Ieri Massimo Franco (Corriere della Sera) spiegava con la consueta pacatezza come il governo in Italia non può più tornare nelle mani del parlamento.
Dopo Draghi c’è solo Draghi o un “commissariamento estero”.
Ecco questa libidine autoritaria che pervade le èlite finanziarie e i loro galoppini è oramai manifesta da anni e non suscita più neppure un tremito di sopracciglio.
Allarghiamo un momento lo sguardo.
Il meccanismo messo in campo dagli anni ’90 verso la politica democratica è stato il medesimo adottato verso l’economia statale.
In una prima fase si tolgono progressivamente tutti gli elementi legislativi e le risorse che la rendono funzionale; in seconda istanza, i media avviano una pubblica lamentazione intorno alla loro disfunzionalità; in terzo luogo si procede alla loro privatizzazione.
Nel caso del potere politico la “privatizzazione” corrisponde alla decurtazione della partecipazione democratica e la sua sostituzione con un autoritarismo tecnocratico (incidentalmente, formula di governo supportata dal blocco GEDI-Corriere da anni).
La distruzione del modello democratico inizia negli anni ’90.
Prima di allora c’era stata comunque in Italia una forte limitazione dei processi democratici, con la conventio ad excludendum nei confronti del PCI, ma i processi democratici erano comunque riusciti a prendere piede.
Qualcuno si illudeva che la nostra democrazia limitata fosse una sciagurata conseguenza dell’avere un forte partito con affiliazioni oltre cortina, ma con la scomparsa del PCI si è visto che quel poco di democrazia che avevamo visto dopo il 1945 lo si era avuto non NONOSTANTE, ma proprio PERCHE’ c’era una lotta interna con forte polarizzazione ideologica e geopolitica. Per limitarne la dinamica dovettero inventare la strategia della tensione, ma comunque per alcuni decenni i margini di partecipazione erano cresciuti e le condizioni dei lavoratori, e dei cittadini tutti, erano migliorate.
Ma con il venire meno del PCI tutti i partiti (tranne la Lega, che nasceva allora e che partecipava ancora della coda delle forme politiche della Prima Repubblica) iniziarono un processo di disintermediazione e di disimissione delle loro radici territoriali e popolari.
Ricordo il mitico Veltroni (riaffiora ancora questo ricordo agghiacciante) spiegare in TV con caratteristica sicumera che la modernità esigeva “partiti leggeri”. Così le sedi di partito vennero vendute e al loro posto, molto comodamente, senza doversi più alzare dal divano, il cittadino-elettore poteva fruire dei politici che gli arrivavano in casa in forma di Show-men/-women nei Talk Show.
Il processo era tuttavia solo agli inizi.
A seguire, in rapida successione si procedette con l’eliminazione delle preferenze elettorali, con l’eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti, con l’apertura al finanziamento privato della politica, con la soppressione dell’accesso al 2 x 1000 per i partiti di nuova formazione, con la riduzione del numero dei parlamentari, ecc.
Tutto ciò ha prodotto un crescente scollegamento del ceto politico rispetto alla popolazione, e al contempo ha imposto meccanismi di selezione del ceto politico sul modello del “Beauty contest”, tarando la scelta su chi veniva presentato dai media in modo politicamente più fotogenico.
La naturale conseguenza è stata un deterioramento del ceto politico, e questo ha permesso agli stessi che avevano spiegato la necessità di “ridurre il peso della politica” (erano gli anni ruggenti della rivoluzione neoliberale) di iniziare a lamentarsi di quanto la politica fosse oramai inetta.
Oggi siamo alle ultime battute del dramma.
Dopo aver rimbecillito mediaticamente i cittadini e dopo aver dequalificato e sfibrato la politica parlamentare, da tempo assistiamo a cicliche spallate che devono sopprimere le ultime resistenze e condurre all’esautoramento ultimo della voce del “δῆμος” nella “κρατία”.
C’è chi è disposto a vedere in questo processo qualcosa di fatale e forse persino benigno. Dopo tutto la democrazia è sempre stata un esperimento difficile, una forma istituzionale delicata, forse era tempo che il circolo si chiudesse e che si ritornasse ad una forma di potere autocratico (come è stato in prevalenza per millenni).
Purtroppo questa versione in qualche modo consolante è priva di fondamento.
Non c’è nessun ritorno indietro della storia.
Non c’è nessun circolo che si chiude.
La democrazia era nata dopo la Rivoluzione Francese come rimedio, come reazione collaterale (voluta soprattutto dai socialisti nella seconda metà dell’800) ad un cambiamento epocale nelle gerarchie di potere: con l’emergere delle forme di produzione capitaliste il potere economico era divenuto centrale nella gestione del potere, anche politico, e la democrazia era la risposta alla tendenza a sostituire accentramenti di potere a base ereditaria (nobiltà) con accentramenti di potere a base capitalistica (concentrazioni, trust, corporations).
Oggi, se il modello democratico appassisce ulteriormente e dissecca, esso non verrà sostituito né da un feudalesimo a base teocratica, né da monarchie ereditarie, né da principati affidati a condottieri vittoriosi, né da niente di simile.
A sostituirlo sarà qualcosa di inedito: un’autocrazia fondata sul potere finanziario e tecnologico, un governo autoritario le cui motivazioni traninanti non saranno né religiose, né politiche, né etiche, ma dipendenti da una visione che combina l’astrazione dell’interesse finanziario in un’astrazione al quadrato con una concezione dove il potere è l’ultimo dio, e il potere è la tecnologia.
Lungi da me idealizzare governi autoritari a matrice religiosa, etica o politica, e tuttavia tutte queste forme di governo avevano un limite interno al proprio dominio, che ne circoscriveva i danni possibili. Erano tutti sistemi guidati di principio da una visione organica ed ideale del mondo, una visione cui i regnanti venivano preparati, una visione paternalistica ma perciò anche responsabilizzante, una visione che veniva percepita anche come criterio di legittimazione a detenere il potere.
Ciò che ci aspetta se ciò che resta della democrazia sarà spento e sostituito dai nuovi modelli di autocrazie tencofinanziarie è un mondo nuovo, un mondo dove l’esercizio del potere non conoscerà limiti di principio, un mondo in cui il posto legittimo per chi non è parte dell’èlite potrà essere solo quello delle mucche da latte o da macello.
Andrea Zhok
10/07/2022