Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo documento critico sulle modalità in cui è stata gestita la crisi sanitaria legata al Covid-19. All’insegna del pluralismo informativo e del dissenso informato
Prime firme:
Sara Gandini (epidemiologa biostatistica), Mariano Bizzarri (oncologo e saggista), Emilio Mordini (medico psicoanalista e filosofo), Fabrizio Tuveri (medico), Maurizio Rainisio (matematico statistico), Marilena Falcone (ingegnere biomedico), Maria Luisa Iannuzzo (medico legale), Elena Flati (biologa nutrizionista e farmacista), Clementina Sasso (astrofisica), Ugo Bardi (chimico).
Sottoscritto da:
Massimo Cacciari e la Commissione Dubbio e Precauzione, Elena Dragagna (giurista), Gilda Ripamonti (giurista), Maria Sabina Sabatino (storica dell’arte), Guglielmo Gentile (giornalista), Remo Bassini (giornalista), Luciana Apicella (giornalista), Francesca Capelli (sociologa e insegnante), Ludovica Notarbartolo (libraia), Thomas Fazi (Giornalista e saggista), Francesca Gasparini (Studiosa di performance e docente di musica).
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In base alle conoscenze disponibili all’inizio della pandemia era difficile capire quali scelte sarebbero state più efficaci. Oggi si possono valutare tali scelte, e individuare quelle sbagliate. Vinayak Prasad, ematologo-oncologo e professore associato di Epidemiologia e Biostatistica presso l’Università della California, ha stilato recentemente un elenco degli errori commessi durante la pandemia. Noi abbiamo preso spunto dallo stesso e questo è il nostro punto di vista anche rispetto all’Italia partendo dalle evidenze scientifiche attuali:
Gabriel Rockhill: La CIA e l’anticomunismo della Scuola di Francoforte
La CIA e l’anticomunismo della Scuola di Francoforte
Gabriel Rockhill*
I fondamenti dell’impianto teorico globale
La teoria critica della Scuola di Francoforte è stata, insieme alla teoria francese, uno dei prodotti più caldi dell’industria teorica globale. Insieme, esse fungono da fonte comune per molte delle forme di critica teorica di tendenza che attualmente dominano il mercato accademico del mondo capitalista, dalla teoria postcoloniale e decoloniale alla teoria queer, all’afro-pessimismo e oltre. L’orientamento politico della Scuola di Francoforte ha quindi avuto un effetto fondante sull’intellighenzia occidentale globalizzata.
I luminari della prima generazione dell’Istituto per la Ricerca Sociale – in particolare Theodor Adorno e Max Horkheimer, che saranno al centro di questo saggio – sono figure di spicco di quello che viene definito marxismo occidentale o culturale. Per coloro che hanno familiarità con il riorientamento di Jürgen Habermas dal materialismo storico nella seconda e poi nella terza generazione della Scuola di Francoforte, questo primo lavoro rappresenta spesso una vera e propria età dell’oro della teoria critica, quando essa era ancora – anche se forse passiva o pessimista – dedicata in qualche modo alla politica radicale. Se c’è un fondo di verità in questo assunto, è solo nella misura in cui la prima Scuola di Francoforte viene paragonata alle generazioni successive che hanno rifatto della teoria critica un’ideologia radicalmente liberale, o anche solo palesemente liberale. [1] Tuttavia, questo punto di paragone pone l’asticella troppo in basso, come accade ogni volta che si riduce la politica alla politica accademica. Dopo tutto, la prima generazione della Scuola di Francoforte ha vissuto alcuni degli scontri più catastrofici della lotta di classe globale del XX secolo, quando si combatteva una vera e propria guerra mondiale intellettuale sul significato e sul senso del comunismo.
Alfonso Gianni: La guerra a perdere
La guerra a perdere
di Alfonso Gianni
Primo Levi conclude la sua splendida trilogia sul sistema concentrazionario con alcune semplici e definitive parole, prive di retorica quanto gravide di verità: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”.1 L’Autore si riferisce in particolare al fatto, fino a quel momento incredibile, di un intero popolo civile che ai accoda a un istrione criminale. Tuttavia non è una forzatura intendere il senso delle sue parole in modo più ampio. “L’avvenimento fondamentale e inaspettato è avvenuto, fondamentale appunto perché inaspettato”. E il pensiero, in questi tempi, non può evitare di correre ad un altro avvenimento “fondamentale”: lo scoppio della bomba atomica a Hiroshima e a Nagasaki. Se i paragoni, storicamente del tutto discutibili ma capaci di suscitare emotività, fra Putin ed altri dittatori del secolo scorso e ancora più in là, si sprecano per quantità sui mass media, la riflessione e l’avvertimento sul pericolo di una guerra nucleare è invece ancora sottotraccia, e quando viene evocato è per sottolinearne l’estrema improbabilità o addirittura la impossibilità del suo concreto verificarsi. Eppure “é accaduto, quindi può accadere di nuovo”.
La cultura del Manifesto di Ventotene
La percezione di questo pericolo era sicuramente più viva negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta che non al tempo d’oggi. La cultura del Manifesto di Ventotene aveva diffuso e lasciato i suoi fruttiferi semi, almeno per allora, ben al di là dell’alveo culturale in cui era nata.
Pierluigi Fagan: “Weird Shit happens in a War”?
“Weird Shit happens in a War”?
di Pierluigi Fagan
Ricorderete un recente post riferito alle dimissioni di Boris Johnson, in cui davo evidenza ad un tweet dell’ex Chief advisor del Primo Ministro britannico, D. Cummings. Sosteneva il tipo di non credere più di tanto alle dimissioni di BJ che però rimaneva in carica fino a sostituzione: “cose strane accadono in guerra”, a dire che la guerra in Ucraina avrebbe sempre potuto prender una svolta inaspettata ed improvvisa che poteva portare a ripensare la situazione.
Non so dirvi se quella di Cummings fosse una semplice freccetta avvelenata verso il suo ex-capo che poi lo licenziò in maniera un po’ brutale o se Cummings si riferiva a voci che giravano in certi ambienti londinesi.
Scorrendo le notizie, si presenta però una catena inferenziale di cui forse è bene esser consapevoli.
Oggi 17 luglio: lancio 16.40, Dimitry Medvedev afferma che “in caso di attacco alla Crimea, l’Ucraina dovrà affrontare il giorno del giudizio” (fonte Ria Novosti).
Giorni scorsi: fonti ucraine avanzano l’idea che con i nuovi sistemi missilistici forniti dagli USA, potrebbero arrivare a colpire la Crimea o addirittura il ponte strategico che la collega alla Russia.
Andrea Zhok: Forza Mario!!
Forza Mario!!
di Andrea Zhok
In un paese dove gli ospedali sono oramai allo stremo anche per un raffreddore, dove non si fa più manutenzione di strade o ferrovie, dove la polizia non ha benzina per le volanti, dove si attende la fine dell’emergenza siccità solo per aprire l’emergenza dissesto idrogeologico, dove una popolazione sull’orlo di una crisi di nervi si aggira spettrale con la mascherina nei parchi pubblici e nelle spiagge, è giunto il momento di appellarsi al cervello e al cuore del nostro premier.
Mario, mettiti una mano sulla coscienza:
è davvero questo il paese che vuoi lasciare ai pensionati americani?
IL CAPITANO e la Concordia….ovvero l’inchino e i prostrati
L’impressione rispetto al balletto istituzionale di ieri è straniante.
Quel che resta del M5S, dopo aver visto gli ultimi sondaggi, è stato attraversato da un piccolissimo sospetto e si è immaginato a breve in compagnia degli stegosauri, nella compagine degli organismi estinti.
comidad: La NATO destabilizza se stessa
La NATO destabilizza se stessa
di comidad
Il giornalista Federico Rampini rappresenta il modello ideale dell’italiano, infatti si è preso la cittadinanza americana, il che gli conferisce uno status, un rango particolare. Da questa condizione di privilegio morale e geografico può dedicarsi senza rischi allo sport nazionale, cioè istigarci alla guerra civile, in questo caso contro i “putiniani”, che secondo Rampini sarebbero in Italia un partito “immenso”. Le incongruenze del messaggio sono dissimulate con la tipica retorica suggestiva in cui si alternano moralismo e cinismo per confondere le acque. Non a caso Rampini prima predica ossessivamente che l’Occidente dovrebbe liberarsi dei suoi sensi di colpa verso il proprio passato coloniale, poi si indigna a morte se la Russia continua a considerare l’Ucraina come una propria colonia e non come una colonia USA. Il problema è che il colonialismo occidentale non è mai “passato”, quindi è una balla che l’Occidente si senta in colpa, semmai è solo ipocrisia. L’ultimo mantra che Rampini ci impone è che l’accordo con l’altro autocrate, il dittatore turco Erdogan, sarebbe giustificato dalla priorità in campo, che oggi vede Putin come maggiore pericolo; ciò allo stesso modo in cui Roosevelt si alleò con il diavolo Stalin contro Hitler.
Giorgio Ferrari: Questa transizione energetica “non s’ha da fare”
Questa transizione energetica “non s’ha da fare”
di Giorgio Ferrari
Ricordate lo slogan siamo ancora in tempo che qualche anno fa riassumeva la necessità, a livello globale, di modificare il paradigma energetico per attutire l’impatto dei cambiamenti climatici?
Beh, forse è il caso che l’insieme del mondo ambientalista e di quella parte della politica più sensibile alle sorti del pianeta, lo rivolga al proprio interno per rivedere l’approccio fin qui tenuto nei riguardi della transizione energetica. Lo dico anche a seguito dei commenti susseguiti alla ratifica della Tassonomia UE da parte del parlamento europeo, giudicata senza mezzi termini un tradimento, come se quanto fin qui prodotto sul tema della transizione non fosse anche frutto di uno strabismo concettuale di quelle componenti sopracitate, senza dubbio più avvedute di quanto dimostrino di essere i governi e lo stesso parlamento europeo.
In estrema sintesi a me pare che la differenza sostanziale tra le due posizioni, non stia tanto nella manifestazione di intenti, quanto nei tempi e nelle modalità di attuazione, ma onde evitare di concedere al diavolo che, come si dice, si nasconde nei “particolari” un qualsivoglia pretesto, bisogna essere assolutamente certi della validità dei “fondamentali”. Ed è su questi che, fuori da ogni intento polemico, vorrei sollecitare una riflessione.
Dante Barontini: La danza immobile della “crisi politica”
La danza immobile della “crisi politica”
di Dante Barontini
Difficile trovare nuove parole per resocontare la “crisi politica” italiana. Gli ultimi eventi – i Cinque Stelle che, alla Camera, votano la fiducia al governo ma si astengono sul “decreto Aiuti” – erano stati ampiamente annunciati, ma nessuno gli aveva dato peso.
Anche il fatto che al Senato quel giochino distintivo non si può fare (per regolamento, a Palazzo Madama, l’astensione vale come voto contrario) era stato considerato poco, attendendo gli sviluppi.
Ora si è vicini al “grande evento”, che grande proprio non è, e Mario Draghi che sale al Colle sembra risvegliare dal coma le ritualità della Prima Repubblica.
Il nodo del contendere non è in effetti chiarissimo, se si guarda – come fanno i media mainstream – alle dichiarazioni di Conte e altri cosiddetti “protagonisti” della politichetta nostrana.
Ma il dato politico è invece semplicissimo: i grillini, maciullati dall’esperienza di governo nell’arco di cinque anni, e in tutte le salse (insieme alla Lega, poi insieme al Pd, poi insieme a tutti), devono distinguersi in qualche modo da un esecutivo che fa regolarmente il contrario di quel che avevano promesso.
Marino Badiale: Spiegare l’assurdo
Spiegare l’assurdo
(lettere al futuro 7)
di Marino Badiale
1. L’assurdo
In un intervento precedente [1] ho osservato come sia paradossale la situazione dell’umanità contemporanea, posta di fronte al cambiamento climatico, e più in generale alla devastazione ambientale indotta dalla società attuale: da una parte si accumulano le conoscenze scientifiche che delineano un quadro di grande pericolo e grande urgenza, mentre le prime avvisaglie della crisi climatica in corso stanno concretamente interferendo con la vita di varie comunità sparse nel pianeta [2]; dall’altra, la società globalizzata contemporanea non sta in sostanza facendo nulla di essenziale per affrontare la crisi climatica e le altre problematiche ambientali. Dicendo “nulla di essenziale” intendo dire che le iniziative che si tenta di porre in essere, a livello sia degli individui sia delle comunità e delle istituzioni, per quanto lodevoli e necessarie, non appaiono tuttavia sufficienti rispetto alla gravità dei processi in atto. Il problema sta infatti nella struttura fondamentale della nostra organizzazione economico-produttiva, nei rapporti sociali ed economici che la strutturano e che possiamo riassumere come “capitalismo”. Senza toccare questi dati strutturali non è possibile un’azione realmente efficace di contrasto e contenimento della crisi climatica. Ciò che colpisce è il fatto che l’umanità contemporanea sembra ignorare questa “scomoda verità”, e quindi appare nella sostanza indifferente rispetto alla crisi climatica, nonostante le oscillazioni di maggiore o minore interesse che si possono avere negli anni. Questa indifferenza appare con molta evidenza nei ceti dirigenti dell’attuale società globalizzata, perché ovviamente sono loro ad avere il potere e i mezzi per “fare qualcosa”, ed è l’assenza del loro “fare” la principale responsabile della situazione in cui ci troviamo, e del cupo futuro che ci si prepara.
Timothée Parrique e Giorgios Kallis: Decrescita: socialismo senza crescita
Decrescita: socialismo senza crescita
di Timothée Parrique e Giorgios Kallis
Le persone sembrano comprendere il concetto astratto di “illimitatezza”, ma è più difficile comprendere che il concetto non può e non dovrebbe essere applicato al concetto di crescita. Anche i socialisti devono liberarsi dell’idea che la quantità possa aumentare, quando conta solo la qualità
Importanti (eco)socialisti hanno di recente criticato il concetto di decrescita. In questo articolo vogliamo argomentare che tale critica è malriposta. Il concetto di crescita è un problema che va oltre e che è al di sopra del capitalismo. Un eco-socialismo che sia sostenibile dovrebbe rigettare ogni forma di associazione all’ideologia e alla terminologia della crescita. I socialisti del 21° secolo dovrebbero iniziare a pensare a come sia possibile pianificare delle società che possano prosperare senza la crescita. Che piaccia o meno, la crescita infatti è destinata a finire. La questione riguarda il come e in quale modo questo debba succedere, a breve o troppo tardi, per evitare disastri a livello planetario.
Ogni forma di crescita senza fine è insostenibile a livello ecologico
La tipica risposta socialista alla questione della decrescita è che il problema, in realtà, è il capitalismo, e la crescita nel capitalismo, non la crescita economica di per sé. Ma questo è il punto: nessuna crescita economica può essere sostenibile. Per ciò, un incremento degli standard materiali di vita richiede più materiali, indipendentemente dal fatto che l’economia in questione sia il capitalismo, il socialismo, l’anarchia o un’economia primitiva. La crescita negli standard di vita materiale richiede la crescita dell’estrazione di materiali e l’emissione di inquinanti (la crescita negli standard di vita in generale non richiede invece questo; ne discuteremo più avanti). Ne risulta che ora – e molto probabilmente anche in futuro – la crescita economica è fortemente correlata con l’uso di energia e di materiali. Questo fatto poi va considerato a livello globale in quanto è l’unico modo per avere un quadro completo in un’economia globalizzata.
Antonio Cantaro: Libertà dei moderni, liberalismo e comunismo in Domenico Losurdo
Libertà dei moderni, liberalismo e comunismo in Domenico Losurdo
Su “La questione comunista” di Domenico Losurdo
di Antonio Cantaro (Università di Urbino Carlo Bo)
1. Corpo a corpo
Non ho nulla da aggiungere alla nitida introduzione di Giorgio Grimaldi all’inedito La questione comunista. Storia e futuro di una idea (Carocci, 2021) e alla lucida recensione di Francesco Fistetti dello scorso 14 gennaio su “Il Quotidiano di Puglia”. Condivido senz’altro la notazione che qui Losurdo continua ad osservare il marxismo negli elementi che in esso confluiscono e in ciò che è ancora capace di produrre.
Siamo, insomma, di fronte, ad un uno “scritto d’occasione” (la ricorrenza dei cento anni dalla rivoluzione di ottobre), ma tutt’altro che “occasionale”. Mimmo prosegue, anche in questa occasione, il suo appassionato corpo a corpo con le ripetute rimozioni del conflitto delle libertà perpetrate tanto dal liberalismo reale – le concrete e storiche società liberali – quanto dal socialismo irenico, il “comunismo utopico e messianico”. E rivendica, per contro, la persistente attualità della filosofia classica tedesca e di una tradizione del movimento comunista – la linea Gramsci-Togliatti – che coloro che hanno metabolizzato l’opera losurdiana conoscono assai meglio di me.
Si tratta, osserva Grimaldi, della questione del potere – questione altamente teorica e altamente pratica – che completa e beneficamente complica il quadro inaugurato con lo spiazzante Il marxismo occidentale, dall’eloquente sottotitolo Come nacque, come morì, come può rinascere1.
Lo specifico effetto spiazzante di questo secondo lato del “dittico” losurdiano è l’affermazione che il movimento comunista deve autocriticamente prendere atto dello straordinario valore di certe acquisizioni del liberalismo.
Piccole Note: Un primo accordo sul grano ucraino e lo sblocco di Kaliningrad
Un primo accordo sul grano ucraino e lo sblocco di Kaliningrad
di Piccole Note
Ha avuto esito positivo l’incontro di Istanbul sul ripristino del transito del grano ucraino nel Mar Nero. Antonio Guterres, Segretario generale dell’Onu, organismo che ha mediato tra russi e ucraini affiancando la Turchia, ha dichiarato che la riunione delle delegazioni dei Paesi in guerra è stata “un raggio di speranza”.
Una dichiarazione rilanciata dall’agenzia Anadolu, che aggiunge: “Il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha annunciato che funzionari turchi, ucraini, russi e delle Nazioni Unite hanno concordato di istituire un centro di coordinamento a Istanbul per facilitare le esportazioni del grano ucraino”.
“Akar ha affermato che i partecipanti hanno trovato un terreno comune su diverse questioni tecniche, come la sicurezza della navigazione sulle rotte commerciali, nonché sui controlli congiunti all’ingresso e all’uscita dei porti”.
Michele Paris: Gli assassini di Sua Maestà
Gli assassini di Sua Maestà
di Michele Paris
Una recentissima indagine della BBC ha fatto emergere nuove prove della condotta da criminali di guerra dei componenti delle forze speciali britanniche (SAS) durante gli anni dell’occupazione dell’Afghanistan. I documenti esaminati si riferiscono a un solo squadrone e a un periodo di appena sei mesi, ma certificano un comportamento e un numero di casi “sospetti” tali da far pensare a un bilancio complessivo a dir poco scioccante in termini di omicidi di presunti “insorti”, di torture e di molti altri abusi commessi dai militari di Sua Maestà.
La BBC ha avuto la possibilità di mettere le mani su nuove carte nell’ambito di un procedimento legale in corso e scaturito da un’indagine del 2019 della stessa rete pubblica e del Sunday Times su un singolo “raid notturno” delle SAS in Afghanistan. Questa circostanza ha fatto emergere le prove di un sistema di assassinii deliberati di uomini afgani dopo l’esecuzione di arresti nelle abitazioni di questi ultimi, quando cioè non vi erano rischi o minacce contro i soldati britannici.
A rivelare il modus operandi degli assassini delle forze speciali è stata una situazione che si veniva a creare con una regolarità tale da ipotizzare l’esistenza di una tattica ben studiata.
Andrea Zhok: Autoritarismi
Autoritarismi
di Andrea Zhok
Quando si solleva il tema della crisi della democrazia in Occidente, con fastidiosa frequenza l’eventuale interlocutore ostile, quanto più si approssima alla fine dei propri argomenti, tanto più è incline a sbottare con un “Ma allora perché non te ne vai in… (segue nome di una qualche proverbiale ‘dittatura’; Russia, Cina, Iran, ecc.).
Questo è uno di quei casi in cui la stupidità della replica è talmente robusta che c’è il serio rischio ci lasci tramortiti.
Affinché il tramortimento non sia preso per efficacia dell’argomentazione, è utile replicare con calma per iscritto.
1) Innanzitutto, e a futura memoria: tutti gli stati che proverbialmente vengono definiti dal mainstream come dittature – in quanto estranei al blocco dei protettorati americani in occidente – sono formalmente democrazie non meno di quanto lo siano la Francia o gli USA o l’Italia: ci sono governi eletti dal popolo in Iran non meno che in Russia o in Cina.
Massimo Raffaeli: Lukács tra nazismo e stalinismo: un libro vituperato da riabilitare?
Lukács tra nazismo e stalinismo: un libro vituperato da riabilitare?
di Massimo Raffaeli
Ormai perfettamente storicizzate, la parabola di György Lukács (1885-1971) e il suo grandioso lascito bibliografico sono divisi grosso modo dagli studiosi in quattro segmenti temporali:
- il primo è del giovane formatosi a Heidelberg e al cospetto di Weber e Dilthey, firmatario di opere quali L’anima e le forme (1910) e Teoria del romanzo (’20), latrici di un romanticismo torrido e già proto-esistenzialista;
- il secondo, poi prediletto in particolare dalla Nuova Sinistra, è del rivoluzionario che è entrato nel governo di Béla Kun e ha firmato Storia e coscienza di classe (’23), un’opera che recuperando il metodo dialettico libera l’eredità marxista dalle scorie sia del positivismo sia del revisionismo riformista;
- il terzo è di colui che emigra a Mosca e assume via via un atteggiamento «nicodemico» e in pectore contraddittorio nei confronti dello stalinismo, dedicandosi prevalentemente a lavori di storiografia e di critica letteraria (fra i numerosi altri titoli, Il giovane Hegel, ’37, Il romanzo storico, ’38, Goethe e il suo tempo, ’49);
Stefano Zecchinelli: La morte cerebrale degli imperialismi inglese e giapponese
La morte cerebrale degli imperialismi inglese e giapponese
di Stefano Zecchinelli
Gli avvenimenti degli ultimi giorni sono sintomatici della decomposizione di alcuni stati imperiali e imperialisti del ventunesimo secolo. Le dimissioni del ‘’sociopatico’’ Boris Johnson (dietro la protesi mediatica dello scandalo sessuale) e l’assassinio di Shinzo Abe, uno dei più lucidi rappresentanti dell’imperialismo nipponico, non rappresentano incidenti di percorso decontestualizzabili, ma s’inseriscono nel fallimento della geopolitica del Grande Reset: l’agonia dell’Occidente.
Boris Johnson, un ‘’sociopatico’’ guerrafondaio
Le dimissioni del premier inglese vanno ricercate nel fallimento della declinazione neocons della BREXIT e nell’organizzazione della nuova gerarchia imperiale europea: la BREXIT non s’inserisce geopoliticamente nella riscossa dei ceti medi produttivi sconfitti dalla globalizzazione neoliberista, ma nell’agonia dell’imperialismo britannico davanti alla costruzione di un polo imperiale europeo a trazione carolingia, ovvero franco-tedesca.