Rassegna del 30/01/2023
Enrico Tomaselli: La sottile linea rossa
La sottile linea rossa
di Enrico Tomaselli
Siamo abituati a pensare alle leadership delle grandi potenze come a un’élite di persone consapevoli e lungimiranti, magari ‘buone’ o ‘cattive’ ma comunque capaci – appunto – di una visione di ampio respiro. Persino l’atteggiamento ‘complottista’ finisce col rafforzare questa convinzione. Ma è davvero così? La storia ci dice piuttosto che, quando una potenza è in declino, anche la sua leadership è sempre meno all’altezza del compito; e ciò è, al tempo stesso, concausa ed effetto del declino stesso. Ne abbiamo drammaticamente conferma sui campi di battaglia dell’Ucraina.
* * * *
Il suicidio dell’impero americano
È in effetti paradigmatico che il leader degli USA sia un vecchio con evidenti problemi cognitivi. E per quanto, com’è ovvio, sia circondato da consiglieri (più o meno ufficiali, più o meno occulti), ciò non toglie che sia altamente simbolico – e non meno concreto… – dello stato di decadenza in cui versa l’ex impero statunitense. Ed in questo caso la preposizione ex non è né casuale né involontaria; al contrario, indica convintamente uno stato di cose, che sarebbe bene cominciare ad accettare e considerare. Perché quell’impero ha fondato la sua tumultuosa ascesa (e la breve stagione del suo dominio incontrastato) sulle armi e sul dollaro, ma oggi le sue forze armate non sono più l’invincibile strumento di guerra che hanno creduto di essere, ed il dollaro non è molto lontano dal divenire l’ombra di se stesso.
In verità, il dominio americano è andato avanti, negli ultimi decenni, più per forza d’inerzia che non per una guida realmente imperiale. L’ascesa al potere dei neocon – passati disinvoltamente dai repubblicani ai democratici – non è stata soltanto la ragione di una svolta aggressiva e delirante, ma un fattore accelerante nel processo di decadimento della leadership statunitense.
Collettivo Comunista City Strike-Genova: Le ragioni di fondo. Riflettere sui nessi tra imperialismo, crisi e guerra
Le ragioni di fondo. Riflettere sui nessi tra imperialismo, crisi e guerra
di Collettivo Comunista City Strike-Genova
Un testo di analisi a partire da “La guerra capitalista” di Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Stefano Lucarelli e “Stati Uniti e Cina allo scontro globale” di Raffaele Sciortino
Siamo alla vigilia di un triste anniversario. Da circa un anno, la Russia ha invaso parte del territorio dell’Ucraina. Da allora i combattimenti, tra alti e bassi, non si sono mai fermati. Si contano oramai migliaia di morti, l’Ucraina è diventato uno stato totalmente militarizzato, mentre continua l’escalation di provocazioni sapientemente foraggiate dalle forniture militari elargite da USA e UE. Gli Stati Uniti sembrano essere, sempre di più, i burattinai di uno scontro in cui l’Unione Europea, con tutti i distinguo del caso (più volte espressi ma mai agiti in concreto), si è accodata. Sulle ragioni immediatamente politiche di quello che dovremmo chiamare il secondo tempo del conflitto russo-ucraino (la guerra è iniziata nel 2014 con il colpo di stato in Ucraina e con le manovre NATO di accerchiamento nei confronti della Russia, senza considerare gli effetti di tutte le sanzioni economiche di una guerra che da ibrida si è trasformata in “materiale” con decine di migliaia di vittime concentrate soprattutto nella regione del Donbass) ci siamo già espressi tempo fa e vi rimandiamo al nostro testo(1).
La questione però, oggi, assume dei connotati, che si rivelano sempre più inquietanti. Le analisi politiche, che secondo noi vanno ribadite, non risultano più del tutto esaurienti. Appare infatti evidente che, dietro al velo delle intenzioni più o meno espresse, si celano delle cause di fondo. Quelle cause che ci raccontano di un conflitto che non è limitato a un quadrante pur importante, ma che fa balenare l’idea di una generalizzazione, fino all’estremo rappresentato dal rischio di una guerra nucleare.
Gaspare Nevola: Sulla comunità nell’epoca liberal-democratica
Sulla comunità nell’epoca liberal-democratica
di Gaspare Nevola
I. Ripensare la comunità oggi
1. Preambolo
«Stiamo attraversando anni di oltraggio alla democrazia liberale, e questo enorme disprezzo non s’è certo esaurito. Ci è stato detto che tutto ciò che c’è di orrendo nel nostro tempo è colpa del liberalismo, o peggio, del neoliberalismo… È stato incolpato di tutta l’infelicità del mondo. I predicatori di una nuova felicità si chiamano, vantandosi, post-liberali. Talvolta uno si deve stropicciare gli occhi di fronte all’intensità dell’odio per la democrazia liberale: questi stolti capiscono ciò che stanno dicendo? (…) Questo è populismo». Dato che l’autore[1] di queste parole è un intellettuale, considerato tra i più influenti nell’area progressista statunitense, mi chiedo da quali libri e studi abbia tratto le sue conclusioni e i suoi giudizi che liquidano come stoltezza populista le critiche che da tempo investono la cultura liberal-democratica e neo-liberale: dalle colonne di battaglia giornalistiche? da comizi elettorali? Sia ben chiaro, anche le chiacchere da bar-sport politico sono legittime, così come lo sono le crociate contrapposte che imperversano sui social e che rudimentalizzano il confronto pubblico. Dato, però, che l’autore qui richiamato è un intellettuale, sarebbe sano, bello e doveroso aspettarsi meno sdegno offensivo verso chi vede le cose diversamente e più pazienza e raziocinio nel trattare il tema sul quale si intrattiene. Poco giova alla comprensione dei punti di vista altrui porsi come capo di una tifoseria che sbraita e inveisce contro la parte avversa. Di tanto in tanto, un bagno nel tacitiano sine ira ac studio è utile anche all’intellettuale militante.
Thierry Meyssan: La guerra in Ucraina per mantenere l’Unione Europea sotto tutela
La guerra in Ucraina per mantenere l’Unione Europea sotto tutela
di Thierry Meyssan
È difficile ammetterlo, sebbene gli anglosassoni non ne facciano mistero. Parafrasando una celebre citazione del primo segretario generale dell’Alleanza, la Nato è stata creata per «tenere la Russia all’esterno, gli Americani all’interno e l’Unione Europea sotto tutela». Non c’è altra spiegazione per il prolungamento delle inutili sanzioni contro Mosca e degli altrettanto inutili nonché letali combattimenti in Ucraina
È passato quasi un anno dall’ingresso in Ucraina dell’esercito russo per applicare la risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza. La Nato rifiuta questa motivazione e ritiene che la Russia abbia invaso l’Ucraina per annetterla. In quattro oblast i referendum per l’adesione alla Federazione di Russia sembrano confermare l’interpretazione della Nato, ma la storia della Novorossia conferma la motivazione della Russia. Le due narrazioni vanno avanti in parallelo, senza mai intersecarsi.
Durante la guerra del Kosovo pubblicavo un notiziario quotidiano [1]. Ricordo che all’epoca la narrazione della Nato era contestata da tutte le agenzie di stampa dei Balcani, ma non avevo possibilità di sapere da che parte stesse la ragione.
Vittorio Stano: Umiliare i poveri
Umiliare i poveri
di Vittorio Stano
Un aspetto accomuna fascismo e capitalismo: l’omaggio servile nei confronti dei potenti.
Oggi prendersela con i deboli e lasciar stare i forti caratterizza il fascismo da operetta del nuovo duce in gonnella. C’è da chiedersi: che cosa hanno fatto i poveri alla destra di governo ? E al banchiere Draghi ?
La continuità, il feeling esistente tra il governo Draghi e quello della Meloni è il naturale estrinsecarsi delle dinamiche che legano questa destra, ala dura e coerentemente neoliberale, alla borghesia italiana. Questa borghesia ha operato (…e opera!) in continuità con tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi decenni: smantellamento dello stato sociale, attacco ai salari e all’occupazione, privatizzazioni, sottomissione ai vincoli feudali della NATO e a una UE allineata (contro i suoi interessi) ai desiderata di Washington.
La Meloni ha dismesso la manfrina “sovranista” e, incorporato il pilota automatico al suo governo, segue e sviluppa l’opera intrapresa dal banchiere che l’ha preceduta al governo. Infatti, si appresta a ratificare il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità).
Maurizio Corrado: Graeber, Consumati dal desiderio
Graeber, Consumati dal desiderio
di Maurizio Corrado
Qualche giorno fa ho rivisto Le relazioni pericolose, nella versione con la regia di Stephen Frears. Dal 1988 ogni volta che mi capita più o meno casualmente di trovarmelo sullo schermo, rimango inesorabilmente impigliato nelle quasi impercettibili espressioni dei volti di John Malkovich, Glenn Close e Michelle Pfeiffer che riescono con una bravura stratosferica a rendere con un’esattezza sconcertante le più minute sfumature dell’animo umano. Dovessi scegliere un’opera per parlare del desiderio, questo film sarebbe certamente ai primi posti. Nella mia formazione di vita e di pensiero idee come desiderio, seduzione, piacere, eros, hanno spesso parlato francese, dal Baudrillard di Della seduzione fino ai testi libertini del Settecento, passando dall’Italia delle memorie del Casanova e dai libretti Da Ponte, per tornare in Francia con il Diderot protagonista di Il libertino di Érich-Emmanuel Schmitt, sono idee e pratiche che si sono mescolate fra loro fino a costituire un insieme indissolubile.
Nicola Lacetera: A proposito di piattaforme e democrazia
A proposito di piattaforme e democrazia
di Nicola Lacetera
L’informatico e attivista Aaron Swartz credeva che Internet potesse diventare un luogo di completa condivisione della conoscenza. A dieci anni dalla sua morte, cosa resta di quella parvenza di libertà?
Sono passati dieci anni da quando, l’11 gennaio 2013, il ventiseienne Aaron Swartz si tolse la vita nel suo appartamento di Brooklyn. Il giovane informatico e attivista sociale era accusato di aver scaricato quasi cinque milioni di articoli accademici dalla biblioteca digitale Jstor con l’intenzione di renderli gratuitamente disponibili anche a chi non aveva un abbonamento, commettendo in questo modo una frode informatica. Insieme ad altre accuse collegate, la condanna poteva arrivare fino a trentacinque anni di reclusione.
Divulgare attraverso la rete questi articoli fu l’ultima battaglia di Swartz affinché Internet diventasse un luogo di completa condivisione e diffusione della conoscenza e del pensiero, senza condizionamenti e influenze politiche o economiche.
Giulio Azzolini: Giovanni Arrighi, dalla critica dell’imperialismo alla teoria dell’egemonia
Giovanni Arrighi, dalla critica dell’imperialismo alla teoria dell’egemonia1
di Giulio Azzolini*
Da Materialismo Storico, Rivista Di Filosofia, Storia E Scienze Umane, V. 13 N. 2 (2022)
1. La critica all’imperialismo (1963-1969)
Tra il 1963 e il 1969 Arrighi è in Africa, dove insegna prima all’Università di Harare, allora Rhodesia oggi Zimbabwe, e poi all’Università di Dar es Salaam, in Tanzania. L’Africa subsahariana è in bilico tra decolonizzazione e neocolonialismo. E lui lavora su due piani, scientifico e politico, come attesta il suo primo libro, Sviluppo economico e sovrastrutture in Africa, che, pubblicato nel 1969 per la serie viola di Einaudi, raccoglie tutti i suoi primi saggi di africanista.
Arrighi, nato a Milano nel 1937, aveva studiato economia alla Bocconi, formandosi in un ambiente improntato alle dottrine neoclassiche, sordo al keynesismo e tanto più al marxismo. Ma Veconomics gli parve da subito inadeguata ad affrontare il problema economico-politico che l’Africa gli spalancò sotto gli occhi: le disuguaglianze indotte dall’estensione del capitalismo o, per usare la formula coniata all’epoca da Andre Gunder Frank, la «sviluppo del sottosviluppo»2. In altre parole, il giovane Arrighi è impegnato nella critica al neoimperialismo, inteso, secondo l’indicazione di Paul Sweezy, non tanto come ampliamento del mercato aperto alle merci prodotte dagli Stati dominanti, bensì come rafforzamento degli investimenti diretti all’estero da parte delle corporations legate alla potenza statunitense.
Ma il periodo africano è determinante anche per la formazione politica e personale di Arrighi. Nato in una famiglia borghese antifascista, egli partecipa alle lotte di liberazione nazionale, lotte che nel 1966 gli costano il carcere e l’espulsione dalla Rhodesia. A quella fase risale inoltre l’amicizia con esponenti di rilievo della New Left, come Samir Amin, Immanuel Wallerstein, Walter Rodney e John Saul.
Guglielmo Forges Davanzati: Augusto Graziani sul Mezzogiorno a nove anni dalla morte
Augusto Graziani sul Mezzogiorno a nove anni dalla morte
di Guglielmo Forges Davanzati
1 – Sono passati nove anni dalla morte di Augusto Graziani[1]. Siamo in piena discussione pubblica e politica sull’autonomia differenziata e può essere interessante, per ricordarlo, utilizzare le sue categorie di analisi per comprendere gli effetti di questo progetto e il Mezzogiorno nel 2023. In questa nota, mi prefiggo di (i) avanzare una mia interpretazione del pensiero di Graziani sullo sviluppo dell’economia del Mezzogiorno, a partire da alcune sue considerazioni in materia; (ii) proporre una razionalizzazione – nella parte conclusiva – delle teorie di Graziani sull’argomento.
Si parta innanzitutto da una duplice constatazione.
- Il sottosviluppo meridionale è stato accentuato dalla riduzione dei trasferimenti pubblici nelle aree meno sviluppate dei Paese. L’Agenzia di coesione territoriale calcola che sulla spesa pubblica complessiva italiana – pari a 1.202,4 miliardi nel 2020 – al Centro-Nord sono stati destinati 20.088 per ogni residente, mentre al Sud sono stati assegnati 15.703. Banca d’Italia calcola un risultato peggiore per il Sud (12.979 contro 11.836). Gli investimenti fissi lordi nel Mezzogiorno sono passati dal 17,5% del 1998 al 15,4% del 2013, in corrispondenza con lo scoppio della crisi dei debiti sovrani, l’avvio delle politiche di austerità e il blocco del turnover nel pubblico impiego.
- Come ha messo in evidenza SVIMEZ, esiste una evidente contraddizione fra il progetto dell’autonomia differenziata e il PNRR. Il PNRR si propone, infatti, come obiettivo fondamentale, la riduzione degli squilibri regionali in Italia, da realizzarsi attraverso interventi per la crescita delle regioni meridionali. Non vi è dubbio sul fatto che il regionalismo della Destra sottrae risorse al Sud: lo fa mediante l’attribuzione alle Regioni di più poteri, senza LEP, senza LEA e senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, ovvero con la spesa storica.
Bruno Cartosio: Da Reagan a Clinton: i percorsi del neoliberismo
Da Reagan a Clinton: i percorsi del neoliberismo
di Bruno Cartosio
Nella nostra «cartografia dei decenni smarriti», è di fondamentale importanza mettere a fuoco l’affermazione di quella fase definita «neoliberista» a partire dal luogo centrale in cui essa si è affermata, ossia gli Stati Uniti. «Avevamo in mente di cambiare un paese, abbiamo invece cambiato il mondo» diceva Reagan all’inizio del 1989. Per ripercorrere il «presente come storia», pubblichiamo l’estratto di un libro importante di Bruno Cartosio, L’autunno degli Stati Uniti. Neoliberismo e declino sociale da Reagan a Clinton (Shake, 1998). Il titolo fa riferimento all’ipotesi di Giovanni Arrighi e più in generale degli studiosi della World-systems theory, secondo cui gli Stati Uniti – a dispetto di quello che poteva sembrare – avevano imboccato la strada di un lungo e tutt’altro che lineare declino. Ad alcuni decenni di distanza, dentro una crisi globale che pare infinita, quella ipotesi e gli interrogativi che essa contiene, qui impostati e sviluppati da Cartosio, mostrano la loro lungimirante pregnanza.
* * * *
L’abbiamo visto crescere nelle cose, quel fenomeno che sarebbe stato chiamato neoliberismo reaganiano, prima ancora che l’uomo di Hollywood venisse chiamato a interpretare il ruolo di presidente degli Stati Uniti. Le teorie liberiste, da Friedrich August von Hayek a Milton Friedman, erano tutte disponibili da tempo. In periferia, il generale Pinochet a partire dal 1973 e Margaret Thatcher nel 1979 avevano già aperto la strada mettendole brutalmente in pratica. Al centro dell’impero, invece, il neoliberismo è cresciuto e si è diffuso prima nelle cose, reaganiano ante litteram nella seconda metà degli anni Settanta con il democratico Jimmy Carter alla presidenza degli Stati Uniti, per poi arrivare a imporsi come dottrina e visione generale del mondo a partire dalle presidenze Reagan negli anni Ottanta.
Nico Maccentelli: Case green”: la rapina del secolo
Case green”: la rapina del secolo
di Nico Maccentelli
Dopo l’autorizzazione alla farina di grillo (Regolamento del 3 gennaio 2023), motivata da una folle “transizione alimentare”, siamo ormai a due passi dalla rapina del secolo delle “case green”, giustificata dalla cosiddetta “transizione ecologica”.
Il primo voto avverrà il 9 febbraio prossimo nella Commissione industria del Parlamento europeo, ma la bozza della Direttiva in discussione è fin troppo chiara. Con il pretesto di rendere più confortevoli le case e di ridurre l’uso delle fonti fossili, l’obiettivo è chiaro: deprezzare al massimo il patrimonio edilizio, specie quello delle fasce più povere, per darlo in pasto ai grandi gruppi immobiliari.
Il dispositivo previsto è infatti implacabile, specie per l’Italia. Entro il primo gennaio 2030 tutti gli immobili residenziali dovranno rientrare nella classe energetica E. Tre anni più tardi sarà addirittura obbligatorio passare alla classe D. Poiché (dati Ance – Associazione nazionale costruttori edili) più di 9 milioni di edifici residenziali su un totale di 12,2 milioni sono al di sotto della soglia prevista (e tantissimi si trovano in classe G), questo significa che il 74% delle case degli italiani dovrà essere ristrutturato entro la fine del 2029!
Piccole Note: I Leopard all’Ucraina: Berlino abdica alla sua residua sovranità
I Leopard all’Ucraina: Berlino abdica alla sua residua sovranità
di Piccole Note
La controversia sui Leopard 2, che ha visto gli Stati Uniti far pressioni sulla Germania perché fornisca i propri carri a Kiev, con quest’ultima riluttante, non è solo una querelle di livello militare. In gioco c’era la subordinazione della Germania all’Impero, la cancellazione definitiva delle residue aspirazioni alla piena sovranità e, soprattutto, alle velleità globali coltivate sotto la reggenza della Merkel – per anni indicata come la “donna più potente del mondo”- che non per nulla è stata destinata ai giardinetti.
Ovviamente, la Germania ha dovuto cedere ancora una volta, tornando a rivestire i panni del nano politico indossati durante la Guerra Fredda. Al solito, ha perso ancora una volta la sua guerra, stavolta imbarcandosi verso una guerra vera, contro la Russia, con la quale aveva costruito una partnership che ha fatto infuriare gli americani.
Riportiamo una dichiarazione dello storico francese Emmanuel Todd:
“La crisi finanziaria del 2008 ha chiarito che, con la riunificazione, la Germania era diventata la prima potenza europea e quindi anche una rivale degli USA. Fino al 1989 era un nano politico.
Maurizio Lazzarato: La molteplicità delle guerre
La molteplicità delle guerre
di Maurizio Lazzarato
Le guerre che caratterizzano questa fase del capitalismo, così come è avvenuto nel Novecento, non sono tutte uguali, scrive Maurizio Lazzarato in risposta all’articolo di Raúl Zibechi su Comune, che aveva polemizzato con un punto di vista – ritenuto eurocentrico e troppo ancorato a una visione novecentesca – che Lazzarato ha espresso e ben argomentato nel suo ultimo libro, “Guerra o rivoluzione. Perché la pace non è un’alternativa”, e poi nei dibattiti che lo hanno seguito, in particolare nelle presentazioni tenute in Sudamerica. Maurizio ricorda che nella tradizione del movimento rivoluzionario si aveva almeno l’accortezza di distinguere tra diversi tipi di guerra: quelle tra imperialismi, quelle civili, quelle di liberazione nazionale, quelle di aggressione e quelle difensive, la guerra di classe, ecc. Quelle guerre non avevano le stesse cause, non implicavano le stesse forze politiche, non richiedevano lo stesso tipo di azione politica e non avevano gli stessi effetti, precisa, per poi metterci in guardia contro l’idealizzazione e la riduzione della complessità sulla base di un’idea problematica di autonomia – il principale limite del testo di Zibechi, a suo avviso.
Fabrizio Verde: Vertice Celac: la spada del Libertador Bolivar contro la Dottrina Monroe
Vertice Celac: la spada del Libertador Bolivar contro la Dottrina Monroe
di Fabrizio Verde
L’America Latina si trova in una nuova fase dove quasi tutti i governi della regione, caduti a uno a uno tutti i neoliberisti asserviti a Washington, aspirano a un rilancio dell’integrazione per una maggiore autonomia dal tracotante vicino nordamericano. Per poi porre le basi per la costruzione di quella Patria Grande da tempo anelata.
Sono diversi gli strumenti a disposizione dei governi latinoamericani per rilanciare l’integrazione. Tra questi la Celac. Blocco regionale di nazioni creato nel 2010 al “Vertice sull’unità dell’America Latina e dei Caraibi” tenuto a Playa del Carmen, in Messico, che unisce nella diversità America Latina e Caraibi.
Questo organismo era stato fortemente indebolito dall’ascesa al potere di governi neoliberisti e contrari all’indipendenza da Washington come quelli di Macri in Argentina e Bolsonaro in Brasile, ossia i due pesi massimi della regione.
Proprio da questi paesi, affiancati da quelle nazioni che lavorano incessantemente per affrancare l’America Latina dal giogo statunitense come Cuba, Venezuela e Nicaragua, riparte adesso con grande vigore il processo di integrazione regionale.