mascio: Lenin e la pratica filosofica
Fabio Vighi: Varianti e inflazione: cronaca di una demolizione controllata
Manlio Dinucci: Ucraina, era tutto scritto nel piano della Rand Corp