Lista di proscrizione. Negli Usa sapevano 2 settimane prima del Corriere?

Il 5 giugno il Corriere della Sera sbatte in prima pagina i nomi e le foto di nove persone che, secondo un misterioso rapporto del Copasir, farebbero parte di una fantomatica “rete di Putin in Italia” che avrebbe l’obiettivo di “condizionare, orientare l’opinione pubblica o peggio, boicottare le scelte del governo”.

Ho definito fantomatica questa rete in quanto sia io che le altre persone citate nell’articolo ne facciamo parte a nostra insaputa, senza conoscerci, senza avere contatti tra di noi e tantomeno con il Cremlino. Ma la cosa non deve stupire: da tempo l’informazione ha lasciato posto alla narrazione e alle sue strategie retoriche. Perché sia convincente basta che venga diffusa da canali “autorevoli”, quelli con il bollino blu. Qualsiasi rapporto con la realtà è puramente casuale.

Ma forse non è casuale che, in linea con la tradizione del romanzo spionistico, si sia deciso di sfruttare il topos della “femme fatale” per titillare l’immaginazione dei lettori. Nella rete descritta dall’articolo infatti ne figurano ben due: un’analista russa ed io, che lo divento per associazione in quanto scriverei per una «rivista online ricondotta al servizio di intelligence esterno russo Svr». Si impara sempre qualcosa di nuovo su se stessi… e su prestigiose riviste russe. Avendo passato gran parte della mia vita ad Hong Kong, sono sufficientemente sconosciuta in Italia perché mi si possa dipingere come agente speciale del Cremlino senza suscitare troppa ilarità.

Ma se l’articolo del Corriere sembra il frutto di un’inferenza abduttiva degna dei peggiori giornali scandalistici, la cosa ancora più preoccupante è che lo stesso tipo di logica fallace pervade anche il rapporto del Copasir che lo avrebbe ispirato. È oltremodo curioso che questo organo parlamentare di garanzia, deputato a controllare le attività dei servizi di sicurezza, abbia abdicato al suo compito per occuparsi invece delle opinioni di cittadini che nulla hanno a che fare con i servizi di intelligence.

Messo davanti a questa evidente incongruenza tra i suoi fini e le sue azioni, il Copasir in una nota ufficiale si affretta ad assicurare di “non aver mai condotto proprie indagini su presunti influencer e di aver ricevuto solo dopo la pubblicazione dell’articolo un report specifico”.

Forse per cercare di mettere fine alle polemiche si rende pubblico un rapporto del DIS dal titolo “Hybrid Bulletin”, a conferma che nei corridoi dei servizi di sicurezza italiani si parla inglese. Peccato che il testo menzioni solo due delle nove persone. Allora si tira fuori dal cappello la spiegazione che in realtà esisterebbero altri tre rapporti precedenti, tuttora coperti da segreto.

Ricapitolando, secondo la versione ufficiale, il DIS, che coordina le attività di AISI e AISE, insieme al Ministero degli Esteri avrebbe stilato questi rapporti riservati e il Copasir ne avrebbe presa visione solo dopo la pubblicazione della “lista dei putiniani” che ancora non si sa chi abbia passato al Corriere. State tranquilli: lo stesso Copasir ha avviato un’indagine per scoprire chi sia il responsabile di questa fuga di notizie. I giornalisti e i media italiani, tranne qualche rara voce indignata, sembrano soddisfatti di questa spiegazione e preferiscono occuparsi di altro.

Eppure questa spiegazione fa acqua da tutte le parti.

Basti pensare che il 20 maggio, piu’ di due settimane prima dell’uscita dell’articolo del Corriere, Politico, una testata americana che gode di ottimi rapporti con l’establishment, aveva pubblicato un pezzo intitolato “Infowars: Putin’s propaganda permeates Italian media” in cui denunciava l’atteggiamento definito troppo morbido dei media italiani nei confronti della Russia, accusandoli di dare la parola persino al ministro degli esteri russo Sergey Lavrov oltre che ad una schiera di “propagandisti al soldo di Putin”.

Dall’articolo si apprende che il Copasir avrebbe aperto “un’indagine sulla rete di disinformazione russa in Italia” la settimana precedente, quindi verosimilmente intorno al 10-15 maggio.

Avete capito bene, da settimane una rivista americana era a conoscenza di un’indagine che il senatore di Fratelli d’Italia Adolfo Urso, presidente del Copasir, afferma di aver appreso solo dal Corriere.

L’articolo di Politico contiene affermazioni degne di un rapporto della CIA redatto negli anni bui del Maccartismo: “L’Italia è vulnerabile alla disinformazione del Cremlino e un potenziale cavallo di Troia in Europa a causa dei legami storici con la Russia basati su forti rapporti economici e sul più grande partito comunista occidentale.” Vi prego, non ridete.

Politico, a parte queste sparate, è uno strumento utilissimo. Per informarsi su questo caso meglio andare alla fonte che cercare nello stagno. Da Politico infatti si apprende che sarebbe stato Andrea Romano, parlamentare del PD, a spingere il Copasir ad indagare sulla “rete di disinformazione russa” invece che a occuparsi dei suoi compiti istituzionali. Politico riporta queste parole di Romano: “La disinformazione fa parte della strategia militare russa, come hanno riscontrato le indagini di numerosi parlamenti europei. Il regime di Putin è molto efficace nella sua capacità di penetrare il dibattito democratico, confondere e creare dubbi. Sarebbe ingenuo chiudere gli occhi”.

Il presidente del Copasir, Adolfo Urso, colui che avrebbe saputo del dossier solo dal Corriere, a metà maggio spiegava a Politico che “la Russia ha deliberatamente preso di mira l’Italia in una guerra ibrida combattuta con fake news e disinformazione che inquina l’opinione pubblica. Dal 2016, almeno 13.000 casi di fake news sono stati documentati dalla task force dell’UE. L’obiettivo non è solo confondere, ma condizionare le scelte. L’Italia è sempre stata una sorta di terra di frontiera della Nato, parte dell’alleanza atlantica ma anche solidale alla Russia”.

Adolfo Urso sapeva del dossier a maggio, ma non a giugno. Cose che capitano.

L’articolo di Politico contiene anche altre informazioni importanti per capire dove potrebbe essere stata stilata la lista di proscrizione. La rivista cita uno studio dell’Institute for Strategic Dialogue (ISD) secondo il quale sui social media “l’Italia condivide più di altri paesi dei post che mettono in dubbio la credibilità delle immagini diffuse dai media mainstream riguardo alle atrocità russe a Bucha, con 8 post su 10 che fanno riferimento a quello di Toni Capuozzo.”

I media italiani, sempre secondo l’ISD, avrebbero denunciato l’uso di immagini prese da un gioco e spacciate per i sotterranei di Azovstal, il Fatto Quotidiano avrebbe addirittura pubblicato un articolo a tutta pagina contenente critiche a USA e UE che, apriti cielo, sarebbe stato inserito in un tweet dall’Ambasciata Russa in Italia.

Anche i talk show della tv italiana sarebbero una minaccia in quanto veicolo di disinformazione russa. Hai capito? Agli italiani non sembra, ma agli occhi di falco dell’ISD non sfugge nulla. Magari veicolano messaggi subliminali. Da domani mi metto a guardarli anch’io per essere sul pezzo.

Politico, a proposito dei talk show sovversivi cita Jacopo Iacoboni de La Stampa “Sono come un circo, ognuno fa la sua parte”, lasciano pure parlare persone come Alessandro Orsini (che infatti finisce nella “lista dei putiniani”). Carlo Fuortes, amministratore delegato della RAI, riconosce che bisognerebbe abbandonare questo format, i talk show infiammano troppo il dibattito. Il dibattito deve armonioso, senza voci fuori dal coro.

Ecco, visto che la narrazione ufficiale sul conflitto in Ucraina non ha incontrato il successo sperato tra gli italiani, nonostante la potenza di fuoco dei media mainstream, occorre correre ai ripari e usare le maniere forti per intimidire coloro che si ostinano a produrre contenuti non allineati. Da qui la necessità di compilare liste di proscrizione per screditare, isolare e mettere in pericolo i disobbedienti dopo averli accusati di essere agenti della propaganda russa.

Chi meglio dell’ISD (Institute for Strategic Dialogue) oscura società di consulenza britannica finanziata dal Dipartimento di Stato USA, altri paesi NATO e dai soliti “filantropi”? Infatti si mette a stilare liste che appaiono in vari paesi del patto atlantico più o meno negli stessi giorni in cui appare quella che mi vede coinvolta. La rete televisiva americana NBC cita direttamente il rapporto dell’ ISD come fonte quando accusa giornalisti anglofoni che da anni seguono il conflitto in Donbass di essere “produttori di contenuti per il Cremlino”.

A questo punto credo si possa giungere alla conclusione che l’attacco alla libertà di espressione in Italia sia stato ordinato oltreconfine ed eseguito, con l’aiuto di organizzazioni straniere, da chi deve la propria fortuna politica e professionale alla genuflessione rituale davanti agli interessi atlantici. Ma se questa conclusione non vi convince, chiedete pure al Copasir. Magari ha una spiegazione migliore della mia.

Laura Ruggeri

15/06/2022

Lista di proscrizione. Negli Usa sapevano 2 settimane prima del Corriere? – OP-ED – L’Antidiplomatico (lantidiplomatico.it)

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