Dopo un lungo periodo di torpore, dovuto forse anche alla paralisi degli apparati provocato dalle interminabili chiusure imposte per il Covid-19, sembra che qualcosa si stia muovendo all’interno delle aule dei tribunali italiani.
E quel qualcosa sembra dare, per l’ennesima volta, conferma alle voci dei “complottisti novax”.
Giovedì 28 aprile infatti, il Giudice Roberto Beghini del Tribunale di Padova ha emesso una sentenza accogliendo il ricorso di un’operatrice sanitaria, sospesa per non essersi sottoposta a vaccinazione covid: l’operatrice faceva capo al personale dell’azienda Ulss n.6 Euganea.
Imposizione del governo illegittima quindi, secondo il Magistrato, che evidenzia l’irragionevolezza dell’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari e l’inutilità a prevenire il contagio definendo la garanzia del vaccino “pari a zero”.
Da un estratto del provvedimento, che possiamo trovare integralmente a questo link, leggiamo che “l’obbligo vaccinale imposto ai lavoratori in questione non appare idoneo a raggiungere lo scopo che si prefigge, quello di preservare la salute degli ospiti: e qui risiede l’irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 Cost.. Può infatti considerarsi notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al ciclo vaccinale, può comunque contrarre il virus e può quindi contagiare gli altri. Può dunque notoriamente accadere, ed effettivamente accade, come conferma l’esperienza quotidiana, che una persona vaccinata contragga il virus e contagi le altre persone (vaccinate o meno che siano)”.
Nella sentenza leggiamo anche la rilevanza che, secondo il Giudice, potrebbe ricoprire il tampone in alternativa al vaccino. “La persona vaccinata, che non si sia sottoposta al tampone, può essere ugualmente infetta e può quindi ugualmente infettare gli altri: la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero”.
Particolarmente interessante è la posizione che il magistrato assume in merito all’ irragionevolezza e la sproporzionalità dell’obbligo vaccinale.
Leggendo, infatti, ancora un passaggio della sentenza vediamo che “la normativa italiana che sospende drasticamente dal lavoro e dalla retribuzione il lavoratore che non intenda vaccinarsi, sembra violare anche il principio di proporzionalità sancito dall’art. 52, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, secondo cui “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui” .
La notizia in poco tempo ha fatto il giro dei social ed è stata diffusa anche da esponenti politici come il tweet di Francesca Donato Membro del Parlamento Europeo.
Tra l’altro, se da un lato i tribunali cominciano a muoversi per difendere la Carta Costituzionale e i diritti dei lavoratori, dall’altro sempre nelle aule giudiziarie sembra dover finire il collegio dell’Aifa, e il Ministero della Salute.
Il 4 marzo scorso è stata depositata, da parte dell’ associazione IDU, presso la Procura di Roma una querela contro l’Aifa, il Ministero della Salute, il Cts (Comitato tecnico scientifico), e l’Iss (Istituto superiore di sanità), accusati di aver commesso i reati di omissione d’atti d’ufficio, abuso d’atti d’ufficio, omicidio colposo, lesioni personali, falsità ideologica, procurato allarme, falso in atto pubblico.
I vaccini attualmente somministrati non hanno ricevuto da parte dell’Ema o dell’Aifa l’autorizzazione incondizionata alla commercializzazione, bensì l’autorizzazione condizionata, una procedura subordinata a precisi requisiti che le case farmaceutiche dovrebbero garantire e sottoporre alla verifica delle autorità: la stessa Aifa, che con la determina n.318 del 23 dicembre 2020 ha chiesto alle aziende di depositare i seguenti documenti: il primo “Psur” (Rapporto periodico di aggiornamento sulla sicurezza) entro 6 mesi successivi all’autorizzazione e le relazioni intermedie di sicurezza, da fornire a partire dal gennaio 2021 fino al dicembre 2023, mese in cui dovrebbe essere messa a disposizione la relazione finale.
Relazioni che non sono stati resi disponibili ai legali delle associazioni anche dopo la richiesta di accesso agli atti (data 29 novembre 2021): Eppure, il regolamento UE 507/2006 all’art. 9 prevede che le relazioni periodiche di aggiornamento sulla sicurezza sono presentate all’Agenzia e agli Stati membri
Anche l’Ema fa spallucce e in data 9 febbraio 2022 oppone il proprio diniego all’accesso agli atti “per una serie di motivi tra cui quello per cui l’agenzia non avrebbe individuato nessun interesse pubblico prevalente che giustifichi la divulgazione dei documenti richiesti e che prevalga sulla tutela dell’interesse privato”.
Da qui la querela, indispensabile strumento per accertare la verità visto che la consultazione di tali documenti è fondamentale per comprendere eventuali controindicazioni alla somministrazione soprattutto visto che ad oggi sono state somministrate 11 miliardi di dosi, 4 milioni di sospette reazioni avverse e, seppur da dimostrarne la causalità, ben 40 mila decessi.
Il 1° aprile è cessato lo stato di emergenza, eppure si continua con la campagna di vaccinazione anche di bambini, soggetti fragili, donne incinte, mantenendo l’obbligo per gli over 50 e per tutti i sanitari fino al 31 Dicembre 2022.
A questo punto è lecito chiedersi se le somministrazioni siano state autorizzate in assenza dei dati sulla sicurezza.
ANTONIO ALBANESE
02/05/2022