Aginform – 27 agosto 2022
Anche se le grandi manovre del potere che conta sono ancora in pieno svolgimento, è ormai dato per scontato che la Meloni possa essere il capo del nuovo governo di destra. Che questa destra sia anche una destra sgangherata non vi è dubbio, sia per le divisioni interne che la attraversano, sia per la qualità dei personaggi che la animano. Tuttavia ci troviamo di fronte a uno schieramento che porterà all’accelerazione della linea liberista e repressiva. Per questo nel valutare la situazione bisogna uscire dai giochi diplomatici che tendono a presentare le elezioni del 25 settembre come un’occasione per le alternanze politiche previste dalla democrazia parlamentare e capire invece la vera posta in gioco.
Il diluvio di dibattiti e interviste a cui assistiamo in questi giorni tende a rappresentare un clima di confronto civile con l’indicazione “vinca il migliore”. Ebbene, se una cosa dobbiamo fare è quella di uscire da un clima elettoralistico di questo genere e porci i veri problemi che ci stanno di fronte. La guerra innanzitutto.
Ma non solo questo. La questione che dobbiamo affrontare in concreto tenendo conto delle previsioni elettorali che indicano la Meloni vincente è evitare di leccarci le ferite dopo il 25 settembre limitandoci a dare la responsabilità della sconfitta al campo ‘stretto’ di Letta. Occorre ragionare invece da subito su come si affronta lo schieramento vincente della destra e come impedirgli di raggiungere i suoi obiettivi.
Si è detto giustamente che usare l’arma della retorica antifascista non porta lontano. Letta ci ha provato, ma ha dovuto constatare che l’approccio non era convincente, non tanto perchè la fiamma tricolore non sia legata alla tradizione neofascista italiana, quanto perchè gli argomenti dello scontro con la destra vertono su questioni di carattere sociale legate alla condizione di milioni di italiani che stanno subendo gli effetti della crisi. Più si presenta la situazione come scontro tra destra e sinistra, più ci si allontana dal centro della questione.
Tenuto conto che al fronte della destra si stanno opponendo caricature di leader come Letta il risultato è scontato. Come dire, non c’è partita. Bisogna invece trovare il terreno su cui è possibile organizzare una risposta di massa all’avanzata della destra e questo non può che essere quello dei lavoratori che si oppongono al cataclisma economico che si prepara.
Lotte di massa dunque contro la svalutazione di salari, stipendi e pensioni e difesa del reddito di cittadinanza. Su questo vanno organizzati comitati di sostegno alle azioni di sciopero, per arrivare anche a uno sciopero generale. Non aspettiamo dunque il 25 settembre, ma prepariamoci all’accoglienza di una destra vincitrice che pensa di poter avere la vita facile.
Il lavoro di mobilitazione, sia ben chiaro, sta al di fuori da quegli scioperi da operetta a cui siamo abituati. La partecipazione di massa deve avvenire in modo unitario, sollecitando i lavoratori ad unirsi nella lotta e nella condanna contro i confederali che impediscono che questa lotta ci sia. Peraltro stiamo aspettando ancora che Landini lanci la parola d’ordine del recupero dei 200 euro mensili per stipendi e pensioni, come aveva promesso a suo tempo. Per questo bisogna battere l’immobilismo confederale e riportare in luce la partecipazione di base dei lavoratori, quella vera.
L’esperienza della GKN di Firenze è stata una importante indicazione in tal senso. Sulla questione poi del reddito di cittadinanza, la lotta non è solo di natura rivendicativa, ma assume un valore di principio, come è stato in passato per la scala mobile e per l’articolo 18. Il reddito di cittadinanza si basa sul principio costituzionale del diritto al lavoro e al reddito. Permettere che venga eliminato vuol dire aggiungere una ulteriore sconfitta a quelle già subite dai lavoratori in questi anni. Non bisogna permetterlo.