Cuba, nel 1952, era da cinquant’anni uno stato indipendente e democratico, nel vero senso “occidentale” dei due termini, con diversi partiti che partecipavano a un confronto elettorale e che asserivano di operare per il bene del proprio popolo. Ma qual era il risultato di questa democrazia?
Per dare un’idea delle condizioni di vita dei 6 milioni di cubani a quell’epoca è come se oggi in Italia su 60 milioni di italiani, 30 milioni fossero privi di elettricità e di acqua potabile, 21 milioni vivessero in tuguri miserabili, 14 milioni fossero analfabeti, 8 milioni fossero disoccupati, quasi tutti i lavoratori agricoli lavorassero solo quattro mesi all’anno, che ci fossero 95.000 insegnanti senza lavoro e che il 50 % dei bambini non frequentasse la scuola.
A questa situazione aggiungiamo che a Cuba, su una delle terre più fertili del mondo, una parte considerevole di adulti sotto i trent’anni era uccisa dalle malattie della fame, anemia, rachitismo, tubercolosi e che nei primi anni di vita i bambini erano decimati dalla gastroenterite e dalle malattie infettive. Ma tutto questo avveniva in modo democratico.
In compenso Cuba era un posto dove fiorivano il gioco d’azzardo e la prostituzione, dove i più rinomati gangster e mafiosi degli Stati Uniti frequentavano liberamente i suoi casinò, dove i miliardari vivevano in lussuosissime ville e dove le persone con la pelle nera erano costrette ai lavori più umili e non avevano alcuna possibilità di inserimento sociale. Anche tutto questo, naturalmente, era presente in modo democratico.
A Cuba nel 1952 si sarebbero dovute svolgere le elezioni, ma nella democrazia “occidentale” quando la classe dominante prevede che le cose non vadano proprio nel modo desiderato – e come la storia ci ha spesso insegnato – esiste un’altra opzione: il colpo di Stato.
E fu così che il 10 marzo 1952 Fulgencio Batista, con il beneplacito degli Stati Uniti, attuò un colpo di Stato per impedire lo svolgimento delle elezioni che, probabilmente, sarebbero state vinte da un partito delle forze di opposizione non gradito agli Stati Uniti e al grande capitale cubano.
Nell’ala giovanile del Partito Ortodosso militava un giovane avvocato cubano, Fidel Castro, che intendeva condurre contro Batista una lotta più incisiva rispetto a quella condotta dai partiti tradizionali. Dapprima presentò al Tribunale una denuncia in cui chiedeva l’arresto di Batista per avere violato, con il colpo di Stato, la Costituzione del 1940. In seguito, non avendo ricevuto alcuna risposta dai giudici asserviti al potere, essendo stata esaurita ogni via legale e constatata l’inerzia dei partiti cubani, decise di passare alla lotta armata.
Nel 1953 ricorreva il centenario della nascita di José Martí, l’Apostolo dell’Indipendenza cubana. Ed è nel nome di Martí che Fidel Castro raggruppa 152 uomini per scacciare il tiranno e per fare di Cuba una nazione veramente indipendente e non schiava degli interessi nordamericani.
Questo gruppo autodenominatosi ‘Giovani del Centenario’ e formato in prevalenza da persone provenienti da La Habana, da Artemisa e da Guanajay, in gran segreto ricevette un addestramento militare nelle campagne attorno a La Habana. L’obiettivo era quello di assaltare due caserme nell’oriente di Cuba, quella di Bayamo e quella di Santiago de Cuba, e dare con queste azioni un segnale forte al popolo cubano, che era giunto il momento di lottare, che era giunto il momento di sollevarsi e di voltare pagina.
All’alba del 26 luglio 1953, partendo dalla fattoria Siboney, a 30 km. da Santiago, e approfittando del termine dei festeggiamenti del carnevale e dell’effetto sorpresa, un centinaio di uomini al comando di Fidel Castro – vestiti con le stesse uniformi dei militari batistiani, con poche armi valide e molti fucili da caccia – prende d’assalto la caserma Moncada a Santiago de Cuba, la seconda per importanza nel paese con oltre mille soldati. Raúl Castro con altri dieci uomini occupa il Palazzo di Giustizia, dalla cui terrazza posta di fronte alla caserma può offrire una copertura di fuoco. Abel Santamaría con la sorella Haydée, Melba Hernández e altre 19 persone occupano l’ospedale per assistere i feriti dello scontro a fuoco. Nello stesso momento, a Bayamo, un gruppo di 28 persone prende d’assalto la caserma locale.
Una serie di contrattempi impedisce al gruppo di Fidel di portare a termine con successo l’azione: i militari, caduto l’effetto sorpresa per il passaggio imprevisto di una pattuglia, reagiscono al fuoco ed essendo in numero nettamente superiore costringono buona parte degli assaltanti alla fuga.
L’esercito perde una ventina di uomini, gli assaltanti ne perdono tre. Fidel e Raúl riescono a fuggire sui monti intorno a Santiago. Ma nelle mani dell’esercito batistiano restano 68 prigionieri, tra questi Abel Santamaría, che dopo essere stati orrendamente torturati vengono uccisi.
Questo avvenimento suscitò una grande emozione in tutta Cuba e contribuì alla presa di coscienza da parte del popolo cubano: per ottenere un cambiamento nelle loro condizioni di vita era necessario un modo completamente diverso di lotta rispetto a quello proposto, secondo il pensiero “occidentale”, dal sistema dei partiti.
La storia è poi nota. Fidel, Raúl e altri compagni fuggiti sui monti vengono successivamente arrestati e condannati a 15 anni di prigione. Nel processo-farsa Fidel mette in evidenza i crimini di Batista e l’ingiustizia del sistema vigente, pronunziando alla fine della sua difesa la famosa frase “Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà”. Dopo un paio di anni nel carcere speciale dell’Isola dei Pini (oggi Isola della Gioventù), grazie a grandi manifestazioni popolari in tutta Cuba che ne chiedono la libertà, Fidel e i suoi compagni vengono mandati in esilio in Messico. Da lì riprenderanno immediatamente la lotta contro il tiranno.
Cinque anni, cinque mesi e cinque giorni dopo l’assalto alla Caserma Moncada, l’Ejército Rebelde di Fidel, di Raúl, del Che e di Camilo, libera l’Isola dalla tirannia di Batista e Cuba, per la prima volta nella sua storia, ha la possibilità di intraprendere la costruzione di una nuova società completamente diversa dagli schemi ipotizzati dal pensiero “occidentale”.
Se non fosse stato per questo nuovo modo di affrontare la propria realtà, che ha avuto come origine l’assalto alla caserma Moncada, oggi Cuba, anziché essere un modello per i paesi del cosiddetto Terzo Mondo per i risultati raggiunti in diversi campi, si troverebbe nelle stesse condizioni attuali di qualsiasi paese “democratico” dell’area centro-sudamericana. Con le stesse miserie, con le stesse malattie, con gli stessi analfabeti, con gli stessi disoccupati, con le stesse ingiustizie, proprio come lo era sessantanove anni fa.
Nel ricordare la festa nazionale di Cuba del 26 Luglio, Día de la Rebeldía, l’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba si congratula con il popolo cubano per i successi ottenuti dalla sua Rivoluzione. Rinnova la propria solidarietà nella lotta contro l’illegale e criminale blocco imposto dagli Stati Uniti e invita tutti coloro che credono nella costruzione di un mondo migliore a collaborare con la nostra organizzazzione. Come ha scritto il Che nella sua lettera d’addio ai figli: “… ricordatevi che ciascuno di noi, da solo, non vale nulla…”.
Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba
26/07/2022