Giorgia Audiello (L’Indipendente) – 08/02/2023
Sempre più soldati ucraini si stanno ribellando alla legge, voluta dal presidente Zelensky ed entrata in vigore a gennaio, che prevede il rafforzamento delle pene del personale militare in caso di diserzione, inosservanza o critiche degli ordini: così oltre 25.000 militari ucraini hanno sottoscritto una petizione in cui si legge che, con l’entrata in vigore della legge n. 8271, «il comando avrà una leva senza precedenti per ricattare e imprigionare i militari praticamente per qualsiasi critica alle loro decisioni, anche se le decisioni sono incompetenti e basate su una cattiva gestione del combattimento (come spesso accade)». In particolare, per abbandono volontario di un’unità o di un posto di servizio è prevista la reclusione da 5 a 10 anni, per la diserzione da 5 a 12 anni e per l’abbandono volontario del campo di battaglia o il rifiuto di agire con le armi da 5 a 10 anni. Il che significa che anche chi abbandona il campo per salvarsi la vita o perché a corto di munizioni può essere punito con il carcere. La legge, inoltre, priva i soldati della possibilità di appellarsi. «Invece di ringraziare l’esercito, che ha tenuto a bada un’invasione russa su vasta scala per quasi un anno e ha attuato operazioni di successo per liberare il territorio, otteniamo il carcere per il minimo disaccordo o commento ai comandanti (molti dei quali spesso danno ordini dal profondo delle retrovie)», scrivono gli uomini ucraini esternando tutta la loro frustrazione.
Lo Stato maggiore dell’esercito ucraino, che ha fatto pressioni per l’approvazione della nuova legge, ritiene che questa renderà la disciplina più equa: una nota esplicativa che accompagna il testo, infatti, spiega che giudicando le infrazioni caso per caso, come si faceva in precedenza, c’era il rischio che alcuni trasgressori potessero sfuggire alle pene per reati gravi, ricevendo, invece, condanne più severe per violazioni meno importanti. Da parte sua, Zelensky, nella risposta alla petizione, ha spiegato che «La garanzia della capacità di combattimento delle unità militari e, in definitiva, la vittoria dell’Ucraina sull’aggressore è, tra le altre cose, l’osservanza della disciplina militare, che si basa sulla consapevolezza dei militari del loro dovere militare, responsabilità per la protezione della Patria , indipendenza e integrità territoriale dell’Ucraina, sulla loro lealtà al giuramento militare». Tuttavia, secondo i militari, le legge sarebbe «vantaggiosa per il nemico», in quanto demoralizza i soldati delle forze armate ucraine, «già sfiniti dalla guerra di un anno con un nemico numericamente più grande», instillando in loro sfiducia verso il parlamento e lo stesso presidente ucraino. Ci sarebbero le prime avvisaglie serie di crisi, dunque, all’interno dell’esercito ucraino, una parte del quale non è più disposto a tollerare trattamenti eccessivamente severi e percepiti come ingiusti.
Soldati, avvocati e osservatori dei diritti umani hanno criticato le misure ritenendole non solo lesive del morale dei combattenti, ma anche inefficaci dal punto di vista della capacità di far rispettare la disciplina militare. «Le nuove regole punitive rimuovono la discrezionalità e trasformano i tribunali in un “calcolatore” per infliggere punizioni ai soldati, indipendentemente dai motivi delle loro offese”, ha affermato l’avvocato Anton Didenko all’agenzia di stampa ucraina Interfax. Mentre la ONG Reanimation Package of Reforms Coalition in una nota ha scritto che «Questa legge avrà conseguenze negative per la tutela dei diritti del personale militare accusato di aver commesso un crimine e ridurrà il livello di motivazione durante il servizio». Di tutt’altro avviso, ovviamente, l’amministrazione di Kiev e i comandanti militari, i quali ritengono che la legge sia necessaria per «rafforzare la responsabilità per la commissione di reati penali e amministrativi commessi in un ambiente di combattimento», ma anche per «evitare perdite ingiustificate di personale». Tuttavia, Zelensky si è detto convinto che «il reato deve essere applicato tenendo conto della natura individuale della responsabilità giuridica, del grado di gravità del reato commesso, dei principi di giustizia e dello stato di diritto».
Da osservare come in Occidente, quando Putin aveva annunciato la mobilitazione militare parziale, la stampa aveva lanciato l’allarme contro la “coercizione totalitaria” che avrebbe obbligato indiscriminatamente chiunque ad arruolarsi nell’esercito, riservando pene durissime per i disertori: ai tg venivano mostrate immagini e video di code chilometriche ai confini con la Georgia per sottrarsi all’arruolamento. Notizia, peraltro, non veritiera in quanto la mobilitazione – al contrario di quanto sta accadendo in Ucraina – comprendeva solo i coscritti, tanto che lo stesso Putin aveva dichiarato che «la leva militare riguarderà i cittadini che fanno già parte delle riserve e quelli che hanno svolto servizio militare nelle forze armate e hanno esperienza. I richiamati, prima di essere mandati al fronte, svolgeranno ulteriore addestramento». Ora la stessa attenzione non sembra essere conferita alla nuova legge promulgata da Zelensky che prevede pene molto dure anche per semplici disobbedienze o critiche ai comandi militari, evitando accuratamente di amplificare troppo l’appello dei soldati ucraini, forse per non scalfire quell’immagine perfetta di Paese democratico e difensore dei “valori occidentali” che i media hanno contribuito a divulgare sull’Ucraina, da contrapporre all’autocrazia della Russia “putiniana”.
Ucraina, renitenza contro il massacro
Combat-COC – 19/01/2023
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La guerra in Ucraina assume sempre più i caratteri della barbarie. Costretti ad arretrare su gran parte dei fronti, da tre mesi i russi stanno concentrando le loro risorse belliche non sulla conquista di territori, ma sulla distruzione delle infrastrutture, soprattutto energetiche, dell’Ucraina. Milioni di persone senza elettricità, che nelle città significa anche senza acqua e riscaldamento nel gelo invernale. Certo enormi disagi e sofferenze, che tuttavia anziché fiaccare la compagine sociale di coloro che sono rimasti alimentano i sentimenti nazionalisti ucraini contro i russi che li causano. E in mancanza di vittorie sul campo, si sbandierano i massacri di decine e centinaia di soldati, come quelli russi acquartierati in una scuola di Makiivka (regione di Donetsk), dove un attacco missilistico ucraino ne avrebbe massacrato 89 secondo i russi, 400 secondo gli ucraini. Che il puro e semplice massacro di vite umane – in gran parte di proletari, reclute costrette alla guerra loro malgrado – costituisca motivo di vanto ed esaltazione ci dà la misura dell’efferatezza e inumanità della guerra accompagnata, nelle zone “conquistate” o “liberate” secondo chi parla, dalle torture e dai massacri di civili.
La repulsione per tutto questo rafforza la nostra opposizione senza se e senza ma a questa guerra imperialista su entrambi i fronti e il nostro sostegno ai pochi gruppi che si oppongono alla guerra, in Ucraina come in Russia, su posizioni di disfattismo rivoluzionario. In particolare per l’Ucraina ci riferiamo al Fronte dei lavoratori dell’Ucraina (m-l), di cui il Pungolo Rosso ha tradotto diverse prese di posizione, pur distinguendosi in merito alla visione del passato “sovietico”[1], e che ha inviato il suo saluto alla manifestazione di Roma contro la guerra del 3 dicembre scorso[2].
Proprio per la sua disumanità e per le contraddizioni sociali e politiche che mette a nudo, il prolungarsi della guerra crea le condizioni che possono portare un numero crescente di proletari e di persone in generale ad opporsi alla guerra e al governo della guerra. In Russia, oltre alle migliaia di persone scese in piazza a più riprese e arrestate e perseguitate, ma anche le centinaia di migliaia di giovani (perlopiù degli strati intermedi, perché ai proletari mancano i mezzi) che hanno abbandonato al paese per sfuggire alla leva, e le comunità più povere, delle etnie non russe, dalle quali l’esercito ha prelevato gran parte della “carne da cannone”, e che già si sono viste ritornare i loro figli a migliaia dentro sacchi neri. Numerose sono state le manifestazioni di malcontento e anche di diserzione tra i soldati, mandati allo sbaraglio con scarsa alimentazione, orribili alloggiamenti, inadeguato armamento.
In Ucraina, pur se l’aggressione russa ha rafforzato anche là dove era ancora debole quel sentimento nazionale (e nazionalista) che Putin voleva cancellare, l’elevato prezzo in vite umane e l’uso altrettanto sconsiderato dei soldati come carne da cannone sta incontrando crescenti resistenze tra le reclute e la popolazione in generale, come rivela lo scritto di un soldato ucraino di orientamento trotzkista, di cui riportiamo una parte.
Viene descritta una situazione in cui crescono le diserzioni e il rifiuto di eseguire missioni suicide, insieme all’opposizione a una proposta di legge che priverebbe i “colpevoli” di tali comportamenti del diritto di difesa legale ed esclude l’applicazione di attenuanti in caso di ordini insensati. L’autore auspica la formazione di consigli dei soldati e dei lavoratori, ma nel quadro dello sforzo bellico per la “vittoria”. Che sarebbe la vittoria degli imperialismi occidentali fornitori di armi e del governo ed oligarchi ucraini che hanno fornito loro la carne da cannone, non certo dei proletari ucraini mandati al macello o che nelle retrovie hanno visto crescere lo sfruttamento mentre venivano privati dei diritti contrattuali.
Questi fermenti evidenziano comunque che gli orrori della guerra in una società profondamente ineguale possono portare a una presa di coscienza che la questione vera non è tra nazioni, ma tra le classi, che la stessa guerra, tra bande di capitalisti, ha per posta in palio lo sfruttamento sul proletariato ucraino e del suo territorio. Che è ora che i lavoratori cessino di essere oggetto della guerra e docile carne da cannone, per unirsi internazionalmente e porre fine al sistema che genera le guerre.
La guerra in Ucraina non deve essere vista come una parentesi da dimenticare, ma è il qui e ora da cui partire – anche in Italia – con iniziative di opposizione alla partecipazione del proprio governo alla guerra.
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[…] Il Ministero della Difesa russo ha affidato la gestione di questa operazione [Bakhmut] alla cosiddetta Private Military Company Wagner. Negli ultimi sei mesi, la Wagner si è trasformata da società militare privata in una componente specifica delle forze armate russe. Secondo le stime del governo americano, la formazione conta circa 50 mila persone, di cui 40 mila (35 mila secondo le stime di “Rus Sitting”) sono detenuti. Sono dotati di veicoli blindati, artiglieria e persino di propri aerei tattici. Una tale forza armata potrebbe confrontarsi con gli eserciti della maggior parte degli Stati del mondo. La creazione di un tale esercito costa miliardi di dollari, e il suo mantenimento più di 100 milioni di dollari al mese. La critica pubblica a Gerasimov e ad altri militari di alto rango da parte della Wagner non deve trarre in inganno: questa espressione di competizione per i rifornimenti con le unità regolari dell’esercito, al contrario, dimostra la diretta dipendenza della Wagner dallo Stato e dal suo vertice, e solo una certa indipendenza dallo Stato Maggiore.
La battaglia per Bakhmut cominciò a diventare importante per l’alto comando russo a luglio, dopo la cattura di Lisichansk. La cattura di Bakhmut, e di Seversk dopo di essa, avrebbe permesso di raggiungere l’agglomerato ben fortificato di Kramatorsk da est, il che avrebbe potuto avvicinare la realizzazione di uno dei compiti minimi di questa guerra: l’occupazione dell’intero territorio della regione di Donetsk. Ma, avendo concentrato la maggior parte dei loro sforzi su questo settore, le Forze Armate della Russia non hanno fatto fronte alla concentrazione delle Forze Armate dell’Ucraina nel nord e durante i due mesi di controffensiva dell’esercito ucraino hanno perso l’intero caposaldo settentrionale dell’offensiva su Kramatorsk. Di conseguenza, anche l’operazione Bakhmut ha perso la sua importanza strategica.
Tuttavia, allo stesso tempo, Bakhmut è rimasto l’unico settore del fronte in cui le truppe russe hanno continuato ad avanzare, ottenendo successi locali. Naturalmente, dopo il completamento di importanti controffensive dell’esercito ucraino in altre aree, le opinioni di giornalisti e politici si sono rivolte a Bakhmut. L’importanza politica della città ha cominciato a crescere, prima per la leadership russa, poiché la cattura della città prometteva almeno un certo successo nella campagna d’autunno, e poi per la leadership ucraina: dati gli enormi sforzi della Federazione Russa, si è creata l’immagine di una città-fortezza e la sua resa stava già danneggiando la reputazione del comando e del potere ucraino. Tutte le parti hanno iniziato a trasferire attivamente truppe libere in questa zona, in assenza di una strategia coerente. Ciò ha portato a feroci battaglie frontali, con un numero enorme di vittime e perdite.
Da novembre, la situazione per entrambe le parti è diventata prossima al disastro, se la si guarda con gli occhi di un soldato comune. Le battaglie si sono trasformate in attacchi a piazzeforti con ondate umane e negli stessi tentativi di tenere questi punti con la “carne“. Da entrambe le parti, l’esaurimento dei proiettili e delle vite della fanteria porta allo smantellamento parziale delle formazioni di artiglieria, di mortai, carri armati e contraerea e al loro trasferimento alla fanteria.
La situazione intorno a Bakhmut e Soledar ricorda un po’ quella dell’aprile 2022, quando il comando ucraino, dopo la vittoria nel nord del Paese, decise di creare riserve per una controffensiva, ma fu presto costretto a impiegarle per contenere l’esercito russo a est. Poi ha tappato altrettanto urgentemente i buchi con fanteria impreparata, reclutata tra i mobilitati di ieri o, peggio, tra le unità di difesa territoriale, che non si aspettavano affatto di essere inviati in altre zone per una vera guerra. Così è ora: invece dell’atteso riequipaggiamento e riqualificazione, sempre più brigate vengono inviate nel tritacarne di Bakhmut e Soledar, che peraltro non hanno un significato strategico, ma quasi puramente politico.
In questa battaglia, entrambi gli eserciti hanno iniziato a sentire in modo significativo la carenza di armi e munizioni. L’entità dei combattimenti e del fuoco non può più essere paragonata a quella della campagna di primavera-estate per il Donbass o della controffensiva ucraina su Kherson. Allora l’esercito russo sparava da 40-60 mila (secondo le stime del Comandante in Capo delle Forze Armate dell’Ucraina) a 20 mila (secondo le stime degli Stati Uniti) proiettili al giorno, ora gli esperti di entrambi i Paesi concordano sul fatto che l’intensità del fuoco russo è diminuita del 75%. Le seconde e terze linee di difesa dell’esercito ucraino hanno iniziato a sentirsi molto più tranquille a fronte dell’indebolimento dell’aviazione e dell’artiglieria russa. Ora stanno diventando più importanti gli scontri a fuoco diretti, soprattutto nelle aree urbane. La guerra ricorda ancora di più la Prima guerra mondiale. I soldati russi hanno iniziato a chiamare Bakhmut Verdun, e i soldati ucraini – la seconda Popasna.
Mai prima d’ora l’esercito ucraino aveva visto così tanti renitenti. C’è una crescente carenza di personale, e gli ufficiali e i comandanti rimasti evitano sempre più spesso di recarsi al fronte. Si arriva alla punizione fisica dei soldati che si rifiutano di partire per un attacco suicida. Naturalmente non si tratta dei mitici “battaglioni punitivi” inventati dai media russi nel 2014. Tuttavia, mai come in questo momento le punizioni e la coercizione dei soldati da parte del comando ucraino hanno assunto un carattere sistematico come nelle condizioni degli intensi combattimenti nella zona di Bakhmut.
Il rifiuto di eseguire lo stupido ordine di morire è diventato così generale nell’esercito ucraino che il Parlamento, su pressione dello Stato Maggiore, ha adottato d’urgenza un disegno di legge che sostanzialmente vieta ai tribunali di considerare qualsiasi circostanza attenuante nei casi di violazione delle norme militari da parte dei soldati. Ciò ha provocato un’enorme ondata di indignazione anche negli attivisti ultraconservatori, a causa della quale la legge non è ancora stata firmata da Zelensky, perché metterebbe il soldato al di fuori della legge e dell’accesso a un giusto processo e, soprattutto, eluderebbe completamente la questione della responsabilità degli ufficiali per i propri ordini e decisioni.
E ci sono molte situazioni di questo tipo. Si tratta di ordini del tipo “riconquista quel caposaldo ad ogni costo”, e di lasciare i soldati al freddo in un terreno vuoto, in cui essi stessi devono urgentemente scavare il terreno ghiacciato per scavare fossati e trincee, e di banali bugie, e di lasciare i soldati in posizioni dimenticate. E soprattutto l’abbandono in massa delle posizioni delle proprie unità da parte degli ufficiali, che dal punto di vista della legge non viene considerato una diserzione. L’approccio dettato dal prestigio politico normalizza le scelte degli ufficiali che si prefiggono compiti di scarso significato, e la morte dei soldati “eroicamente caduti nell’eseguirli”. Quando la fiducia dei mobilitati nel comando viene meno, le leggi contro di loro devono essere inasprite, è necessaria l’introduzione di una disciplina meccanica piuttosto che organica.
L’esaurimento tecnico degli schieramenti ha in qualche modo migliorato la posizione delle popolazioni locali vicine alla linea del fronte (ad eccezione, ovviamente, delle città direttamente sulla linea dello scontro). I bombardamenti sulle città del Donbass non si fermano, ma la loro profondità, intensità e precisione sono diminuite. A soli 15 chilometri dal fronte, c’è una vita tranquilla quasi ordinaria con un settore dei servizi funzionante, la gente si affretta al lavoro o al mercato, le infrastrutture funzionano anche meglio che nella regione della capitale, che ha sofferto molto di più per gli attacchi missilistici terroristici al sistema energetico. La guerra è testimoniata solo da un enorme numero di soldati e dal costante e lontano rombo delle esplosioni.
Lo scontro militare si fa sempre più feroce, ma la zona direttamente occupata dalle operazioni militari si restringe. Gli scontri attuali non ripetono le dimensioni e gli orrori delle battaglie della primavera-autunno del 2022. È possibile che la battaglia per Bakhmut rappresenti un punto di svolta per l’esaurimento tecnico di entrambi gli eserciti e una transizione verso la battaglia di eserciti sempre più grandi ma sempre più scarsamente armati degli ucraini e dei russi mobilitati. E man mano che gli eserciti professionali vengono “erosi” rimpiazzandoli con quelli mobilitati, la questione dello stato politico e del morale delle truppe e della loro fiducia nel comando diventerà sempre più importante.
La guerra di logoramento, di cui si parla da molti mesi, sta diventando tale solo ora. In questa fase della guerra, la questione del futuro dell’Ucraina è legata non solo alla necessità di respingere l’invasione imperialista, ma anche alla politica interna del Paese, che gli ucraini difendono eroicamente. Il numero crescente di refuseniks sul versante ucraino non significa un calo della motivazione a combattere contro la Russia. Dimostrano che i mobilitati non sono pronti a dare la vita per qualsiasi obiettivo e ordine. Il ruolo dell’attuale leadership politica ucraina come negoziatore di successo per la fornitura di armi per la vittoria, emerso l’anno scorso, è sempre più oscurato dalle sue azioni contro gli interessi di coloro che devono combattere con queste armi. Oggi, ogni decisione deludente del governo colpisce più duramente di prima il morale dei militari e delle loro famiglie.
Lo straordinario consolidamento della società ucraina può aiutare a contrastare queste delusioni. Già ora, la forte opposizione degli ucraini all’iniziativa di limitare i diritti dei loro difensori – sul sito ufficiale del presidente, una petizione contro la legge citata ha raccolto le 25.000 firme necessarie in meno di un giorno – dimostra come molte persone siano pronte a opporsi alla politica delle autorità attuali, anche nonostante le ammonizioni sul “tempo di guerra”. Le decisioni difficili in tempo di guerra possono e devono essere prese con una maggiore partecipazione del personale militare stesso, e non sulla base del prestigio politico della leadership. I consigli dei soldati nelle formazioni militari possono diventare un contrappeso agli ordini incompetenti o illegali del comando. I consigli dei volontari e dei lavoratori nelle città funzionanti dell’Ucraina sono in grado di proteggere non solo i diritti dei soldati dalle intromissioni di autorità troppo sicure di sé, ma anche i diritti del lavoro e lo standard di vita dei lavoratori e delle lavoratrici delle imprese ucraine dall’arbitrarietà dei loro proprietari. Una rete, e poi una vera e propria struttura di tali consigli, penetrando nei nodi importanti della società ucraina, diventerebbe la base per un futuro postbellico veramente democratico e indipendente, in cui il controllo della politica e dell’economia sarebbe nelle mani dei veri vincitori – la classe operaia dell’Ucraina.
[1] https://pungolorosso.wordpress.com/2022/11/17/parole-dordine-diverse-per-una-sola-verita-fronte-operaio-dellucraina-m-l/
[2] https://pungolorosso.wordpress.com/2022/12/04/messaggio-dal-fronte-dei-lavoratori-dellucraina-alla-manifestazione-di-roma-del-3-dicembre-italiano-english/