[Sinistrainrete] Enrico Tomaselli: Nel tritacarne

Rassegna del 20/12/2022

 

 

Enrico Tomaselli: Nel tritacarne

giubberosse

di Enrico Tomaselli

Dopo quella di Mariupol, un’altra sanguinosa battaglia casa per casa si sta combattendo nel settore centrale del fronte ucraino e, come quella, ha non solo un valore simbolico, ma anche un rilevante valore strategico. Se le forze armate russe riuscissero a sfondare, come appare sempre più probabile, potrebbero aprirsi la strada verso una nuova significativa avanzata. Intanto, le perdite ucraine stanno diventando elevatissime.

 

Tra retorica e strategia

Mentre la retorica propagandistica dei paesi NATO insiste su una sempre più fantomatica vittoria ucraina, la strategia militare sul campo sembra ormai puntare – letteralmente – sul prolungamento della guerra sino all’ultimo uomo possibile. Messa da parte l’ipocrisia precedente, in base alla quale l’occidente dichiarava ufficialmente di non voler fornire a Kyev armi in grado di colpire il suolo russo (facendo finta di non sapere / non vedere che gli ucraini lo fanno continuamente, non solo bombardando gli oblast annessi a settembre, ma anche il territorio russo storico – regioni di Kursk e Belgorod), ora c’è un via libera a questo genere di attacchi. Che non è soltanto teorico (fate ciò che volete), ma pratico (vi aiutiamo a farlo, e vi diamo i mezzi per farlo). Al cuore di questa politica, c’è la fornitura – da parte USA- degli M-142 HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System), un avanzato sistema di lanciarazzi, dotato di un modulo con sei missili di precisione GMLRS, basato su un camion FMTV da cinque tonnellate.

Questo sistema supporta un’ampia varietà di munizionamento, che ne muta sia il potenziale distruttivo che la gittata; fondamentalmente questa può variare da 30-80 chilometri fino a 300 o più chilometri. Il sistema HIMARS utilizza munizionamento di alta precisione, che viene indirizzato sull’obiettivo passando al software di gestione dati provenienti dal rilevamento satellitare. Si tratta quindi di un sistema d’arma il cui utilizzo è strettamente vincolato al coordinamento con l’intelligence NATO, che è quella che fornisce i dati satellitari, e spesso anche con personale NATO sul campo, che provvede ad inserire i dati nel sistema di lancio.

Questo è un elemento fondamentale da tenere presente, perché implica il coinvolgimento diretto, consapevole ed intenzionale della NATO nell’identificazione e bombardamento degli obiettivi. Obiettivi che non sono soltanto militari, e/o di rilevanza anche militare, ma pure civili. Dal 28 giugno – data del primo utilizzo registrato degli HIMARS contro obiettivi civili – al 10 dicembre, risultano ben 44 attacchi condotti col sistema lanciarazzi statunitense contro tali obiettivi, per un totale di 80 morti e 171 feriti.

Questi attacchi, condotti con l’indispensabile apporto delle forze NATO, non hanno ovviamente alcun valore militare, e l’unico scopo è per un verso terrorizzare la popolazione delle aree urbane del Donetsk e del Lugansk – verso cui gli ukronazi hanno sin dal golpe del 2014 manifestato un vero e proprio odio etnico – e per l’altro cercare di indurre le forze russe ad una risposta simmetrica, così da poterne denunciare il crimine. Ovviamente, essendone pienamente corresponsabile, l’occidente si guarda bene dal rilevare che questi attacchi sono già un chiaro crimine di guerra.

La stessa logica, ovvero agire con l’obiettivo di provocare una reazione nemica, da sfruttare propagandisticamente, assai più che per conseguire successi militari, sta dietro agli sporadici attacchi in profondità condotti dall’Ucraina, col solito supporto NATO. Dal sabotaggio del ponte di Kersh agli attacchi con droni al porto di Sebastopoli, ai più recenti attacchi missilistici contro le basi aeree di Engels-2 e Ryazan, l’intento è sempre quello di spingere i russi verso l’escalation.

Oltre a ciò, questo tipo di attacchi risponde anche ad una strategia di prolungamento della guerra; l’obiettivo dei paesi NATO, infatti, è con ogni evidenza la guerra ad oltranza. I comandi NATO sono infatti consapevoli che per la Russia è necessario mettere in sicurezza i territori liberati (e più in generale quelli della Federazione), e quindi di proteggerli con una fascia di sicurezza, abbastanza profonda da metterli al riparo da questo genere di attacchi. Un obiettivo, questo, teoricamente perseguibile anche nell’ambito di una trattativa di pace (sul modello coreano, con una striscia smilitarizzata d’interposizione), che però è al momento respinta nettamente dalla NATO – che si nasconde dietro l’oltranzismo di Zelensky. Pertanto alla Russia non resta altra alternativa che conquistare manu militari questa zona di protezione. E ovviamente, più l’esercito ucraino viene dotato di armi e munizioni in grado di allungare la propria capacità di colpire in profondità, più le forze armate russe dovranno ampliare parallelamente la profondità della fascia. E quindi con ciò prolungando il conflitto.

La NATO alimenta la guerra

L’azione guerrafondaia dei paesi occidentali non si esaurisce però soltanto nella fornitura di armi, e nel modo in cui le si fanno usare agli ucraini. Forse ancora più efficacemente funzionano le mosse politiche, in quanto tese a non lasciare spazio alcuno alle ipotesi di negoziato.

Da questo punto di vista, è interessante osservare come le cose si mostrino diverse sulle due sponde dell’Atlantico. Se infatti da Washington si mantiene un atteggiamento ambivalente, giocando sull’alternanza tra la disponibilità al dialogo (testimoniata da canali di comunicazione con Mosca sempre aperti) e la volontà bellicista (sfruttando l’irriducibile fermezza della propria marionetta Zelensky), l’Europa gioca la parte dell’ultrà. Con il contorno della diffusa e ampiamente tollerata russofobia, la dichiarazione della Russia come stato terrorista prima, ed il florilegio di dichiarazioni di fuoco da parte dei vari Stoltenberg, von der Leyen, Borrell (e da ultimo il carico da novanta della Merkel) poi, non solo si impediscono qualsiasi ruolo di mediazione, ma inducono la Russia a ritenere che non vi sia alternativa alla guerra.

In affetti, le leadership europee – che pure guidano i paesi che più stanno soffrendo per le conseguenze del conflitto – sembrano agire come se guidate dall’obiettivo di legarsi le mani, di chiudere qualsivoglia spiraglio di comunicazione con Mosca. Cosa che, ovviamente, rende felice Washington, che così mantiene per intero il controllo del gioco, pronta a manovrare le sue colonie NATO (quelle de jure e quelle de facto) come e quando le farà più comodo.

Le dichiarazioni di Angela Merkel sugli accordi di Minsk, infatti, identiche peraltro a quelle già fatte dall’ex-presidente ucraino Poroshenko, ma assai più gravi proprio perché pronunciate da lei, valgono a distruggere qualsiasi affidabilità dei leader europei. Cosa che, oltretutto, varrà non solo per la Russia, ma anche per qualsiasi altro paese. Non a caso, il leader serbo Vucic, parlando a proposito della crisi col Kosovo, ha chiaramente fatto riferimento a quelle dichiarazioni per attestare l’inaffidabilità dell’UE.

Al tempo stesso, l’UE invia segnali di guerra alla Russia, che travalicano sia l’invio di armi (che è per definizione a tempo) sia le dichiarazioni di fuoco (che sono comunque parole). L’Unione ha varato un piano per ristrutturare le linee di comunicazione stradali e ferroviarie, in vista dell’ottimizzazione per il trasporto di armamenti pesanti, e la Germania si appresta a rivitalizzare la rete di bunker sotterranei per la popolazione civile, largamente abbandonata ed in disuso. Tutti elementi che contribuiscono a formare, nella leadership russa, la convinzione che è opportuno prepararsi ad una lunga stagione di guerra in Europa. E che, evidentemente, ciò riguarda soprattutto l’attuale conflitto in Ucraina.

Il messaggio che gli europei stanno mandando a Mosca è che questa guerra non hanno altra scelta che vincerla sul campo.

Sino all’ultimo ucraino

Da tempo si dice che la NATO intende combattere sino all’ultimo uomo – purché di nazionalità ucraina. In realtà, sappiamo che non è esattamente così, perché i paesi dell’Alleanza non solo sono presenti con armi, logistica ed intelligence, ma sono di fatto sempre più presenti anche sul terreno, utilizzando compagnie militari private rimpinzate di ex-militari di paesi NATO, e che agiscono di fatto agli ordini dei comandi alleati. Sono ormai migliaia, soprattutto polacchi, ma anche statunitensi, britannici e romeni – oltre ovviamente ad altre nazionalità. A loro sono spesso affidati compiti di prima linea, quando si tratta o di muovere offensive, o di resistere agli attacchi russi, il che però comporta forti perdite anche tra questi mercenari.

La vera novità strategica sul terreno, comunque, è data dalla crisi delle forniture occidentali. Come già visto in precedenza, i paesi NATO hanno esaurito le proprie scorte di munizionamento per l’artiglieria, e non sono quindi più in grado di fornirne adeguatamente agli ucraini. Il risultato è che la capacità delle forze di Kyev, in questo settore fondamentale, è significativamente calata; e di conseguenza, è aumentata quella russa.

Quanto sta attualmente accadendo nel settore centrale del fronte, è da questo punto di vista paradigmatico. Ormai da mesi le forze armate russe stanno premendo sulle cittadine fortificate di Soledar e Bakhmut, ma da quando è cominciata a calare la capacità dell’artiglieria ucraina la pressione si è moltiplicata, tanto che oggi gli stessi ucraini riconoscono che Bakhmut si è trasformata in un tritacarne. E ad essere triturata è la carne degli uomini al fronte.

Nell’arco di un tre/quattro settimane, le stime delle perdite tra le forze armate ucraine e le milizie mercenarie schierate in città sono salite da 2/300 al giorno (tra morti e feriti) a 800/1.000 al giorno. Gli ospedali sono al collasso, manca il sangue per le trasfusioni e persino i mezzi per trasportare i feriti, che spesso muoiono perché non c’è modo di dargli le cure necessarie. E pur di trattenere le forze russe, ed impedir loro di prendere la città, lo stato maggiore ucraino continua ad inviare al massacro nuove truppe.

Dal canto loro i russi stanno conquistando uno dopo l’altro tutti i villaggi che si trovano nelle vicinanze, con l’obiettivo di chiudere Bakhmut in un calderone, aggirandola da sud e da nord.

Se, come sembra ormai inevitabile, sia Bakhmut che Soledar cadranno, le forze russe supereranno questa linea trincerata-fortificata, predisposta dagli ucraini già dai tempi della guerra contro le repubbliche separatiste; a quel punto, si troveranno di fronte la seconda linea fortificata, quella che si sviluppa lungo la direttrice Lyman-Slovyansk-Kramatorsk. Con l’arrivo dei reparti di mobilitati e dei volontari, probabilmente entro i primi dell’anno nuovo, cominceranno a premere anche su questa. L’obiettivo è sfondarla e dilagare nella pianura ucraina sino al Dniepr; in tal modo, anche le forze ucraine che si trovano più a sud, sia quelle che attualmente si trovano a pochi chilometri da Donetsk (e che la bombardano quotidianamente), sia quelle che occupano Zaporizhye, saranno costrette a ritirarsi per non essere chiuse a loro volta in una grande sacca. E potranno farlo soltanto ripiegando ad ovest, verso il fiume; attraversarlo senza sufficiente copertura d’artiglieria ed aerea sarà drammatico, quindi la decisione dovrà essere presa per tempo.

Ma visto come si sono mossi sinora, sia a Kyev che al comando NATO di Bruxelles, non è detto che ciò avvenga, e si preferisca obbligarli a resistere il più a lungo possibile, come a Mariupol e oggi a Bakhmut, anche a costo di perdite enormi. L’obiettivo è far durare la guerra più a lungo possibile, anche a costo di far morire fino all’ultimo ucraino.

Jonas Tögel: “Guerra cognitiva”: la NATO sta pianificando una guerra per le menti delle persone

acropolis

“Guerra cognitiva”: la NATO sta pianificando una guerra per le menti delle persone

di Jonas Tögel

Dal 2020, la NATO ha portato avanti i piani per una guerra psicologica che deve stare su un piano di parità con le cinque precedenti aree operative dell’alleanza militare (terra, acqua, aria, spazio, cyberspazio). È il campo di battaglia dell’opinione pubblica. I documenti della NATO parlano di “guerra cognitiva” – guerra mentale. Quanto è concreto il progetto, quali passi sono stati compiuti finora e a chi è rivolto?

TRANSVERSE DANCE 1 1 960x600 1Per essere vittoriosi in guerra, bisogna vincere anche la battaglia per l’opinione pubblica. Questo viene svolto da oltre 100 anni con strumenti sempre più moderni, le cosiddette tecniche di soft power. Questi descrivono tutti quegli strumenti psicologici di influenza con cui le persone possono essere guidate in modo tale che esse stesse non si accorgano di questo controllo. Il politologo americano Joseph Nye definisce quindi il soft power come “la capacità di convincere gli altri a fare ciò che si vuole senza usare la violenza o la coercizione”.(1)

La sfiducia nei governi e nei militari sta aumentando , mentre la NATO sta intensificando i suoi sforzi per usare una guerra psicologica sempre più sofisticata nella battaglia per le menti e i cuori delle persone. Il programma principale per questo è “Cognitive Warfare” . Con le armi psicologiche di questo programma, l’uomo stesso deve essere dichiarato il nuovo teatro di guerra, il cosiddetto “Dominio Umano” (sfera umana).

Uno dei primi documenti della NATO su questi piani è il saggio del settembre 2020 “NATO’s Sixth Domain of Operations” , scritto per conto del NATO Innovation Hub (abbreviato: IHub ). Gli autori sono l’americano August Cole , ex giornalista del Wall Street Journal specializzato nell’industria della difesa che da diversi anni lavora per il think tank transatlantico Atlantic Council, e il francese Hervé le Guyader.

Leggi tutto

Angelo d’Orsi: ‘Historia magistra vitae…’

lavoroesalute

‘Historia magistra vitae…’

Alba Vastano intervista Angelo d’Orsi

immagine 28 1024x684Disintermediati dai social e condizionati dal tam-tam h.24 delle news televisive, viviamo in full immersion nell’informazione mainstream e i più, orfani della conoscenza storica e quindi delle dinamiche che hanno segnato i grandi mutamenti sociali, economici e politici, tendono a soffermarsi sui fatti attuali, quasi mai legati propriamente alle fonti storiche che ne accertino la veridicità. E per questo si fa un gran vociare e si dà credito ad affermazioni, spesso totalmente artefatte dal rumor sempre più confuso dei media, e a fittizie verità, scollegate dalla storia.

Così si costruiscono pensieri unici e omologati (che tanto fanno il gioco dei lorsignori del potere) e convinzioni errate che alterano la verità dei fatti. Si può, quindi, affermare che solo chi ha indagato profondamente sui grandi eventi storici che hanno modificato gli aspetti e gli assetti delle comunità (perché la conoscenza della storia è frutto dell’ indagine accurata degli eventi) può comprenderne gli sviluppi e le conseguenze. E allora converrebbe porsi degli interrogativi sui grandi fenomeni che dal passato s’intrecciano con il presente e determineranno il futuro dei popoli, in particolare delle generazioni a venire.

Pertanto è ‘cosa buona e giusta’, soprattutto utile per svelare e per conoscere la verità sostanziale dei fatti storici, porre le più scottanti questioni che agitano oggi la nostra esistenza a chi della conoscenza della storia ne fa ‘… vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis» (Cicerone, De Oratore, II, 9, 36).

Nell’intervista che segue, il professor Angelo d’Orsi, illustre storico, risponde agli interrogativi sui grandi eventi di oggi, legando gli eventi in corso alle dinamiche storiche del passato.

Leggi tutto

Davide Sabatino and L’Indispensabile: L’inedito attuabile

lafionda

L’inedito attuabile

di Davide Sabatino and L’Indispensabile

Uno scoglio difficilmente aggirabile per chiunque volesse impostare una riflessione generale sulla situazione politica attuale, è quello che potremmo definire “opportunismo politico”. In pratica, questa vecchia soggettività politica decadente invece di sforzarsi di articolare una linea programmatica propria, che tenga conto di valori condivisi, di responsabilità comuni, di studio delle fonti, di apertura mentale e di compromessi mai del tutto snaturanti, preferisce cavalcare l’umore del momento. Umore che, tra l’altro, è per lo più indotto da luoghi comuni messi in circolazione dalla propaganda commerciale e informativa.

Qualche giornalista mainstream chiamerebbe questo modus operandi “populismo”, ma io credo che tale atteggiamento non sia affatto riconducibile né solo a una parte dello schieramento politico né solamente alla volontà di ricercare un grande consenso popolare (facendo leva sulle paure della gente, sulle allucinazioni collettive o sui “bisogni dei poveri” che di certo non mancano mai). Il lato peggiore di questo tipo di demagogia equilibrista risiede nell’autoconvinzione di poter rimanere sempre a galla, qualunque cosa si dica o si faccia.

Leggi tutto

comidad: Il businnes del controllo sul controllo

comidad

Il businnes del controllo sul controllo

di comidad

Nel loro gioco di ruolo, il governo (o presunto tale) ed i suoi altrettanto presunti detrattori si ispirano agli stessi criteri polizieschi e punitivi. Il governo Meloni ha avviato l’abolizione del cosiddetto “reddito di cittadinanza” (che in effetti è solo un sussidio ai disoccupati ed agli indigenti), ciò in nome del contrasto all’abuso che di questo strumento si farebbe da parte di “furbetti” e “fannulloni”. I “critici” del governo invece attaccano una misura come l’aumento al tetto dell’uso del contante, in quanto favorirebbe l’evasione fiscale. Al di là delle pantomime polemiche e dei wrestling opinionistici, la costante, l’invarianza, il criterio-guida consistono sempre nel moralismo, nella ricerca del potenziale colpevole da colpire preventivamente, mentre manca completamente la ricerca di un riequilibrio sociale, cioè di evitare eccessive concentrazioni di ricchezza e di potere.

I sussidi di disoccupazione rendono i lavoratori un po’ meno ricattabili, perciò attenuano lo squilibrio nel rapporto di forze tra l’imprenditore e i suoi dipendenti.

Leggi tutto

Michele Paris: Ucraina: i Patriot e i Marines

altrenotizie

Ucraina: i Patriot e i Marines

di Michele Paris

Se da qualche parte nelle stanze del potere in Occidente si è infilato un dubbio sull’opportunità di continuare ad appoggiare “per quanto necessario” il regime ucraino nella guerra contro la Russia, le notizie che filtrano sulla stampa in questi giorni non sembrano fornire molte indicazioni in questo senso. I segnali di allarme per gli sviluppi della situazione sul campo sono in realtà molteplici, come ad esempio gli avvertimenti per il rapido svuotamento delle riserve di armi in Europa e negli Stati Uniti. A tenere banco sono tuttavia due notizie di segno opposto, come l’imminente invio a Kiev di batterie di missili Patriot americani e la conferma dell’impiego in battaglia in Ucraina di uomini dei reparti speciali britannici.

Zelensky chiede da tempo sistemi anti-aerei occidentali per cercare di far fronte al devastante martellamento missilistico di Mosca, aumentato sensibilmente dopo gli attacchi ucraini delle scorse settimane contro alcune infrastrutture civili russe. Dopo un lungo periodo di riflessione, l’amministrazione Biden avrebbe così deciso di dare il via libera alla consegna dei missili difensivi Patriot già entro questa settimana.

Leggi tutto

Anna Cortelazzo: Vogliamo davvero una scuola basata sul merito?

ilbolive

Vogliamo davvero una scuola basata sul merito?

di Anna Cortelazzo

“Noi siamo contrari al merito”. “Premiare il merito è una pessima idea”. “Noi odiamo i meritevoli, non troveranno mai posto nella nostra azienda”. Queste sono frasi che probabilmente nessuno di noi ha mai sentito pronunciare, e per una buona ragione: quasi tutti sono favorevoli al merito, e pochissime persone sarebbero disposte ad ammettere di preferire favori e scorciatoie. Proprio per questo motivo, parlare di merito in molte circostanze rende inattaccabile chi lo fa, o quantomeno complica la vita a chi cerca di esprimere qualche perplessità.

In realtà, se andiamo alle radici etimologiche di questa parola, l’accezione non era necessariamente positiva. Deriva infatti dal latino merĭtum, a sua volta derivante da merere, meritare, che poteva indicare anche una punizione per un comportamento scorretto. Le prime attestazioni in italiano sono invece quasi tutte positive, tanto che anticamente poteva significare anche “ricompensa”o “premio” (1250, anonimo e 1294 B. Latini). La parola è semanticamente legata all’etica e alla morale, e se utilizziamo il suo opposto, “demerito” andiamo automaticamente a designare qualcosa di negativo, che non fa onore alla persona interessata.

Leggi tutto

Valerio Romitelli: Andrà tutto bene per l’Europa?

maggiofil

Andrà tutto bene per l’Europa?*

di Valerio Romitelli

0e99dc f4040d7220c24aed8ca9fe9b7bdecc39mv2Le ricadute della guerra in Ucraina rischiano di avere effetti a catena disastrosi per l’Ue: tali da riconfigurare il vecchio continente, come nessuna crisi finanziaria, lotta sociale, rivolgimento politico o ristrutturazione economica abbiano mai fatto almeno dal crollo del muro di Berlino ad oggi.

Le cause più dirette di un simile possibile sconvolgimento a venire sono note e molteplici. Tra di esse anzitutto le restrizioni nella fornitura di gas e altre materie prime da parte della Russia difronte all’inasprimento delle sanzioni nei suoi confronti da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma anche l’intensificarsi della corsa al riarmo istigata dalla Nato e coinvolgente persino quella Germania la cui nulla autonomia militare è stata la condizione del suo primato economico nel seno dell’Ue a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Né va sottovalutato quanto una fedeltà atlantica e un’ostilità antirussa particolarmente esibite stiano favorendo il prestigio di paesi come la Polonia (forse un modello per la stessa Italia a governo Meloni?) già più volte bacchettati dal resto dell’Ue perché considerati poco rispettosi dei suoi valori liberali e democratici.

Gli esempi di ciò che ne potrà seguire sono anch’essi noti e molteplici. Tra di essi, uno dei più recenti è la chiusura dell’impianto della russa Lukoil insediata da anni in Sicilia che rischia di gettare in miseria all’incirca diecimila persone e desertificare tutta la zona tra Siracusa e Catania, finora una delle più produttive dell’isola. Ma di fronte all’aumento dei costi energetici nessuno sa quale possa essere il destino di ogni attività economica e di assistenza sociale nel seno dell’Ue, dove oltretutto la fatidica transizione Green sta perdendo quella priorità finora conclamata come assoluta.

Leggi tutto

Carlo Formenti: USA, NATO, UE l’abbraccio inscindibile fra i tre dell’apocalisse

perunsocialismodelXXI

USA, NATO, UE l’abbraccio inscindibile fra i tre dell’apocalisse

di Carlo Formenti

copertinauhhI. Le guerre illegali della NATO. Sul libro di Daniele Ganser

Daniele Ganser è uno storico svizzero che insegna all’Università di San Gallo, dirige l’Istituto Svizzero per la Ricerca sulla Pace e l’Energia ed è autore di libri che hanno suscitato l’ira degli ayatollah atlantisti, come La storia come mai vi è stata raccontata. Gli eserciti segreti della NATO, uscito in edizione italiana qualche anno fa per i tipi di Fazi. Sempre Fazi manda in libreria il suo ultimo lavoro, Le guerre illegali della NATO, che si spera possa insufflare qualche dubbio nelle teste di quelli che si bevono le balle di un sistema mediatico occidentale ormai ridotto a dispensatore di veline per conto di Washington. Eppure questo libro, che i detrattori hanno già iniziato a bollare come “complottista”, non svela alcunché di nuovo o inedito: si limita perlopiù a riportare ciò che gli stessi vertici dell’Amministrazione Usa e dell’Alleanza Atlantica hanno ammesso qualche anno dopo eventi che i media avevano manipolato per ingannare l’opinione pubblica mondiale (del resto, se le menzogne emergono dopo un congruo intervallo di tempo il loro impatto è nullo, o comunque non basta a rimediare al danno provocato all’epoca in cui sono state diffuse).

Ma passiamo ai contenuti del libro a partire dal titolo. Perché Ganser definisce illegali le guerre della NATO? La risposta è che nessuno dei conflitti (con l’eccezione della prima guerra contro l’Iraq provocata dall’invasione del Kuwait) scatenati da Washington e dai suoi alleati soddisfa i requisiti fissati dall’ONU nel 1945, secondo i quali la guerra come metodo di risoluzione del conflitto fra le nazioni aderenti all’Organizzazione è ammessa solo in due casi: il diritto all’autodifesa e un mandato formale da parte del Consiglio di sicurezza.

Leggi tutto

Lorenzo Zamponi: Vietato parlare di neoliberismo

jacobin

Vietato parlare di neoliberismo

di Lorenzo Zamponi

Il neoliberismo non va neppure nominato perché non è un’ideologia che contiene opzione di politica economica tra le tante: viene presentato come la legge naturale dell’economia e della società

iran1 jacobin italia 1536x560È solo l’ultima di tante storie simili. Una ricercatrice scrive su una testata online un articolo sulle proteste in Iran in cui usa la parola «neoliberista» per definire le politiche del regime degli ayatollah. Su Twitter si scatena l’inferno: centinaia di account attaccano lei, la rivista e la sua tesi, per aver osato usare quella parola. Come se i regimi autoritari non avessero una politica economica. La stampa di area salta sopra alla storia, e Carlo Calenda ci mette la ciliegina insultando pubblicamente la ricercatrice. Una storia di ordinaria follia social in un paese in cui il dibattito pubblico sulle questioni economiche è ostaggio di tabù e paletti che risulterebbero incomprensibili e fuori tempo in tutto il resto dell’Occidente. Dietro questa storia ci sono i meccanismi perversi del circuito mediatico-social che sta portando i liberali italiani ad assumere linguaggi, stili e comportamenti trumpiani. Ma se la leghiamo alla canea che ha accolto l’uso del termine «neoliberismo» nel percorso congressuale del Partito demodratico, questa storia ci dice qualcosa di più: quella parola deve restare un tabù perché, per il pensiero dominante, nessuna persona e nessun movimento di massa può essere influenzato da istanze socioeconomiche, e perché citare il neoliberismo come un’ideologia significa minarne lo status di legge naturale universale che caratterizza le ideologie dominanti, e indicare quindi la possibilità di immaginare e creare altri mondi possibili.

Leggi tutto

Silvia Di Fonzo: La conoscenza come elemento della catena del valore

contropiano2

La conoscenza come elemento della catena del valore

di Silvia Di Fonzo*

Io penso che non sia assolutamente possibile separare il settore della conoscenza dal resto di tutte le altre attività produttive e dei servizi. Nel sistema capitalista anche la conoscenza viene utilizzata per ridurre i costi di produzione, aumentare l’appetibilità dei prodotti e quindi il profitto.

Prima di tutto il sapere non è neutro ma influiscono le culture dominanti e le esigenze del capitale. (Marcello Cini, L’ape e l’architetto, 1976).

Negli ultimi anni nei paesi a capitalismo avanzato, per far fronte alla caduta tendenziale del saggio di profitto, stiamo assistendo ad una privatizzazione sempre più diffusa della conoscenza da parte di monopoli e oligopoli finanziari. Eppure il settore che produce conoscenza è alimentato da investimenti pubblici, la cultura, l’apprendimento, la formazione e la ricerca sono a carico degli stati.

Qualsiasi scoperta scientifica, è per sua stessa natura solo un tassello aggiuntivo che si fonda sul patrimonio delle scoperte precedenti, e solo questo dovrebbe essere sufficiente a capire ad esempio il carattere aberrante dei diritti sui brevetti che invece dovrebbero essere patrimonio collettivo messo a disposizione dell’umanità.

Leggi tutto

coniarerivolta: Il governo Meloni fa cassa sulle pensioni

coniarerivolta

Il governo Meloni fa cassa sulle pensioni

di coniarerivolta

Il governo Meloni si appresta a varare in questi giorni l’annunciata riforma delle pensioni. Nuovo governo, ennesima riforma, stessa identica filosofia di intervento: risparmi, risparmi e ancora risparmi, sulla pelle di lavoratori e pensionati. Ecco pronto e incartato, giusto in tempo per il Natale, l’ennesimo pacchetto di austerità pensionistica.

Sembrano lontani i ricordi di quella destra che, per qualche anno, all’opposizione, fingeva di strepitare contro la riforma Fornero. Del resto, è noto come furono gli stessi parlamentari di Fratelli d’Italia (all’epoca facenti parte del fu Popolo della Libertà) a votare allineati in parlamento quella terribile legge nel non così remoto 2011. Anche alla Lega di Salvini evidentemente dei pensionati italiani importa vagamente solo in campagna elettorale.

Oggi i partiti che costituiscono la compagine governativa si apprestano a votare compatti per una riforma che è persino peggiore di quel che si poteva immaginare solo un paio di settimane fa.

Vediamone i pilastri fondamentali.

Leggi tutto

Fabrizio Casari: Pechino-Ryad, il nuovo paradigma

altrenotizie

Pechino-Ryad, il nuovo paradigma

di Fabrizio Casari

La recente visita del presidente cinese Xi Jnping in Arabia Saudita, per presenziare alla prima edizione di due summit multilaterali – uno tra Cina e paesi arabi e un altro tra Cina e Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc) – ha aperto un nuovo corso nelle relazioni tra Pechino e Ryad con l’ufficializzazione di una partnership sulle Nuove Vie della Seta e su Vision 2030, i rispettivi programmi di sviluppo di lungo termine ideati dai due leader.

Secondo i dati di Janes IntelTrak, l’Arabia Saudita è in cima alla lista delle destinazioni degli investimenti esteri cinesi annunciati nella regione del Golfo negli ultimi 20 anni, per un totale di 106,5 miliardi di dollari, davanti al Kuwait con 97,6 miliardi di dollari e ai 46 miliardi di dollari degli Emirati Arabi Uniti.

L’Arabia Saudita, al pari della Russia, è il principale fornitore di greggio della Cina e la Cina è il principale partner commerciale di Ryad, ma negli ultimi anni le relazioni si sono ampliate soprattutto alla tecnologia.

Leggi tutto

Alberto Giovanni Biuso: Tesi e mondi

aldous

Tesi e mondi

di Alberto Giovanni Biuso

È in corso da tempo una demagogica e distruttiva tendenza a regalare diplomi e lauree che perdono in questo modo valore professionale e significato scientifico. Per quanto riguarda le Università, tra le varie ragioni della catastrofe ce ne sono due: la crescita incontrollata del numero degli appelli, che ha come effetto anche la mancata frequenza alle lezioni perché in pratica quasi ogni mese c’è la possibilità di dare un esame; il far sostenere a ciclo continuo le cosiddette ‘prove in itinere’, che parcellizzano l’apprendimento e fanno perdere il significato unitario (epistemologico) di un programma di studi. Gli Atenei pubblici – unica garanzia di eguaglianza sociale – scimmiottano in questo modo le università telematiche, suicidandosi.

La radice di tali tendenze è la trasformazione delle discipline/materie in ‘crediti’ da collezionare come i punti al supermercato. Metamorfosi attuata dai ministri Luigi Berlinguer e Mariastella Gelmini, il cui esito consiste in uno studio che diventa trafelato, che rimane di conseguenza del tutto superficiale, che ha come risultato il non apprendere nulla e il dimenticare presto ciò che si è appreso.

Leggi tutto

Sharing - Condividi