Rassegna del 12/10/2022
Ennio Bordato: Ucraina: una tragedia annunciata
Ucraina: una tragedia annunciata
di Ennio Bordato
Pochi giorni fa la morte di Michail Sergeevič Gorbačev ha segnato la fine di un’era. Per molto tempo la politica estera della Russia verso l’Occidente è stata determinata dal suo approccio e dalla sua eredità, fino a quando non si è scontrata con un nuovo muro invisibile, ma del tutto reale, costruito dall’Occidente tra sé e la Russia negli ultimi 20-25 anni. Questo nuovo muro ha svelato la debolezza della politica e delle concessioni di Gorbaciov, politica applaudita calorosamente in Occidente, ma che ha condannato la Russia alla dipendenza e alla capitolazione geopolitica. Gorbaciov, infatti, credeva nella ristrutturazione delle relazioni internazionali e nella possibilità di costruire una casa comune europea. Gli sviluppi in Europa, così come l’evoluzione delle relazioni tra Russia e Stati Uniti, hanno mostrato l’ingenuità di questo approccio. Il suo tentativo strategico di avvicinarsi all’Occidente attraverso concessioni unilaterali risale alla fine del 20° secolo, ma è stato respinto nel 21° secolo. La dottrina di Gorbaciov, ammesso che si possa parlare di dottrina, non ha resistito all’impatto con la realtà e alla prova del tempo.
Ciò che è accaduto dalla fine dell’Unione delle Repubbliche Socialista Sovietiche in Ucraina (e negli Stati Baltici) è il risultato di questo approccio errato. Nel dicembre del 1991 la settantennale esperienza sovietica cessava di esistere. Smentendo il referendum democratico del marzo dello stesso anno che aveva visto il 78% della popolazione esprimersi a favore del mantenimento dell’Unione, i tre presidenti delle repubbliche dell’URSS – Russia, Ucraina e Bielorussia – decidevano di “ascoltare” le voci dei consiglieri statunitensi che da tempo erano presenti nel caos della perestrojka gorbacioviana.
Stefano Borselli: Marx e gli stalloni dello storpio
Marx e gli stalloni dello storpio
di Stefano Borselli
Bianchi denti ha Lecania, e Taide neri. Perché? Quelli son finti, e questi veri.
Marziale
Così Feticcio nell’enciclopedia Treccani: «Oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spirituale». L’enciclopedia aggiunge che il termine fu «adottato nel xvi sec per designare gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cultuali di popoli indigeni africani» e in seguito fu esteso «a qualsiasi oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile sovrumana».
Freud rimase dunque perfettamente nel significato del termine usandolo, ad esempio, per un guanto che diviene generatore di desiderio, surrogato della donna che ne era proprietaria.
Marx intitola «Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano» un paragrafo, celeberrimo, del primo libro del Capitale. In quello Marx descrive (corsivi miei)
fino a che punto una parte degli economisti sia ingannata dal feticismo inerente al mondo delle merci ossia dalla parvenza oggettiva delle determinazioni sociali del lavoro
e prosegue:
Poiché la forma di merce è la forma piu generale e meno sviluppata della produzione borghese — ragion per la quale essa si presenta cosi presto, benché non ancora nel medesimo modo dominante, quindi caratteristico, di oggi — il suo carattere di feticcio sembra ancor relativamente facile da penetrare. Ma in forme piu concrete scompare perfino questa parvenza di semplicità. Di dove vengono le illusioni del sistema monetario?
Sandrine Aumercier: «Grigio è l’albero della vita, verde è la teoria»
«Grigio è l’albero della vita, verde è la teoria»
di Sandrine Aumercier
Il testo di Robert Kurz che recava questo titolo, apparve su Exit! nel 2007. In esso Kurz si prefigge di smontare tutte le «teorie dell’azione» che a partire dagli anni Sessanta si sono via via succedute, e delle quali è stato un contemporaneo, e persino un militante. Per mettere le cose in prospettiva: Kurz è stato un militante attivo nel movimento studentesco del 1968, dapprima all’interno dell’SDS (Sozialistischer Deutscher Studentenbund) e poi sotto le bandiere dell’opposizione extraparlamentare (APO, in contrasto sia con l’SPD, il Partito Socialdemocratico della Germania Ovest, sia rispetto all’URSS). Dopo la disgregazione dell’SDS, si venne a formare una costellazione di K-Gruppen; piccoli gruppi, per lo più maoisti, che formarono la Nuova Sinistra. Kurz vi ebbe parte attiva, scrivendo articoli e opuscoli insieme ad altri. Espulso dal suo gruppo nel 1976, insieme ad altri partecipò poi alla creazione di una «nuova corrente» marxista-leninista, che si rivelò essere un altro fallimento. Mentre molti altri ex partecipanti alle K-Gruppen si convertirono via via ai Verdi tedeschi e ai movimenti antimperialisti, nel 1984 Kurz lanciava, insieme ad altri, l’Iniziativa Marxistische Kritik, una struttura che avrebbe dovuto costituite le premesse per uno studio delle basi teoriche della militanza di sinistra [*1]. Nel 1984 pubblica un pamphlet dal titolo «Epitaffio per il nuovo piagnisteo», seguito nello stesso anno da «Crepe e provocazioni. Un regolamento di conti con la sinistra e la scena alternativa». Gli autori (tra cui Kurz) attribuiscono alla loro «critica radicale… della coscienza della scena oppositiva in questo paese», tutte le veementi reazioni. La critica era quindi già specificamente rivolta alla «coscienza di sinistra», e l’obiettivo di questo regolamento di conti era, in maniera particolare, la fantasmagoria di una «scena» alternativa, a partire dalla quale si sarebbe potuto rovesciare il sistema capitalistico.
Fabio Mini: Il mese prima del Generale Inverno: la chiave del conflitto ora è il tempo
Il mese prima del Generale Inverno: la chiave del conflitto ora è il tempo
di Fabio Mini
La fretta del clima. Gli ucraini devono avanzare il più possibile, i russi rallentarli al meglio. Devono scegliere dove impostare la difesa che consenta di riprendere l’attacco
Dei quattro fondamentali della guerra (spazio, tempo, forze e volontà), i prevalenti in questa fase sono il tempo e la volontà, identificata con il morale, la motivazione. Le forze sono scarse ed esauste su entrambi i fronti ma quelle poche di Kiev ad est del Dniepr si muovono in fretta mentre quelle russe attestate in difesa possono contrastarle attivamente solo con il fuoco.
Le forze di Kiev possono operare in velocità (rapporto spazio/tempo) perché sono poche e lo spazio è praticamente vuoto. I territori sottratti ai russi con le incursioni sulla prima linea o lasciati dai russi sono spazi pieni di detriti, distruzioni, cadaveri e terribilmente vuoti della cosa più importante: la popolazione, sulla quale si basa il sostentamento materiale e morale di una forza militare lontana dalle fonti di alimentazione.
Pierluigi Fagan: Punto critico?
Punto critico?
di Pierluigi Fagan
Siamo ad un punto critico della guerra in Ucraina? Proverò a sviluppare una tesi ipotetica, troppe cose non sappiamo per aver certezze e sebbene esplorerò una tesi, si potrebbero interpretare le stesse cose in altro modo. Il punto è: si inizia a pensare a come uscirne?
I fatti, almeno quelli pubblicamente noti. Biden, ad un fundraising a casa del figlio di Murdoch, ha detto: 1) siamo nella più grave crisi di rischio atomico dai tempi dei missili a Cuba; 2) conosco personalmente Putin, non scherza; 3) se in virtù di una sostanziale non vittoria sul campo sente minacciato il suo potere e si mette ad usare l’atomico tattico, da lì in poi è escalation senza via di uscita; 4) sto allora pensando quale potrebbe essere una via d’uscita.
Blinken ha rilanciato “noi siamo pronti a trovare una soluzione diplomatica, ma i russi vanno in direzione opposta”. I russi, nei giorni scorsi, hanno detto più o meno lo stesso, dal loro punto di vista. Alcuni sostengono che da tempo i due si parlano dietro le quinte e quindi quello che noi vediamo è schiuma quantistica sopra fatti ignoti.
Piccole Note: Ucraina: evitare l’Armageddon
Ucraina: evitare l’Armageddon
di Piccole Note
La guerra ucraina è andata fuori controllo. Non è più qualcosa che si può gestire senza rischiare incidenti di percorso tali da innescare una guerra mondiale, come rilevava un articolo del New York Times riferito in una precedente nota. È ormai chiaro a tutti. Anche Biden lo ha detto nel modo più solenne e chiaro possibile: quando Putin afferma di essere pronto a usare le armi nucleari (se attaccato) “non sta scherzando”, ha dichiarato il presidente Usa, aggiungendo che c’è il rischio di un’Armageddon, ancora più acuto ora che al tempo della crisi dei missili cubani del ’62.
Lo hanno capito, finalmente, dopo sei mesi di guerra e decine di migliaia di morti. Dopo mesi in cui hanno deliberatamente nascosto sotto il tappeto i pericoli connessi a una guerra della Nato contro la Russia, perché di questo si tratta. Dopo mesi in cui hanno tacciato di filo-putinismo quanti avvertivano del pericolo e chiedevano il negoziato.
Ora, nonostante le cronache festose della vittoria ucraina, hanno compreso che la guerra è andata fuori controllo… Riportiamo due articoli pubblicati sui media americani nei quali alcuni analisti ripetono, in modo sempre più ragionevole, gli avvertimenti pregressi.
Enrico Vigna: Fuori la Francia per la Russia? Cosa sta accadendo in questi giorni in Burkina Faso
Fuori la Francia per la Russia? Cosa sta accadendo in questi giorni in Burkina Faso
di Enrico Vigna
Questa nuova crisi in Burkina Faso ha suscitato immediatamente preoccupazioni e dichiarazioni contrastanti a livello internazionale. Il Dipartimento di Stato USA e tutti i paesi europei e occidentali, hanno condannato il rovesciamento, mentre il resto dei paesi, tra i quali la Russia e la Cina, hanno tenuto una posizione di attesa e comprensione degli avvenimenti, invitando solo a trovare soluzioni e processi non sanguinosi.
L’attuale rovesciamento militare è l’undicesimo dalla formazione del Paese dal 1960, data in cui ottenne l’indipendenza. I militari autori della presa del potere, guidati dalle unità delle forze speciali Cobra, hanno compiuto un azione sostanzialmente incruenta (fonti legate al precedente governo dicono di due morti e nove feriti), hanno annunciato lo scioglimento del governo e del Parlamento, la sospensione della Costituzione e la chiusura temporanea delle frontiere terrestri e aeree del Paese, promettendo nuove elezioni entro il 2024, come preventivato dal deposto governo di transizione militare.
Gabriele Guzzi e L’Indispensabile: La crisi finanziaria spiegata in 5 punti
La crisi finanziaria spiegata in 5 punti
di Gabriele Guzzi e L’Indispensabile
In questo articolo, vorrei provare a fare chiarezza sulla situazione finanziaria in Occidente, confrontando l’Italia con gli altri paesi e offrendo alcuni spunti per le prossime politiche nazionali.
Partiamo da due casi per sviluppare il nostro ragionamento su cinque punti. La Germania ha varato un fondo da 200 miliardi di euro, la Gran Bretagna un piano da circa 160 miliardi di sterline. L’obiettivo del primo è creare uno scudo sull’aumento del costo delle bollette. Il piano inglese si propone, oltre allo scudo sulle bollette, anche di diminuire le tasse. Entrambi si appoggiano sostanzialmente su nuovo deficit. Ora, non vorrei entrare nel merito dei due piani ma sul principio che in Italia si vorrebbe contestare. Tale principio si esplica nell’idea che, soprattutto in tempi di crisi, un coordinamento tra politica monetaria e politica fiscale sia la via meno dolorosa e potenzialmente più democratica per evitare conseguenze disastrose. Se non si ripartirà da questo principio di base si uscirà dalla crisi in forma più povera e diseguale.
Primo punto: la presunta marcia indietro del governo inglese – molto spettegolata dai nostri analisti che sono molto contenti quando un governo viene messo alle corde dai “mercati” – riguarda solo 2,5 miliardi dell’intero piano: il taglio dell’aliquota al 45% sui redditi superiori ai 150 mila sterline.
Giorgio Gattei: Il grano e il tulipano: a lezione da Dgiangoz (“La D è muta”. “Lo soooo”!)
Il grano e il tulipano: a lezione da Dgiangoz (“La D è muta”. “Lo soooo”!)
Cronache marXZiane n. 9
di Giorgio Gattei
1. Nel corso del mio prolungato soggiorno sul pianeta Marx, dove sono stato trascinato dall’astronave marxziana “La Grundrisse” (vedi Cronache MarXZiane n. 1) mi ero fatto l’idea che la presenza delle cosiddette “merci non-base”, che sono una componente significativa del suo panorama, potesse avere una qualche parte nella “legge di caduta” del suo Saggio Massimo (di profitto). Ricordo i due termini in questione: Saggio Massimo è il maggiore dei saggi del profitto qualora non si paghino salari (il che succede in una estrema periferia del pianeta che ho visitato) e questo è evidente: essendo il profitto P = (Y – W) con Y = prezzo del Prodotto al netto del capitale impiegato K e W = ammontare dei salari, per W = 0 sarà:
max r = R = Y/K
da cui si vede subito come Saggio Massimo non sia poi altro che l’inverso del ben più noto rapporto Capitale/Reddito (sebbene questa coincidenza non abbia mai ricevuto sufficiente attenzione).
A loro volta le “merci non-base” sono quelle merci che, secondo la definizione rigorosa data da Piero Sraffa, pur essendo state prodotte come ouput non entrano come input nella produzione delle altre merci – e non si pensi che siano poche queste merci se in esse vanno compresi i “beni di lusso” dei signori ma pure i beni-salario acquistati dai lavoratori oltre il loro consumo necessario e le spese pubbliche improduttive dello Stato, come gli armamenti o le “buche per terra” di keynesiana memoria. Insomma, sono così tante e diverse queste merci non-base che, per non far torto a nessuna di loro, le ho generalizzate ai tulipani che sono un bene ad esclusivo utilizzo ornamentale e che sono anche stati curiosamente oggetto, come ho ricordato nella Cronaca precedente, della prima speculazione finanziaria “di massa” della storia.
Il Rovescio: Giudizio universale senza pause (e senza appelli)
Giudizio universale senza pause (e senza appelli)
di Il Rovescio
Anche il Giudizio Universale ha le sue pause.
Christian Friedrich Hebbel, Diari (1835-1863)
L’appello di rado evita di cadere nel missionario; e v’è chi se ne turba. Certo, tutti sanno quanto siano rudi e per nulla pensosi di sé e degli altri gli edili e i villici; dubito, tuttavia, che se andremo ad avvertirli che la guerra atomica fa male, quelli si metteranno a scuotere le teste dialettali, chiosando: «Be’, se lo dicono quelli, qualcosa di vero ci deve essere». […] Certo, a firmare o compilare codesti documenti «si ha ragione»; ma non v’è una qualità corruttrice, qualcosa di stranamente degradante nell’«aver ragione», quasi quanto nel vincere una guerra?
Giorgio Manganelli, «Alcune ragioni per non firmare gli appelli», in Lunario dell’orfano sannita, 1973
«Mai mettere in gioco la propria sorte se non si è disposti a giocare con tutte le proprie possibilità». Il vecchio adagio non vale solo per i poveri e per i rivoluzionari, ma anche per gli Stati, i capitalisti e i tecnocrati. Quando i dadi sono tratti, e oggi lo sono, si possono pagare care tanto le avventure della potenza quanto la titubanza delle mezze misure. Le prime possono diventare la classica fine nell’abisso, le seconde l’altrettanto classico abisso senza fine.
La mossa da parte della Federazione russa di annettere i territori di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporož’e alza drammaticamente la posta in gioco, rendendo, come noto, eventuali attacchi dell’esercito ucraino oltre i nuovi confini una «minaccia esistenziale» per lo Stato russo, minaccia che consentirebbe l’uso di ogni mezzo, comprese le armi atomiche “tattiche”. La concomitante «mobilitazione parziale» di trecentomila riservisti è stata accompagnata da due fenomeni interni opposti: da un lato, il riaccendersi delle proteste (e delle azioni dirette contro i centri di reclutamento) nonché la fuga di migliaia di giovani dal Paese; dall’altro, gli inviti dei settori più bellicisti a schiacciare le forze ucraine una volta per tutte.
Nico Maccentelli: Ci abituano alla guerra nel continente dopo averci preparato con la gestione pandemica
Ci abituano alla guerra nel continente dopo averci preparato con la gestione pandemica
di Nico Maccentelli
Per il virus, coprifuoco, orari draconiani per le attività, distanziamento, pass, sieri…
Per la carenza di gas, razionamento, coprifuoco, economia di guerra, pass, orari draconiani per le attività, psicofarmaci…
Per il rischio di guerra nucleare, razionamento, coprifuoco, economia di guerra, pass, orari draconiani per le attività, pastiglie di iodio…
E’ una guerra sociale dei vertici della società contro le “eccedenze produttive” nel ciclo di accumulazione e valorizzazione del capitale in crisi sistemica, nel declino dell’egemonia USA e del dollaro.
Le nostre classi dirigenti europee devono solo ubbidire e abituarci alla guerra, perché sarà l’Europa l’agnello sacrificale in una guerra limitata al nostro continente con armi nucleari tattiche.
Certo, gli USA devono vincere resistenze interne agli stati e ai governi europei, non siamo a fine corsa e devono frenare la spinta ucraina alla guerra totale mandando piccoli segnali, come la denuncia di ciò che si sapeva già: che dietro l’agguato ai Dugin c’era Kiev. I nazisti ucraini devono stare nei binari imposti dalla CIA e dal Dipartimento di stato USA.
Eugenio Donnici: La nebbia del salario minimo
La nebbia del salario minimo
di Eugenio Donnici
Nel 2014, il dottorando A. Aniasi della Luiss Guido Carli, nell’esaminare la relazione tra salario minimo e disoccupazione, seguendo il sofisticato e suggestivo filone dei modelli matematici applicati all’economia (Econometria), è arrivato alla conclusione che << un provvedimento che aumenti di un dollaro (all’ora) il salario minimo causerebbe mediamente la perdita di 66.614 posti di lavoro>>. (1) Una precisione che spacca il capello! Nel ripercorrere i principali studi e la letteratura in tema di rapporto tra disoccupazione e salario minimo, non può ignorare la ricerca di Alan Krueger e David Card, del 1994, Minimum Wages and Employement: a Case Study of the Fast Food Industry in New Jersey and Pennsylvania. La pubblicazione di tale articolo on The American Economic Review suscitò scalpore negli ambienti accademici, poiché i due autori, utilizzando il linguaggio matematico e statistico, pervennero a conclusioni opposte. Il modello matematico elaborato, anche se il loro approccio rimase all’interno degli studi empirici, fece sorgere dei dubbi al pensiero dogmatico della corrente economica tradizionale.
Francesco Dall’Aglio: Nucleare tattico. Davvero la Russia ha necessità di usarlo?
Nucleare tattico. Davvero la Russia ha necessità di usarlo?
di Francesco Dall’Aglio
Quindi ora l’ultima, secondo i nostri media (tipo il Times), è che Putin ordinerà dei test nucleari al confine dell’Ucraina, probabilmente nel Mar Nero, per dimostrare che “fa sul serio”, dopo che già due giorni fa Repubblica (e chi se no) ci aveva deliziato con la storia della fuga del Belgorod e dei suoi Poseidon.
Lo dico adesso e non lo ripeterò, perché questa storia da surreale sta diventando chiaramente preoccupante, e non per i motivi che uno può immaginare:
1) la Russia NON sta perdendo la guerra né l’ha già persa. L’esercito russo NON è in rotta. Lo so, è strano da credere, ma fidatevi.
2) la Russia non ha ALCUNA volontà, e meno ancora necessità (finora, almeno), di utilizzare armi atomiche, chimiche o batteriologiche in Ucraina. Il motivo è al punto 1.
3) la dottrina nucleare della Russia NON prevede il primo impiego di armi nucleari perché si sono ritirati da Lyman. Prevede l’impiego di armi nucleari in risposta a un attacco sul suolo russo con armi nucleari, o in risposta a una minaccia che mette a rischio la SOPRAVVIVENZA della Federazione Russa.
comidad: La tenaglia tra emergenza e palingenesi
La tenaglia tra emergenza e palingenesi
di comidad
La futilità è una categoria dello spirito ampiamente sottovalutata. Magari si pensa che ci si sarebbe potuto risparmiare almeno la mamma della Meloni, come se la figlia non fosse già d’avanzo; invece è stata un’esperienza istruttiva. L’augusta genitrice ci ha infatti intrattenuto sulla sua filosofia, così riassumibile: “li poveri nun deveno magnà, se no nun lavoreno”. Nel pacchetto-Meloni non poteva mancare l’ingrediente dell’esibizionismo parentale, dato che il prodotto OGM di finta alternativa era stato in gran parte confezionato nel laboratorio/salottino di Bruno Vespa, mescolando la canzone “Semo gente de borgata” dei Vianella e Califano con l’inno dei marines.
Non sarebbe però corretto concludere che il partito della Meloni abbia subìto un tale bagno neoliberista e mediatico da non avere più nulla a che vedere con la tradizionale “destra sociale” del MSI. In realtà lo stile è ancora quello. Negli ultimi settanta anni Roma è stata la roccaforte del nostalgismo fascista a base popolare. La retorica “der popolo” è stata ovviamente declinata in senso favorevole all’establishment.
Giovanni Mottura: Al tempo dei Quaderni Rossi
Al tempo dei Quaderni Rossi
di Giovanni Mottura
Il 3 ottobre è morto a Bologna, Giovanni Mottura, nato a Torino nel 1937, importante meridionalista, sociologo e membro del movimento evangelico valdese. Negli anni Sessanta a Torino si unì al gruppo di giovani intellettuali marxisti intorno a Renato Panzieri, partecipando alla redazione della rivista “Quaderni rossi” dando avvio alla nuova sinistra non stalinista e critica contro l’autoritarismo e il dogmatismo. Lo ricordiamo con questo suo ricordo di Vittorio Rieser, compagno degli anni torinesi, pubblicato sul n. 169 dello “Straniero” del luglio 2014
La voce del compagno che la mattina di giovedì 22 maggio mi ha telefonato “questa notte è morto Rieser” ha evocato, come in un déjà vu, la stessa situazione improvvisa e profonda di vuoto, di assenza non reparabile, provata la notte del 9 ottobre del 1964 a Torino, quando, verso le tre uno squillo di telefono mi ha svegliato e la voce di Vittorio mi ha detto: “Raniero sta morendo, vieni presto in via Sei ville”. Ero consapevole del tempo trascorso da allora, che ero lontano da Torino, che non ero in quella città notturna che la vespa aveva attraversato veloce, senza neanche che avessi la percezione di guidarla, verso quella casa che nei pochi anni di presenza torinese di Panzieri era stata un luogo intenso di amicizia, scambi, progetti, apprendimento e reciproco ascolto per un gruppo di giovani, un fratello maggiore e la sua compagna.
Giorgio Agamben: Rimetti a noi i nostri debiti
Rimetti a noi i nostri debiti
di Giorgio Agamben
La preghiera per eccellenza – quella che Gesù stesso ci ha dettato («pregate così») – contiene un passo che il nostro tempo s’ingegna a ogni costo di contraddire e che sarà bene pertanto ricordare, proprio oggi che tutto sembra ridursi all’unica feroce legge a due facce: credito/debito. Dimitte nobis debita nostra… «rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». L’originale greco è ancora più perentorio: aphes emin ta opheilemata emon, «lascia andare, rimuovi da noi i nostri debiti». Riflettendo nel 1941, in piena guerra mondiale, su queste parole, un grande giurista italiano, Francesco Carnelutti, osservava che, se è una verità del mondo fisico che non si può cancellare ciò che è avvenuto, lo stesso non può dirsi per il mondo morale, che si definisce appunto attraverso la possibilità di rimettere e perdonare.
Occorre innanzitutto sfatare il pregiudizio che in questione nel debito sia una legge genuinamente economica. Anche prescindendo dal problema di che cosa s’intenda quando si parla di una «legge» economica, una sommaria inchiesta genealogica mostra che l’origine del concetto di debito non è economica, ma giuridica e religiosa – due dimensioni che quanto più si retrocede verso la preistoria tanto più tendono a confondersi.