Andrea Zhok – 27/09/2022
Il bicchiere mezzo vuoto è chiaro abbastanza.
Come auspicato dal sistema “draghista” il prossimo parlamento non avrà opposizione e il partito unico neoliberale avrà mano libera.
Sarebbe stato bello poter mettere qualche bastone fra le ruote e sarebbe stato soprattutto utile avere una base istituzionale per supportare le attività sul territorio.
Non è accaduto. Amen.
Voglio invece ora guardare al bicchiere mezzo pieno.
Si dirà: “Quale bicchiere mezzo pieno?”
Ecco, il bicchiere mezzo pieno c’è, ma per essere descritto richiede una premessa un po’ ingombrante.
Come osservato più volte, la fase storica che stiamo attraversando non è una fase qualunque, ma un passaggio d’epoca. Se dovessi dare una descrizione a maglie larghe del processo all’interno di cui siamo, proverei a caratterizzarlo attraverso quattro date simboliche.
Il 1820, con il compimento della Rivoluzione industriale in Inghilterra e il superamento economico dell’Occidente rispetto all’Impero cinese. Si può datare così, simbolicamente, la piena maturazione dell’Occidente liberal-capitalista e l’avvio della sua fase di egemonia mondiale.
Il 1973, con l’uscita completa degli USA dagli accordi di Bretton Woods e l’avvio della stagione neoliberale, caratterizzata dal dominio accelerato dell’economia finanziaria e dall’esplosione del processo di globalizzazione.
Il 2007-8, con la crisi subprime, che segna l’inizio della fine della grande fase espansiva, durata due secoli, del blocco militare-industriale-finanziario occidentale (a guida angloamericana).
E infine il 2020, con la crisi pandemica che – casuale o procurata che sia – definisce l’avvio di una brusca accelerazione del processo di contrazione avviato con la crisi subprime.
Questa è la traiettoria all’interno di cui ci troviamo: la fase terminale di una traiettoria secolare. Una tale collocazione richiede di saper immaginare un mondo nuovo (o forse ripensare un mondo antico) al di là di questa soglia.
Ma i ceti apicali del mondo neoliberale, che hanno tutto da perdere, non hanno altra scelta che quella di rimanere abbarbicati al vascello che affonda, cercando di scaricare in mare come zavorra tutto ciò che è sacrificabile.
Questo è quanto sta accadendo. In questo contesto l’Europa è sacrificabile e l’Italia è la parte più sacrificabile dell’Europa.
In questa fase ciò di cui c’è un impellente bisogno è la creazione dal basso di un nucleo politico (ma anche esistenziale) nuovo, disposto ad abbandonare il vecchio mondo dei cascami liberali e neoliberali.
Come sempre, è più disponibile ad abbandonare il vecchio cammino e cercare il nuovo chi ha poco da perdere. In questo momento la maggior parte della popolazione europea ed italiana crede di avere ancora molto, troppo da perdere, e perciò non è predisposta ad aprire lo sguardo al nuovo. È normale che sia così e non è un processo che possa né debba essere accelerato: avverrà con i propri tempi, ma avverrà.
C’è tuttavia bisogno di un’avanguardia che inizi a gettare l’occhio al di là del sistema corrente e che lo faccia con sollecitudine, perché essere preparati è la precondizione per orientare gli smottamenti a venire – e non venirne travolti. Questo processo di anticipazione deve avvenire a tutti i livelli: teorico, culturale, esistenziale, economico, territoriale, istituzionale.
Perché ciò accada non bastano ispirazioni culturali generali né critiche del sistema, per quanto acute. Ciò che serve è innanzitutto la creazione di un nucleo operativo, capace di fare da centro di aggregazione in questo compito storico.
Creare questo nucleo operativo iniziale è il compito più difficile. Ma forse, e dico forse, l’avventura senza lieto fine degli ultimi due mesi ha comunque permesso di fare proprio questo: creare un centro di gravità, piccolo ma denso, intorno a cui, con pazienza, far crescere un mondo alternativo.
Questi sono però momenti critici. Dopo le sconfitte la tentazione è sempre quella di cercare un colpevole purchessia e/o di ritirarsi su un terreno noto e per ciò stesso confortevole. Ciò di cui invece ora c’è bisogno, per essere all’altezza di una sfida fuori dall’ordinario, è usare con umiltà, fermezza e perseveranza il patrimonio che si è creato, di procedere senza guardarsi indietro.
Non bisogna lasciarsi distrarre, non bisogna smarrirsi in recriminazioni, bisogna credere al ruolo e compito storico cui si è consegnati – che è sempre al di là della fragiltà e dei difetti di ogni singolo.