La scissione del movimento 5 stelle annunciata dal ministro degli esteri Di Maio nella notte del 21 giugno è stata accolta calorosamente dai principali media, come una manna caduta dal cielo sulla testa del governo Draghi. Luigi Di Maio, se n’è andato portandosi dietro un folto gruppo di parlamentari (50 deputati e 10 senatori), battezzando questo nuovo aggregato politico “Insieme per il futuro ”. Certamente l’esigenza di garantirsi il proprio futuro è stato uno dei motori che ha acceso la fuga del Ministro degli esteri, condannato ad uscire di scena per il limite del doppio mandato e per la sua rivalità insuperabile con l’attuale capo politico dei 5 stelle. Tuttavia sarebbe sbagliato inquadrare questa scissione nei fenomeni di trasformismo che agitano la vita parlamentare italiana e sarebbe impietoso il richiamo alle regole implacabili del Movimento 5 Stelle in materia di vincolo di mandato e di fedeltà “obbligatoria” alla bandiera sotto la quale si è stati eletti. Queste regole si sono rivelate di cartapesta – e non poteva essere diversamente – perché non si può tenere unito un gruppo politico se gli eletti non condividono una cultura comune, una comune visione del futuro ed un comune senso del proprio ruolo. Il problema è squisitamente politico in quanto attiene all’orientamento dell’Italia nello scenario internazionale in una fase storica di sconvolgimenti dell’ordine internazionale inimmaginabile fino a qualche mese fra.
Il nostro paese è sempre stato stretto nella morsa della NATO che, in varie epoche e con diverse modalità ha esercitato una sorta di tutela sulle scelte essenziali dell’Italia. Basti pensare al ruolo dell’USPA (Ufficio di sicurezza del Patto Atlantico) che dal 1949 selezionava i funzionari civili e militari dello Stato italiano sulla base del tasso di “fedeltà atlantica”, oppure al patto segreto stipulato fra il SIFAR e la CIA il 26 novembre del 1956 che ha dato vita ad una struttura armata segreta (Gladio) che, per oltre trent’anni, ha “vigilato” sulla nostra sicurezza interna. Per non parlare dello “zampino” della NATO nelle varie stragi che hanno insanguinato l’Italia nell’epoca della strategia della tensione (1969-1980). Finita la guerra fredda, la morsa si è parzialmente allentata, Gladio è stata sciolta e si sono arrestate le pratiche discriminatorie. Ma è stata solo una tregua, la NATO ha rilanciato la sua vitalità, uscendo fuori dai confini del Patto atlantico e ritagliandosi un nuovo ruolo a partire dalla crisi dei Balcani. In questo contesto è venuta fuori l’esigenza di stringere nuovamente la morsa del controllo politico sull’Italia, trattandosi di una pedina imprescindibile per il programmato intervento armato contro la Jugoslavia. Senza l’adesione convinta dell’Italia, infatti, la guerra non avrebbe potuto nemmeno essere programmata. Senza l’uso illimitato delle basi italiane e la cooperazione del dispositivo militare italiano, la NATO non avrebbe mai potuto impiegare la geometrica potenza delle sue armi contro la Jugoslavia. La partita politica che si è giocata per giungere al “battesimo del fuoco” da parte della NATO è avvenuta intorno alla collocazione internazionale del nostro paese.
A questo riguardo bisogna ricordare che durante le infuocate vicende della guerra in Bosnia, per la decisa posizione assunta all’Italia, durante il Governo Dini, fu ribadito che la NATO non aveva legittimità a ricorrere a misure comportanti l’uso della forza senza la preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, come del resto prevede la Carta delle Nazioni Unite. Questa posizione assunta dal Governo Dini fu ereditata dal Governo Prodi e lo stesso Dini, come ministro degli esteri la mantenne in piedi, come posizione ufficiale della Farnesina, in dichiarazioni pubbliche e comunicati stampa, fino al settembre del 1998. Nel corso della primavera, dell’estate e del mese di settembre del 1998 si sviluppò un dibattito sulla possibilità che la NATO intervenisse militarmente nel Kosovo, anche in assenza di una formale autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza. Tale dibattito nascondeva un conflitto politico durissimo fra Stati Uniti e Gran Bretagna, che sostenevano la tesi della legittimità del ricorso alla forza, e l’Italia che continuava ad opporsi. E’ sorta a quel punto per l’Alleato americano l’esigenza di provocare un mutamento di Governo in Italia per ottenere una maggioranza più omogenea alle esigenze belliche della NATO, sostituendo Rifondazione comunista con forze più devote all’atlantismo. In questa prospettiva venne attivato il più autorevole dei terminali della CIA nel sistema politico italiano, l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, l’uomo di Gladio. Cossiga, che fino all’inizio del 1998 aveva svolto un ruolo di tutore del centro-destra, improvvisamente cambiò strada ed intraprese una operazione politica in virtù della quale riuscì a staccare una frazione di deputati e senatori dal centro destra, fondando l’Udeur, con il dichiarato scopo di far nascere una nuova maggioranza politica che sostituisse quella basata sull’alleanza dell’Ulivo più Rifondazione e guidata da Prodi. Tale operazione, che fu banalizzata come se fosse una manifestazione del peggiore costume trasformistico italiano, aveva un preciso obiettivo politico: quello di provocare un mutamento della posizione internazionale dell’Italia per ottenere la legittimazione della NATO al ricorso alla guerra, come strumento della politica di potenza americana. Tale operazione riuscì perfettamente per l’insipienza della sinistra italiana ed al governo Prodi, battuto alla Camera il 9 ottobre 1998, successe, un nuovo esecutivo, guidato da D’Alema, con la missione di consentire l’attacco della NATO alla Jugoslavia, che si sarebbe materializzato il 24 marzo 1999.
La conferma che le cose andarono proprio così è venuta da uno dei protagonisti di questa vicenda, l’ex ministro della Difesa, Carlo Scognamiglio, il quale sul Foglio del 4 ottobre 2000 ci ha fatto sapere che, per fare la guerra, è stato necessario cambiare governo in Italia. Polemizzando con James Rubin, l’ex portavoce di Madeleine Albright, Scognamiglio dichiarò testualmente:
“A Rubin sfugge che in Italia avevamo dovuto cambiare governo proprio per fronteggiare gli impegni politici-militari che si delineavano in Kosovo… Prodi ad ottobre aveva espresso una disponibilità di massima all’uso delle basi italiane, ma per la presenza di Rifondazione nella sua maggioranza non avrebbe mai potuto impegnarsi in azioni militari. Per questo il senatore Cossiga ed io ritenemmo che occorreva un accordo chiaro con l’on. D’Alema” In che cosa consisteva questo accordo? “Due parti. La prima era il rispetto dell’impegno per l’euro (.) la seconda era il vincolo di lealtà alla NATO: l’Italia avrebbe dovuto fare esattamente ciò che la NATO avrebbe deciso di fare.”
L’operazione Udeur nel 1998 determinò la nascita di un gruppo politico funzionale alla NATO per consentirle di condurre l’attacco contro la Jugoslavia, punto di inizio della nuova guerra fredda che ci ha portato alla situazione attuale.
La scissione provocata da Di Maio è un’operazione simile a quella realizzata da Cossiga. In un contesto in cui si prospetta una guerra di lunga durata che, a prescindere dal pericolo di un’ulteriore escalation, sta portando conseguenze negative per tutti, è importante per la NATO assicurarsi la massima “fedeltà” dei paesi membri. Quando il consenso di una importante forza politica, come il Movimento 5 stelle, sull’invio delle armi in Ucraina ha cominciato a tentennare, quale occasione migliore per un mediocre uomo politico come Luigi Di Maio, per guadagnarsi i galloni della fedeltà atlantica e rafforzare la linea atlantista ad oltranza del Presidente del Consiglio?
Questa vicenda dimostra quanto sia profonda la stretta della NATO sul sistema politico italiano ma, se si rovescia la prospettiva, dimostra che l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante nelle relazioni internazionali se solo trovasse il coraggio di liberarsi della tutela USA e NATO.
Domenico Gallo (magistrato)
(articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 29 giugno con il titolo: Con Di Maio è nato un mini Cossiga)