Rassegna dell’11/02/2023
Paolo Bartolini: Tra limiti e possibile: un’antropologia per l’era complessa
Tra limiti e possibile: un’antropologia per l’era complessa
di Paolo Bartolini
L’identità è un’opera, un farsi continuo, che non coincide mai con un “dato definitivo” e nemmeno può ambire a “essere tutto”. Ecco la complessità, che piaccia o meno
Chiunque viva con disagio la deriva antropologica e sociale a cui il tecno-capitalismo ci condanna, sa bene che le forze in campo per una democrazia insorgente sono frammentate, spesso in contrasto tra loro, vittime di un misto epocale di impotenza e agitazione frenetica. Una finta sinistra immemore dei suoi valori fondativi, e una destra neoliberale onnipervasiva, hanno stabilizzato, da almeno quarant’anni a questa parte, un gioco di specchi tossico che sfocia – come avrebbe detto Domenico Losurdo – in un sostanziale monopartitismo competitivo. “Privatizzare i profitti, socializzare le perdite” è il diktat che rimane al centro delle azioni delle élite contemporanee, quelle neocon e quelle che sul versante dei diritti civili e del costume si autodefiniscono progressiste.
Anche la gestione confusa e autoritaria della sindemia Covid-19 testimonia il fatto che il pilota automatico neoliberale, nella fantasia dei ceti dominanti, non può essere disinnescato per quanto riguarda le sue coordinate essenziali. Il mondo multipolare è già tra noi e il declino del blocco angloamericano impatta con questa transizione gigantesca, nella vana speranza di poter arrestare un riequilibrio tra le potenze mondiali. Da qui la violenza del nostro tempo, dove – voglio essere chiaro – non ci sono “buoni” e “cattivi”, ma diversi modi di esercitare il dominio, più o meno “liberal” eppure omogenei per quanto riguarda il loro scopo ultimo: conservare, a favore di pochi, gerarchie e asimmetrie funzionali al sequestro del valore prodotto dalla collettività. Le logiche di potenza della geopolitica sono il problema, insieme alle concentrazioni di denaro che riguardano multinazionali, mass media, centri finanziari e così via. La gestazione di un mondo nuovo è turbolenta, minacciata da numerosi interessi contrapposti.
Noi non abbiamo patria: L’albero dello stato di diritto e la foresta diseguale
L’albero dello stato di diritto e la foresta diseguale
di Noi non abbiamo patria
Il 20 dicembre 2022 immediatamente dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale sul caso Cospito questo blog ha pubblicato un articolo dal titolo Alfredo Cospito: innocente. Con questo titolo si voleva contrastare la retorica dello Stato che confermava la più dura delle condanne contro l’anarchico colpevole delle sue azioni di terrorismo. Le azioni di Alfredo Cospito, viceversa, condensano la necessità impersonale di un moto di ribellione degli indistinti individui nei confronti di un sistema generale di sfruttamento e che da questo sistema generale impersonale sono schiacciati. Dunque, al centro della questione era viceversa chi fosse il terrorista, se l’individuo anarchico oppure un modo di produzione fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e della natura, il cui fine è la l’accumulazione del valore in poche mani. E se è questo l’oggetto, allora Cospito è innocente con tutte le attenuanti del caso, ma viene punito duramente per mandare un segnale di paura a chi sta fuori dal carcere e vive nella più generale prigione sociale del XXI secolo.
Una attenzione ad un tema che si è rivelato essere una goccia nell’oceano, mentre l’oggetto affrontato dalla battaglia intrapresa a sostegno dall’anarchico Cospito in carcere e che attraversa trasversalmente il dibattito sui giornali, nelle dichiarazioni di giuristi, intellettuali e nelle piazze sta andando decisamente e concretamente in un verso contrario.
Alfredo Cospito, consapevole di essere duramente colpito dalla repressione dello Stato, giustamente lotta con i mezzi che può – anche a costo della propria vita – contro l’infame stato di detenzione punitivo che a lui è imposto, appunto per motivi essenzialmente politici.
Maurizio Ricciardi: A proposito di Enzo Traverso, Rivoluzione. 1789-1989: un’altra storia
A proposito di Enzo Traverso, Rivoluzione. 1789-1989: un’altra storia
di Maurizio Ricciardi
Enzo Traverso, Rivoluzione. 1789-1989: un’altra storia, Milano, Feltrinelli, 2021
Il saggio di Enzo Traverso sulla storia delle rivoluzioni si colloca all’interno, e forse all’apice, del suo lungo lavoro di ricostruzione di alcuni elementi costitutivi della storia politica e intellettuale dell’ultimo secolo. L’indagine sul concetto di totalitarismo1, la ricerca sulla genesi e le strutture fondamentali della violenza nazionalsocialista2, gli studi sulla svolta conservatrice che ha mutato il segno politico dell’ebraismo nella cultura mondiale3 sono passaggi importanti per comprendere il percorso che porta a questo testo, nel quale l’intento dichiarato di Traverso è di riabilitare il concetto moderno di rivoluzione dopo e nonostante tutti i suoi fallimenti4. L’estetica del naufragio che apre il volume è da questo punto di vista assolutamente significativa. Le pagine dedicate a La zattera della Medusa di Théodore Géricault annunciano molti dei temi destinati a ritornare successivamente nel testo. L’analisi iconologica proposta da Traverso si sofferma sui molti soggetti che non hanno trovato posto sulle navi che si sono allontanate dalla tempesta, lasciando indietro «marinai, soldati, operai e falegnami, rappresentanti delle classi inferiori». Assenti le donne, il marinaio nero – ritratto solo di schiena – diviene il significante di chi è stato relegato ai margini dal concetto contemporaneo di rivoluzione, se non posto completamente al di fuori della sua scena principale. L’intera ricostruzione inizia così mostrando, letteralmente, l’ipoteca che grava sull’intero sviluppo dei processi rivoluzionari.
La scelta di partire dal quadro di Géricault non è estemporanea, dal momento che l’intero testo è arricchito da un apparato iconografico, utilizzato costantemente come parte integrante della spiegazione storica.
Andrea Zhok: Andrà tutto bene
Andrà tutto bene
di Andrea Zhok
Personalmente credo che la regola da adottare verso circenses lobotomici come il cosiddetto “festival della canzone italiana” sia tacerne. Anche parlarne male, nel meccanismo mediatico odierno, significa farlo diventare qualcosa di significativo.
Ma posto che il fuoco di artiglieria su questa grande operazione di distrazione e indottrinamento è comunque massivo, forse ci possiamo permettere una considerazione di cornice, che non nobiliti nessuno dei penosi dettagli della kermesse citandoli.
La prima osservazione da fare riguarda un meccanismo mentale, invalso a partire dagli anni ’80 con l’ingresso nelle vite degli italiani della televisione commerciale. Chiamiamolo l’argomento del “populismo delle élite”. Questo argomento scatta in presenza di critiche e contumelie espresse verso questi circenses, denunciandole come manifestazioni di elitarismo, lontane dal sentire del popolo.
Zaccarias Gigli: Operazione austerità
Operazione austerità
di Zaccarias Gigli
Operazione austerità, di Clara Mattei, è un libro che aiuta a riflettere; un libro denso, che richiede impegno nella lettura, ma che arrivati alla fine ti arricchisce.
La tesi è eloquente: le politiche di austerity non sono politicamente neutre e servono al capitalismo per difendere sé stesso quando è minacciato dalla classe subalterna. Clara Mattei ci invita a ricollocare nella giusta posizione il capitalismo e a pensarlo come un ordine sociale regolato da rapporti sociali e non soltanto da rapporti economici.
Il libro mi ha portato a riflettere su diversi aspetti legati ai cosiddetti liberisti italiani che hanno collaborato con il regime fascista e che hanno posto le basi dell’austerità espansiva poi sviluppata da Alesina e dai “Bocconi boys”.
Un aspetto che viene sempre poco considerato e su cui meriterebbe riflettere è il retroterra filosofico dei liberisti italiani, se essi veramente abbiano una propria filosofia politica e come giustifichino la coercizione delle politiche dello Stato sui singoli individui.
Davide Miccione: Il diritto di non essere a favore
Il diritto di non essere a favore
di Davide Miccione
Non credo sia corretto definire, per rispetto agli spettatori e per dispregio dei figuranti che lo abitano, come “dibattito politico” quel sinedrio permanente in cui, da tre anni, giornalisti e personaggi televisivi spiegano ed elogiano le parole del potere e (in gruppo e solitamente aiutati da un conduttore fintamente arbitro ma egualmente vigile e schierato) stigmatizzano e giudicano con aggressività e durezza, a mo’ di esempio edificante per il popolo, chi di queste parole non è convinto. Spesso a delle argomentazioni che cercano di smontare le varie “favole belle” che si susseguono (guerre per la pace, passaporti sanitari per la libertà, sostituzione dell’intero parco auto del pianeta per l’ambiente e via ossimoricamente elencando) rispondono con aggressioni o dileggi e senza mai controargomentare. Del resto il senso profondo di questa pantomima non ha a che vedere con l’indebolimento logico delle tesi di minoranza ma propriamente con la rituale ostentazione del loro isolamento, serve cioè a far capire all’individuo medio, già isolato e iperconnesso di suo, che non è davvero il caso si inoltri in giri di pensiero diversi e non allineati alle posizioni dominanti e che potrebbe venirgliene solo male.
Fernanda Mazzoli: Storia negata memoria mutilata
Storia negata memoria mutilata
di Fernanda Mazzoli
Oggi, con un semplice sgarbo all’etichetta il museo polacco, per celebrare la liberazione del campo cancella i liberatori, da sempre presenza ingombrante, anzi indigeribile per il corpo tronfio, autoreferenziale e dal tentacolare appetito delle democrazie sedicenti liberali.
L’operazione, tanto rozza quanto dirompente, esprime al massimo grado quella tendenza piuttosto diffusa a piegare la storia alle convenienze e alle direttive politiche del momento che finisce per annullare la storia stessa e, con essa, ogni preoccupazione di verità e di decenza.
Come è noto, la memoria tende a privilegiare la modalità selettiva, vuoi per l’ampiezza di quanto costituisce il suo oggetto di cui non è semplice registrazione, vuoi per la tendenza a rimuovere o sfocare quanto ha causato sofferenza. E così, proprio nella sua giornata ufficiale – il 27 gennaio – ha fatto i conti con un evento oltremodo fastidioso, per non dire scandaloso che ormai da anni turbava la celebrazione di una giornata altrimenti memorabile che vede l’Europa tutta ribadire il proprio rifiuto di ogni forma di persecuzione.
Fabrizio Verde: Russia in Africa: de-dollarizzazione e multipolarismo
Russia in Africa: de-dollarizzazione e multipolarismo
di Fabrizio Verde
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha recentemente effettuato un importante e significativo tour in Africa, nell’ambito della strategia globale della Russia di spostamento strategico verso l’Oriente e il Sud del mondo. Si tratta della seconda visita per Lavrov nel Continente Nero dall’inizio dell’operazione militare speciale: durante la prima visita il più alto diplomatico della Russia ha visitato Egitto, Repubblica del Congo, Uganda ed Etiopia alla fine di luglio dello scorso anno. Quest’anno invece si è recato in Sudafrica, Eswatini, Angola ed Eritrea.
Mentre l’anno scorso Lavrov aveva discusso con gli africani soprattutto di sicurezza alimentare, quest’anno il ministro ha invitato i capi di Stato africani a visitare la capitale settentrionale della Russia in estate, dove le parti presumibilmente prenderanno in considerazione lo sviluppo di progetti economici comuni, nell’ambito dello sviluppo di quel multipolarismo senza aspirazioni coloniali portato avanti da Mosca insieme con la Cina.
Il ministro russo ha fatto la sua prima tappa a Pretoria, in Sudafrica, dove ha incontrato la collega Naledi Pandor e il presidente del Paese Cyril Ramaphosa. Aprendo l’incontro con Lavrov, il ministro Pandor ha evidenziato il grande interesse dei giornalisti locali per la sua persona. “Oggi abbiamo così tanti giornalisti, questo è ovviamente indice del fatto che lei è un uomo e un ministro molto popolare. Non abbiamo mai avuto così tante persone tra il pubblico”, un ulteriore prova di quanto sia fallace la narrazione occidentale che pretende di dipingere una Russia isolata sullo scacchiere internazionale e fortemente impopolare.
Michele Castaldo: Poche parole chiare sul caso Cospito
Poche parole chiare sul caso Cospito
di Michele Castaldo
Sta facendo molto rumore il cosiddetto caso Cospito: i poteri dello Stato si rimbalzano le responsabilità, i partiti politici si azzuffano, il governo di centro-destra o destra si compatta, la cosiddetta sinistra va allo sbando e con essa anche il cosiddetto estremismo di sinistra, mentre gli anarchici tendono a coalizzarsi. La questione che sta facendo tanto discutere è la condizione del carcere duro del 41 bis. In un bailamme del genere riuscire a raccapezzarci qualcosa è abbastanza difficile per chi vorrebbe tenere la barra dritta di una visione anticapitalistica, che vuol dire antisistema, in una fase di per sé molto complicata. Ma, come dire, è la storia che impone delle divaricazioni.
Chiariamo perciò da subito che se la questione si ponesse nei termini di schierarsi, con lo Stato o con gli anarchici, non ci sarebbe dubbio alcuno a stare contro lo Stato che interpreta le leggi del capitale contro gli sfruttati, gli emarginati e gli immigrati per salvaguardare l’accumulazione. Questo in primis, in secundis da sempre l’oppressione e lo sfruttamento ha provocato schegge di ribellioni individuali che spesso sono state teorizzate come concezione anarchica. Dunque da una parte c’è il potere costituito e dall’altra le espressioni di riflesso agente a un dominio ritenuto a giusta ragione oppressivo. Pertanto chi non si rivede nell’ordine costituito è immediatamente attratto da chi in un modo o nell’altro lo combatte. Ovviamente – questo è un punto dirimente – si è sempre disposti a sostenere la causa di chi viene represso, come nel caso di Sacco e Vanzetti negli Usa o di Pinelli nel ’69, mentre si è titubanti di fronte ad atti e gesti cosiddetti terroristici, ovvero di piccoli attentati che però vengono ingigantiti e utilizzati dal potere costituito per scoraggiare ogni tipo di mobilitazione sociale sul problema che causa l’atto “terroristico” o anarchico.
Claudia Pozzana e Alessandro Russo: Di fronte alla quarta guerra mondiale
Di fronte alla quarta guerra mondiale1
di Claudia Pozzana e Alessandro Russo
Una guerra globalizzata prolifera nell’attuale “disorientamento del mondo”, come lo chiama Alain Badiou,2 e al tempo stesso lo riduce all’impotenza, perfino alla complicità. Assistiamo ai prodromi di una guerra, di cui cominciamo appena a valutare la peculiare novità in termini di distruttività e di estensione, destinata a perdurare e aggravarsi per molti anni, perfino decenni. Per ritrovare il filo di un orientamento, cioè per pensare politicamente questa guerra, occorre ampliare l’orizzonte a nuovi riferimenti intellettuali, e riconsiderare le precedenti idee sulla guerra e sui suoi inestricabili rapporti con la politica.
La guerra nel mondo umano ha una specifica storicità. Sorge in una fase cruciale dello sviluppo dell’umanità, il neolitico, e ha come condizioni fondamentali l’appropriazione privata, inclusa quella delle donne nella famiglia, e la formazione di apparati statali separati che detengono il monopolio della violenza. Gli argomenti di Engels su questo punto restano preziosi.
Le guerre hanno sempre avuto come obbiettivo l’assoggettamento di un nemico al quale sottrarre una proprietà, o impedire di estendere la sua. Che nella mitologia omerica la guerra per antonomasia abbia come posta in gioco la proprietà di una moglie mostra quanto intricate, e al tempo stesso brutalmente semplici, siano le radici della guerra.
Cionondimeno la guerra non deriva da una presunta natura umana, tanto meno da una sua “animalità”. Essa ha una portata infinitamente più distruttiva e sproporzionata di tutte le forme di aggressività che strutturano, da sempre, il mondo degli esseri viventi. La guerra, invece, ha avuto un inizio e può avere una fine, a condizione che l’umanità riesca a inaugurare un’era completamente nuova.
Nico Maccentelli: Emergenzialismo e antagonismo
Emergenzialismo e antagonismo
di Nico Maccentelli
Paragone e De Magistris…
La lotta di Cospito e di tutti coloro che si battono contro il 41bis ha evidenziato trasversalmente la differenza tra chi si batte contro tutte le “emergenze”, contro la legislazione speciale e, in ultima analisi, contro la fascistizzazione dello stato e della società in generale e chi si muove invece nel sottobosco dell’autoritarismo riconoscendone alcune pratiche.
Scrive Alessandro C.: «Il 41bis va abolito perché anticostituzionale non perché lo chiedono gli anarchici. E anticostituzionale lo è indipendentemente dal soggetto a cui lo applichi. Questo concetto bisogna chiarirlo e ribadirlo, sia a coloro che fino a qualche mese fa lo hanno applicato dai banchi della maggioranza, anche verso Cospito, mentre oggi fanno a gara per andare a fargli visita in carcere, davanti alle telecamere dei tg; sia ai tanti compagnucci favorevoli fino a ieri alla repressione governativa contro i “disobbedienti dello stato fascio pandemico”, che faceva carta straccia dello stato di diritto, e che oggi girano in corteo riscoprendo improvvisamente il “volto autoritario del potere”.»
Piccole Note: Bennett: quando Usa e GB hanno fatto saltare l’accordo Mosca-Kiev
Bennett: quando Usa e GB hanno fatto saltare l’accordo Mosca-Kiev
di Piccole Note
Nei primi giorni di guerra, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno “bloccato” la mediazione tra Russia e Ucraina ad opera di Naftali Bennet che stava portando frutti. A rivelarlo è stato lo stesso ex primo ministro israeliano in un’intervista su YouTube.
Pochi ricorderanno, ma va ricordato per la Storia, che il 4 marzo 2022, agli inizi della guerra, Bennett si era recato in Russia per incontrare Vladimir Putin, visita che aveva lo scopo di trovare una soluzione al conflitto. Un viaggio sollecitato dallo stesso Putin, come rivela nell’intervista.
La mediazione di Bennet
La mediazione aveva trovato terreno favorevole, ricorda Bennet, dal momento che le parti avevano accettato ampi compromessi. Putin aveva accettato di abbandonare l’idea di “denazificare” l’Ucraina, cioè di eliminare la leadership al governo e lo stesso Zelensky, e di disarmare l’esercito di Kiev. E aveva promesso che l’invasione si sarebbe fermata se la controparte avesse rinunciato alla richiesta di aderire alla Nato, richiesta che, come ricorda Bennet, ha innescato l’invasione.
Mario Lettieri e Paolo Raimondi: 2023: domina il rischio del debito
2023: domina il rischio del debito
di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**
L’aumento dei tassi d’interesse e la stagflazione, cioè la situazione che si crea quando la stagnazione economica si combina con l’aumento dell’inflazione, stanno mettendo inevitabilmente la struttura del debito sotto pressione.
A giugno si calcolava che il debito globale, pubblico e privato, fosse pari a 300.000 miliardi di dollari, cioè il 350% del pil mondiale. Nel 1999 era di 200.000 miliardi. Negli Usa il rapporto è del 420%, più alto di quello della Grande Depressione degli anni trenta e dell’immediato dopoguerra. Tale percentuale riguarda tutte le economie avanzate. In Cina è del 330%.
I debiti in sé non sono un problema se servono a sostenere gli investimenti per lo sviluppo industriale e tecnologico. Il rischio si manifesta quando crescono in maniera sproporzionata e sono prevalentemente speculativi e sganciati dall’economia reale.
La crescita del debito ha colpito numerosi settori, come le famiglie, le imprese, le banche, soprattutto quelle cosiddette “ombra”, i governi e persino interi Paesi. In particolare i debitori chiamati “zombie”, gli insolventi, che sono stati mantenuti a galla dalla prolungata politica del tasso di interesse zero.
Enrica Perucchietti: Cina, ondata di Covid al tramonto: smentite ancora una volta le profezie delle virostar
Cina, ondata di Covid al tramonto: smentite ancora una volta le profezie delle virostar
di Enrica Perucchietti
Molto terrore per nulla. Dalla Cina arriva una rassicurazione sull’ondata di infezioni Covid-19: “Sta per finire e non c’è stata una ripresa significativa dei casi durante le vacanze del Capodanno lunare”. Così, nel suo ultimo bollettino settimanale, il Centro Cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (CCDC) tranquillizza in merito all’andamento della crisi emersa nel Paese dagli inizi di dicembre e dalla fine della strategia della “tolleranza zero” al virus. Eppure, per un mese e mezzo, la narrazione pandemica sulla situazione in Cina aveva assunto toni apocalittici, inondando l’etere con scenari catastrofici e capaci di terrorizzare l’opinione pubblica.
E non è neppure la prima volta che costoro si sono spinti a diffondere allarmi infondati su quei Paesi che hanno deciso di allentare le restrizioni anti-Covid. Nell’ottobre del 2021, il l’allarmismo mediatico aveva colpito, con una serie di infauste congetture, la Gran Bretagna; Londra aveva resistito alle stime catastrofistiche, registrando più contagi che da noi, ma meno ricoveri e soprattutto meno morti pur in assenza di lockdown diffusi.