Rassegna del 28/01/2023
Leonardo Bargigli: Un commento su “La Guerra Capitalista”
Un commento su “La Guerra Capitalista”
di Leonardo Bargigli*
Il volume di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli La Guerra Capitalista1 ha il notevole merito di affrontare un argomento molto complesso e poco trattato dalla letteratura economica, quale la centralizzazione del capitale.
Nella prima parte, e nell’appendice 1, gli autori introducono efficacemente il proprio oggetto di studio, fornendo al lettore una utile guida alla letteratura. In particolare, sottolineano opportunamente la differenza tra concentrazione della ricchezza e centralizzazione del capitale.
Con il primo termine, si indica l’accumulazione della ricchezza nelle mani di un numero sempre più ristretto di proprietari. Con il secondo termine, si indica invece la concentrazione, in poche mani, del controllo sull’impiego della ricchezza accumulato da tutte le classi sociali. Mentre l’evidenza empirica sul primo fenomeno è abbondante, lo stesso non può dirsi per il secondo2.
Nella seconda parte del volume gli autori presentano i propri originali risultati, che si riferiscono ad una particolare definizione di centralizzazione in termini di net control. Quest’ultima grandezza è definita come “il valore intrinseco del capitale controllato seguendo tutti i percorsi diretti e indiretti delle partecipazioni azionarie” (p. 107).
Mettendo tra parentesi i problemi metodologici3, concentriamoci sul messaggio principale. I risultati presentati dagli autori evidenziano che la proprietà delle imprese quotate a livello internazionale è concentrata nelle mani di un nucleo ristrettissimo di azionisti. In particolare, nel 2016 l’80% del valore del mercato azionario globale era controllato dall’1% degli azionisti (p. 115), e questa quota si era in precedenza ridotta del 25% a partire dal 2001, con un’accelerazione a partire dal 2006 (p. 116).
Giancarlo Cinini: Viaggio nell’inferno invisibile della rete
Viaggio nell’inferno invisibile della rete
di Giancarlo Cinini*
Data center, cavi, impatto ecologico e guerre geopolitiche: come e perché scoperchiare la realtà materiale di internet secondo Guillaume Pitron
L’ elefante nella stanza è un enorme palazzo senza finestre. Un centro di elaborazione dati come quello dell’azienda Equinix ad Amsterdam, un parallelepipedo striato, o quello di Facebook a Luleå, nel nord della Svezia, allungato tra gli alberi al limite del circolo polare artico. Sono immensi data center che trasmettono e archiviano i dati che ci scambiano online. Moltiplichiamo le stanze, i server, i cavi, le ventole di raffreddamento, per immaginare un unico data center che contenga tutti i bit che l’umanità produce. Una nuova versione della biblioteca di Babele immaginata da Borges: 5 exabyte per giorno, 47 zettabyte nell’anno 2020 (per intenderci, uno zettabyte sono mille exabyte, un exabyte è un miliardo di gigabyte). Una breve e-mail pesa solo un kilobyte e se un’email fosse mezzo bicchiere d’acqua allora quei 47 zettabyte di flusso annuo di dati sarebbero come il mar Mediterrano e il mar Nero assieme: una marea. Ma la produzione dei dati aumenta e si stima che nel 2030 arriveremo a 612 zettabyte all’anno.
Attraverso questa marea si fa strada un solitario like, che qualcuno mette a un post di qualcun altro, e che da un telefono raggiunge l’antenna dell’operatore, quindi percorre i cavi che portano ai locali tecnici dell’operatore, da lì sempre via cavo attraversa suolo e mare per arrivare a quei grandi data center, allora rifà la strada all’inverso, verso il telefono di chi sta cercando di vedere quanti nuovi like ci siano sul suo post. Questi dati ridiscutono il nostro rapporto con lo spazio, scrivono geografie: si muovono lungo precise rotte, attraversano effettivamente cavi e abitano fisicamente server.
Collettivo Genova City Strike: Percorso: Internet, Marx e la teoria del valore
Percorso: Internet, Marx e la teoria del valore
di Collettivo Genova City Strike
Questo testo e questa presentazione sono basati, in gran parte, sul testo di Guglielmo Carchedi “Lavoro Mentale e classe operaia”. Le restanti parti sono a cura del Collettivo Genova City Strike
La rete internet, sviluppata per motivi inizialmente militari durante la guerra fredda, ha assunto un’importanza centrale nella vita quotidiana degli uomini, in ogni parte del mondo. Con internet si lavora, si compra e si vende, si comunica, si gioca, si consuma tempo libero. Tutto questo rientra nella teoria del valore di Marx e in quali modi? E’ quello a cui cercheremo di rispondere. Per farlo occorre dapprima riprendere le categorie (aggiornandole) di lavoro produttivo e improduttivo e di comprendere il nesso tra fase della produzione di merci e fase di consumo delle stesse.
Sezione 1) Produzione e consumo
a) Il lavoro produttivo
In generale possiamo definire produttivo qualsiasi lavoro che sia inserito all’interno dei cicli di riproduzione del valore. Cioè un lavoro che determina variazioni nel valore d’uso di una merce e che abbia un valore di scambio. A questo punto si aprono una serie di subordinate legate a lavori che determinano variazioni nei valori d’uso ma non immediate nei valori di scambio (ad esempio i lavoratori nel campo dell’istruzione o della sanità). Oppure a lavori che determinano variazione nei valori di scambio ma in cui la merce non ha nessun cambio di valore d’uso (ad esempio il commercio o la logistica). La categoria del lavoro produttivo rimane quindi valida ma va comunque specificata in un contesto che varia nel tempo.
Ilaria Bifarini: Il Grande Reset è fallito? Riflessioni su Davos 2023
Il Grande Reset è fallito? Riflessioni su Davos 2023
di Ilaria Bifarini
Un Forum di Davos decisamente sottotono quello che si è da poco concluso nell’innevata cittadina svizzera. A pesare sono state più le assenze che le presenze: mancava il presidente americano Biden, probabilmente occupato dagli scandali dei documenti riservati, ma non c’era neanche la sua vice Kamala Harris; hanno disertato tra gli altri Macron e il nuovo premier britannico Sunak, mentre l’Italia è stata rappresentata dal Ministro dell’istruzione. Dei capi di Stato del G7 era presente soltanto il cancelliere tedesco Scholz. Tanti i miliardari, ben 116 per l’esattezza, ma non sono stati avvistati i volti più iconici della plutocrazia globalista, come Soros e Bill Gates. Il magnate di Tesla nonché nuovo patron di Twitter, l’anticonformista ed eccentrico Elon Musk invece, oltre ad aver dichiarato di aver declinato l’invito al consesso svizzero perché noioso, proprio nei giorni del summit ha lanciato delle accuse sferzanti, definendo il Forum di Davos come un governo mondiale non eletto che il popolo non ha chiesto e non vuole.
Paolo Ferrero: Ucraina, l’invio di carri armati non ha rilevanza militare ma un grande significato politico
Ucraina, l’invio di carri armati non ha rilevanza militare ma un grande significato politico
di Paolo Ferrero
La scelta occidentale di inviare carri armati di ultima generazione in Ucraina non ha alcuna rilevanza militare, ma un grande significato politico: rappresenta un altro passo nel coinvolgimento diretto della Nato nella guerra e quindi nell’aprire la strada alla terza guerra mondiale senza che le opinioni pubbliche europee se ne accorgano. Vediamo perché.
Innanzitutto i numeri. Per cosa sono riuscito a capire si parla, ad oggi, di un paio di centinaia di carri armati che non arriverebbero tutti insieme, ma a tranche nel corso del 2023. Per avere un termine di paragone, dalle statistiche che si riescono a trovare, si capisce che indicativamente, in questa fase del conflitto, ogni giorno vengono distrutti, in media, in combattimento una decina di carri armati sulla parte ucraina. 200 carri armati durano quindi una ventina di giorni. Non è certo un elemento decisivo.
In secondo luogo la qualità. Non stiamo parlando di armi segrete, ma di carri armati Abrams e Leopard in produzione da anni, di cui sono note le caratteristiche e le potenzialità, tecnologicamente simili, ai modelli russi degli ultimi 20 anni.
Carlo Formenti: Guerra e rivoluzione
Guerra e rivoluzione
Prefazione
di Carlo Formenti
Il testo che anticipo in questo post è la Prefazione del libro “Guerra e rivoluzione” il cui primo volume, “Le macerie dell’impero” sarà in libreria fra pochi giorni per i tipi di Meltemi, mentre il secondo, “Elogio dei socialismi imperfetti” seguirà fra un paio di mesi.
L’autore del lavoro che vi apprestate a leggere verrà verosimilmente accusato di eccessiva ambizione: sia per le dimensioni dell’opera (due volumi per un totale di diverse centinaia di pagine), sia per la vastità dei temi trattati (presa di distanza da certi dogmi cari alla tradizione marxista; impatto della controrivoluzione neoliberale sulla mutazione dei sistemi politici e della composizione di classe, nonché sulla morte delle sinistre in Occidente; rinascita del progetto socialista in Oriente e nel Sud del mondo; abbozzo di linee strategiche per la ricostruzione di un movimento comunista occidentale). Forse l’accusa non è priva di fondamento, tuttavia ritengo che la mia vera colpa consista nel non essere stato abbastanza ambizioso, considerato che la situazione del movimento anticapitalista in Occidente è oggi talmente tragica da poter essere affrontata solo coltivando un’ambizione smisurata. A discolpa del fatto di essere rimasto al di sotto di quanto richiederebbe la situazione, posso addurre due giustificazioni: in primo luogo, i miei limiti soggettivi mi hanno impedito di approfondire ulteriormente l’analisi; inoltre, quand’anche le mie capacità fossero state maggiori, le sfide con cui ardisco qui misurarmi richiederebbero l’apporto di una mente collettiva che oggi, dopo decenni di sistematico smantellamento di partiti, istituzioni, centri di ricerca (nonché di frammentazione organizzativa di quanto ne restava), non esiste più.
Perché mi sono imbarcato in cotanta impresa? Perché sono convinto che sia urgente trovare il coraggio (non dubito che molti lo definiranno piuttosto arroganza) di porvi mano.
Valerio Romitelli: Per un pacifismo disincantato
Per un pacifismo disincantato
di Valerio Romitelli
«Perché ci indigniamo tanto contro la guerra, Lei e io e tanti altri, perché non la prendiamo come una delle molte e penose calamità della vita? La guerra sembra conforme alla natura, pienamente giustificata biologicamente, in pratica assai poco evitabile […] finché esistono stati e nazioni pronti ad annientare senza pietà altri stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi alla guerra…».
Questi alcuni dei passi più interessanti della risposta data da Freud ad una lettera inviatagli da Einstein nel 1932, quando i postumi della Prima guerra mondiale non erano affatto estinti e i primi vaghi presagi di quella che sarà la Seconda guerra mondiale stavano già baluginando.
Per iniziativa del circolo Maggio Filosofico da più di vent’anni attivo nei dintorni di Bologna, questo giustamente famosissimo scambio epistolare è stato assunto come punto di avvio per una o più conferenze sul fenomeno bellico dal punto di vista di filosofia, psicologie e scienze umane, alla luce di quanto sta accadendo con la guerra in Ucraina. Dandone notizia mi spendo anche nel perorare la causa di simili discussioni di livello problematico più intenso rispetto a quello della cronaca e dei suoi commenti più o meno informati, convinto che solo così si possa sollecitare l’intelligenza dell’enorme e irreversibile portata epocale di quanto sta avvenendo in questa guerra e col diretto coinvolgimento in essa di Italia ed Europa.
Segue dunque qualche congettura a questo proposito.
* * * *
I
Tornando ai passi appena riportati della risposta di Freud, dove sta dunque il loro particolare interesse? Sta nel rimettere in discussione l’intuitivo approccio pacifista che Einstein supponeva e che lo stesso Freud finisce per far proprio, ma previa una elaborazione non scontata dei suoi presupposti.
Stefano Lucarelli: Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti
Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti
Recensione di Stefano Lucarelli*
Zanini A. (2022), Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti (1933-1973), Bologna: Il Mulino, pp. 567, ISBN: 9788815294746.
Nonostante l’ordoliberalismo sia un sistema di pensiero che ha origine in una precisa area culturale – la scuola di Friburgo -, soprattutto nel nostro paese la conoscenza dei concetti che hanno caratterizzato la storia di questa dottrina non appare scevra da imprecisioni e incomprensioni. Non lo era certamente durante la costituzione della Unione Europea quando il modello tedesco di economia sociale di mercato veniva presentato all’opinione pubblica come una alternativa all’economia di mercato rilanciata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna dalla rivoluzione conservatrice di Ronald Reagan e di Margareth Tatcher.1 In altri termini, la Soziale Marktwirtschaft, per usare l’espressione originaria coniata da Alfred Muller-Armack, veniva presentata come qualcosa di distante dal neoliberismo. Questa parola-guida della scuola di Friburgo si ritrova nell’articolo 3 del Trattato di Maastricht (1992), che, al comma 3, stabilisce che l’Unione Europea “si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, e [proprio] su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva”, modello in cui l’aggettivo “sociale”, secondo von Hayek, è un pleonasmo grazie al quale “alcuni miei amici tedeschi (e ultimamente anche inglesi) sembrano essere riusciti a rendere appetibile a circoli più ampi il tipo di ordine sociale che io difendo” (cfr. von Hayek, cit. in Cavallaro, 2020, pp. 33-34). Un ordine sociale, quello hayekiano, che indica un sistema ordinato di regole incorporato nel processo di evoluzione del sistema di mercato, cioè nella forma di norme di comportamento interiorizzate, e non nella forma della programmazione statuale.2
Andrea Zhok: I tre scenari delineati da Lucio Caracciolo
I tre scenari delineati da Lucio Caracciolo
di Andrea Zhok
Oggi ho curiosato sulla stampa mainstream (ogni tanto è utile fare una passeggiata dietro le linee nemiche) e mi sono imbattuto in un titolo interessante su “La Stampa” di Torino:
Titolo
“La Russia ha più uomini, mezzi, risorse; o la Nato entra in campo o Kiev perderà.”
Sottotitolo
“Usa ed Europa sono davanti a scelte difficili: l’ipotesi di inviare truppe occidentali non può essere scartata.”
Questo titolo campeggia su un articolo nientepopodimeno del prestigioso analista Lucio Caracciolo. Ora, leggendo l’articolo, come c’era da aspettarsi, gli argomenti di Caracciolo sono di carattere analitico e descrittivo, pesati attentamente, e presentano tre scenari possibili:
“(1) Ridurre il sostegno militare a Kiev fino a convincere Zelensky dell’impossibilità di vincere, dunque della necessità di compromettersi con Mosca;
(2) entrare in guerra per salvare l’Ucraina e distruggere la Russia a rischio di distruggere anche sé stessi;
(3) negoziare con i russi un cessate-il-fuoco alle spalle degli ucraini per imporlo agli aggrediti.”
Fabrizio Marchi: Perchè l’Occidente odia e ha paura della Russia
Perchè l’Occidente odia e ha paura della Russia
di Fabrizio Marchi
Stavo riflettendo, giorni fa, sul fatto che la Russia è forse l’unico paese che non sia mai stato colonizzato e occupato militarmente – se non per brevi periodi ai quali hanno fatto seguito ritirate disastrose – dall’Occidente. Quest’ultimo ci ha provato a più riprese con aggressioni dirette (guerre napoleoniche, guerra di Crimea, guerra civile post rivoluzione del ’17, attacco nazista nella seconda guerra mondiale) e indirette (il tentativo degli USA di colonizzazione economica e politica subito dopo il crollo dell’URSS), ma tutti questi tentativi sono sempre clamorosamente e fragorosamente falliti (e negli ultimi vent’anni, naturalmente, l’espansione ad est della NATO e il colpo di stato in Ucraina nel 2014).
E’ questa forse una delle principali ragioni della atavica ostilità occidentale nei confronti di quel paese. Insieme probabilmente all’ incapacità di comprendere lo spirito di quel popolo che non c’è stato verso di addomesticare. Probabilmente è un’ostilità che ha radici ancora più antiche, essendo la Russia l’erede del grande scisma che ha dato vita alla chiesa ortodossa.
Paolo De Prai: Stagnazione comunista
Stagnazione comunista
di Paolo De Prai*
Da molte settimane il governo russo si sta preparando per un allargamento della guerra a fronte dell’evidenza che il governo USA – e la NATO, suo strumento – sta aumentando l’invio di armi sempre più distruttive, distruggendo il North Stream 1/2 e senza alcuna volontà di trovare un accordo di pace.
Nell’intanto i governi europei marcano il loro servilismo accodandosi a scelte a loro stesso danno.
E’ stato così implementato un comando unico militare russo/bielorusso, sono arrivate truppe e armamenti pesanti dalla Russia in Bielorussia, e ultimamente anche aerei bombardieri.
E’ quindi da prospettare un prossimo possibile attacco preventivo russo che chiuda il confine ucraino/polacco da dove passano le armi verso il governo semi-nazista ucraino o in alternativa un attacco in Polonia che colleghi via terra l’esclave di Kaliningrad o in alternativa, di difesa di quel territorio attaccato dalla Polonia.
Giorgio Agamben: La verità e la vergogna
La verità e la vergogna
di Giorgio Agamben
Dopo quanto è successo negli ultimi due anni è difficile non sentirsi in qualche modo diminuiti, non provare – lo si voglia o no – una specie di vergogna. Non si tratta della vergogna che Marx definiva «una sorta di rabbia rivolta verso di sé», in cui intravedeva una possibilità di rivoluzione. Si tratta, piuttosto, di quella «vergogna di essere uomini», di cui parlava Primo Levi a proposito dei campi, la vergogna di chi ha visto accadere quello che non avrebbe dovuto accadere. È una vergogna di questa specie – è stato detto a ragione – che, fatte le debite distanze, proviamo davanti a una volgarità troppo grande, davanti a certe trasmissioni televisive, ai volti dei loro conduttori e al sorriso sicuro degli esperti, dei giornalisti e degli uomini politici che hanno consapevolmente sanzionato e diffuso la menzogna, la falsità e il sopruso – e continuano impunemente a farlo.
Chiunque ha provato questa vergogna sa di non essere per questo diventato migliore. Sa, piuttosto, come usava ripetere Saba, di «essere molto meno di quanto era prima» – più solo, anche se ha cercato amici e sodali, più muto, anche se ha provato a testimoniare, più impotente, anche se qualcuno ha ascoltato la sua parola.