Rassegna del 19/09/2022
Tommaso Palmieri: Emergenza pandemica. Un’analisi epistemologica
Emergenza pandemica. Un’analisi epistemologica
di Tommaso Palmieri
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Introduzione
A marzo 2022 si è istituzionalmente conclusa l’emergenza pandemica dichiarata a marzo 2020, la cui gestione (e il meccanismo emergenziale in generale) non ha sicuramente concluso le sue istanze, dato che evidentemente e per ammissione delle stesse istituzioni i procedimenti di allerta e in generale tutta una serie di misure e pratiche persevereranno, mostrando fin da ora le ampie istanze di “normalizzazione” sviluppatesi. Nonché le perduranti modalità di “emergenza permanete” che trapassano prontamente dall’ambito medico, a quello bellico, terrorista, energetico o ambientale, con ampie possibilità di applicazione. In tutto questo le criticità in ballo durante la gestione sono molte. Due anni in cui si è pubblicamente evitato di affrontare qualsiasi argomento di critica, mostrando disinteresse o andando a screditarne la fonte, tramite l’utilizzo di pregiudizievoli etichette.
Un (non-)dibattito pubblico che vorrebbe negare una enorme serie di contraddizioni manifeste nella gestione pandemica, dove il complesso scientifico appare diviso, lontano dalla narrazione di un sistema mediatico e istituzionale che batte senza sosta la campana del “lo dice La Scienza”. Il fatto è che “La” scienza non esiste, esistono semmai il metodo scientifico e le teorie scientifiche: sempre rivedibili e dipendenti dal contesto nel quale sono calate e si sono sviluppate e che più volte hanno fatto danni.
Il (non)dibattito scientifico: La scienza non come metodo ma come istituzione
Sarebbe sciocco considerare il sistema scienza come avulso dal complesso storico-sociale; in tal senso l’interdisciplinarietà e la valutazione dubbiosa sarebbero sempre d’obbligo.
Mediapart: Schedare per dominare
Schedare per dominare
di Mediapart
Una storia critica della schedatura di polizia in particolare in Francia
La campagna di azione collettiva contro la tecnopolizia si conclude tra poche settimane. La nostra denuncia contro il Ministero dell’Interno prende di mira in particolare due enormi fascicoli statali: il fascicolo TAJ e il fascicolo TES. Attraverso di loro, attacchiamo gli strumenti onnipresenti e strutturanti di sorveglianza della polizia. Perché archiviare è organizzare il controllo e il dominio dello Stato sulla sua popolazione. Come si spiega che queste pratiche hanno potuto emergere, persistere e radicarsi così profondamente nel funzionamento dell’amministrazione francese al punto da sfuggire ora a qualsiasi controllo reale?
Se possiamo ovviamente trovare una moltitudine di spiegazioni, proponiamo di tornare qui, senza pretendere di essere esaustivi, sull’evoluzione nel tempo della registrazione in Francia.
La creazione della conoscenza statale
Il desiderio dello Stato francese di identificare formalmente la sua popolazione iniziò nel XVIII secolo[1]. Lo scopo originario era formalmente quello di “combattere contro la criminalità, l’accattonaggio o il vagabondaggio” richiedendo ad alcune persone la registrazione e il possesso di “carte” contenenti il loro cognome[2]. Molto rapidamente, questa pratica è stata utilizzata principalmente in ambito giudiziario al fine di identificare le persone accusate che avrebbero fornito false identità, impedendo così al sistema giudiziario di ripristinare la loro precedenti penali. È quindi il perseguimento e il riconoscimento dei recidivi – una giustificazione che si troverà molte volte nel corso della storia – che incoraggia il miglioramento delle pratiche di identificazione e in particolare la creazione di polizie scientifiche[3].
Fabrizio Venafro: La crisi climatica ha un’unica soluzione: uscire dal capitalismo
La crisi climatica ha un’unica soluzione: uscire dal capitalismo
di Fabrizio Venafro
Ciò che spicca nelle elezioni degli ultimi decenni è l’assenza di reali alternative al sistema attuale. Partiti senza una vera visione politica di lungo periodo non sembrano contrapporsi per visioni globali divergenti ma per correttivi anodini di un sistema che non regge più ma che viene unanimemente condiviso. Le logiche di mercato, non contestate da alcuno dei partecipanti alle elezioni, non lasciano alcuno spazio di autonomia alla politica, chiamata a blindare e a rafforzare le dinamiche di competitività sfrenata tra individui, gruppi economici e stati. Questo vuoto della politica risulta ancora più evidente in quelle forze che per vocazione storica dovrebbero anelare a un cambiamento dei rapporti sociali, dei rapporti di classe si sarebbe detto un tempo, e quindi a una trasformazione radicale del sistema. Tale ruolo era ricoperto in passato dai partiti social-comunisti che avevano come aspirazione massima il superamento del capitalismo. Paradossalmente, oggi che il capitalismo presenta contraddizioni drammatiche e insanabili tale critica è quasi del tutto scomparsa se si eccettuano pochi cenacoli di intellettuali.
Pasquale Cicalese: Il crollo inesorabile degli Usa in 3 dati
Il crollo inesorabile degli Usa in 3 dati
di Pasquale Cicalese
L’inflazione core Usa aumentata dal 5.9 al 6.3%. Wall Street che ieri sera perde il 5%. Ah, il vostro tanto temuto Blackrock, “padrone” di tutto, ieri ha perso il 7.5%. L’inflazione non solo porta ad aumenti del tasso Fed Fund ma alla corrosione dell’asset inflation. Blackrock, che non è altro che gestore di soldi di altri, teme che i suoi sottoscrittori mondiali ritirino i soldi.
Gli Usa, che da 60 anni campano di soldi altrui, cercano di attirare capitali, cosa che ci riesce con i fessi europei, che ci stanno perdendo da un anno e mezzo, ma altri parti del mondo, vedi la Cina, non si lasciano abbindolare. Inoltre, la mancanza di manifattura, cosa che ne scrive oggi Il sole, e il differenziale inflazionistico con la Cina, portano al massacro economico statunitense, così come quello europeo.
L’asset inflation, a cui da sempre si contrappone la “lotta di barricata” della Pboc, la banca centrale cinese, di cui parlo nel libro, si sgonfia. La conseguente distruzione di capitale fittizio, unita ad un’economia reale inesistente, modello che sta per imporsi anche da noi, porta alla perdita egemonica statunitense.
Marco Cattaneo: L’euro è straniero per tutti, ma non fa danni a tutti
L’euro è straniero per tutti, ma non fa danni a tutti
di Marco Cattaneo
Se l’euro è una moneta straniera, se spossessarsi della facoltà di emettere moneta può produrre danni gravissimi, perché questi danni li subisce l’Italia e non – per esempio – la Germania ?
Questa è un’obiezione tipica che mi viene rivolta. La moneta è straniera per tutti, perché nessuno Stato la emette. Allora, come fai a dire che danneggia noi e non altri (o comunque, noi molto più di altri) ?
Ci sono non una ma due motivazioni fondamentali.
L’euro è uno moneta forte quanto lo erano in media le moneta che sono entrate a farne parte. Quindi meno forte del marco tedesco, più forte della lira italiana. Debole per la Germania, forte per l’Italia.
Questo crea un problema di competitività. Nell’interscambio con l’estero, usare l’euro è un vantaggio per le aziende tedesche e uno svantaggio per le aziende italiane.
Alfio Mastropaolo: Una prospettiva di riconciliazione
Una prospettiva di riconciliazione
di Alfio Mastropaolo
Rino Genovese: Socialismo utopico, socialismo possibile, pp. 137, € 12, Quodlibet, Macerata 2021
La parola socialismo ha per tanto tempo indicato la possibilità di cambiare il mondo, di renderlo più uguale e più giusto, rendendo tutti più liberi. Il fallimento del socialismo “reale” l’ha coinvolta, anche se ingiustamente. Trascinandosi appresso una vicenda senz’altro più fortunata, quella del socialismo democratico in Europa occidentale, applicato con discreti risultati da Attlee, Bevan, Brandt, Palme e (perché no?) da Pietro Nenni e molti altri ancora. Le macerie del Muro sono cadute anche su quelle esperienze e i loro eredi si sono riconvertiti a una variante lievemente edulcorata di quello che è stato chiamato il fondamentalismo di mercato. Il quale, però, dopo aver imperversato per quattro decenni, pare avere raggiunto il suo limite: quello della desertificazione sociale e ambientale. In cerca di parole e idee nuove, il socialismo può allora tornare in auge. Dalle catacombe propone di estrarlo anche un libretto che supera di poco il centinaio di pagine opera di Rino Genovese, filosofo e militante appassionato il quale fin dal titolo enuncia l’entità della sfida: come rendere possibile il socialismo utopico.
Giordano Sivini: Qiao Liang: Il dominio finanziario degli Stati Uniti sul mondo
Qiao Liang: Il dominio finanziario degli Stati Uniti sul mondo
di Giordano Sivini*
Per Qiao Liang in L’arco dell’Impero (Leg 2021) gli Stati Uniti sono un impero finanziario egemone. Ne traccia la parabola dal periodo in cui il dollaro viene condiviso dal mondo in quanto strumento di sviluppo della produzione e del commercio manifatturiero, a quello in cui il centro dell’impero lo utilizza per appropriarsi delle ricchezze del mondo, fino al loro esaurimento e persino dei “dividendi” su quelle già appropriate (p. 67).
Secondo i “discorsi cinesi” (p.75), il termine ‘egemonia’ qualifica tutto questo percorso storico, non solo quello dello sviluppo produttivo e commerciale in cui, nel contesto della guerra fredda, gli Stati Uniti hanno coinvolto l’Occidente nella ricostruzione postbellica. Qualifica anche il periodo successivo dell’espansione finanziaria, ma è riferito non agli Stati Uniti bensì al dollaro, che gli Stati Uniti utilizzano per esercitare un dominio espropriativo sul mondo. Questa egemonia “negli ultimi quarant’anni è riuscita a trasformare tutte le valute del mondo in accessori del dollaro, gestendo le transazioni tramite la creazione di credito negli Stati Uniti, e allo stesso tempo, controllando tutta la produzione (tutta la produzione è espressa in dollari e, in definitiva, prodotta per i dollari). E questo risultato ha profondamente cambiato e ricostruito la nostra attuale civiltà” (p.78).
In questa ‘civiltà finanziaria’ la funzione egemonica del dollaro è di coprire il dominio degli Stati Uniti: si guarda al movimento del dollaro quando si analizzano le crisi, non ha chi produce questo movimento. “Quando si tratta dei misteri dell’egemonia e della realtà degli Stati Uniti, ‘meglio non rivelare gli arcani del cielo’. Questo antico detto cinese sembra essere diventato un tabù per gli esperti e per gli studiosi di tutto il mondo. Una specie di falla collettiva nel discorso.
Claudio Conti – Guido Salerno Aletta: Ma quale “green deal”, qui casca l’asino neoliberista
Ma quale “green deal”, qui casca l’asino neoliberista
di Claudio Conti – Guido Salerno Aletta
La comunicazione imperiale, di questi tempi, è decisamente schizofrenica. Da un lato c’è l’esibizione di forza incontrastabile (sanzioni alla Russia, minacce alla Cina, fiducia nella “vittoria Ucraina”, pretesa che il resto del mondo segua – come negli ultimi 30 anni – i propri ordini, ecc).
Dall’altra la corsa all’accaparramento di nuove forniture per le materie prime energetiche che dalla Russia arrivano sempre meno, con piani di razionamento per i consumi della popolazione (sorpassando la “delicatezza” dei “consigli per consumare meno”).
Per capirci qualcosa di più, come spesso facciamo, andiamo a vedere come la stanno prendendo gli specialisti dell’economia, dato che dei fogliacci di propaganda euro-atlantica (Corriere e Repubblica su tutti) non c’è proprio da fidarsi.
Un disperato editoriale di TeleBorsa – non proprio un foglio bolscevico – chiarisce molto.
Intanto che modo di produzione capitalistico e ambientalismo non possono proprio “coesistere”. Tutta la retorica della “transizione ecologica”, tra eventi come il Cop26 e il Recovery Fund, viene smontata come una follia (capitalisticamente parlando).
In effetti, già l’Unione Europea aveva fatto robustissime marce indietro già prima dell’inizio della guerra in Ucraina. La revisione della “tassonomia” relativa alle varie fonti energetiche aveva chiarito che gas, nuceare e perino il carbone sono “ecologici”. E quindi che nulla, in realtà, doveva cambiare, tranne qualche robusto finanziamento alle infrastrutture con tecnologie “innovative”.
In secondo luogo, che la dimensione della riduzione dei consumi dovuti alla carenza di rifornimenti energetici (sbrigativamente chiamati “gas russo”) sarà di dimensioni drammatiche, che fanno impallidire il ricordo della crisi petrolifera del 1973.
Raffaele Picarelli: La finanza e il mercato dell’energia
La finanza e il mercato dell’energia
di Raffaele Picarelli
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Premessa
L’articolo che segue vorrebbe dare una risposta (o cercare di farlo) ad alcune domande che sorgono spontanee in ordine alle ragioni dell’andamento fuori controllo del mercato dell’energia europeo, che si traduce, per la stragrande maggioranza delle popolazioni, in aumenti sproporzionati delle bollette energetiche (gas e luce) e, quindi, in un cospicuo immiserimento delle loro condizioni di vita.
Come è possibile che una materia prima come il gas naturale, che ha un costo di produzione per le aziende produttrici da 2 a 5 euro per megawattora (MWh), arrivi a raggiungere sul mercato un prezzo da 40 a 80 volte tanto?
I prezzi del gas, da oltre sei settimane, si sono stabilizzati oltre 200 euro a MWh, fino a toccare punte di 340. Ci si potrebbe chiedere: il fenomeno è dovuto a un aumento reale della domanda e/o a una riduzione reale dell’offerta? Di questo sono certi i molti commentatori economici e politici che affollano i talk show e scrivono sui giornali.
Ma come è possibile questo se la domanda industriale di gas è calata di oltre il 9% tra la seconda metà del 2021 e la prima del 2022, e se la riduzione dell’offerta russa causata dalle sanzioni occidentali sarebbe compensata, come dicono, da offerte di gas di altra provenienza?
Per “considerazione del rischio geopolitico”, dichiara solennemente Francesco Starace, amministratore delegato di Enel (Il Sole – 24 Ore del 4 settembre).
Per la guerra in Ucraina, blaterano maldestramente i tanti sicofanti di mainstream.
Antonio Castronovi: L’Ucraina non è uno stato sovrano
L’Ucraina non è uno stato sovrano
di Antonio Castronovi
Combatte per la causa NATO-USA non per la sua indipendenza.
L’Ucraina non è più uno stato sovrano dal 2014 quando è passata, col golpe di piazza Maidan, sotto la sovranità NATO-USA con il supporto delle milizie banderiste neonaziste e di un governo indicato dall’Ambasciata americana a Kiev, vera regista del golpe. Il governo Zelensky è un governo fantoccio, utile per dare una parvenza di democraticità a quello che è a tutti gli effetti un regime militarizzato e repressivo sotto il tallone delle formazioni neonaziste e della polizia.
Eletto con la promessa di pacificazione con la Russia e di risolvere la questione del Donbass rispettando gli accordo di Minsk e le autonomie di quelle regioni, dopo le elezioni ha cambiato linea di condotta ed ha abbracciato la causa della guerra infinita alla Russia aderendo a tutta l’impostazione nazionalista dell’estremismo ucraino russofobo, fagocitato dagli ambienti NATO e intimidito dalle milizie banderiste.
Fabrizio Casari: Elezioni, arrivano i dollari
Elezioni, arrivano i dollari
di Fabrizio Casari
L’operazione mediatica sui presunti soldi russi, condotta dal Dipartimento di Stato USA, fa notizia, sebbene essa sia assolutamente inventata. Distribuire 300 milioni di Dollari tra 28 Paesi diversi pensando di poterne condizionare la vita politica ed economica, è imbecillità che nemmeno la finanza creativa di Tremonti avrebbe ideato.
Del resto gli interessi politici della Russia hanno a che vedere con il consolidamento della sua cintura di sicurezza in Asia e Medio Oriente e le sue politiche di difesa si muovono precisamente negli stessi ambiti. Difficile credere che vi sia nelle redazioni italiane uno talmente idiota da pensare che a Mosca ritengano congrua la cifra di 300 milioni di Dollari per destabilizzare i paesi occidentali, eppure si scrive perchè serve alla causa. La domanda non è quindi sul perché gli USA inventano una panzana alla vigilia del voto in Italia; la vera questione è come mai la stampa italiana da spazio e persino rilancia senza un briciolo di credibilità ed affidabilità una fake news elettorale.
Sara Gandini e Paolo Bartolini: A De Magistris, una lettera
A De Magistris, una lettera
di Sara Gandini and Paolo Bartolini
Caro Luigi,
ti scriviamo perché, come portavoce e capo politico di Unione Popolare, rappresenti per molti una figura umana e politica degna di rispetto, in una fase della vita italiana in cui è enormemente difficile non dubitare di chiunque. Le elezioni sono prossime e sappiamo che le poche forze antisistema – pacifiste e antiliberiste – vengono private della giusta visibilità sui mass media. Ma i problemi, soprattutto a sinistra, derivano non solo da questa strozzatura democratica, per la quale assistiamo a una progressiva concentrazione di potere in poche mani con il sostegno del 90% della stampa e delle televisioni, ma anche da interne contraddizioni che lacerano il tessuto dei rapporti umani e la possibilità di avanzare insieme con fiducia. Mentre il dissenso sull’adesione effettiva dell’Italia alla guerra in Ucraina viene silenziato, rendendo la presente campagna elettorale qualcosa di avvilente oltre ogni immaginazione, non possiamo che notare che la stessa cosa sta accadendo in merito alla gestione controversa e spesso autoritaria della pandemia/sindemia Covid-19.
Gimmi Santucci: I dieci piccoli indiani della disintegrazione epocale
I dieci piccoli indiani della disintegrazione epocale
di Gimmi Santucci
Dieci istanze che comprendono il nostro vivere, dieci aree devastate una a una, come una macabra filastrocca, un rituale disumano che non trascura nulla. Tentiamo di sorvolarle a bassa quota, consapevoli che la velleità di ogni vué dégagée trascura nitidezza e dettagli.
10. Il liberismo ha vinto. Da quarant’anni ha ripreso vigore occupando ogni ambito.
L’economia poteva essere lo spazio naturale in cui impiantare il suo corredo di libero mercato, Stato minimo, sistema aperto e lassaiz faire. Ma la reazione neoclassica era talmente urgente che ha imperversato sull’informazione, sull’istruzione, su ogni dinamica sociale. Hanno vinto e hanno preso tutto, e non sono neanche gli austriaci alla Hayek, dove l’economia era ancora una scienza sociale, ma i Chicago Boys di Friedman, per cui l’economia diventa disciplina empirica da coniugare al monetarismo e al culto della moneta scarsa.
9. Questo non è bastato. Istanze geopolitiche esogene hanno imposto lo smantellamento del comparto manifatturiero, della trasformazione industriale. Lo stile e l’inventiva nostrane sono espatriate. In nome dell’economia di scala, del gigantismo produttivo e della delocalizzazione, ci siamo persi anche le banche, gran parte della Piccola e Media Impresa, nostra spina dorsale, e il controllo della Borsa.
Gabriele Germani: L’occidente e l’illuminismo oscuro
L’occidente e l’illuminismo oscuro
di Gabriele Germani
Ormai è chiaro che a scontrarsi non sono Russia e Ucraina, ma Russia (con i BRICS al suo fianco) e USA (con la NATO dietro).
Il dato interessante è lo scontro tra diversi modelli di capitalismo (non entrerò nel merito del socialismo di mercato cinese, diamo per buona l’idea che si tratti di una variente di capitalismo).
La caratteristica che accomuna i BRICS è l’interventismo dello Stato. Si tratta, inoltre, di comunità/stati in cui il senso di appartenenza è più compatto rispetto all’Occidente. Ho evocato più volte, gli sciamani siberiani che si recano nel regno degli spiriti per sostenere le sforzo bellico – notando che anche i loro figli sono al fronte.
A crollare sono le certezze del mondo occidentale: mercato e finanza deregolamentati, diritti individuali, atomizzazione.
Al di là dei limiti produttivi e riproduttivi (questione demografica) e anche sorvolando i limiti ecologici (discussi a giorni alterni), il sistema non sta reggendo la sfida.