Un documento realizzato da Assemblea Militante (Novembre 2022). Buona lettura
Dall’emergenza pandemica all’emergenza permanente
1. Covid-19: tra realtà e finzione
La pandemia di Covid-19 è stata presentata da tutti i governi e i media del mondo, sotto la guida dell’OMS, come una nuova terribile malattia in grado di provocare decine di milioni di morti. La malattia è reale, e reale è anche il virus che la provoca, sulla cui origine, peraltro, si sono aperti scorci che ne rendono sempre più probabile la creazione in laboratori sotto guida Usa. La sua gravità è stata, in ogni caso, fortemente esagerata. Chi continua a baloccarsi con la narrazione mainstream della “pandemia terribile e incontrollabile”, ripetendo come le preghiere del rosario le cifre ufficiali sui morti e sulla letalità più o meno alta della malattia, ignora a bella posta che è ormai impossibile stabilirne la letalità oggettiva, poiché questa è indissociabile dalla sua gestione terroristica e criminale. La letalità è stata resa più alta – sia sul piano dell’impatto reale della malattia che della sua rappresentazione scientifico-mediatica – attraverso una serie di misure assunte, con poche variazioni, quasi dappertutto:
• negazione delle cure: nonostante migliaia di medici in tutto il mondo abbiano fin da subito adottato efficaci rimedi farmacologici, sono stati imposti agli apparati sanitari i protocolli tachipirina e vigile attesa, tramite i quali migliaia di pazienti sono finiti in ospedale, dove le pratiche di “cura” (imposte da protocolli ministeriali) non hanno fatto altro che accompagnarne alla morte un grande numero;
• conteggio di decesso per covid di chiunque sia positivo a un test che la stessa OMS, nel sito ufficiale, indica (per ripararsi da eventuali responsabilità penali) come strumento che da solo non fornisce diagnosi.
L’allarme sulla pericolosità del virus è stato, inoltre, accresciuto con la creazione di una nuova categoria di “malati”: totalmente asintomatici ma positivi allo stesso inaffidabile test. Questa pandemia artificialmente gonfiata fino al parossismo è stata affrontata con misure discutibili (che sempre più numerosi studi scientifici dimostrano inutili se non dannose): confinamento dei sani, blocco delle attività economiche, relazionali, ludiche, sindacali, politiche, ecc., utilizzo di mascherine (incapaci di bloccare i virus), distanziamento sociale, disinfettazione continua con prodotti dannosi per la pelle, ecc.
2. Vaccini e terapie di Stato
La presunta assenza di cure è servita per imporre il ricorso a vaccini approvati in emergenza. Questi non sono dei veri vaccini in grado di bloccare l’infezione, ma al più dei farmaci che dovrebbero ridurre gli effetti più gravi della malattia. OMS e governi occidentali hanno incentrato le loro campagne di vaccinazione su farmaci di nuova generazione, basati su terapie geniche veicolate dal mRNA, ossia in grado di indurre le cellule umane a produrre la proteina (tossica) spike, con lo scopo dichiarato di generare negli organismi gli anticorpi necessari a combattere il virus. La loro efficacia si è dimostrata estremamente limitata se non nulla. In compenso questi vaccini sono in grado di produrre una grande quantità di effetti avversi (tenuti il più possibile nascosti) che inducono malattie di vario livello di gravità fino alla morte improvvisa e che, secondo molteplici studi, possono innescare reazioni anche in tempi futuri, mentre, secondo altri studi, possono compromettere profondamente il sistema immunitario, esponendo con ciò il punturato a ogni specie di infezione virale o batterica e al cancro, oltre ad abbassarne le difese contro ogni tipo di malattia. La pandemia e la sua gestione sono state occasioni per accelerare o innescare una serie di processi di varia natura, il cui intreccio, non di meno, svela interconnessioni che fanno emergere un disegno unitario.
Sul piano sanitario:
• i sistemi di cura sono stati prima scientemente gettati allo sfascio (con una dinamica di covidizzazione della Sanità: ricoveri indiscriminati nei reparti-Covid tramite l’abuso dei tamponi, mancata applicazione delle cure necessarie a chi si ricovera per altre patologie ma risulta positivo1 ecc.) e poi drasticamente ridotti in nome della priorità della lotta al virus, il che da un lato ha prodotto, produce (e produrrà) probabilmente un numero di decessi superiori a quelli della Covid, dall’altro ha forzatamente abituato milioni di persone a livelli di assistenza inferiori al passato;
• la riduzione dell’assistenza sanitaria, accelerata con la gestione pandemica, viene compensata dal passaggio alla prevenzione tramite la diffusione di vaccini come mezzi fondamentali di lotta a una pluralità crescente di malattie e con l’implementazione di una nuova generazione di farmaci, con passaggio da quelli chimici a quelli biotecnologici;
• in nome di una presunta maggiore efficienza, ha fatto un deciso passo avanti la tele-medicina, il cui fine è trasferire al sistema di macchine intelligenti la diagnosi e la cura: meno medici, insomma, e liberati da ogni contatto fisico con i pazienti, la cui individualità fisico-psichica-ambientale sarà del tutto ignorata e sostituita da protocolli validi per la malattia e totalmente ignari del paziente (sempre più ridotto da organismo a meccanismo…), più efficienti e meno costosi per rimettere celermente in servizio il lavoratore, mentre per le classi dominanti continueranno a vigere cure appropriate alla portata dei loro portafogli. Oltre che in campo sanitario i processi avviati, o accelerati, con la gestione della pandemia hanno riguardato anche altri campi.
Sul campo economico si sono riscontrati i seguenti effetti:
• un attacco concentrico a tutto il piccolo capitale di ogni settore (commercio, servizi, artigianato, ecc.) che è stato costretto alla chiusura durante i lockdown e ha risentito pesantemente di tutte le restrizioni che si sono poi susseguite. Aggravato dai costi per adottare sistemi di controllo contro i contagi e per aderire forzosamente alla digitalizzazione anche di molte altre funzioni. Ciò determina un trasferimento netto di profitti verso il grande capitale tecnologico e porta anche alla chiusura, ammortizzata e accompagnata dai ristori statali, di un grande numero di attività, le quali, ove fossero ancora redditizie nel new normal meno consumistico in via di attuazione con e oltre la pandemia, saranno direttamente appropriate dal grande capitale;
• un attacco violento, e del tutto inedito, all’insieme del lavoro dipendente, trovatosi all’improvviso nella più completa precarietà per cause sanitarie, con il ritorno a una relativa stabilità (di lavoro e reddito) solo grazie all’affettuosa generosità dello Stato elargita in cambio del conforme rispetto delle sue regole: confinamento quando deciso, mascheramento, disinfettazione, rinuncia a ogni assembramento (soprattutto politico e sindacale), vaccino, green pass, ecc.;
• espansione dell’uso delle tecnologie per l’informazione a lavoro, consumo, istruzione, relazioni sociali, ecc. con trasferimento di profitti e poteri crescenti alle multinazionali dell’IT;
• trasformazione delle multinazionali (in particolare del farmaco, High Tech, gestori del web, vendita on-line) da nemico pubblico numero uno a benefattrici della salute pubblica, dalla percezione popolare di monopoli vampireschi a quella di parte positiva per il benessere collettivo (uno dei punti fondamentali del Grande Reset di Schwab e del capitalismo inclusivo di Papa Bergoglio…).
Sul piano finanziario:
• incremento generalizzato dei debiti pubblici per finanziare ristori e sostegni al reddito, con ulteriore trasferimento del potere reale nelle mani delle grandi istituzioni finanziarie, pubbliche e private.
3. In nome del presunto “bene comune”
Il capitale finanziario e gli Stati, che avevano visto vacillare la credibilità con la crisi del 2008, l’hanno riconquistata proponendosi come salvatori del bene comune in un momento di crisi sanitaria. Stati e banche centrali hanno continuato a foraggiare le finanze private col fornire loro denaro a costo zero, dopo averle salvate nel 2008, e questa volta il salvataggio è apparso ancora più operato per perseguire un bene comune, ossia per lenire le conseguenze economiche delle chiusure e del rallentamento generale dell’attività economica causato, ufficialmente, dalla pandemia, realmente dalle scelte di sua gestione imbastite in sede OMS e messe in atto, sia pure con diversa intensità, dagli Stati.
Tutto ciò ha favorito l’accelerazione di un processo di ingegneria sociale e politica diretto a una completa sottomissione della vita individuale e collettiva al capitale e allo Stato, attraverso:
• la costrizione a trasferire le relazioni sociali dal contatto fisico a quello virtuale imposta con l’obbligo del distanziamento sociale, lockdown e blocchi delle attività economiche. Misure giustificate dalla politica di rimedi non-farmacologici contro la diffusione del virus, ma accompagnate da una propaganda battente sulla loro preferibilità in un’epoca annunciata come caratterizzata da crescenti diffusioni di pandemie, e che lascia prefigurare il disegno di una società che riduca a un minimo, fortemente controllato, l’assembramento fisico e le occasioni di socialità diretta;
• la diffusione su larga scala di strumenti per il tracciamento digitale delle catene di contagio e dei vaccinati/non vaccinati (Green Pass), universalmente (o quasi…) accettate come misure di difesa della salute collettiva, si sono rivelate un efficace grimaldello per un processo di espansione del controllo di tutte le attività di ciascuno, al fine di una sorveglianza delle masse, utile dal punto di vista economico e finanziario (anche come base per una riforma monetaria/finanziaria basata sulla moneta digitale), e dal punto di vista politico con il rafforzamento del potere di controllo dello Stato. Lo Stato, inoltre, si è ri-sollevato da decenni in cui la sua immagine di ente super partes al servizio di tutti i cittadini era andata declinando e ha non solo ri-legittimato il suo potere sulla società, ma, col consenso di chi ne apprezza il ruolo a difesa della propria nuda vita, ne ha realizzato un notevole ampliamento:• tutti i diritti (mobilità, lavoro, relazioni sociali, consumo, assistenza sanitaria, attività sindacale, politica, culturale, ludica, ecc.) si sono trasformati in concessioni dello Stato a chi obbedisce ai suoi ordini, nell’immediato per motivi sanitari ma in prospettiva (già in atto con la guerra, la crisi energetica, climatica, ecc.) per qualsiasi motivo di benessere pubblico, con l’introduzione di dispositivi tecnologici di controllo di cui il GP costituisce il primo passo;
• in caso di bisogno, da esso determinato, lo Stato si è acquisito 10 il potere di procedere alla militarizzazione della società, sia nel senso di ruolo civile dei militari sia in quello di trasformare la società in un corpo militarizzato che ubbidisce ai comandi statali senza opporre resistenza;
• per proteggere la salute di ognuno e di tutti, lo Stato si è acquisito il potere di inserirsi nel corpo di ciascuno, costringendolo a inocularsi i trattamenti farmacologici scelti dallo Stato;
• mettere in atto misure economico-sociali in nome di un’emergenza, oggi di carattere sanitario, domani di carattere climatico o energetico o economico o bellico, infischiandosene di ogni bisogno dei lavoratori, ceti medi, artigiani, micro- imprese, ecc. ai quali toglie la possibilità di resistenza sindacale, politica, ecc., e ascoltando solo le richieste del grande capitale internazionale e nazionale;
• mettere alla gogna ed escludere dal lavoro e dal consesso civile tutti coloro che non obbediscono ai suoi ordini (come in guerra per i disertori…).
4. Le radici di questa fase del capitale: la sua crisi sistemica
Il legame tra tutti questi processi è costituito dal tentativo di contrastare la crisi sistemica nella quale il capitale si trascina da decenni. La crisi del 2008 è stata affrontata con gigantesche emissioni di moneta da parte delle banche centrali. La finanza privata e quella pubblica (su cui la prima specula, ma che serve anche per sostenere la stabilità sociale) è così stata provvisoriamente salvata. È stato evitato che la crisi provocasse le sue tipiche conseguenze, cioè che una parte decisiva di capitale finanziario, divenuto un’entità di dimensioni incommensurabili, fosse vittima di una generale svalorizzazione e che l’economia fosse trascinata in una recessione incontrollata. Questo impressionante circuito virtuale ha consentito di tenere alti i valori e i rendimenti dei titoli finanziari, ma non ha risolto nessuno dei problemi strutturali all’origine della crisi, anzi ha contribuito ad aggravarli spostando in avanti e amplificando le difficoltà esistenti sul terreno dell’accumulazione. Si pensi a Paesi come Italia o Giappone (che immette liquidità addirittura dagli anni ‘90) che non hanno più recuperato il livello di produzione precedente a quella crisi. Uno dei nodi principali di tali difficoltà risiede nel fatto che l’enorme massa di capitale esistente non riesce a soddisfare la propria sete di profitti sulla base della produzione di una quantità di plusvalore adeguata alla sua ulteriore valorizzazione. Plusvalore che, date le attuali relazioni sociali dominanti, può scaturire solo dal tempo di lavoro incorporato dalle merci prodotte sfruttando forza lavoro salariata.
Quanto più cresce il capitale già accumulato (e storicamente non può che crescere), tanto più la massa di nuovo plusvalore, anche se in aumento in termini assoluti, si rivela di proporzioni misere rispetto al bisogno della sua valorizzazione, anche perché la necessità di continuo incremento della sua estorsione si scontra con i limiti storici della possibilità di ulteriore e continua riduzione del tempo di lavoro necessario a riprodurre il valore della forza lavoro impiegata.
Le immissioni monetarie hanno tenuto il capitale finanziario a riparo da una crisi devastante, ma non sono state in grado di elevare neanche di uno zero virgola la quantità di plusvalore socialmente prodotta.
La scelta di creare dal nulla fiumi di liquidità e di sostenere titoli di credito e istituzioni bancarie non è stata imposta dal capitale finanziario a quello produttivo di valore. Questa tesi, diffusa anche a sinistra, non tiene conto dello sviluppo cui il capitalismo è pervenuto. Il capitale finanziario è incistato profondamente in quello industriale, possedendone o controllandone la proprietà, attraverso azioni e obbligazioni, ma, soprattutto, lo domina completamente, in quanto la stessa produzione e commercializzazione delle merci è ormai fortemente dipendente dall’espansione del credito, che è parte integrante dell’intero mondo della finanza sempre più drogato dall’emissione di moneta.
I livelli di produzione e consumo sono, in ultima istanza, sostenuti proprio da questa drogatura. Il capitale industriale ha, perciò, vitale necessità della sopravvivenza del circo della finanza. Quindi l’emissione monetaria delle banche centrali, salvando il capitale finanziario, ha salvato tutto il capitale da una crisi di dimensioni incontrollabili, a prescindere dal fatto che poco o niente della moneta erogata sia finita direttamente al capitale industriale.
Ha salvato momentaneamente, ma non ha risolto alcuna delle cause della crisi, che, puntualmente, stavano tornando a riprodurre le condizioni per una nuova esplosione alla vigilia della diffusione del Covid quando alcuni dei principali paesi occidentali presentavano tutti gli elementi di una vera e propria recessione in atto.
La pandemia è giunta, perciò, con una tempistica quanto mai opportuna: ha evitato che il nuovo tornante della crisi apparisse causato di nuovo dalla finanza (cosa che nel 2008 aveva suscitato una ripresa della conflittualità sociale e politica, in Occidente confluita nell’avvento di neo-populismo e sovranismo), e ha, al contempo, consentito di procedere alla creazione di moneta a sostegno della finanza imputandone la necessità non più alle sue esigenze, ma a quelle di sostegno pubblico di fronte a una crisi sanitaria.
Dunque, se la propagazione della pandemia è coincisa con il manifestarsi del rischio del violento crollo degli assets finanziari, con quel che ne sarebbe conseguito per tutta l’economia, ed ha consentito di giustificare provvedimenti straordinari per tamponare i suoi possibili effetti, la sua gestione ha accelerato processi funzionali a una generale ristrutturazione dell’economia e dei rapporti di classe, in ogni singolo paese e su scala mondiale, che si rende necessaria per cercare di affrontare una crisi che si presenta, sempre più, con i caratteri di una crisi sistemica del rapporto sociale del capitale.
Che i piani fossero in preparazione da lungo tempo, da parte dei più potenti detentori del capitale finanziario, multinazionali della tecnologia della comunicazione e del farmaco, Stati, servizi segreti, istituzioni internazionali pubbliche (OMS, FMI, ONU, ecc.) e private (WEF, GAVI, ecc.) non è frutto di fantasioso complottismo. Al contrario, è semplicemente stupido credere che le istituzioni, ufficiali e ufficiose, del capitale, e, in particolare quelle che dominano la sua riproduzione a scala mondiale, non si attivino e non attivino le loro teste pensanti e tutte le loro leve di dominio per affrontare una crisi che minaccia l’insieme del sistema. I piani, perciò, esistono, in parte sono noti e in parte è necessario, per comprenderli, indagare al di là delle apparenze. Ed esiste anche il potere, più o meno coordinato o forzato, di metterli in pratica. Non di meno, avere il potere non vuol dire essere onnipotenti. Qualunque piano per quanto ben congegnato e messo in atto dai maggiori poteri finanziari, economici, politici, militari, deve inevitabilmente scontrarsi con la realtà, con le contraddizioni di classe, di popoli, di Stati, che sono in grado di condizionarlo, deviarlo e, in ultima istanza, anche di sconfiggerlo radicalmente.
Le ricette finanziarie ed economiche
Nell’immediato era necessario evitare l’esplosione di una nuova incontrollata crisi finanziaria. I lockdown e le restrizioni al processo produttivo, circolatorio e di consumo di merci e servizi, hanno permesso, da un lato, di continuare a emettere moneta sostenendo i valori finanziari (e aumentando i debiti statali…), dall’altro hanno impedito che l’economia si surriscaldasse producendo eccessiva inflazione. Da un lato, quindi, si è inondato il mercato di denaro, dall’altro lato si è cercato di evitare una forte inflazione, che avrebbe potuto svalutare pesantemente i crediti, favorendo i debitori. Sembra cervellotico, eppure non è altro che una delle tante contraddizioni che il capitale deve cercare di tenere sotto controllo, per quanto possano apparire assurde: il capitale finanziario per salvare sé stesso e l’insieme del sistema (nel momento di massimo rischio di crisi) rallenta il processo produttivo, che è l’unico che gli fornisce valore reale!In preparazione, però, erano anche altre misure per cercare di imbastire una soluzione alla crisi di più lungo periodo (almeno di provarci, altro conto è, poi, se davvero ci si riuscirà…): in particolare il passaggio a una governance economica che tenga il capitale finanziario al riparo in modo permanente dai rischi di esplosione delle ricorrenti bolle, proteggendo, così, anche l’intero rapporto di capitale dagli effetti delle crisi finanziarie. Ciò comporta, tra le altre cose, la conferma e il rafforzamento del dominio del capitale finanziario occidentale su tutta la produzione, il commercio e la finanza mondiali.
La nuova governance implica:
• una svalorizzazione controllata di parte del capitale finanziario, ai danni, ovviamente, di paesi e Stati meno potenti (inclusi grandi paesi come Russia e Cina) e dei piccoli risparmiatori occidentali;• l’afflusso verso il capitale finanziario di ulteriori quote del plusvalore socialmente prodotto. Il che comporta un’ulteriore concentrazione del grande capitale ai danni del piccolo e un’ulteriore centralizzazione, ma anche un incremento della pressione sulla produzione e consumo affinché diventino ancora più funzionali all’estorsione e appropriazione di plusvalore (spinta all’automazione, industria 4.0, deflazione salariale, precarizzazione del lavoro, diminuzione dei tempi di circolazione di merci e capitali, indirizzamento dei consumi, ecc.) e sulla spesa pubblica, con l’ulteriore riduzione della quota di salario indiretto (sanità, pensioni, scuola, servizi sociali, ecc.) a vantaggio degli interessi sul debito pubblico, delle privatizzazioni per rendere produttive di profitto le funzioni sociali prima erogate dallo Stato, e dell’uso delle entrate pubbliche a vantaggio degli investimenti per la ristrutturazione delle aziende;
• l’introduzione di strumenti monetari (moneta digitale) che permettano di monitorare e orientare l’uso e la circolazione della moneta, in modo da tenere sotto controllo produzione, consumo, credito, ed evitare che le loro turbolenze coinvolgano il capitale 16 finanziario e favorire, anzi, che le esigenze della finanza trovino una più adeguata soddisfazione da parte dell’economia materiale, nonché predisporre un meccanismo di controllo totale sulle attività di chiunque, assumendo il potere di decidere quali spese consentire in materia di consumo e, soprattutto, di contribuzione ad attività politiche, sindacali, informative, culturali, ecc,;
• la digitalizzazione di tutte le funzioni pubbliche e private per ridurne il costo, favorire la concentrazione dei profitti e la centralizzazione del dominio da parte del capitale finanziario e tecnologico, estendere l’acquisizione dei dati di ogni attività umana ai fini di una sorveglianza capillare a beneficio del capitale per orientare e regolare produzione e consumo e dello Stato per il controllo sociale e politico. Tutto ciò comporta l’aumento della pressione contro i paesi periferici, soprattutto quelli maggiormente dipendenti dal grande capitale, ma comporta anche in Occidente un impoverimento generale del proletariato e dei ceti medi, sia di quelli che posseggono piccoli capitali (per lo più presi a prestito…), sia di quelli che prestano lavoro, dipendente o autonomo, a contenuto genericamente cognitivo. Il rischio, quindi, di conflitti sociali e persino rivolte anche nel cuore dell’imperialismo si fa più concreto.
5. “Servire il popolo”. La nuova faccia dello Stato per imporre il controllo sociale
Per prevenire e reprimere i potenziali conflitti sociali c’è bisogno di uno Stato forte. Nessuno Stato, tuttavia, può fondare la sua forza solo sugli apparati polizieschi e militari. Deve godere di un ampio consenso che lo legittimi a reprimere le proteste. Nei decenni recenti lo Stato aveva perso (non solo in Italia) molta della sua legittimità a causa delle progressive dismissioni dall’ambito sociale, della crescente sottomissione alle esigenze del grande capitale e dell’affarismo privato (con correlata corruzione pubblica), nonché per il suo apparire come esecutore di politiche decise in ambiti extra-nazionali. La pandemia si è prestata a ricostruire la legittimità dello Stato come servitore del popolo e ha gettato le premesse per far apparire l’implementazione della strumentazione digitale di controllo, l’aumento del suo potere pervasivo, un processo messo in atto per il bene collettivo.
La strumentazione informatica fornisce l’opportunità di costruire un apparato di controllo in grado, in teoria, di prevenire i conflitti sociali e di bloccare preventivamente chiunque mostri di volervi ricorrere. Su questo punto le esigenze del capitale e dello Stato (che è al servizio del capitale, ma è anche al suo proprio servizio al fine di conservare il suo apparato e il suo potere sulla società) coincidono alla perfezione.
La digitalizzazione della vita individuale e sociale si presta, dunque:
• al controllo del capitale per governare e indirizzare consumi e abitudini di vita cercando di ridurre a un minimo gli squilibri della produzione e del mercato, sottomettendoli a un piano, orientato, ovviamente, non all’individuazione e soddisfazione dei bisogni reali ma al profitto (le piattaforme informatiche dei social hanno già portato, con la meticolosa raccolta dati, a un punto elevato questo tipo di controllo predittivo/dispositivo per consumi e abitudini di vita, ma la loro associazione con il controllo digitale dello Stato lo renderebbero estremamente più efficiente);
• a una riforma monetaria che ponga i movimenti monetari della popolazione sotto il diretto controllo dello Stato o di aziende comunque centralizzate;
• al controllo dello Stato per un disciplinamento sociale che prevenga e reprima il conflitto di classe.
La pandemia è stata gestita terrorizzando le popolazioni, lo Stato ha lustrato l’immagine di rappresentante della comunità che s’era sbiadita, rivendicato a sé l’onere di salvare le vite e sottoposto i cittadini a cedere ogni diritto pur di salvare la pelle fino ad accettare come strumento di salvezza sieri biotecnologici sperimentali, provvedimenti che regolamentavano in maniera dispotica le più elementari attività umane e una diffusa digitalizzazione della propria esistenza, con il Green Pass (GP). Il GP si basa su una piattaforma europea (DGCG, Digital Green Certificate Gateway, detta Gateway, gestita dalla Commissione Ue: permette l’interoperabilità delle reti nazionali Digital Green Certificate-DGC). Scaricando il Pass si apre la propria Identità Digitale sulla piattaforma, oggi organizzata solo per l’aspetto sanitario: vaccino, tampone negativo, guarigione da covd-19, che danno al soggetto la libertà di accedere a determinanti luoghi (in Italia anche al lavoro). Tuttavia, il suo utilizzo potrà facilmente essere ampliato (ed è stato progettato e introdotto con questo scopo) ad aspetti più diversi e sottoporre la libertà di accesso a qualsiasi altra condotta di comportamento o di status. La piattaforma, con la struttura a blockchain, è in grado di raccogliere una quantità di dati potenzialmente infinita e di collegare i dati a ciascun individuo.
La piattaforma si presta poi a risolvere il problema dello Stato che detiene già molte informazioni di ogni cittadino su piattaforme separate, consentendogli finalmente l’incrocio di tutti i dati e il loro collegamento all’Identità Digitale, con una conservazione potenzialmente infinita dei dati. In questo modo sarà possibile legare il Pass a qualsiasi aspetto delle attività e relazioni umane. Per un tracciamento totale e in tempo reale ovunque, le attuali reti non sarebbero sufficienti. Il 5G dovrebbe provvedere a colmare le lacune…Il perno della strumentazione per realizzare il triplice obiettivo è l’Identità Digitale (ID). La costituzione di un portafoglio di identità individuali in grado di trasformarsi in dati individuali utili al consumo, alla circolazione monetaria e al potere dello Stato di disporre del controllo di ogni singola attività dell’individuo. Per convincere i cittadini a dotarsi dell’ID c’è bisogno che ne avvertano l’utilità. Il GP per contrastare il contagio è un espediente sommamente utile per far accettare un primo passo verso l’ID.
Con esso ciascuno è convinto (o forzato) di partecipare alla protezione generale della salute e, quindi, di sé stesso. La gestione autoritaria della pandemia è stata un grande esperimento di disciplinamento sociale e di militarizzazione della società, nel duplice senso di maggior potere alle forze dell’ordine e all’esercito e di trasformazione della società in un corpo militare che obbedisce agli ordini diramati dall’alto anche per tutto ciò che riguarda le relazioni sociali, sindacali, politiche, relazionali, affettive, ludiche e persino per la cura del proprio corpo, anch’essa sottratta alla – già fortemente condizionata – libera disponibilità di ciascuno e consegnata per intero nelle mani dell’arbitrio dello Stato. Ha incrociato grandi e inattese resistenze in tutto il mondo che hanno indotto i suoi gestori a rinunciare il perseguimento di alcuni obiettivi immediati (obbligo vaccinale e diffusione permanente su vasta scala del GP), ma questi e tutta l’impalcatura tecnologica e politica costruita grazie a essa sono pronti per essere riattivati alle prossime occasioni, e, soprattutto, con essa si sono sviluppate due potenti dinamiche: una relativa all’assunzione di potere da parte del capitale che consolida e estende il suo dominio, della sua scienza e della sua tecnica, farmacologica, di tecnologie relazionali, di controllo e governo di uomini e natura; l’altra relativa all’assunzione di potere da parte dello Stato, svuotato sempre più di ogni ritualità democraticista e sempre più ridotta all’essenza di potere dispotico. Il potere dell’uno e dell’altro non si sono rafforzati con strumenti apertamente coercitivi, cui pure hanno fatto ricorso, ma, attraverso anche un lavoro di induzione, manipolazione e ingegneria sociale, come necessità promananti dal basso, dalla stessa società e dagli stessi individui, allo scopo di preservare la nuda vita fisica di ogni singolo e della collettività.
Questi processi si sono realizzati grazie all’esplodere di una situazione di emergenza riconosciuta come effettiva da parte della maggioranza delle popolazioni: il rischio per la propria vita è apparso come reale e immediato. Per contrastare la circolazione del virus è apparsa necessaria una strumentazione in grado di disciplinare i comportamenti di chiunque, e lo Stato si è proposto come unico ente capace di realizzarla. Di conseguenza gli è stato ceduto ulteriore potere di disporre dei comportamenti individuali di ogni individuo e anche delle sue relazioni sociali.
L’emergenzialismo come metodo di governo e di imbrigliamento della stessa democrazia formale, non è certo nato nel 2020 con la Covid. In Italia lo sperimentiamo dagli anni di piombo, in tutto l’Occidente dal varo, dopo l’11 settembre, della guerra al terrore, ma con la gestione della pandemia ha raggiunto vette inusitate, ponendo le basi per rendere strutturale un totalitarismo del controllo e, con il combinato disposto di crisi del capitale e politiche per contrastarla, è destinato a riproporsi in modo permanente.
6. Resistenze dal mondo
La gestione della pandemia si è scontrata con molte resistenze in tutto il mondo. Alcuni paesi si sono rifiutati di mettere in pratica le indicazioni dell’OMS, qualcuno (Bielorussia) resistendo anche ai ricatti del FMI che voleva imporle in cambio di aiuti finanziari. In molti paesi dell’Africa, Asia e America latina, insieme a qualche paese dell’Europa, le misure gestionali consigliate sono state applicate poco o nulla (e qualche paese africano ha assistito anche a strane morti del proprio presidente riottoso a esse…). La riluttanza ai vaccini occidentali è stata ugualmente diffusa. L’OMS ha, di conseguenza, messo in cantiere la proposta di un nuovo Trattato pandemico che renderebbe il suo potere di dichiarare pandemie e di disporre le misure di contrasto praticamente dittatoriale e superiore a qualunque legislazione locale, con il potere di comminare pesanti sanzioni al paese che non vi si conformasse. Una centralizzazione del potere sanitario mondiale nelle mani di chi domina l’OMS e, tramite esso, anche una maggiore centralizzazione del potere politico, economico e finanziario. Il Trattato è in discussione e dovrebbe divenire esecutivo a partire dal 2024. Gli Usa hanno proposto degli emendamenti per renderlo esecutivo dal 2022, ma sono stati costretti a ritirarli perché 47 paesi africani hanno, significativamente, reso nota la loro contrarietà. È, di conseguenza, scattata la solita politica di minacce e ricatti per riportarli all’ordine. L’approvazione di questo Trattato si intreccia, tuttavia, inevitabilmente con le nuove contraddizioni che il conflitto ucraino sta aprendo sugli assetti geo-politici e geo-economici mondiali. La resistenza a gestione pandemica e vaccini non è stata originata dall’eccentricità di qualche governo, ma è stata quasi ovunque imposta dalle reazioni popolari (e, in qualche caso, dalla volontà governativa di proteggere la propria economia interna o la propria autonomia come Stato: si veda la sciagurata vicenda del Brasile, sovramediatizzata in modo non casuale, o quella decisamente più virtuosa – e altrettanto non casualmente taciuta dai media – del Nicaragua, forse l’unico paese al mondo che ha evitato ogni forma di lockdown, predisponendo contestualmente un adeguato sistema di cure domiciliari precoci, incentrato principalmente sulla somministrazione di idrossiclorochina). Se i popoli di molti paesi africani hanno rifiutato i vaccini occidentali (di cui vogliono beneficiarli anche i novelli social-imperialisti del vaccino bene comune) è perché hanno viva la memoria delle sperimentazioni farmacologiche e vaccinali, spesso al fine di contenerne la fertilità procreativa, sui propri corpi, operate dai benefattori occidentali.
Il caso, sotto ogni punto di vista, più importante è costituito da quanto avvenuto in India. Decine di milioni di contadini hanno rifiutato la gabbia delle restrizioni pandemiche e hanno continuato il movimento di protesta contro le riforme agricole di Modi (un anno e 15 giorni di assedio di New Delhi!), fino a imporne il ritiro. Hanno vinto (almeno momentaneamente) 24 sul terreno specifico della loro lotta, ma hanno inferto un colpo mortale alla gestione politica della pandemia e ai suoi scopi di disciplinamento sociale, sfociata, infine, con la rinuncia del governo alla diffusione coatta dei vaccini e con l’autorizzazione a un largo uso di ivermectina per la cura della Covid, rivelatasi efficace al punto che il paese si è dichiarato ben presto immune dalla malattia. Ciò non toglie, tuttavia, che il governo indiano sia all’avanguardia dell’implementazione dell’ID per tutta la popolazione con il processo di digitalizzazione della moneta, con l’aiuto di capitali e tecnologie Usa (altra cosa è che il governo indiano possa davvero realizzare un controllo massivo di una popolazione che vive in ambienti fortemente degradati, con economie informali e capace di resistenze come quelle dei contadini…). Non meno importante è la vicenda russa, dove la popolazione ha manifestato diffidenza nel vaccino e riluttanza al GP semplicemente boicottando l’uno e l’altro e non dando rilievo alle politiche allarmiste sulla Covid. Analoghe alle reazioni russe sono state quelle in Serbia e persino in Giappone, unico paese dell’Occidente collettivo che ha escluso qualsiasi obbligatorietà (pubblica e privata) dei vaccini Covid e imposto la comunicazione informata su di essi che specifichi l’alto rischio di effetti avversi, oltre ad avere consentito un largo uso dell’ivermectina.
Cosa si è mosso nel cuore dell’Impero?
Reazioni alla gestione pandemica, ai vaccini e al GP ci sono state anche nei paesi occidentali che sono stati i più fedeli esecutori delle misure promosse dall’OMS. Contro le restrizioni e i lockdown si erano mobilitati soprattutto i settori di micro-imprenditoria, che ne subivano i danni maggiori, ma le loro proteste sono state dappertutto sedate con l’erogazione di ristori da parte degli Stati. Con l’avvento dei vaccini, dei vari obblighi all’inoculazione e del GP, le proteste sono riprese in tutti i paesi dell’Occidente.
La composizione sociale delle piazze era piuttosto variegata, con una prevalenza, tuttavia, di lavoratori dipendenti, compresi molti operai. Sul piano politico, la sinistra di ogni tipo (governativa, d’opposizione, alternativa o rivoluzionaria) vi si è attivamente (e, per lo più carognescamente) opposta, tranne pochissime eccezioni soprattutto di singoli militanti, di cui in Italia AM rappresenta un tentativo di coordinamento.
La destra fascista ha provato a influenzarle, ma nonostante i cospicui aiuti (indiretti, e, qualche volta, diretti) ricevuti dai governi e dai media ha completamente fallito. Per lo più l’orientamento politico prevalente delle mobilitazioni tendeva verso varie declinazioni di sovranismo, che si oppongono all’ulteriore assunzione di sovranità (sanitaria e dispositiva) sui corpi da parte di Stato, Big Pharma e Big Tech, e che contestano anche il dominio economico, finanziario e politico del grande capitale finanziario e delle sue istituzioni ufficiali e ufficiose.
Il livello e la continuità delle mobilitazioni è stato differenziato tra i vari paesi, ma ovunque le mobilitazioni hanno avuto un grande significato e impatto, nonostante la repressione statale, i dileggi dei media, le ingiurie (e, talvolta, le aggressioni fisiche) di presunti oppositori del sistema capitalista.
In nessun paese (a parte le Antille francesi dove l’obbligo vaccinale ai sanitari è stato annullato a seguito di una grande rivolta popolare) questo movimento ha ottenuto successi espliciti, anche se in qualcuno (Spagna, Gran Bretagna) ha sicuramente contribuito ad alimentare i passi indietro dei governi su obbligo vaccinale e GP (anche in Germania ha sicuramente contribuito a evitare, finora, l’assunzione di decisioni parlamentari favorevoli all’obbligo vaccinale). Esso ha rappresentato, non di meno, una spina nel fianco alle politiche governative e ha tenuto aperta una mobilitazione di opposizione che potrebbe trovare nuovo alimento dalla crescita della diffidenza contro i vaccini, dalla diffusione della percezione sull’avanzante autoritarismo dello Stato e della strumentazione di controllo totalitario, e, in ultimo non per importanza, dalla possibile emersione di mobilitazioni di resistenza alle politiche economico-sociali che si stanno sviluppando sull’onda di un’incipiente recessione e come derivato della guerra contro la Russia.
Anche in Italia la resistenza di piazza e quella meno esplicita, ma con dimensioni crescenti di massa, generata dai dubbi sull’efficacia dei vaccini (anche a causa del divenire sempre più evidente il rischio di eventi avversi) e dalla stanchezza per il dispotismo sanitario hanno indotto il governo Meloni a cancellare alcune misure in quanto non più giustificate. A esse, tuttavia, si tornerebbe sicuramente allorquando emergessero situazioni che lo dovessero richiedere. L’attuale governo, in ogni caso, pur avendo una parte della base elettorale che vi si oppone (soprattutto negli aspetti che sottomettono il piccolo al grande capitale) è decisamente impegnato a realizzare tutta l’impalcatura di digitalizzazione, e correlato controllo e disciplinamento, disegnata con il PNRR (come dimostrato dall’aggregazione come consulente al nuovo governo di Cingolani, già Ministro per la “transizione ecologica” di Draghi), e in perfetta continuità con Draghi sia nella guerra alla Russia (e alla Cina) che nel predisporre tutti gli strumenti per impedire gli assembramenti non autorizzati per cercare di disinnescare sul nascere una sempre più probabile ripresa del conflitto di classe.
7. Dall’emergenza Covid all’emergenza guerra
All’emergenza pandemica, mai veramente abbandonata e, anzi, sempre pronta a essere ri-attizzata con la Covid o con qualunque altro virus eretto a nuova peste, si è aggiunta l’emergenza bellica causata dall’intervento russo in Ucraina, mentre si va sviluppando l’emergenza energetica (anch’essa addebitata alla Russia, ma in realtà prodotta dalle sanzioni occidentali), e viene sempre più montata quella climatica.
Un pacchetto di emergenze che si alternano e si sovrappongono senza soluzioni di continuità quanto mai utili a portare avanti i piani di ristrutturazione finanziaria, economica, sociale, politica, per cercare di uscire dalla crisi sistemica del capitale. La gestione autoritaria della pandemia è stata, da questo punto di vista, sia un grande esperimento di disciplinamento sociale sia un’occasione per varare strumenti idonei per affrontare con la necessaria disciplina e coesione sociale la guerra che l’Occidente va sempre più esplicitamente dichiarando alla Russia e alla Cina.28 L’emergenza bellica, tuttavia, non ha, finora, attecchito con la stessa intensità di quella pandemica.
Ciò, inoltre, complica anche l’accettazione della crisi energetica come prodotta dalla Russia e apre anche contraddizioni in quella climatica, con il ritorno al carbone pur di non comprare gas dalla Russia! L’intervento russo in Ucraina minaccia, in effetti, di dare sfogo a una serie di contraddizioni su scala mondiale. Esso è stato indotto da una lunga sequela di provocazioni ai danni della Russia: accerchiamento della Nato ai suoi confini, golpe del 2014 a Kiev, mancato rispetto (soprattutto da parte di Germania e Francia) degli accordi di Minsk per il Donbass, bombardamenti continui ai danni delle popolazioni delle repubbliche separatiste, preparazione della loro invasione, minacce alla Crimea a partire dal disconoscimento del referendum con cui la popolazione ha votato in massa per l’adesione alla Federazione Russa (a dispetto dei vari ipnotizzati dalla propaganda mediatica, nel 2014 non c’è stata affatto una annessione unilaterale voluta dallo zar…), disprezzo delle richieste della Russia sul rispetto dei trattati internazionali sulla sicurezza reciproca (che mettono in discussione la militarizzazione dell’Ucraina da parte della Nato), annuncio di Zelenskji di progetti di armamento nucleare dell’Ucraina.
La Russia è stata costretta all’intervento militare in difesa delle popolazioni del Donbass e della Crimea e per cercare di eliminare le minacce militari alla sua frontiera con l’Ucraina. Sul piano militare la situazione si è orientata, fin da subito, a favore della Russia, che sta, lentamente ma sistematicamente, sbarazzando dalla presenza dello Stato ucraino e dei suoi scherani nazisti le regioni ucraine abitate da russi che avevano manifestato la loro opposizione al regime post-Maidan e alle sue politiche russofobe. L’Occidente ha scatenato contro la Russia una campagna di vero e proprio razzismo (contro la quale non sono pervenute reazioni da parte dei tanti anti-razzisti occidentali…), una valanga di sanzioni, un armamento massiccio dell’Ucraina spinta a combattere contro la Russia fino all’ultimo ucraino. L’obiettivo strategico è di ridurla alla miseria economica, all’isolamento internazionale, alla crisi sociale interna con correlato cambio di regime e avvio di un processo di frammentazione che la cancelli come Stato unitario (sono circolate le mappe dei desideri distruttivi occidentali, e un ectoplasma come Walesa ha dichiarato che la soluzione è quella di ridurre la Russia a un paese con non più di 50 milioni di abitanti, rispetto agli attuali 146!).
La Russia ha, invece, finora resistito alle sanzioni, la sua economia sta reggendo ai divieti di commercio con l’Occidente, il rublo non solo non è stato stritolato ma si è rafforzato. Ciò è stato possibile perché il consenso interno all’inevitabilità della risposta militare in Ucraina è stato molto solido, ma, soprattutto, perché si è verificata una situazione per le cancellerie occidentali del tutto imprevista: buona parte, se non la totalità, del mondo non-occidentale ha rifiutato di aderire alle sanzioni contro la Russia, e ha addebitato alle sanzioni occidentali le conseguenze che si stanno determinando nell’aumento dei prezzi delle risorse energetiche, nel mercato alimentare e in quello dei fertilizzanti per l’agricoltura. Gli effetti delle sanzioni occidentali sono per questi paesi molto pesanti e potrebbero determinare al loro interno una dura conflittualità sociale. I loro governi hanno, perciò, dato vita a una pressione verso l’Occidente che sta mettendo in crisi la strategia occidentale contro la Russia. La Nato, al contrario, ha innescato uno schema di continui rilanci contro la Russia per innalzare il livello dello scontro, inviando armi sempre più offensive, assumendo la direzione diretta della guerra, anche con propri istruttori sul campo, trasformando definitivamente gli ucraini in carne da macello e dando avvio all’uso di operazioni che il diritto borghese definirebbe senz’altro terroristiche (Dugina, Nord Stream, ponte di Kerch). Nel contempo la pressione e il ricatto verso i paesi che ne rifiutano la strategia si fanno sempre più violenti, fino ai tentativi di rivoluzione colorata in Iran. La Nato contempla, infatti, un’unica soluzione: la sconfitta della Russia, ossia la sua piena sottomissione e/o la scomparsa come Stato unitario, e anche un’eventuale tregua o accordo di pace sarebbero per lei solo dei trampolini per rilanciare una guerra permanente contro la Russia.
Dagli Urali alla Via della Seta
L’imprevisto, non di meno, è stato raccolto dalla Russia come un’occasione per proporsi come leader di una revisione degli assetti politici, finanziari ed economici mondiali, sollecitando Brics, Iran, Venezuela, e tutti i paesi che soffrono sotto il dominio finanziario dell’Occidente e monetario del dollaro a innescare un processo di de-dollarizzazione dei loro scambi commerciali, e, addirittura, a prefigurare la costruzione di una moneta internazionale basata sui beni reali e non sul denaro senza sostanza prodotto con i click delle Banche Centrali e delle banche private. Questa proposta russa si intreccia con quella cinese di sviluppo commerciale, industriale e infrastrutturale dei paesi finora sottoposti alla rapina finanziaria occidentale.
Non è questa la sede per analizzare nello specifico la natura di queste politiche, la loro perseguibilità e il loro intreccio con la crisi sistemica del capitale mondiale. Quel che, tuttavia, è certo, è che esse produrranno un’ulteriore accelerazione delle dinamiche in grado di suscitare un conflitto mondiale, una guerra totale che coinvolga il mondo intero. È ugualmente certo che hanno, e avranno, una ricaduta sui piani di ristrutturazione economica, politica, finanziaria messi in atto a partire dalla pandemia.
Anzitutto, il tentativo di assumere, con la pandemia covid e quelle che seguiranno, il potere di controllare, condizionare e dirigere le politiche economiche, commerciali, sociali di ogni paese, attraverso un potere sanitario centralizzato nell’OMS, supportato e intrecciato con quello finanziario ed economico, è stato messo a dura prova già durante le campagne pandemiche e vaccinali e viene messo ulteriormente in difficoltà con la frattura che sta potenzialmente emergendo tra blocchi mondiali.
Probabilmente non resteranno senza conseguenze, su questa e successive pandemie, anche le continue rivelazioni russe sui bio-laboratori Usa/occidentali in Ucraina, tra cui la denuncia che abbiano lavorato anche su una serie di virus dei pipistrelli simili al Sars-Cov-2, rendendo sempre più plausibile che si tratti di un virus ingegnerizzato (naturalmente queste informazioni produrranno conseguenze in chi ne è informato, quindi non nell’Occidente che ha bannato la disinformazione russa e riduce ogni notizia proveniente da questo paese a propaganda del nemico, anche se supportata da prove, come quelle presentate dai russi all’Onu sui bio-laboratori ucraini e che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è rifiutato persino di esaminare…).
A dura prova è messo anche il tentativo di imporre a tutto il mondo una diffusione dell’uso dei vaccini in contrasto di pandemie e di una pluralità crescente di malattie, nonché il tentativo di egemonizzarne il mercato con quelli prodotti in Occidente e, sempre da qui, promuovere la diffusione su larga scala dei nuovi farmaci biotecnologici, anch’essi prevalentemente di produzione occidentale. Anche il tentativo di promuovere una digitalizzazione dei dati personali (a partire da quelli sanitari) di chiunque in tutto il mondo, in modo da favorire l’implementazione di una tele-medicina univoca e centralizzata, ha incontrato difficoltà a diffondersi con la pandemia Covid e nulla fa pensare, date le nuove fratture che stanno emergendo, che possa andare meglio con altre pandemie o malattie. Le sanzioni alla Russia, la conflittualità crescente contro la Cina, la crescita dei prezzi delle materie prime energetiche e non, l’impennata dei prezzi dei 32 beni di prima necessità, ecc. aprono le porte al forte rischio di una lunga e profonda recessione economica. Il capitale finanziario cercherà di salvarsi, anche grazie al controllo della leva monetaria tramite le banche centrali e cercando di dirottare la sua inevitabile svalorizzazione sulle sue frazioni più deboli, mentre una più pesante svalorizzazione si scaricherà sull’economia produttiva, soprattutto sul lavoro e sui lavoratori, aprendo la possibilità (non la certezza) di un successivo rilancio di un nuovo ciclo di accumulazione.
Intanto, però, diviene acutissimo il rischio di un’apertura di conflitti sociali, di sicuro nei paesi non-occidentali che dipendono dalla vendita di materie prime e sono sottoposti al vassallaggio dei debiti internazionali, ma, fronti di conflitto sociale di alta intensità si possono aprire anche nel ristretto pugno di paesi occidentali che dominano finanziariamente, politicamente, militarmente il mercato mondiale, nonché nei loro paesi satelliti soprattutto nella Ue. Vecchie e nuove rapine La guerra alla Russia sta anche squarciando il velo dell’intimo segreto della preminenza del capitale occidentale sul resto del mondo: risorse energetiche a basso costo. Nei media mainstream è circolata la notizia della Germania che otteneva il gas russo a prezzi scontati del 70%, e più d’uno ha denunciato ciò come il vero motivo della primazia produttiva e tecnologica tedesca. Sicuramente vero, ma ugualmente vero per tutto l’Occidente fin dagli albori del capitalismo. Prima fu il carbone, a basso costo per l’industria inglese, essendo stato scoperto in grande quantità nei suoi pressi. Poi, una volta scoperta la maggiore efficacia del petrolio, l’Occidente ne ha assunto il pieno controllo del prezzo, non esitando a distruggere qualunque paese produttore che cercasse di utilizzarne in proprio i proventi per sviluppare una propria industria e assumere un controllo sulle proprie risorse minerali e sul loro prezzo di vendita (Iran, Iraq, Libia, Siria, ma la lista dei -più o meno- feroci interventi occidentali per conservare il potere di controllo sul 33 prezzo delle risorse energetiche fossili e delle altre materie prime sarebbe interminabile…).
Se la Russia fosse sconfitta una nuova manna di energia a basso costo potrebbe rilanciare la crescita dei profitti occidentali, che non potrebbero certo essere rilanciati da energie rinnovabili. Se la Russia uscisse vincente si potrebbe innescare una dinamica che renderebbe impossibile la libertà occidentale di procurarsi energia a prezzi idonei a tenere elevati i propri saggi di profitto. Il costo delle risorse energetiche non solo svela drammaticamente l’inconsistenza di tutta l’economia di carta e rimette l’economia materiale al suo posto centrale per la riproduzione del capitale, ma crea problemi di difficile soluzione anche per i programmi di digitalizzazione e di controllo, basati tutti su apparati macchinici fortemente energivori. Venti di guerre sempre più generalizzati e fronti interni da compattare nel tentativo di contenere i contraccolpi della crisi generale del capitale e di volgerne gli effetti a proprio favore da parte del grande capitale finanziario occidentale si presenta, insomma, sempre più problematico, e potrebbe risultare vano persino il tentativo di evitare una precipitazione incontrollata di crisi finanziaria ed economica. Nel mondo non-occidentale trova ostacoli crescenti, che, in ultima istanza, accelerano il rischio di precipitazione bellica mondiale, verso la quale, peraltro, l’Occidente va disseminando provocazioni in ogni landa (Ucraina, Taiwan, Serbia/Kosovo, Nagorno-Karabakh, Libano/Israele, Libia, Iran, ecc.). Tuttavia, queste difficoltà non comportano l’abbandono dei piani programmati di ristrutturazione sociale, economica, politica, ecc., al contrario li rendono più necessari e urgenti. Se non si riesce a sottomettere il mondo alle nuove brucianti esigenze del grande capitale occidentale, e dato che per farlo diviene sempre più inevitabile una guerra di vaste proporzioni, ciò rende più impellente, da un lato, cercare di rendere 34 più produttive di profitto le economie occidentali, dall’altro realizzare una coesione sociale e politica dei propri fronti interni, per mettersi al riparo dalla conflittualità di classe e poter affrontare le turbolenze internazionali con società compatte (ergo, forzatamente compattate) e sufficientemente addestrate a sostenere i conflitti di ogni natura e soprattutto quelli bellici.
8. Rompere la subordinazione al dominio totale del capitale sulla vita umana
Il pandemismo, il vaccinismo, l’emergenzialismo, il disciplinamento sociale autoritario, la diffusione del controllo capillare dispositivo, il completo assoggettamento della vita individuale e collettiva alle superiori esigenze del capitale e dello Stato, anche al fine di sostenerli nelle loro guerre, per procura o in prima persona, potranno, perciò, essere sconfitti solo da un moto di resistenza e di opposizione che si generi all’interno dell’Occidente, e che riesca a intrecciarsi oltre i suoi confini costruendo legami di solidarietà e fratellanza di lotta dove il capitale e gli Stati vogliono instaurare contrapposizione e scontro. Su questo piano, purtroppo, la condizione delle classi dominate e, in particolare, del proletariato, nelle sue forme sempre più variegate di sfruttamento, non concede di coltivare molte speranze di riscossa nell’immediato. Dopo avere dismesso la sua organizzazione (sindacale, politica, programmatica, ideologica, ecc.) di classe, con la quale aveva difeso le sue condizioni e persino ottenuto, nei decenni che vanno dagli anni ‘60 agli ‘80 del secolo scorso, una serie di migliorie per sé stesso e di cambiamenti sociali e politici a vantaggio di tutte le classi sfruttate, il proletariato si è lasciato trascinare in una sottomissione crescente ai bisogni del capitale, ad accettare di far dipendere la propria vita e il proprio lavoro dall’andamento dei suoi affari, che siano della singola azienda, dell’economia in generale o delle condizioni finanziarie dello Stato. Nella pandemia lo stato di assoggettamento del proletariato si è reso evidente in tutta la sua drammatica dimensione: la sua grande massa ha accettato che la propria vita fosse ridotta al puro lavoro e ai consumi essenziali, rinunciando senza recriminazioni o dubbi a ogni altro aspetto vitale. Pur di conservare il minimo esistenziale, lavoro e salario, ha accettato ogni tipo di condizione imposta, anche le più palesemente assurde e arbitrarie. Quando le attività relazionali sono state parzialmente concesse di nuovo ha accettato che fossero sottoposte, assieme allo stesso lavoro, all’arbitrio dello Stato e delle aziende, lasciandosi inoculare vaccini rivelatisi fin da subito inefficaci a dare immunità, conformandosi al comando di dotarsi di tessere verdi, che non davano alcuna prova di non essere contagiosi ma erano, e sono, solo uno strumento di controllo, la cui accettazione dimostra, appunto, unicamente il desiderio di mostrarsi conformi pur di conservare lavoro, salario e un minimo di vita relazionale, quella concessa dallo Stato e alle sue condizioni. Anche quando centinaia di migliaia di suoi fratelli di classe si sono rifiutati di sottoporsi a punture e GP, ha girato la testa da un’altra parte fingendo di non vedere come fossero vittime di sospensioni, licenziamenti e di ogni tipo di ostracismo.
Tuttavia, giova ricordare come questo atteggiamento del proletariato sia stato comune a tutti gli strati sociali, e nel suo insieme nient’affatto peggiore – anzi!- rispetto a quello della popolazione impiegata in altri settori. Se dalle fabbriche, dai poli logistici, dai porti, ci è arrivata più volte notizia di alcuni segnali di solidarietà, umana e politica, e persino di lotta – dagli operai che disertavano le mense in solidarietà ai loro colleghi privi di lasciapassare sanitario, fino ad alcuni scioperi e mobilitazioni, per quanto isolate –, gli esempi più agghiaccianti di fedeltà all’Emergenza, con la persecuzione sistematica di no vax e no green pass, ci sono arrivati dalle professioni impiegatizie, e particolarmente dalla scuola (luogo per eccellenza del disciplinamento sociale, con gran parte del corpo docente che tende ad assumerselo in termini di missione morale); per non parlare di commercianti, ristoratori, albergatori, disposti a tutto – tranne una minoranza orgogliosamente ribelle – pur di riaprire (un lungo discorso a parte andrebbe fatto sugli ospedali e sui luoghi di cura in generale, dove ovviamente la questione sanitaria si è imposta nel modo più draconiano e divisivo). Tutti segnali che, a guardarli un po’ più da vicino, la dicono lunga sul presunto carattere piccolo-borghese delle proteste, e su quanto l’Emergenza abbia fatto breccia soprattutto tra i colletti bianchi. Il proletariato, dal canto suo, non ha fatto altro che confermare la sua ultra-decennale passività ai diktat del capitale, ma nel suo complesso, e nei suoi comportamenti quotidiani, si è dimostrato molto più impermeabile delle altre classi subalterne a tutto il portato di disumanizzazione indotto dall’Emergenza (si guardi per esempio, negli ambienti operai, all’uso molto disinvolto e nient’affatto rigido delle mascherine; le quali, d’altronde, costituiscono una vessazione al limite della tortura per chi svolge lavori pesanti – nonché un pretesto punitivo in più nelle mani del padronato…). Molto peggiori, rispetto all’atteggiamento del proletariato preso nel suo insieme, sono state invece quelle presunte avanguardie che pur di rimanere agganciate… alla sua coda, hanno fatto di tutto per incrementarne la sottomissione a Stato e capitale, facendosi propagandiste in proprio della gravità della pandemia, della miracolosità dei vaccini, della beneficenza che deriverebbe dalla scienza, eccependo solo qualche educata critica al GP (sia pure accompagnata dalle roboanti parole di routine) e proponendosi, in alternativa, come imbonitori dei vaccini tra i proletari, oltre che per i popoli del Terzo Mondo. Viceversa, le poche organizzazioni sindacali di classe (o le loro singole sezioni locali) che hanno deciso di intervenire in modo realmente critico – soprattutto negli ultimi mesi della lotta contro il green pass – hanno spesso raccolto una folta adesione operaia. Dimostrando che il proletariato è in fondo migliore di molti di coloro che pretendono di organizzarlo e rappresentarlo.
Detto questo, la condizione di assoggettamento del proletariato rimane, e su questa fa perno il capitale occidentale anche per trascinarlo dietro alle proprie avventure belliche, prospettandogli la resistenza russa e cinese all’ordine occidentale-centrico come un tentativo di revisionare l’ordine mondiale, con effetti devastanti anche per la condizione proletaria. L’Attacco Pandemico ha avuto anche questa importante funzione: abituare la popolazione – e il proletariato al suo interno – a una vera e propria ginnastica d’obbedienza a qualsiasi imposizione e vessazione. La guerra, la sua economia e i sacrifici che ne derivano, non potevano avere una preparazione più efficace.
La necessità di saltare il guado del dominio capitalista
I nuovi tornanti della crisi annunciano nuovi pesanti, e per molti versi inediti, attacchi alle condizioni proletarie, alle classi intermedie, ai popoli dei paesi oppressi. Per il proletariato occidentale potrebbe essere vicino il momento in cui sarà inevitabile ricorrere alla ripresa di una mobilitazione di lotta e di organizzazione che rimetta all’ordine del giorno la necessità di sviluppare anche una propria autonomia di classe sul terreno rivendicativo, programmatico, politico e organizzativo. Le condizioni generali dello scontro di classe nel corso della crisi sistemica del capitale, dei suoi tentativi per uscirne, delle convulsioni in cui si agita e delle esplosioni di contraddizioni di ogni natura (economica, sociale, politica, geo-politica, bellica, ecc.) che tutto ciò comporta, potrebbe, anche mettere all’ordine del giorno, per il proletariato, la necessità di dover superare l’orizzonte riformista (di classe che lotta per migliorare la propria esistenza all’interno del sistema) e disporsi a una lotta contro la totalità del rapporto di capitale.
Contro la gestione autoritaria della pandemia si è sviluppato un movimento internazionale a cui hanno partecipato anche minoranze significative della classe proletaria. Per lo più i proletari vi hanno partecipato come individui e non percependosi come classe. Ma la loro partecipazione è stata estremamente significativa sotto due particolari riguardi. In primo luogo, i proletari che vi hanno partecipato, lo hanno fatto perché hanno avvertito la necessità di resistere a un’aggressione da parte dello Stato, delle multinazionali e dei poteri finanziari e politici sovranazionali, alla propria condizione di essere umani, al proprio corpo come alla vita relazionale. Si sono opposti, in questo modo, anche all’ulteriore schiavitù cui viene sottomesso il lavoro: per poter lavorare, ormai, non solo devi essere produttivo di valore, disciplinato e a-conflittuale, ma devi anche meritarti il lavoro tramite l’obbedienza a tutti i dispositivi sanitari e di controllo individuale, relazionale, sindacale, politico.
Con ciò una parte, piccola quanto si vuole, ha verificato sulla propria pelle come il rapporto con il capitale non sia un semplice bisogno in cambio della sopravvivenza, in cui si può anche avere un minimo di contrattazione per migliorare un po’ il salario e le condizioni di lavoro, ma diviene sempre più pervasivo e oppressivo. Il capitale non si accontenta più di esigere il pieno dominio della capacità lavorativa umana, ma esige il dominio totale su tutta la vita del lavoratore e dell’umanità vivente nel suo complesso. Liberarsi dal rapporto sociale del capitale diviene, perciò, una necessità non più solo economico-sociale, ma una necessità per difendere la vita umana stessa. Il fatto che questo tema si sia posto non vuol dire che la soluzione sia dietro l’angolo.
Chi lo ha avvertito a causa delle politiche pandemiche e chi lo avverte a causa di lavori sempre più logoranti e sempre meno pagati, si dirige, per lo più, verso la ricerca di soluzioni personali di maggiore libertà e/o gratificazione lavorativa. Una strada densa di illusioni, in quanto sia il capitale che lo Stato sono in grado di occupare con il proprio potere di sfruttamento e di dominio qualsiasi nicchia di lavoro liberato. La ricerca di soluzioni personali, d’altra parte, è obbligata nel momento in cui non sono visibili sul campo forze in grado di lottare per una vera e totale libertà dal capitale. Tali forze, tuttavia, potrebbero moltiplicarsi come conseguenza dell’inevitabile incremento di popolazione in esubero strutturale, di esseri umani inutili, da tenere sotto stretto controllo (e di cui accelerare la dipartita…), nonché dell’emarginazione sociale di decine di milioni di lavoratori non più in grado con il proprio lavoro di conseguire neanche il minimo essenziale per la sopravvivenza. In secondo luogo, in alcuni momenti cruciali della mobilitazione sono apparsi metodi di lotta tipicamente proletari: scioperi, blocchi della produzione, dei commerci, delle attività economiche. La loro comparsa è stata accolta con entusiasmo dall’insieme del movimento che vi ha colto sia l’utilità e l’efficacia delle forme di lotta sia la possibile comparsa di una forza di classe in grado di dare a queste forme di lotta la continuità e la determinazione adeguate a poter davvero vincere la specifica battaglia. Gli edili di Melbourne, i portuali di Trieste e i camionisti canadesi sono stati le punte più elevate di ciò. Nessuna di esse è riuscita, tuttavia, a imprimere alla mobilitazione quel di più indispensabile a renderla più incisiva e vincente. Inutile ricercare la colpa in questo o quel capo, il fatto è che questi settori proletari si sono trovati isolati all’interno stesso della propria classe, che nella sua stragrande maggioranza si è adeguata al rispetto di tutte le imposizioni ricevute per salvarsi la pelle. Se anche rimasto a livello episodico (quello canadese è stato, non di meno, un episodio piuttosto lungo e partecipato…) il ruolo di queste piccole sezioni proletarie è stato enormemente significativo, in quanto non 41 sono scese in lotta solo per sé stesse, per propri specifici obiettivi di classe o di settore, ma per liberare tutti gli esseri umani dalle restrizioni e dagli obblighi statali. Piccolissimo, ma promettente, episodio di un proletariato che difende sé stesso in quanto essere umano e non solo in quanto proletario, e che, perciò, per difendere sé stesso si fa carico della difesa dell’intera umanità vivente. Anche su questo aspetto l’avanzare della crisi sistemica, dei tentativi di risolverla, ecc. moltiplicherà senza dubbio le condizioni che rendono possibile il ripresentarsi di analoghe necessità. Si moltiplicano le condizioni che lo rendono possibile, non deterministicamente sicuro. A otto mesi dall’inizio ufficiale della guerra ucraina il disciplinamento bellico anti-russo non ha ancora suscitato lo stesso grado di accettazione di quello pandemico e, anzi, si sono manifestate in alcuni paesi delle resistenze di massa alle prime conseguenze della guerra. In Gran Bretagna si è sviluppato un movimento di scioperi e di manifestazioni contro il caro-bollette e il caro-vita in generale, che, tuttavia, stando a quanto emerso finora, ha evitato di esprimersi anche contro le politiche belliche del governo che sono alla base sia dell’aumento dei costi dell’energia che del rischio di recessione economica e conseguente disoccupazione, deflazione e riduzioni salariali. Nella mobilitazione è implicito un rifiuto dei sacrifici per sostenere lo sforzo bellico del paese contro la Russia, ma finché resterà implicito il movimento presterà inevitabilmente il fianco a soluzioni di intruppamento, passivo o attivo, contro la Russia in cambio di risposte sul terreno economico-sociale immediato, ciò che la Truss stava già tentando con il suo progetto di finanziare aiuti in grande scala per contenere l’incremento dei costi energetici.
In Francia i lavoratori delle raffinerie hanno messo in atto una forte mobilitazione per sostenere la richiesta di incrementi salariali, a supporto della quale, però, hanno addotto anche la motivazione dei grandi profitti realizzati dalle compagnie petrolifere grazie alla crisi del mercato dei prodotti petroliferi indotta dalle sanzioni belliche. Una richiesta pericolosamente vicina a quella di partecipazione42 ai profitti bellici, ossia di partecipazione alla guerra del proprio governo a condizione che se ne possano condividere gli eventuali profitti. Ciò nonostante il movimento ha dato segnali di espansione verso altri settori di lavoratori le cui aziende non beneficiano al momento di profitti crescenti. Immediatamente sindacati e sinistra si sono precipitati ad appoggiarlo al fine di sterilizzarne il rischio che diventi un movimento esplicitamente contrario alla politica bellica del governo con Mélenchon in testa nel sostenere la campagna contro l’aggressione russa. Una dinamica diversa si è sviluppata, finora, in Germania, Repubblica Ceca e Austria. Anche qui ci sono state mobilitazioni contro il caro-vita e gli effetti della incipiente recessione, ma le piazze, molto partecipate, hanno esplicitamente richiesto l’abolizione delle sanzioni anti-russe, e in Germania anche la ripresa delle forniture di gas attraverso il Nord Stream (che qualcuno ha provvidenzialmente sabotato per evitare che il governo tedesco, sotto la spinta di un movimento che cresceva, potesse essere costretto a incrinare il fronte occidentale). Nelle piazze di questi paesi si è manifestata una forte spinta a prendere esplicitamente le distanze dalle politiche guerrafondaie dei propri governi, con il rifiuto della politica di scontro a ogni costo contro la Russia e i russi, e la rivendicazione esplicita di collaborare con loro. Al suo interno si condensano le pulsioni più variegate (pacifismo tradizionale consapevole che la pace si fa con i compromessi e non con la sconfitta dell’aggressore russo, sovranismo che si oppone al globalismo che vuole conquistare, uniformare e plasmare i popoli secondo le proprie mire, paura per la minaccia sempre più palpabile di un armageddon mondiale), entro le quali, non di meno, può svilupparsi una tendenza a contrastare la dinamica crescente verso la guerra con l’appello alla collaborazione tra i popoli, sulla base della quale può farsi largo il problema ormai vitale per tutta l’umanità di quale tipo di collaborazione, se quella basata sullo scambio dominato dal valore capitalistico, con l’inevitabile conseguenza di concorrenza feroce, oppressione di classi e popoli, e guerre, oppure di una collaborazione che rifiuti il dominio del valore e il suo mezzo di espressione monetaria.
Non abbiamo certezze futuristiche da vendere, ma, intanto ci basta prendere atto di quel che è emerso, anche da parte proletaria, in questo avvio di un’epoca che impone al capitale di concentrare tutte le sue forze per difendersi da una crisi irrisolvibile e, per affrontare la quale, ha estremo bisogno di assoggettarsi pienamente la vita stessa delle classi sfruttate, di sottoporle a un nuovo e pervasivo totalitarismo, sia per renderle funzionali al tentativo di rilancio dell’accumulazione, sia per spuntarne ogni possibilità di resistenza e di rivolta (in un’epoca in cui non ha più possibilità di adottare misure generalizzate di compromesso riformista, da limitare, tutt’al più, a determinati settori che, per specifici motivi o in taluni frangenti, possono risultare di particolare importanza per la tenuta del sistema o per l’andamento degli affari), sia per disciplinare il proprio fronte interno come un unico esercito compatto contro i nemici esterni. Abbiamo, non di meno, una certezza: l’utilità di continuare a lavorare per costruire ed estendere il coordinamento tra tutti i militanti anti-capitalisti che sono consapevoli dell’attacco che il capitale e lo Stato hanno iniziato con la gestione autoritaria della pandemia, allo scopo di apportare il proprio contributo, caratterizzato da un coerente e totale anti-capitalismo, in tutte le mobilitazioni che dovessero svilupparsi contro la ripresa delle campagne vaccinali, contro l’estensione degli apparati di controllo digitale, contro l’attacco alle libertà relazionali, sindacali, politiche, ecc., contro la guerra, e per collegare tutti questi aspetti con l’eventuale emergere di una conflittualità sociale e di classe, sia su un terreno puramente economico che su un terreno economico-politico, prodotta dai nuovi tornanti di crisi economica, dalle misure che saranno adottate nel suo corso e nel corso dello sviluppo dell’economia di guerra permanente.
Novembre, 2022
ASSEMBLEA MILITANTE
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