Strage di Capaci, 30 anni dopo: un affresco internazionale

Il 23 maggio 2022 corrono trent’anni dalla strage di Capaci, in cui fu assassinato il giudice anti-mafia Giovanni Falcone. La strage segnò la fine della Prima Repubblica e l’inizio di una trentennale fase di “disfacimento” delle istituzioni e dell’economia italiana, fase che sta toccando lo zenit proprio in questi mesi. Per capire la stagione del 1992, bisogna inquadrarla nella geopolitica del passato e del presente.

Andreotti e Gorbacev, Italia e Russia, destini uniti

Tra pochi giorni si celebrerà il trentennale della strage di Capaci, forse l’evento più significativo, dopo l’assassinio di Aldo Moro, della storia repubblicana italiana. Un evento che segnò e sta segnando tuttora il corso degli eventi in Italia e che sancì l’inizio di un’epoca di “disfacimento” dell’economia e delle istituzioni italiane che si concluderà quasi certamente in un prossimo futuro col dissesto delle finanze pubbliche: Mario Draghi, il giovane funzionario di Bankitalia che salì sul panfilo Britannia nel giugno 1992 e che ora siede a Palazzo Chigi, incarna fisicamente l’inizio e la fine di questo ciclo di decadenza. Un processo di decadenza, certamente, allargato all’Occidente nel suo complesso, ma concentrato sopratutto sull’Italia, coll’obiettivo di eliminare, decennio dopo decennio, una pedina giudicata inutile e persino dannosa nello scacchiere internazionale formatosi dopo il collasso dell’URSS. Entra così in campo la geopolitica, fondamentale per capire le ragioni dell’accanimento delle potenze uscite vittoriose dalla Guerra Fredda contro l’Italia. Riunificata la Germania e ricreata quindi nel cuore dell’Europa una grande potenza sbilanciata a Oriente e incline a cercare rapporti privilegiati con Russia e Cina, occorreva quantomeno eliminare il complemento geopolitico della Germania stessa, l’Italia appunto, per scongiurare la rinascita di un “asse europeo” piantato nel cuore del Mediterraneo e sbilanciato verso Oriente, asse che avrebbe potuto realizzare molte di quelle iniziative poi sfumate in questi ultimi anni (Nord Stream 2, South Stream, Via della Seta, cooperazione in Nord Africa, etc.)

A distanza di 30 anni dalla strage di Capaci, è dunque il momento di ricostruire il quadro internazionale del 1992, con un particolare focus su Italia, Libia, Germania e Russia, e vedere come questo scacchiera sia mutata nel corso di un trentennio. Sulla strage di Capaci, sulla regia angloamericana dietro Tangentopoli, sul ruolo dei servizi segreti nelle stragi “mafiose” del 1992-1993 e sulle figure coinvolte nello smantellamento dell’IRI, abbiamo già scritto due bellissimi e dettagliatissimi articoli che si possono rileggere con grande piacere. In questa sede basta solo ricordare che il 23 maggio 1992, Falcone è ucciso da un ordino confezionato da un ex-ordonovista con la complicità dei servizi segreti facenti capo agli USA ed in particolare all’Inghilterra; il 27 maggio 1992, quasi a rivendicare la strage, il panfilo Britannia attracca a Palermo e la regina Elisabetta col consorte visitano il luogo della strage: la Sicilia, occupata nel 1943, è e rimarrà cosa britannica. Il 2 giugno 1992, lo stesso Britannia attracca al porto di Civitavecchia: durante un sontuoso banchetto, i vertici della City londinese e gli ambienti anglofili italiani concordano le privatizzazione e lo smantellamento dell’IRI che, retaggio del periodo fascista, costituisce la spina dorsale dell’economia e della potenza italiana. Sul panfilo, come è noto, sale anche un 45enne Mario Draghi, pupillo di Beniamino Andretta e ben inserito negli ambienti “illuminati” di Guido Carli.

La strage di Capaci ha un effetto decisivo sulle elezioni del nono presidente della Repubblica italiana e, quindi, sull’intero trentennio successivo. Uno dei nomi più accreditati per il Quirinale è quello di Giulio Andreotti: statista di livello internazionale, politico dalla pluriennale esperienza, nome noto in tutte le cancellerie europee e mondiali. Andreotti, però, appartiene a quella ristretta cerchia di papaveri della DC (tutti a loro modo iniziati alla “geopolitica”) che non possono e non devono accedere alla presidenza della Repubblica, poiché fautori di una politica mediterranea intrinsecamente anti-anglosassone e filo-russa. Gli altri nomi, per soddisfare la curiosità di molti, erano quelli di Aldo Moro e Amintore Fanfani. La corsa di Andreotti verso il Quirinale era già stata indebolita nel marzo 1992 con l’assassinio di Salvo Lima, “referente” del Divo Giulio in Sicilia. La bomba di Capaci raggiunge il Parlamento riunito in seduta comune: le quotazioni di Andreotti affondano, mentre prende vigore la candidatura di Oscar Luigi Scalfaro, eletto presidente della repubblica il 25 maggio 1992. La nomina del “giustizialista” Scalfaro è fondamentale, perché sancisce l’inizio di quell’ondata giacobina-populista che culminerà nel 2009 con la nascita del Movimento 5 Stelle: l’inchiesta di Tangentopoli, supervisionata da USA ed UK, non ha più alcun ostacolo davanti a sé. Gli ambienti ebraico-radicali-romani, gli stessi che nel 1976 avevano fondato La Repubblica e combattuto in ogni modo la DC “statalista e fascista”, prendono il sopravvento ed indicono, nell’aprile 1993, il referendum “populista” per l’abrogazione del Ministero delle Partecipazioni statali.

La caduta in disgrazia di Andreotti (che nel marzo 1993 avrebbe ricevuto l’avviso di garanzia per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso) deve essere inquadrata nel quadro internazionale. Si è lungo parlato di tendenze “anti-tedesche” di Andreotti, che sarebbe stato ostile alla riunificazione tedesca e che avrebbe preferito la sopravvivenza a tempo indefinito delle due Germanie. Posto che Andreotti non ostacolò minimamente il processo di riunificazione della Germania durante la sua presidenza del consiglio tra l’estate del 1989 e la primavera del 1992, le sue ipotetiche resistenze alla rinascita di una Germania unita devono essere inquadrate nel pensiero “geopolitico” della DC ostile all’egemonia anglosassone. Ostili alla riunificazione tedesca erano realmente solo Margaret Thatcher e François Mitterand, due noti avversari anche dell’Italia in tema di politica estera e lotta al terrorismo. Alla base del pensiero di Andreotti non c’era nessuna concenzione anti-tedesca, bensì un fermo impegno alla difesa dello status quo e dell’equilibrio tra i due blocchi. Andreotti intendeva la sopravvivenza dell’URSS come garanzia di sopravvivenza per l’Italia stessa. Mentre infatti il “filo-britannico  e filo-israeliano” Cossiga sognava il disfacimento dell’Unione Sovietica, “Andreottov”, noto per la sua incessante attività diplomatica tra Roma e Mosca, scommetteva sul processo di modernizzazione dell’URSS e sulla sopravvivenza della medesima, cosicché l’Italia non fosse schiacciata dagli anglosassoni e potesse giocare ancora un ruolo nel Mediterraneo e in Medio Oriente. La caduta in disgrazia di Andreotti è quindi una diretta conseguenza del fallimento di Gorbacev, della dissoluzione dell’URSS nel dicembre 1991 e della scomparsa del blocco sovietico che teneva a freno le potenze anglosassoni.

La debolezza della Russia e le crescenti difficoltà in cui si trova di riflesso l’Italia, producono gli immediati effetti là dove le due potenze avevano collaborato in funzione anti-anglosassone. Nel 1991 la Somalia è spinta da Londra e dalle solite ong inglesi verso quel caos in cui si trova tuttora. Nel 1992, la Libia del colonnello Muammur Gheddafi, che angloamericani e francesi avevano tentato ciclicamente di rovesciare sin dal suo avvento al potere, è posta sotto embargo e le sanzioni sarebbero rimaste in vigore sino al 2004. Nel panorama disastrato della politica italiana, emerge la figura di Silvio Berlusconi, magnate televisivo sceso in politica per combattere un’anacronistica battaglia contro il “comunismo” appena dissoltosi. L’Italia, che di fatto era stata in regime mono-partitico sin dal 1945, scivola così verso un estenuante, velenoso e inconcludente bipolarismo, che dissipa ogni energia costruttiva e permette alla finanza anglosassone e francese di saccheggiare indisturbata le industrie e le ricchezze italiane. Il clima di paralizzante “guerra civile” che imperversa per un ventennio è alimentato da testate anglosassoni come The Economist o Financial Times e da movimenti di esplicita origine inglese come “i Girotondi”. Berlusconi ed il suo “alter ego” Prodi conducono una politica estera che rispecchierebbe gli interessi italiani, ma è costruita sulla sabbia e manca di qualsiasi solidità per resistere agli assalti avversari. I “capolavori” di Berlusconi (il trattato d’amicizia italo-libico del 2009 e l’accordo con Russia e Turchia, sempre del 2009, per la costruzione del South Stream), sono destinati ad essere travolti dal corso degli eventi e a sparire senza rumore.

Il 2011 costituisce uno anno chiave nel processo di disfacimento della potenza italiana. Grazie alla speculazione che si accanisce contro i Btp e alla “lettera” inviata da Mario Draghi, presidente in pectore della BCE, Berlusconi è defenestrato da Palazzo Chigi e, al suo posto, subentra una figura degli ambienti anglofili del Britannia: Mario Monti. Si noti che l’intera operazione è presentata dalla stampa come una manovra tedesca e di Deutsche Bank, così da seminare discordia tra Italia e Germania, quando invece la regia è tutta anglosassone e francese. In Libia, oggetto di un attacco della NATO sull’onda delle “Primavere Arabe”, Gheddafi è ucciso ed il governo centrale distrutto, senza alcuna intenzione di sostituirlo con uno nuovo. Il triangolo Italia-Libia-Russia è infine spezzato e, ad un’attenta analisi, è una perdita anche per la Germania che, al consiglio di sicurezza dell’ONU, ha rotto il fronte occidentale, astenendosi dal voto sull’intervento militare contro Tripoli. La naturale convergenza geopolitica tra Italia e Germania è testimoniata dalle iniziative speculari che i due Paesi portano avanti: al South Stream italiano (mai realizzato) corrisponde il North Stream tedesco che Berlino, sfidando gli anglosassoni, conta addirittura di raddoppiare. Ai legami sempre più stretti tra Germania e Cina, corrisponde l’adesione formale dell’Italia, nel 2017, alla Nuova Via della Seta.

Attorno al 2020, lo scenario internazionale, le cui radici affondano nel 1992, è ormai maturato secondo le linee geopolitiche in gran parte previdibili e previste. La Cina è emersa come la principale “minaccia” alla civiltà anglosassone (come calcolato da qualsiasi scenarista o stratega anglosassone già sul finire degli anni ‘80); la Russia ha evitato la dissoluzione auspicata dagli anglosassoni tra il 1998 ed il 2001 e, in quanto potenza “revisionista”, umiliata in ogni modo dall’Occidente (avanzamento della NATO sino alle sue porte, aggressioni occidentali in Libia e Siria, rivoluzione colorata in Ucraina del 2014) cerca la cooperazione con la Cina in funzione anti-anglosassone. La Germania riunificata, come temuto da Londra che ne avrebbe infatti impedito volentieri la riunificazione, ha ripreso la sua “Drang nach Osten” stringendo legami sempre più forti con Russia e Cina. L’Italia, potesse condurre la propria politica estera senza restrizioni, seguirebbe il percorso tedesco. Insieme alla Turchia, che si sta sempre più allontanando dalla NATO, Germania e Italia costituirebbero così una pericolosissima fascia nel Rimland euroasiatico, in grado di espellere gli anglosassoni attraverso la collaborazione con Russia e Cina. Una potenziale alleanza tra “revisionisti” in grado di ribaltare l’ordine mondiale.

Il mondo, in sostanza, è ormai maturo per una nuova guerra mondiale. Nei primi mesi del 2020 divampa l’epidemia di Coronavirus, che accelera la decadenza della globalizzazione già visibile da anni, scardina intere filiere e catene logistiche, provoca un’impennata dei debiti pubblici a livello mondiale. L’Italia è ed è a lungo rappresentata come uno dei principali focolai a livello mondiale dell’epidemia. In questo quadro, si consuma l’ultimo atto della collaborazione russo-italiana: nella primavera del 2020 i russi, che conosco l’origine anglosassone del virus e ne avrebbero avuto conferma nei laboratori batteriologici americani rinvenuti in Ucraina, inviano una missione militare in Nord Italia per studiare l’epidemia. Nel frattempo il debito pubblico italiano macina nuovi record e la situazione politica si fa sempre più instabile: nel gennaio 2021, Mario Draghi è chiamato alla presidenza del consiglio. Sono passati quasi trent’anni dalla sua gita sul Britannia, e nel frattempo l’ex-protetto di Beniamino Andreatta ha ricoperto la carica di vice-presidente di Goldman Sachs Europe e di direttore della Banca Centrale Europea. I media presentano Draghi come “l’uomo della provvidenza”, l’unico in grado di salvare l’Italia dalla peggior crisi del dopoguerra. In realtà, la funzione di Draghi è proprio quella di portare a termine il processo di disfacimento dell’Italia iniziato nel 1992.

Come prima mossa, Draghi allontana l’Italia dalla Germania e l’avvicina alla Francia, facilitando l’operazione di conquista economica-finanziaria-militare da parte di Parigi insita nel processo di indebolimento del Paese e sancita dal Trattato del Quirinale siglato da Macron e dello stesso Draghi nel novembre 2021. Quindi, quando nei primi del 2022 gli anglosassoni scatenano la guerra russo-ucraina dopo anni di provocazioni ai danni di Mosca, Draghi compie il passo successivo: l’Italia rompe i suoi tradizionali canali di collaborazione con la Russia, adotta la stessa retorica bellicista degli anglosassoni ed invia armi per alimentare il conflitto. Così facendo, Draghi scava la fossa all’Italia stessa, che perde un mercato, vede schizzare alle stelle la propria bolletta energetica e rischia, insieme alla Germania, una crisi energetica dagli effetti devastanti. La guerra russo-ucraina alimenta poi quell’inflazione che, attraverso la stretta monetaria ed il rialzo dei tassi, si rivelerà presto letale per le finanze italiane e l’eurozona nel suo complesso.

Sono passati trent’anni esatti dal 1992: l’analisi di Andreotti sulla strettissima interconnessione tra Russia e Italia si è rivelata corretta. La prima è impegnata in una dura guerra per procura con gli anglosassoni in Ucraina mentre la seconda, non appena Draghi avrà lasciato Palazzo Chigi dopo aver portato il debito pubblico italiano oltre i livelli di guardia, sarà spinta alla bancarotta. In Libia, dove gli inglesi alimentano la divisione tra Cirenaica e Tripolitania, imperversa ancora l’anarchia a distanza di undici anni dalla morte di Gheddafi. Non più felice è il quadro della Germania, che subisce attacchi sempre più espliciti per il suo scarso ardore anti-russo, rischia di pagare a carissimo prezzo l’interruzione delle forniture di gas russo e inizia a percepire i rischi di un nuovo accerchiamento anglo-franco-polacco. Sullo sfondo, infine, si staglia minacciosa la guerra nel Pacifico tra anglosassoni e cinesi: è facile intuire quale sarebbe oggi la posizione di socialisti come Bettino Craxi e Gianni De Michelis, che intrattenevano rapporti privilegiati con Pechino.

Il 23 maggio 1992, esplodeva a Capaci la bomba che uccideva Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti di scorta. Chi avrebbe detto che, esattamente trent’anni dopo, l’Italia sarebbe stata alla vigilia di una gravissima crisi finanziaria ed il mondo sull’orlo di una nuova guerra egemonica? Eppure è tutto logico, consequenziale, quasi evidente. La persona di Mario Draghi segna l’inizio e la fine di questo ciclo di “disfacimento” dell’Italia, che è comprensibile solo analizzando il quadro internazionale nel suo complesso.

Federico Dezzani

20/05/2022

Strage di Capaci, 30 anni dopo: un affresco internazionale | Federico Dezzani – Blog

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