Ci sono due cose che in questo momento drammatico mancano per combattere efficacemente il governo Draghi e la politica di guerra che lo caratterizza: un forte partito di opposizione e la strutturazione di un movimento che sappia efficacemente combattere contro il coinvolgimento dell’Italia nell’avventura Ucraina e nelle sanzioni.
Le due cose sono ovviamente in relazione. Ma mentre alla mancanza di un forte partito di opposizione non si può ovviare improvvisando qualche partito virtuale, la costruzione di un movimento organizzato contro la guerra è una necessità che va assolutamente colta se non vogliamo che il governo della guerra espresso dal trio Draghi – Guerini – Di Maio possa valersi delle debolezze di chi non è capace di rispondere in modo adeguato, utilizzando le contraddizioni che si sono aperte, sulla base delle quali, tenendo conto di sondaggi consolidati, viene fuori che una maggioranza di italiani è contro la guerra nonostante la propaganda di regime che bombarda gli italiani di notizie false, servizi televisivi e giornalisti megafoni della propaganda filo-ucraina organizzata dagli americani e dalla Nato.
Chiariamo subito che cosa intendiamo per “partito della Pace”.
A questo proposito è bene chiarire, che ci sono soggetti a caccia di voti che tendono a far credere che si possa inventare un partito per raccogliere la spinta di chi non vuole la guerra. Sarebbe come cominciare a costruire un edificio partendo dal tetto. Non è che manchino personaggi anche abbastanza conosciuti che si sono pronunciati contro la guerra, ma questo non basta a garantire la credibilità e un risultato di rilievo se non a determinate condizioni. Per questo se parliamo di partito della Pace dobbiamo mettere bene in chiaro quello che intendiamo.
Il partito della Pace è in primo luogo il risultato di una crescita unitaria e militante di quel grande settore di italiani che, sia pur in maniera confusa, sente la necessità di uscire dal tunnel della guerra e della crisi economica. Questo settore però non ha ancora una sua identità, non si sente il popolo della pace e di fronte alla drammaticità degli eventi rimane sommerso in un mare di angoscia e di rassegnazione. “Partito della Pace” significa portare il popolo che rifiuta la scelta di Draghi a organizzarsi e rendersi protagonista di uno scontro dal cui esito dipendono le condizioni di vita e il futuro degli italiani. Questa è la sfida che ci attende se vogliamo incidere sulla situazione.
Come lavorare in questa direzione?
In primo luogo bisogna riconvertire a un lavoro di massa contro la guerra certi settori ancora minoritari. La cattiva abitudine di coinvolgere solo gli addetti ai lavori ha lasciato fuori dalla partecipazione al movimento la gran parte di quelli che sono contro la guerra, magari per mancanza di chiarezza sugli obiettivi, ma anche per lo stile avanguardistico di quelli che finora si sono pronunciati contro la partecipazione alla guerra decisa da Draghi e dalla sua maggioranza di governo.
Per costruire il partito della Pace bisogna puntare su tre cose: una capacità di far crescere l’opposizione contro i partiti della guerra, stabilire un rapporto con quelli che andando a fare la spesa trovano tutto aumentato a partire dai beni di prima necessità e spingerli a protestare contro le sanzioni che ne sono la causa e infine aprire un discorso coi lavoratori sul rapporto tra guerra, inflazione e salari.
Questi sono i passaggi che stanno di fronte a noi e non ci sono scorciatoie. In sostanza il partito della Pace deve :
– saper condurre una campagna sistematica contro i partiti della guerra a partire dal PD e da FdI, indebolirli di fronte ai loro elettori in quanto sono la punta dell’atlantismo e dell’interventismo in Ucraina. E’ vero che le decisioni sono di Draghi, ma il capo del governo non ha un suo partito e sono invece i partiti della Meloni e di Letta che rappresentano la spinta più decisa alla guerra e questi partiti devono essere chiamati in causa di fronte a chi li vota, dalle attuali amministrative fino alle politiche del 2023.
– intervenire nei posti di lavoro per spingere alla mobilitazione non solo contro la guerra ma legando questa mobilitazione alle rivendicazioni salariali a fronte di un’inflazione galoppante. Il discorso ai lavoratori è a tutto campo nel senso che non solo li si invita a chiedere aumenti salariali, ma anche a chiamare in causa i sindacati che hanno il monopolio della contrattazione per l’inerzia dimostrata fino ad ora sia rispetto alla guerra che all’adeguamento salariale. Non dimentichiamoci che in Europa in questi anni i salari sono aumentati del 30% mentre in Italia sono diminuiti! E sappiamo di chi è la responsabilità.
– organizzare con strutture permanenti l’intervento nei territori a partire dai mercati e supermercati per raccogliere la protesta di chi deve fare i conti col continuo aumento dei prezzi, in particolare quello dei beni di prima necessità.
Aginform
7 giugno 2022