Alice Speri per PeaceLink – 04/07/2023
L’Ucraina blocca i giornalisti dal fronte con una censura crescente (peacelink.it)
Dopo la ripresa del controllo delle forze ucraine sulla città portuale di Kherson del novembre scorso, e in seguito a otto mesi di occupazione russa, alcuni giornalisti sono entrati nella città liberata nel giro di poche ore. Senza un permesso formale, hanno documentato la folla esultante che accoglieva i soldati con abbracci e bandiere dell’Ucraina. I funzionari ucraini che controllano strettamente l’accesso della stampa al fronte, hanno reagito revocando le credenziali ai giornalisti, sostenendo che avevano “ignorato le restrizioni esistenti”.
Nei mesi successivi, mentre l’Ucraina cercava di liberare altri territori occupati dalla Russia, il governo ucraino ha intensificato gli sforzi per controllare il racconto della guerra, restringendo l’accesso dei giornalisti al conflitto. “Dopo di che, le cose hanno iniziato a peggiorare… Hanno cercato di esercitare un maggiore controllo sui giornalisti”, ha dichiarato a The Intercept Katerina Sergatskova, caporedattore di Zaborona Media, una testata ucraina indipendente. “Ora è davvero difficile fare reportage da Kherson, per esempio”.
Da quando la Russia ha intrapreso la sua grande invasione l’anno scorso, le autorità ucraine hanno minacciato, revocato o negato a causa della loro copertura, le credenziali di stampa ai giornalisti che lavoravano per una mezza dozzina di testate ucraine e straniere, come ha riferito l’agenzia di stampa Semafor all’inizio di questo mese. In un episodio recente, il Ministero della Difesa non ha rinnovato le credenziali di stampa di un fotografo con sede in Ucraina, il quale ha accusato i servizi di sicurezza del Paese di averlo sottoposto a interrogatori, alla macchina della verità e alle accuse di lavorare contro “l’interesse nazionale” del Paese. I funzionari governativi hanno ripristinato l’accreditamento di Anton Skyba la scorsa settimana, a seguito di una campagna di pressione da parte di colleghi e sostenitori della libertà di stampa, che hanno denunciato l’inasprimento delle restrizioni sull’accesso dei media al fronte. Tuttavia, l’episodio ha acceso i riflettori sulle tensioni tra le autorità ucraine e i giornalisti che coprono il conflitto, silenziosamente intensificate negli ultimi mesi. I corrispondenti di guerra veterani, da parte loro, accusano i funzionari di rendere quasi impossibile la cronaca della realtà della guerra, salvo rare eccezioni.
“Ho seguito quattro guerre e non ho mai visto un tale divario tra la drammaticità, l’intensità e l’importanza storica della realtà del conflitto da un lato, e la superficialità e l’esiguità della sua documentazione da parte della stampa dall’altro”, ha dichiarato Luke Mogelson, collaboratore del New Yorker, a The Intercept. “È incredibile quanto poco di ciò che sta accadendo venga raccontato. E la ragione principale, anche se non l’unica, è che il governo ucraino ha reso praticamente impossibile ai giornalisti fare dei veri reportage in prima linea”.
Mogelson ha aggiunto che le restrizioni provengono dai vertici militari e politici e che sono in contrasto con il desiderio dei soldati di rango di condividere le loro esperienze. “I ragazzi che sono fuori a uccidere, a morire e a sopportare la miseria del fronte sono quasi sempre entusiasti che i giornalisti siano testimoni di ciò che stanno vivendo”, ha aggiunto. “Non è solo politicamente o eticamente problematico per l’Ucraina impedire ai giornalisti di vedere la guerra; è anche piuttosto crudele nei confronti degli uomini che sono costretti a condurla in totale silenzio e oscurità”.
Il Ministero della Difesa ucraino, che rilascia gli accrediti stampa e controlla l’accesso dei giornalisti al fronte, non ha risposto alle domande di The Intercept.
Alcuni giornalisti ucraini hanno anche avvertito che la loro stretta sorveglianza da parte dei responsabili militari sta influenzando la copertura della guerra. “Se un soldato mi dice: ‘Odio questa guerra’, l’addetto stampa gli chiede di rispondere: ‘Sì, la guerra è dura, ma stiamo tenendo alto il morale’”, ha dichiarato Skyba, un freelance che collabora regolarmente con il quotidiano canadese Globe and Mail, al Comitato per la protezione dei giornalisti (Committee to Protect Journalists).
Questa è la narrazione che gran parte dell’opinione pubblica ucraina sta ricevendo. Dopo l’invasione russa, il presidente Volodymyr Zelensky ha ordinato un “telethon” unificato di 24 ore in cui alcune delle principali emittenti del Paese – due pubbliche e le altre di proprietà di oligarchi – forniscono una copertura della guerra a blocchi alternati di sei ore. Alla fine dello scorso anno, Zelensky ha anche firmato una legge che conferisce al governo ampi poteri sui media; la Federazione europea dei giornalisti aveva definito una prima bozza di legge “degna dei peggiori regimi autoritari”.
Sergatskova ha dichiarato che è diventato sempre più difficile per le testate indipendenti come la sua, coprire la guerra – in un momento in cui gli ucraini si rivolgono sempre più alle notizie in cerca di copertura della guerra che sta devastando il loro Paese. Un sondaggio pubblicato all’inizio di quest’anno indica che la fiducia nei media da parte del pubblico è attualmente del 57%, rispetto al 32% prima dell’invasione. “Questo è positivo per il giornalismo”, ha detto Sergatskova. “Ma è anche una grande responsabilità”.
In un recente articolo, Sergatskova ha accusato le autorità di manipolare un sistema di accreditamento opaco per limitare la copertura del conflitto e di favorire i media stranieri trascurando quelli locali. (Zelensky, per esempio, ha rilasciato molte interviste a organizzazioni giornalistiche internazionali, ma nessuna a quelle ucraine).
“L’Ucraina sta combattendo due guerre da molto tempo. Una è quella contro la Russia e il colonialismo russo. La seconda è la guerra per la democrazia”, ha scritto. “Molte persone stanno sabotando questa guerra per la democrazia. Ciò è particolarmente evidente nel rapporto tra il governo e i media”.
“Fare chiarezza è complicato”
Lo scontro tra i giornalisti e le autorità ucraine è scoppiato proprio quando l’esercito ucraino ha iniziato la tanto attesa controffensiva, una fase del conflitto che, secondo alcuni giornalisti, rischia di essere raccontata solo attraverso i resoconti ufficiali e l’accesso strettamente controllato. Pur facendo pressioni per ottenere una maggiore assistenza militare durante tutta la guerra, le autorità ucraine hanno gestito con attenzione ciò che viene divulgato sulle loro prestazioni sul campo: ad esempio, mantenendo uno stretto riserbo sul numero di vittime tra le loro forze. Questo sforzo per controllare la narrazione non è paragonabile alla campagna di propaganda su larga scala della Russia o alla sua repressione dei giornalisti, compreso l’arresto a marzo e la detenzione in corso del giornalista del Wall Street Journal, Evan Gershkovich. Anche molti giornalisti russi sono stati costretti a fuggire dal Paese.
Tuttavia, alcuni giornalisti avvertono che l’approccio del governo ucraino alla stampa sta diventando sempre più autoritario. L’esercito ucraino non ha un sistema integrato ufficiale – il processo attraverso il quale i giornalisti di guerra coprono i conflitti seguendo le truppe sul campo – e gran parte dell’accesso alla stampa consiste in brevi visite accompagnate alle postazioni militari molto più indietro rispetto alle linee del fronte. Di conseguenza, le storie sulle prime linee sono spesso raccontate da giornalisti che visitano aree liberate di recente o da resoconti di seconda mano trasmessi dai vertici militari.
La guerra è stata condotta in gran parte con missili a lungo raggio, artiglieria e attacchi aerei e, malgrado sia vero che la divulgazione di informazioni dal campo potrebbe comportare seri rischi operativi per l’esercito ucraino, come riportato direttamente da alcuni giornalisti, i reporter di guerra esperti sanno come destreggiarsi in queste complessità. Sarebbe più facile per loro evitare l’esposizione incauta di informazioni sensibili se avessero un migliore accesso alle forze armate.
“Se gli ucraini fossero dotati di un sistema integrato, avrebbero una maggiore supervisione sulle questioni di sicurezza operativa”, ha detto Mogelson. “Ma non hanno nulla del genere. Tutto ciò che hanno sono questi addetti stampa che in realtà non sono dei veri addetti stampa, sono lì non per incentivare, ma per impedire ai giornalisti di vedere, scrivere e fotografare ciò che sta accadendo”.
Alcune eccezioni, come il vivido resoconto di Mogelson sulla vita in trincea pubblicato dal New Yorker a maggio, non sono state autorizzate dai funzionari del Ministero della Difesa, che hanno minacciato di revocare le credenziali sia a Mogelson che al fotografo ucraino Maxim Dondyuk, dopo la pubblicazione del racconto. (Natalie Raabe, portavoce del New Yorker, ha scritto in una dichiarazione a The Intercept: “Il nostro scrittore e il nostro fotografo avevano il permesso del comandante del battaglione; le loro credenziali di stampa sono ancora valide”).
Coloro che criticano le limitazioni imposte ai giornalisti, sostengono che queste non hanno tanto a che fare con la sicurezza operativa, quanto con il tentativo di controllare la narrazione. Le autorità si sono vendicate contro i giornalisti che hanno offerto una visione più onesta, anche se poco lusinghiera dell’impatto della guerra sulle truppe, e contro almeno un comandante militare che ha condiviso una visione franca ma pessimistica dello sforzo bellico. Benché alcuni funzionari ucraini hanno sostenuto che tali valutazioni autentiche sono necessarie per fare pressione sugli alleati affinché forniscano gli aiuti di cui il Paese ha disperatamente bisogno.
“La loro posizione nei confronti della stampa è molto miope e, in ultima analisi, al di là del fatto che sia o meno antidemocratica, non credo sia nel loro interesse”, ha detto Mogelson. “Fare chiarezza è complicato. Non tutte le storie avranno benefici pratici immediati per l’Ucraina o le sue forze armate, ed è questo che vogliono. Ecco perché sono così ossessionati dal controllo della narrazione. Ma questo controllo ha il costo a lungo termine di una sfiducia nei confronti di qualsiasi notizia sul conflitto, sia tra gli ucraini, sia soprattutto tra gli americani e gli europei dal cui continuo sostegno e solidarietà dipende lo sforzo bellico”.
Restrizioni ai giornalisti
Le autorità militari ucraine si sono affrettate ad accreditare migliaia di operatori dei media che coprono il conflitto sulla scia dell’invasione su larga scala della Russia nel febbraio 2022. Si trattava di un incarico particolarmente pericoloso, con 17 giornalisti uccisi finora, la maggior parte dei quali nelle prime settimane di guerra.
Nel giro di un paio di mesi, le autorità ucraine hanno iniziato a ritirare le credenziali ai giornalisti di cui non gradivano la copertura, tra cui Thomas Gibbons-Neff del New York Times, il principale reporter di un servizio dell’aprile 2022 sull’uso di munizioni a grappolo vietate da parte delle forze ucraine, e il fotoreporter del New York Times, Tyler Hicks. Tuttavia, la revoca delle credenziali si è intensificata dopo che l’Ucraina ha ripreso il controllo di alcune zone del territorio occupato dalla Russia alla fine dello scorso anno.
Molti dei giornalisti a cui sono state revocate le credenziali più di recente avevano lavorato nei territori controllati dalla Russia, a volte già nel 2014, quando la Russia ha invaso per la prima volta la Crimea e parti dell’Ucraina orientale. Le autorità ucraine vietano di recarsi nei territori occupati dalla Russia, anche se oggi è praticamente impossibile arrivarci attraversando l’Ucraina.
Questa sembra essere stata la giustificazione per cui le autorità hanno revocato l’accreditamento dei giornalisti italiani Andrea Sceresini e Alfredo Bosco a febbraio, anche se i funzionari non hanno mai fornito ai due una spiegazione. I freelance, in missione per l’emittente italiana RAI, stavano viaggiando da Bakhmut a Kramatorsk quando hanno ricevuto un’e-mail dal Ministero della Difesa che li avvertiva della sospensione delle loro credenziali. I giornalisti, che avevano coperto il conflitto a fasi alterne dal febbraio 2022 e che avevano già lavorato in Ucraina dopo l’invasione del 2014, hanno poi appreso dai colleghi locali che le autorità li avevano accusati di essere collaboratori e propagandisti dei russi. Quel giorno, un giornalista locale che avevano ingaggiato per un incarico ha disdetto all’ultimo minuto, citando la stessa voce.
Sceresini ha raccontato che il Ministero della Difesa ha comunicato a lui e a Bosco di aspettare un colloquio con il Servizio di sicurezza ucraino che non si è mai concretizzato. Hanno lasciato a malapena il loro appartamento a Kramatorsk, diffidando del rischio di essere etichettati come collaborazionisti in una zona di guerra attiva, finché i funzionari dell’Ambasciata italiana hanno detto loro di trasferirsi a Kiev per questioni di sicurezza. Lì, hanno contattato colleghi, avvocati e diplomatici per cercare di capire perché le loro credenziali fossero state sospese; informalmente, le autorità italiane hanno riferito che i funzionari ucraini avevano avuto da ridire sui viaggi che i due avevano intrapreso in territorio russo dopo il 2014. Sceresini all’epoca, aveva svolto il servizio da entrambi i lati del conflitto. In particolare, aveva lavorato a un documentario investigativo sull’uccisione nel 2014 di un fotoreporter italiano da parte delle forze ucraine e a una spedizione del 2015 che ha evidenziato la frattura tra comunità divise dalla fedeltà alla Russia o all’Ucraina.
“All’epoca si poteva andare da Kiev a Donetsk in autobus”, ha osservato Sceresini, ma anche se aveva viaggiato lì legalmente, nel 2015 le autorità ucraine gli hanno vietato di uscire dal Paese per cinque anni e lui è tornato solo l’anno scorso. Dopo che le sue credenziali e quelle di Bosco sono state revocate quest’anno, sono venuti a conoscenza di una mezza dozzina di giornalisti italiani e di altri che hanno avuto le stesse difficoltà: credenziali revocate o negate.
“Stanno facendo un controllo su tutti i giornalisti”, ha detto Sceresini. “E uno dopo l’altro, quelli che non sono perfettamente fedeli alle direttive e alla linea politica di Kiev, sono fuori”.
A febbraio, i funzionari ucraini hanno introdotto ulteriori restrizioni: un controverso sistema di zone ha diviso il Paese in aree verdi, gialle e rosse, con queste ultime accessibili ai civili ma off limits per i giornalisti. I sostenitori dei media hanno condannato questa politica, avvertendo che limitava l’accesso ad aree relativamente sicure e creava confusione sui luoghi effettivamente pericolosi per i reporter. Due di loro sono stati uccisi dopo l’introduzione del sistema di zone; prima di allora, per quasi un anno, non c’erano stati decessi di giornalisti.
In seguito, le autorità hanno rivisto silenziosamente le restrizioni, sostituendole con un processo che, secondo i critici, è arbitrario e confuso. Ora i comandanti regionali prendono decisioni sull’accesso alla stampa caso per caso. A maggio, le autorità militari hanno anche cancellato tutte le credenziali esistenti e hanno obbligato i giornalisti a richiederne di nuove; molti di loro hanno detto che le loro nuove credenziali sono state negate.
“È un caos”, ha affermato Sergatskova, caporedattore di Zaborona Media, “e la situazione si sta complicando”.
Una guerra narrativa
Fino a poco tempo fa, i giornalisti locali e stranieri erano reticenti a discutere apertamente del loro conflitto con le autorità, per diverse ragioni. I reporter locali – molti dei quali si sono arruolati nell’esercito o hanno lasciato il Paese – hanno talvolta esitato a criticare il governo, divisi tra la fedeltà alla loro professione e quella alla nazione.
I giornalisti ucraini “si sentono parte di questa situazione, parte della nazione ucraina che sta lottando per la sopravvivenza”, ha detto Kyrylo Loukerenko, direttore esecutivo della radio indipendente Hromadske, “quindi questa è una situazione molto difficile per noi”.
Ha sottolineato che alcuni di loro stanno scegliendo di ridimensionare le critiche piuttosto che rispondere alle pressioni dall’alto verso il basso, per la preoccupazione che qualsiasi opinione possa alimentare gli sforzi della propaganda russa.
“È più una questione di autocontrollo”, ha detto. “Quando si cerca di essere critici, la gente chiede solo: “Sei patriottico?”“.
Karol Luczka, responsabile del monitoraggio e della difesa per l’Europa orientale dell’International Press Institute, ha affermato che oltre all’autocensura derivante da un “obbligo morale nei confronti del proprio Paese”, i giornalisti sono anche consapevoli del fatto che certi argomenti faranno guadagnare loro un ulteriore controllo da parte delle autorità. “Idee come: c’è una guerra civile, o ci sono persone che sono filo-russe… sono questioni molto delicate”, ha detto. “Se un reporter, consapevolmente o meno, inizia a usare questi argomenti nel suo reportage, attirerà l’attenzione delle autorità ucraine”.
Sergatskova ha aggiunto che per i giornalisti ucraini la scelta dei loro servizi è anche una funzione delle priorità. Sebbene abbia notato che ci sono state alcune inchieste giornalistiche locali che hanno smascherato la corruzione tra i leader militari, molti giornalisti ucraini sono impegnati a documentare i crimini russi. “Questo è un aspetto molto importante per noi”, ha detto.
Le restrizioni del governo pongono gli inviati stranieri in una posizione altrettanto delicata, con alcune pubblicazioni che privilegiano l’accesso a costo di opporsi alle regole imposte dai funzionari. “Alcuni di noi non sono esenti da colpe nemmeno in questo caso. Alcuni semplicemente le accettano”, ha detto Mogelson. “C’è una generale riluttanza ad alienare il governo ucraino, perché quel poco di accesso che abbiamo dipende dal fatto di rimanere nelle sue grazie”.
Fonte: https://theintercept.com/2023/06/22/ukraine-war-journalists-press-credentials/
Traduzione di Sara Piccinini per conto di PeaceLink (www.peacelink.it)