Jens Stoltenberg mette in chiaro che la Nato è pronta a riconsiderare il suo concetto di globalizzazione. E lo fa dal World Economic Forum di Davos, il grande raduno annuale delle élite che hanno pensato, negli anni, l’espansione del libero scambio, dei legami tra Paesi, della globalizzazione stessa. Non è un pensiero nuovo, quello espresso da Stoltenberg, che si può riassumere con alcuni passaggi chiave del suo discorso: “La libertà è più importante del libero commercio – ha avvertito Stoltenberg – Proteggere i nostri valori è più importante che fare profitti”. Aggiungendo, in relazione al tema forte del summit di Davos: “Il libero commercio ci ha portato prosperità e ricchezza – ha detto -. Ma una parte di questo commercio, alcune interazioni con regimi autoritari, minano la nostra sicurezza”.
Urge dunque mettere sicurezza e difesa davanti alla prosperità. Stoltenberg, “congelato” per un anno alla Nato dalla crisi ucraina e potenziale prossimo governatore della Banca centrale di Norvegia, con la sua incursione di carattere economico riscopre Adam Smith. Il biennio segnato dalla pandemia, dalla crisi energetica e dalla guerra in Ucraina ha portato gli Stati a reinterpretare la lezione del padre dell’economia contemporanea, spesso (a torto) ricordato unicamente per il fuorviante concetto di “mano invisibile” ma in realtà attento pensatore e studioso delle dinamiche internazionali. Smith sta assistendo a una grande riscoperta dei suoi principi nell’era dell’innovazione tecnologica, della globalizzazione spinta, della rivalità a geometria variabile tra le potenze: il libero commercio, scriveva ne “La Ricchezza delle Nazioni” doveva essere condotto senza minare i sistemi politici e securitari dei Paesi; opulence (prosperità) per lo studioso scozzese fa rima con defence (sicurezza nazionale). Anzi, scrive Smith esplicitamente: “La difesa è più importante della ricchezza”. Stoltenberg ne prende atto dopo che per anni lo hanno, gradualmente fatto, tutti i Paesi occidentali.
La partita globale per le tecnologie critiche che vede contrastarsi Usa e Cina, la sfida energetica tra Occidente e Russia, la questione degli approvvigionamenti di asset sanitari durante la pandemia, la “guerra dei vaccini” e lo sconvolgimento delle catene del valore globali dopo il Covid hanno portato al graduale ritorno in campo degli Stati e al dilemma della sicurezza. L’Occidente si è reso conto, in colpevole ritardo, della creazione di legami di interdipendenza eccessivi con Paesi ritenuti esterni al proprio sistema valoriale che avevano sfruttato, legittimamente, gli ordinamenti commerciali e politici dell’era globalizzata e le istituzioni come la World Trade Organization per costruire rendite di posizione.
La sfida ora è il ritorno in campo delle organizzazioni nazionali come presidio dello sviluppo, della sicurezza e dell’indipendenza nazionale dei Paesi. Non si può parlare di transizione delle fonti di energia senza un focus sulla sicurezza energetica; non si può parlare di reti 5G senza una focalizzazione sulla natura dei controllori delle infrastrutture, che possono essere legati a Stati ostili; dalla Difesa alle infrastrutture, dal biomedicale alla meccanica, in molti settori industriali la tutela dei produttori nazionali è diventata la priorità. E con l’incipiente crisi alimentare in arrivo saranno sempre più attive le politiche di tutela della sicurezza dei mercati del cibo o (lo si è visto in Francia) della grande distribuzione. Il dito è il richiamo ai valori condivisi, la luna una globalizzazione ormai a macchia di leopardo.
Stoltenberg del resto ha concluso il suo intervento sottolineando che “il conflitto in Ucraina ha confermato l’importanza dell’unione di Europa e Nord America nella Nato” e “di lavorare con i nostri partner che la pensano allo stesso modo in tutto il mondo” per “difendere i nostri valori e promuovere la pace e la prosperità”. Una concezione riduttiva della visione del mondo globale che sottolinea la priorità data ai legami strategici tra Paesi affini. E dietro il “pensarla allo stesso modo” c’è la volontà di creare alleanze economiche e tecnologiche con i partner della Nato (Australia, Giappone, Corea del Sud ad esempio) in settori come la finanza, la tecnologia militare, i semiconduttori, l’energia, la transizione green. Settori di convergenza sulla cui scia si plasmeranno legami e alleanze di prospettiva. La “super Nato” di cui spesso si parla potrebbe essere lo sbocco di questa prospettiva. Un asse globale in un mondo sempre meno globalizzato per il ritorno di dinamiche che, due secoli e mezzo fa, Smith aveva anzitempo capito.
Andrea Muratore
27 MAGGIO 2022
Sicurezza davanti alla prosperità: anche la Nato critica la globalizzazione (insideover.com)