Sembrano di tessuto ma sono di plastica. Le mascherine chirurgiche ed FFP2 che siamo praticamente obbligati ad acquistare, indossare e poi buttare nelle più varie occasioni sono un problema per l’ambiente. Insieme ai guanti, stanno riempiendo i mari. Non sono biodegradabili. Rimarranno in circolazione per centinaia e centinaia di anni, sotto forma di monumento di immondizia ad imperitura memoria.
Le stime quantitative sono ferme all’estate 2021. Fino a quel momento, i rifiuti di plastica generati dall’epidemia assommavano in tutto il mondo ad 8-9 milioni di tonnellate: in gran parte appunto mascherine e guanti.
Nella migliore delle ipotesi (si fa per dire…) questa roba finisce in una discarica o all’inceneritore. In teoria – in teoria soltanto – sono trattamenti che non dovrebbero permettere il rilascio di sostanze tossiche nelle falde sotterranee d’acqua o nell’aria. Ma tutti continuiamo a vedere mascherine e a volte anche guanti abbandonati sulle strade. Tutte le strade portano al mare, attraverso le piogge e i corsi d’acqua. Sempre fino all’estate 2021, sono finite in mare, si calcola, 250.000 tonnellate di mascherine, guanti e simili.
Una mascherina o un guanto pesa pochi grammi. Immaginarsi quanti pezzi ci vogliono per mettere insieme una tonnellata… Nel solo 2020, si calcola che un miliardo e 600 milioni di mascherine siano finite in mare.
Un guanto di plastica semitrasparente diventa una trappola mortale per i pesci. Gli elastici delle mascherine lasciate in giro si impigliano nelle ali degli uccelli. Fin dai primi mesi di Covid le documentazioni scientifiche hanno offerto in proposito immagini da film dell’orrore. Ma finché sono interi, questi oggetti potrebbero almeno essere raccolti. Col tempo, con le onde e con i raggi del sole si frammentano in microplastiche – le stesse recentemente ritrovate nei polmoni umani – talmente piccole da essere quasi invisibili ad occhio nudo. Le microplastiche rilasciano sostanze tossiche. I pesci e i molluschi le inghiottono. Poi noi mangiamo pesci e molluschi: col che microplastiche e relative sostanze tossiche tornano al mittente.
Durante la prima ondata di Covid, le mascherine – ricordate? – erano introvabili nelle farmacie. Ci si aggiustava in casa, fabbricandole con tela di cotone ed elastico, e poi le si metteva in lavatrice riusandole praticamente all’infinito. Più facile respirare; niente plastica sotto il naso e in giro per il pianeta; niente microplastiche nei polmoni.
Oltre ad essere sane e non inquinanti, le mascherine di stoffa, burocraticamente definite “di comunità”, sono efficaci. Lo sanciscono le istruzioni governative. Anche durante l’inverno scorso, il momento top delle mascherine, l’obbligo di usare le FFP2 era limitato a poche occasioni e in tutti gli altri casi erano accettate le chirurgiche e le fai-da-te.
Il Covid tuttavia ha fatto zampillare ovunque eccessi non richiesti di zelo. Compreso l’uso massiccio di chirurgiche ed FFP2. Emblematico un fatto. Un’ordinanza del ministro della Salute, Speranza, ha prorogato fino al 15 giugno l’obbligo di FFP2 per mezzi di trasporto, spettacolo, eventi e l’obbligo di generica mascherina nelle strutture sanitarie. Il ministro della Funzione Pubblica, Brunetta, ha emesso su questa base una circolare in cui raccomanda l’uso delle mascherine fra i dipendenti statali. E, sorpresa!, le mascherine di pezza non sono neanche citate. Si parla esclusivamente di FFP2. Quelle che contribuiscono ad edificare il ciclopico monumento di immondizia ad imperitura memoria.
GIULIA BURGAZZI
18/05/2022
L’inquinamento che va bene: miliardi di mascherine Covid riempiranno i mari per decenni – Visione TV