Rassegna del 13/05/2023
Alastair Hemmens: Il Manifesto invisibile di Marx
Il Manifesto invisibile di Marx
di Alastair Hemmens
Pubblichiamo la prefazione di Alastair Hemmens all’ultima edizione francese del Manifesto contro il lavoro, nella traduzione di Afshin Kaveh. Il Manifesto contro il lavoro è un testo partorito dal Gruppo Krisis ed uscito in Germania la prima volta nel 1999. In seguito è stato ripubblicato in quel paese altre tre volte, l’ultima nel 2019 in occasione del ventennale della prima pubblicazione (è possibile leggere la postfazione di Norbert Trenkle a questa edizione qui).
Tradotto in molte lingue (fra cui appunto quella francese), questo testo uscì in Italia nel 2003 per i tipi di DeriveApprodi. Anche nel nostro paese è in gestazione la sua ripubblicazione, arricchita con altri testi. La nuova edizione apparirà con ogni probabilità entro l’anno, quindi anche in questo caso in occasione del ventennale, però dell’edizione italiana.
Il Manifesto contro il lavoro è da sempre un testo con fortune alterne: amato, odiato, vilipeso o venerato, sembra sfugga le mezze misure. La sua importanza, tuttavia, sia dal punto di vista concettuale che come “provocazione” a fronte delle miserie della sinistra mondiale attuale, non può essere misconosciuta. Lo prova, sia pure indirettamente, l’impatto che ha avuto e sta avendo in Francia, per esempio in occasione degli scioperi in corso in risposta al progetto di aumento dell’età’ pensionabile da parte del governo Macron, scioperi che spesso si sono trasformati in vere e proprie manifestazioni contro il lavoro. Persino un ex-ministro come Luc Ferry si è scomodato, in un paio di articoli apparsi su Le Figaro, ad esprimere un parere un po’ preoccupato sui contenuti del Manifesto e sulla loro diffusione, indicando peraltro alcuni dei “responsabili” di questo “misfatto” (tra cui proprio Alastair Hemmens, l’autore dello scritto che qui presentiamo).
John Pilger: La guerra è imminente. Fate sentire la vostra voce. Ora!
La guerra è imminente. Fate sentire la vostra voce. Ora!
di John Pilger
Nel 1935, si tenne a New York il Congresso degli scrittori americani, seguito da un altro due anni dopo. Questi congressi chiamarono a raccolta “centinaia di poeti, romanzieri, drammaturghi, critici, scrittori di racconti e giornalisti” per discutere del “rapido sgretolarsi del capitalismo” e dell’incombere di un’altra guerra. Furono eventi elettrici ai quali, secondo un resoconto, parteciparono 3.500 persone e più di mille furono respinte.
Arthur Miller, Myra Page, Lillian Hellman, Dashiell Hammett mettevano in guardia sulla crescita del fascismo, spesso mascherato, e che la responsabilità di parlare spettava a scrittori e giornalisti. Vennero letti i telegrammi di sostegno di Thomas Mann, John Steinbeck, Ernest Hemingway, C Day Lewis, Upton Sinclair e Albert Einstein.
La giornalista e romanziera Martha Gellhorn si schierò a favore dei senzatetto e dei disoccupati, e di “tutti noi sotto l’ombra di una grande potenza violenta”.
Martha, che divenne una cara amica, mi disse più tardi, davanti al suo consueto bicchiere di Famous Grouse e soda: “La responsabilità che sentivo come giornalista era immensa. Ero stata testimone delle ingiustizie e delle sofferenze della Depressione e sapevo, come tutti noi, cosa sarebbe successo se non si fosse rotto il silenzio”.
Le sue parole riecheggiano nei silenzi di oggi: sono silenzi riempiti da un consenso di propaganda che contamina quasi tutto ciò che leggiamo, vediamo e sentiamo. Vi faccio un esempio.
Il 7 marzo, i due più antichi quotidiani australiani, il Sydney Morning Herald e The Age, hanno pubblicato diverse pagine sulla “minaccia incombente” della Cina.
Salvatore Bravo: Regressione narcisistica
Regressione narcisistica
di Salvatore Bravo
La decadenza culturale, politica ed etica dell’Occidente non è scritta negli astri e non è un destino, è storicamente determinabile, ha un nome: il capitalismo nella sua espressione assoluta, ovvero è in atto un processo di abbattimento di ogni vincolo etico e di ogni katecon. La libertà delle merci e del valore di scambio è proporzionale alla libertà dei sudditi che servono il mercato e consentono al capitale di trasformarsi nel substrato che deforma la natura etica e solidale dell’essere umano. La verità della condizione del cliente-consumatore si svela nei gesti quotidiani. Non pochi sono stati i commenti e le polemiche sul selfie al funerale di Maurizio Costanzo della moglie con un fan. La morte sembra sia stata cancellata dal gesto del selfie che ha posto al centro lo spettacolo dei “narcisi” alla ricerca di un attimo di notorietà, mentre il mistero e la tragedia della morte sono state occultate dall’ego che ha invaso lo spazio pubblico cancellando ogni presenza altra. Il narcisismo è il sintomo della patologia del capitalismo, l’essere umano nella trappola del valore di scambio sviluppa una forma parossistica di narcisismo.
Cristopher Lasch ci è di ausilio per comprendere la genealogia del male di vivere. Smitizza il narcisismo al quale si associa l’ipertrofia dell’io sicuro di sé e dotato di un’armatura impenetrabile. Il sociologo americano dimostra che l’ipertrofia cela l’io minimo ridotto ad esoscheletro del logos. Il narcisismo non è affermazione dell’individuo, ma negazione della soggettività. Nel mondo delle ombre del capitale ciò che appare non è la verità, ma il traviamento della stessa.
La natura umana è etica e solidale, il soggetto si forma e si esprime nel riconoscimento dell’altro, nel disporsi verso l’alterità per ritornare su se stesso e conoscersi nella differenza vissuta e sperimentata. Il narcisista occupa lo spazio pubblico con i suoi bisogni immediati, non li media con il logos, pertanto è nella trappola dell’immaturità egoica.
Michele Sferlinga: Austerità, neoliberismo, autoritarismo
Austerità, neoliberismo, autoritarismo
di Michele Sferlinga
Il recente volume di Clara E. Mattei Operazione austerità. Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo (Einaudi, 2022) ha il pregio di mettere in luce lo stringente, e per certi versi vitale, rapporto tra politiche economiche liberali e sistemi politici autoritari.
A partire dalle vicende politiche temporalmente a noi più vicine, sempre più studiose e studiosi hanno cominciato a interrogarsi su questa complessa relazione. Il modello leaderistico Bolsonaro rappresenta, in questo senso, un esempio emblematico di perfetto connubio tra un esercizio autoritario del potere che assume le sembianze della necropolitica, e un neoliberismo sfrenato «che produce strutturalmente diseguaglianza» (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/01/16/democrazia-autoritarismo-neoliberismo-bolsonaro-e-non-solo/). In questa forma magmatica di fascioliberismo, contraddistinta da una progressiva verticalizzazione del potere, il demos «esiste come massa astratta da guidare, priva di conformazioni di classe, conflitti, divisioni, e contraddizioni, la cui partecipazione si limita ad esternazioni plebiscitarie».
Edoardo Todaro: Alla linea
Alla linea
di Edoardo Todaro
Alla linea di Joseph Ponthus – Romanzo Bompiani, pp. 256, ed. 2022, € 17,00
Leggere, in questi giorni, questo romanzo autobiografico ha la sua importanza. Prima di tutto, anche se in ritardo, diamo il valore che si merita ad un bellissimo libro ed al suo autore, Joseph Ponthus, purtroppo deceduto a soli 43 anni nel 2021. Oltre a questo, la cronaca di queste settimane, rende il libro di stringente attualità. La Francia e lo sfruttamento capitalista. A scanso di equivoci, non ci troviamo di fronte al libro che narra delle lotte che si innescano all’interno del conflitto capitale/lavoro; né della partecipazione ad esse di Joseph.
Nonostante ciò, lo sfruttamento del lavoro precario, del lavoro interinale, emerge con forza, come del resto la questione, che potrebbe essere ritenuta prettamente ideologica ed invece è ad alto tasso di concretezza, del tempo, la cognizione del tempo, il tempo vita ed il tempo lavoro, la notte al lavoro, che diviene un incubo, invece che poter star bene da altre parti. Il lavoro, di merda o meno, come alienazione subìta.
Umberto Vincenti: Memento sulla Costituzione
Memento sulla Costituzione
di Umberto Vincenti
Credo sia un fatto – sebbene non dimostrabile, almeno allo stato – che la nostra Costituzione non sia percepita nel Paese quale oggettivamente è, per quanto la si evochi costantemente nel discorso politico e giuridico.
Nel discorso politico troppo spesso ci si appella ad essa per troncare una discussione: se quel che vado sostenendo è conforme alla Costituzione, è come se avessi calato sul tavolo l’asso di briscola. Un atteggiamento religioso sembra contraddistinguere il comune approccio al testo licenziato dalla Costituente alla fine del 1947: una sorta di Vangelo della Repubblica, indiscusso e indiscutibile al punto che pochi (anche tra i politici) l’hanno letta o letta per intero e ancor meno l’hanno compresa. Piace perché talune disposizioni sembrano dirci quel che molti desiderano: “sorridente e ottimista” l’aveva definita Arturo Carlo Jemolo. Ma questo basta per darne una valutazione più che positiva e, il più delle volte, di eccellenza? La funzione di una costituzione è forse consolatoria?
Carlo Rovelli: “L’Italia vuole sfidare anche la Cina?”
“L’Italia vuole sfidare anche la Cina?”
di Carlo Rovelli
Evidentemente il mio intervento del primo maggio ha dato fastidio: sono piovuti articoli di critica veementissima (Il ministro della Difesa deve avere fatto telefonate molto concitate, chiedendo di essere difeso.)
Ho letto con stupore estese analisi di un presunto “Rovelli pensiero”, che mi attribuiscono ogni sorta di idee che certo non sono mie, e che rispondono più che altro a frasi fatte e insulti. Per esempio sul sito di Repubblica.
Ma sul merito delle cose concrete di cui effettivamente ho provato a parlare il primo maggio, nessuno dei critici dice una parola.
Prima di tutto sulla portaerei.
Provo allora a tornare sull’argomento, con qualche dettaglio. Il 22 Aprile, con il titolo “Messaggio a Pechino: le navi militari italiane in rotta per il Pacifico”, proprio Repubblica informa che “Gli Stati Uniti chiedono aiuto all’Italia per dissuadere la Cina dalle velleità di invadere Taiwan e in generale per frenare l’espansionismo di Pechino” (suona un po’ ridicolo che la superpotenza ‘chieda aiuto all’Italia’ per fare fronte all’altra superpotenza, ma così c’era scritto).
Paolo Bartolini: Emergenze: riflettere e agire insieme
Emergenze: riflettere e agire insieme
di Paolo Bartolini
Manca il bersaglio chi, nel tentativo di criticare l’esistente, disgiunge tre eventi/fenomeni giganteschi che hanno caratterizzato l’inizio degli anni Venti di questo secolo. La sindemia Covid-19 e la governance militarizzata della stessa, la guerra in Ucraina e la ridefinizione degli equilibri di potenza internazionali, l’entrata in scena – anche nel mainstream – della questione ecologica e del global warming come emergenze da affrontare con agende politiche stringenti. Il potere tecno-capitalista a guida angloamericana ci ha fornito una lettura schematica e aproblematica di queste emergenze (sanitaria, di guerra, ambientale): il virus poteva essere affrontato solo mediante lockdown, cancellazione del dissenso e imposizione trasversale di un farmaco hi tech preparato, in fretta e furia, da multinazionali del settore finanziate, per la ricerca, con ingenti contributi pubblici; il conflitto in Ucraina è vissuto, invece, come la ghiotta occasione per accelerare lo scontro tra gli USA in declino (con al seguito Unione Europea e altri partner minori) e la Cina, passando ovviamente per la Russia: sul piano comunicativo i mass media demonizzano qualunque lettura osi mettere in discussione la dicotomia Bene Vs Male; i cambiamenti climatici, negati a lungo per non dover mettere in discussione il modello ecocida della crescita infinita, oggi sono riconosciuti e branditi come opportunità per una fantomatica crescita verde o sviluppo sostenibile.
Stefano Lucarelli: La guerra capitalista
La guerra capitalista
Francesco Pezzulli intervista a Stefano Lucarelli
In vista della serata del Maggio filosofico del prossimo Giovedì 11/05/2023 pubblichiamo di seguito un’intervista di Francesco Pezzulli a Stefano Lucarelli sul libro “La guerra capitalista”, che ha scritto insieme a Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti
Nel testo appena pubblicato di cui sei autore insieme ad Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti (La guerra capitalista, Mimesis, 2022 https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857592336), scrivete che «la guerra capitalista è la continuazione delle lotte di classe con mezzi nuovi e più infernali». Puoi illustrarci i termini della questione e come mai giungete a questa conclusione?
Noi siamo partiti da un fatto: la cosiddetta «legge» di centralizzazione dei capitali in sempre meno mani, originariamente teorizzata da Marx, può essere verificata empiricamente. Se ci pensi si tratta di un tema che è stato sempre messo in secondo piano dagli studiosi contemporanei di Marx, ma che in realtà oggi è molto più rilevante rispetto, per esempio, alle riflessioni sulla caduta tendenziale del saggio di profitto. L’analisi della centralizzazione dei capitali tutto sommato era restata sullo sfondo anche nelle analisi critiche del processo di globalizzazione diffusesi soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta. E comunque non era mai stata analizzata con gli strumenti adeguati. Oggi in effetti – come mostriamo nel libro – trova una conferma nei dati. È curioso che l’attenzione su questa «legge» tendenziale e sistemica sia stato posto, dopo la crisi globale del 2007-2008, proprio dagli analisti del mondo finanziario sulle pagine del «Financial Times» o di «The Economist», o persino dagli stessi magnati dell’Alta Finanza, coloro che – per dirla con Warren Buffet – si sentono vincitori della guerra fra le classi sociali.
Greg Godels: La fine di un’epoca
La fine di un’epoca
di Greg Godels – zzs-blg.blogspot.com
Come mai il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization – WTO) e la Banca Mondiale, tre delle istituzioni economiche internazionali più prestigiose, prevedono un futuro nero per l’economia globale?
La Banca Mondiale, con toni lugubri, «mette in guardia sulla possibilità di un’imminente “decennio perduto” per la crescita economica».
Nel gennaio di quest’anno, la Banca Mondiale ha ridotto le sue previsioni di crescita per il 2023 all’1,7%, rispetto alla sua proiezione del 3% del giugno 2022. Per collocare questa percentuale in prospettiva, va ricordato che durante l’era della globalizzazione rampante, prima del crollo del 2007-2009, la crescita a livello mondiale era in media del 3,5% annuo. Dopo la crisi il livello medio della crescita si è attestato sul 2,8%. E dopo soli tre mesi dalla sua proiezione di gennaio, la Banca Mondiale prevede un intero decennio di aspettative di crescita ridotte. Come riferisce il Wall Street Journal: «Nel prossimo decennio occorrerà uno sforzo immane in termini di politiche collettive per riportare la crescita ai livelli medi precedenti».
Analogamente, il WTO prevede che il volume del commercio mondiale aumenterà soltanto dell’1,7% quest’anno, rispetto alla crescita media del 2,8% registrata dopo il 2008.
Facendo eco all’allarme lanciato in aprile dalla Banca Mondiale, il FMI ha annunciato le sue peggiori previsioni di crescita a medio termine dal 1990.
In altre parole, tutte e tre le principali organizzazioni internazionali hanno diffuso previsioni negative, per non dire catastrofiche, riguardo all’economia globale.
Joseph Halevi: Luigi Lodovico Pasinetti
Luigi Lodovico Pasinetti
Zanica, 12 settembre 1930 – Varese, 31 gennaio 2023
di Joseph Halevi1
Abstract: L’articolo commemora la vita intellettuale di Luigi Pasinetti, purtroppo scomparso alla fine del mese di gennaio di quest’anno. Vengono presentate e discusse le fasi salienti dei suoi studi e dei suoi contributi scientifici culminati nell’opera Structural Change and Economic Growth pubblicata nel 1981. Nell’articolo si mostra come Pasinetti avesse sviluppato le idee principali che guideranno la sua ricerca già tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta del secolo scorso. In questo contesto viene evidenziata l’importanza dirompente della sua teoria concernente i processi produttivi verticalmente integrati e come questa rappresenti uno sviluppo positivo rispetto ai dibattiti riguardo alla teoria neoclassica del capitale e della distribuzione. Si conclude sottolineando la coerenza tra l’approccio teorico di Pasinetti e la sua filosofia morale incentrata sulla priorità del lavoro sul capitale.
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Luigi Pasinetti nacque il 12 settembre 1930 a Zanica, un piccolo paese nella provincia di Bergamo. Secondo la biografia scritta da Mauro Baranzini e Amalia Mirante (2018), la perdita prematura nel 1949 della madre, che lavorava come ostetrica ufficiale del paese e che costituiva un’importante fonte di reddito dal momento che l’impresa edile del padre incontrò difficoltà economiche a causa della guerra, costrinse il giovane Luigi a cercare lavoro appena terminate le scuole secondarie. Si iscrisse dunque ai corsi serali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università Cattolica di Milano, da cui si laureò nel 1955 con una tesi intitolata Modelli econometrici e loro applicazione all’analisi del ciclo commerciale.
Ugo Bardi: Elly Schlein spiegata agli Americani
Elly Schlein spiegata agli Americani*
di Ugo Bardi
Più di una volta, l’Italia è stata un laboratorio politico che ha influenzato il resto del mondo. Basta pensare a Mussolini e, più di recente, a come un governo guidato da un oscuro burocrate di nome Giuseppe Conte abbia avviato la tendenza dei lockdown a livello nazionale, adottati poi ovunque nel mondo. L’Italia può essere un paese arretrato, ma è un torbido pool memetico che produce microbi memetici. Sopra, vediamo la signora Elly Schlein, recentemente eletta segretaria del “Partito Democratico” italiano (PD) come mostrata in una recente intervista nell’edizione italiana di Vogue. Penso che sentiremo parlare molto di questa signora in futuro.
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Quando Elly Schlein è stata eletta segretaria del Partito Democratico (PD) in Italia, due mesi fa, ho pensato che fosse solo un tentativo disperato di rilanciare un partito che non aveva più niente da dire in politica. Ma mi sbagliavo. Elly Schlein non è il risultato delle convulsioni di un’organizzazione allo sbando. È una grande innovazione nelle pubbliche relazioni, progettata per rivoluzionare il panorama politico italiano e forse mondiale.
Joseph Halevi: L’inflazione è da profitti
L’inflazione è da profitti
di Joseph Halevi
Pubblichiamo il testo leggermente rivisto e ampliato dall’autore, scritto da Joseph Halevi come introduzione all’opera collettiva (Giacomo Cucignatto e altri), “L’inflazione. Falsi miti e conflitto distributivo”, edizioni Punto Rosso, Milano, marzo 2023
Dal 2020 l’economia mondiale è rientrata in un periodo di inflazione. Contrariamente al precedente episodio, avvenuto nel periodo che va dai primi anni Settanta ai primi anni Ottanta, questa volta le cause sono assai chiare.
Nel primo episodio le condizioni europee dell’inflazione furono diverse da quelle statunitensi, mentre il Giappone subì da un lato un’inflazione importata e dall’altro ricevette dagli Stati uniti un cazzotto monetario in piena faccia – rappresentato dalla rapida e ripidissima rivalutazione dello yen – tale che avrebbe travolto anche un paese come la Germania, fortunatamente protetta dallo scudo rappresentato dall’area commerciale della CEE, già allora sbocco principale del suo export.
Il Giappone invece pur non avendo un hinterland economico resistette alquanto bene rafforzando grandemente il livello tecnologico e la proiezione mondiale della sua industria.
Fabrizio Casari: I droni di Langley
I droni di Langley
di Fabrizio Casari
A pochi giorni dall’abbattimento di due droni sul tetto del Cremlino, né gli ucraini né i loro padroni politici (Regno Unito e Stati Uniti) hanno rivendicato la responsabilità dell’azione. Esistono tre versioni dell’accaduto: quella ucraina, che, come per i precedenti attacchi, nega e indica negli oppositori di Putin i responsabili; quella statunitense, che ribadisce l’estraneità della Casa Bianca; quella russa, che accusa Stati Uniti e Ucraina di aver cercato di assassinare il presidente Vladimir Putin.
La versione ucraina non sorprende: segue pedissequamente lo stesso copione già utilizzato in precedenti attacchi “non supportati” da parte statunitense. Basti ricordare quello al ponte di Crimea, l’assassinio di Darya Dugina e – cosa strategicamente più significativa – il sabotaggio del gasdotto North Stream. Per ognuno di questi attacchi, la macchina propagandistica della NATO, cioè l’intero mainstream occidentale, ha cercato di trasmettere la presunta responsabilità diretta della Russia: e così Dugina è stata uccisa da presunti avversari di suo padre, il gasdotto è stato sabotato per dispetto e ora i droni sul Cremlino sarebbero opera degli oppositori di Putin. Insinuando così che siamo tutti idioti e che i russi, oltre a essere incapaci di difendersi, siano autolesionisti.
Claudio Conti: Una banca fallita al giorno toglie il sistema di torno?
Una banca fallita al giorno toglie il sistema di torno?
di Claudio Conti
Il presidente della banca centrale Usa – Jerome Powell, alla guida della Federal Reserve – aveva pensato bene di iniziare la conferenza stampa con cui spiegava le ragioni di un nuovo aumento dei tassi di interesse con una rassicurazione ai “mercati”: «Il sistema bancario è solido e resiliente».
Doveva farlo, visto che poche ore prima aveva diretto dietro le quinte l’operazione di salvataggio di First Republic Bank, “consegnandola” a JPMorgan tramite la Fdic (ente pubblico di garanzia dei depositi).
Neanche il tempo di pronunciare quella rassicurazione ed ecco un’altra banca sprofondare, per il momento in borsa.
Pacific West Bank, con sede a Beverly Hills, sta prendendo in considerazione uno spezzatino o un aumento di capitale, scrive Bloomberg. Ma non esclude neanche di poter finire in mano a qualche compratore.
Tanto è bastato per farle perdere – mercoledì – il 50% del valore azionario, dopo aver già perso il 28% il giorno prima.