di Paolo Pileri.
Pubblicato originariamente su Altreconomia.
Quest’anno la Giornata mondiale della biodiversità cade nel bel mezzo della tragica alluvione della Romagna. Sarà curioso vedere se e come la ricorderanno i politici che abbiamo sentito sperticarsi sulla festa della mamma e su quella degli alpini.
Pensate: la biodiversità è al tempo stesso il complesso di risorse più vitale per il Pianeta e anche il più minacciato e degradato. E molto ha a che fare con l’uso del suolo, visto che il 30% della biodiversità sta nei primi centimetri di terra non asfaltata. Vedremo se e quali connessioni faranno con i fatti terribili delle alluvioni della Romagna. Ricordiamo che da decenni le nazioni europee si sono impegnate non solo a fermare il degrado della biodiversità ma addirittura a incrementarla. E anche l’Italia ha firmato la Strategia europea per la biodiversità. L’ha inserita addirittura in Costituzione (all’articolo 9).
Però non posso rinunciare a domandarmi che cosa sappiano sulla biodiversità. Chi ha incarichi di governo del territorio, a qualsiasi livello, che cosa sa di biodiversità? Perdonatemi se indosso i panni del professore antipatico e saputello ma siccome sono convinto che ognuno di noi difende quel che conosce, capite bene che non sapere nulla o poco di biodiversità e sedere nella “stanza dei bottoni” è una combinazione ad altissimo rischio. Quindi sapere di biodiversità è un punto chiave della questione. Davanti alle sfide ecologiche e climatiche mi chiedo e chiedo da anni se abbiamo un programma di formazione alla biodiversità per i decisori politici, o se invece continuiamo a cavarcela con sporadici micro-seminari per le scuole elementari e medie, lasciando alle povere future generazioni il compito di cambiare il mondo, mentre le attuali glielo stanno distruggendo.
È dura dirselo ma non andiamo molto lontano se continuiamo ad avere davanti a noi sfide ecologiche che affidiamo a decisori che di ecologia non solo non sanno nulla o poco, ma non neppur sono chiamati a imparare qualcosa pur decidendo tutto. E ultimamente sono pure tornati a prendersela con gli ambientalisti apostrofandoli ancora come “quelli del no” (basta: aggiornatevi). La contraddizione bruciante tra che cosa è la biodiversità e che cosa ne sanno i decisori annulla quasi tutte le migliori intenzioni o, se siamo fortunati, le confina entro recinti strettissimi di qualche parco dove i decisori inscenano inaugurazioni e finti discorsi ecologici per poi uscire da quei parchi e difendere strenuamente il “liberi tutti” e chiudere gli occhi davanti al consumo di suolo, all’agricoltura intensiva, alla deforestazione di pianura, all’inquinamento delle acque e tutto quel che porta voti e consensi.
Anche le poche buone cose che si sono fatte ultimamente diventano inguardabili se allarghiamo lo sguardo. Ad esempio, se mettiamo fianco a fianco i quattro milioni e mezzo di alberi che l’Emilia-Romagna vuole piantare nei prossimi anni, con le faraoniche opere stradali degli ultimi mesi, ci si attorciglia lo stomaco. In quella martoriata Regione sono iniziati i lavori per la costruzione della quarta corsia della A14 a Bologna, la diramazione autostradale a Ravenna (120 ettari di cementificazione assieme a migliaia di alberi abbattuti che non verranno ripristinati), la costruzione della terza corsia Bologna-Ferrara (93 ettari di nuovo asfalto con altre migliaia di alberi tagliati), il passante della città di Bologna (20 ettari). Tutto questo si aggiunge alla già costruita quarta corsia sulla Bologna-Modena (50 ettari), alla previsione di un’autostrada cispadana Parma-Ferrara e ad altre superstrade emiliano-romagnole. È chiara la contraddizione o devo aggiungere altro?
Si tratta di consumi di suolo dolorosissimi in una Regione che sta contando i morti e i danni che qualcuno ha avuto la bella idea di attribuire alle nutrie o che ha immaginato comodamente di attribuire a un clima cattivo e imprevedibile che se l’è presa con una Regione bella e virtuosa. Ma quelle strade, secondo voi, attenueranno i cambiamenti climatici? Miglioreranno l’idea popolare di sostenibilità? Aumenteranno la capacità di resistenza dei nostri territori? Si riducono i futuri danni alluvionali alle persone, alle aziende agricole e alle imprese se il territorio continua a essere ferito a morte?
Ma non è politicamente corretto citare solo la lista emiliano-romagnola di opere spacca-biodiversità. Ecco allora la recente e tronfia proposta ligure di urbanizzare nelle aree alluvionali (non solo inguardabile, ma pure fatta nel momento più sbagliato. Chissà se la politica romagnola che ha i piedi nell’acqua tirerà fuori la voce per dire alla Liguria di rimangiarsi questa decisione); gli inutili 30 chilometri della superstrada Eboli-Agropoli nella piana cilentana a due passi dalla meraviglia di Paestum (due miliardi che sfasceranno un paesaggio già altamente compromesso ma ancora bellissimo); il nuovo casello autostradale Pesaro-Sud che ha distrutto ettari ed ettari di aree agricole e naturali per strizzare l’occhiolino a chissà quale logistica che aumenterà ulteriormente il consumo di suolo; l’ampliamento dell’aeroporto di Malpensa di 44 ettari in pieno parco del Ticino (possiamo parlare di tutela della biodiversità?); la cementificazione logistica di Pernate (NO); le centinaia di chilometri di gallerie per alta velocità ferroviaria che si vogliono realizzare con il Pnrr tra Salerno e Reggio Calabria (non so neppure dove metteranno la terra che estrarranno) o l’assurdo consumo di suolo della futura linea AV che passerà in Irpinia sfasciandola completamente; i criteri scriteriati della pannelizzazione solare a terra che mangeranno decine di migliaia di ettari di suoli agricoli, quando abbiamo sconfinati tetti di capannoni a disposizione e immense aree a parcheggio da coprire, etc..
Ora, capite bene che questo elenco, che interrompo qui per decenza e che è l’eredità di un pensiero politico-culturale unico che ci ha governato e ci governa da decenni, non si chiama solo consumo di suolo ma anche distruzione di biodiversità e peggioramento climatico ed è quindi la messa in onda di una galattica contraddizione. Un esempio plastico di quanto le politiche siano sconnesse da quella che è l’urgenza di rispettare l’ambiente. Quella roba è solo omicidio di biodiversità. E forse nessun politico dirà qualcosa nella Giornata della biodiversità perché effettivamente è dura metterci la faccia con quella lista in tasca, dove non è riconoscibile alcun cambiamento di cultura politica. Nulla che ci dica che stiamo facendo cose diverse da quelle fatte fino a ieri per il clima e la natura che, poi, vuol dire anche per noi e il futuro.
Possiamo, allora, fidarci di chi decide con quella lista in mano? Certamente non è facile mettere la natura a capo delle nostre agende politiche e culturali. Nessuno sta dicendo che sia facile. Ma è necessario. Urgentemente necessario. E, come dice la Strategia europea per la biodiversità, occorrono necessari cambiamenti radicali e questi, a mio avviso, non possono partire da menti che non sanno e non capiscono che cosa è la biodiversità, che non abbracciano il pensiero ecologico profondo come forma mentis, come discorso politico.
Nei giorni scorsi ho avuto l’onore di presentare “L’intelligenza del suolo” alla biblioteca Erica di Capaccio Scalo (SA): ho incontrato persone meravigliose che lottano contro decisioni inconciliabili con il futuro. Persone che piangono i figli che scappano da quelle terre nonostante trasudino di storia e bellezza da ogni poro, terre dove la grecità ha dato origine a pezzi di filosofia fondamentali. Ebbene, quella biblioteca ci ha regalato quattro parole che disegnano l’unico programma possibile per il futuro: “capire”, “partecipare”, “cambiare”, “crescere”. Come a dirci che gli spazi per cambiare ci sono ma hanno proprio bisogno di investire in conoscenza (e le cose di scienza vanno studiate a fondo, soprattutto da chi decide) e in partecipazione altrimenti cambiamento e crescita culturali non arriveranno. Dobbiamo urgentemente formare donne e uomini che sappiano dare voce alla biodiversità nei ruoli che ognuno ricopre, non solo quelli politici; donne e uomini che sappiano spiegare che il rispetto dell’ambiente salva tutto e tutti e realizza pure nuova occupazione, inclusione sociale e benessere. L’attuale cultura politica, men che meno questo governo, fatica a fare questo, allora facciamolo dal basso: prepariamoci qui e ora per farci trovare pronti. Mettiamoci sulle spalle quelle parole: capire, partecipare, cambiare e crescere.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)