Rassegna del 30/01/2024
Valentina Pisanty: I guardiani della memoria e la crisi della democrazia
I guardiani della memoria e la crisi della democrazia
di Valentina Pisanty
Da più di vent’anni la memoria della Shoah ha contribuito a riempire il vuoto lasciato dalla crisi delle grandi utopie rivoluzionarie del Novecento; utopie il cui schema narrativo si fondava sulla storia eroica dell’emancipazione degli Oppressi dagli Oppressori. Diventando egemonica, la narrazione “vittimo-centrica” dell’Olocausto (e di altri eventi traumatici che ricalcano quel modello narrativo) ha spinto ai margini il paradigma rivoluzionario e ha conquistato il cuore della coscienza occidentale, come racconto ammonitore delle catastrofi dalle cui ceneri è sorta l’Europa del dopoguerra. Ma che tipo di identità può ricavare i suoi valori democratici dalla promessa solenne “Mai Più”? Un’identità che nega il conflitto come uno dei rapporti umani primari e costitutivi. Non è peraltro chiaro a cosa si riferisca il “Mai Più”. Alla guerra in quanto tale? All’antisemitismo tout court o alla persecuzione di qualsiasi minoranza stigmatizzata? Allo sterminio su scala industriale o a qualsiasi altra forma di discriminazione?
Come che sia, l’equazione Per Non Dimenticare = Mai Più è talmente radicata nel senso comune che a pochi viene in mente di metterla in dubbio. Eppure le smentite non mancano. Violenze razziste in crescita esponenziale, parate di simboli fascisti, diffusione dell’odio on- e offline, partiti xenofobi al potere, e ora la guerra. Perché facciamo così fatica a prendere atto che qualcosa non ha funzionato? La riluttanza ad ammettere il fallimento delle politiche della memoria è sintomatica di un principio di autoritarismo che si è insinuato nelle pieghe della retorica e delle politiche della memoria, spesso a insaputa di chi le pratica.
Konrad Nobile: E’ già “tutta colpa di Netanyahu”: esecutore spietato e parafulmine del Sistema
E’ già “tutta colpa di Netanyahu”: esecutore spietato e parafulmine del Sistema
di Konrad Nobile
È fin dai primi giorni della efferata reazione israeliana ai fatti del 7 ottobre che noto un certo fenomeno che definisco di “Netanyahu-izzazione” nella descrizione dell’operato di Israele.
Vi è una tendenza molto diffusa infatti, che riguarda anche certi canali e personaggi “alternativi”, a puntare la lente d’ingrandimento e a concentrare le critiche nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Probabilmente anche sull’onda della crescente e forte impopolarità, interna a Israele, al presidente del Likud (ovvero il partito sionista, conservatore e nazionalista, che ha preso la maggioranza dei voti alle elezioni parlamentari del 2022) si è progressivamente accesa una corsa internazionale alla polemica contro “Bibi”, visto da alcuni come il maggior responsabile del 7 ottobre, da altri come uno spregiudicato leader genocida troppo influenzato dalla destra sionista, da altri ancora come il principale ostacolo alla pace tra Israeliani e Palestinesi.
E così, in un crescendo che partendo dal basso va dal grottesco sinistro Fratoianni, che blatera sul processare Netanyahu per crimini di guerra, fino ad arrivare a un’amministrazione statunitense insofferente per le scelte del capo dell’esecutivo di Tel Aviv, con tanto di accese tensioni (narrateci da molte testate giornalistiche -1) tra un irritato Biden e Netanyahu, pare che i vari problemi che stanno infiammando il Medio Oriente possano essere alla fin fine ricondotti a uno scellerato primo ministro, talmente cinico da giocare con l’allungamento di un conflitto, rendendosi responsabile di migliaia di morti e tensioni internazionali sempre più incandescenti, pur di salvare la sua carriera politica e tutelarsi da beghe giudiziarie.
William I. Robinson e Hoai-An Nguyen: Gaza: Una finestra orrenda sulla crisi del capitalismo globale
Gaza: Una finestra orrenda sulla crisi del capitalismo globale
di William I. Robinson e Hoai-An Nguyen
Mentre il mondo assiste inorridito al crescente numero di vittime tra i civili palestinesi e Israele affronta le accuse della Corte internazionale di Giustizia per il crimine di genocidio, la carneficina di Gaza ci offre una finestra spettrale sulla rapida escalation della crisi del capitalismo globale. Collegare i fili dalla spietata distruzione israeliana di Gaza a questa crisi globale richiede un passo indietro per mettere a fuoco il quadro generale. Il capitalismo globale deve affrontare una crisi strutturale di sovraccumulazione e stagnazione cronica. Ma i gruppi dominanti devono anche affrontare una crisi politica di legittimità dello Stato, di egemonia capitalista e di disintegrazione sociale diffusa, una crisi internazionale di contrapposizione geopolitica e una crisi ecologica di proporzioni epocali.
Le élite aziendali e politiche globali sono in preda alla sbornia del boom capitalistico mondiale della fine del XX e dell’inizio del XXI secolo. Hanno dovuto riconoscere che la crisi è fuori controllo. Nel suo Rapporto sui rischi globali per il 2023, il World Economic Forum ha avvertito che il mondo si trova ad affrontare una “policrisi” che comporta un’escalation di impatti economici, politici, sociali e climatici che “stanno convergendo per dare forma a un decennio unico, incerto e turbolento”. L’élite di Davos potrebbe non sapere come risolvere la crisi, ma altre fazioni dei gruppi dirigenti stanno sperimentando come plasmare l’interminabile caos politico e l’instabilità finanziaria in una nuova e più letale fase del capitalismo globale.
Mentre l’esito militare della guerra di Gaza deve ancora essere determinato, non c’è dubbio che Israele e i suoi sostenitori negli Stati centrali del sistema capitalistico mondiale stiano perdendo la guerra politica per la legittimità.
Umberto Vincenti: Frantumazione della Repubblica
Frantumazione della Repubblica
di Umberto Vincenti
Quel che stupisce di più, nelle parole profuse dai sostenitori dell’autonomia differenziata, è la loro annebbiante fumosità: si prospettano maggiori competenze, meno centralismo, efficienza, responsabilizzazione degli amministratori, razionalizzazione della spesa. Nessuno, dico nessuno, che ci spieghi, con semplicità, il cuore della questione: perché il ddl Calderoli non farà ulteriormente retrocedere le Regioni meridionali, anzi tutto il contrario. Nessuno, ancora, che ci spieghi, con semplicità, perché questo ddl non aggraverà ulteriormente gli Italiani di tasse e burocrazia. Nessuno che ci spieghi, con semplicità, perché il ddl rafforzerà l’unità del Paese. Potrei andare avanti con le domande. Ma i politici eluderanno le risposte: nella sostanza mentiranno. Mentiranno quelli al governo; e mentiranno quelli all’opposizione perché ometteranno di ricordare che la riforma del titolo V della Costituzione l’hanno voluta e approvata loro quando erano al governo nel 2001.
A fronte di tutto questo, l’altro ieri i parlamentari veneti della Lega hanno sventolato, nel Parlamento italiano, la bandiera di San Marco: ecco il segnale che, con questo ddl, l’Italia sarà più unita; e il Veneto di Zaia, ancora più unito all’Italia.
Francesco Dall’Aglio: Aereo russo con prigionieri ucraini abbattuto. Un boomerang per Kiev
Aereo russo con prigionieri ucraini abbattuto. Un boomerang per Kiev
di Francesco Dall’Aglio
Che la faccenda dell’abbattimento dell’Il-76 fosse molto complicata da gestire per l’Ucraina è stato chiaro fin da subito, quando i primi comunicati entusiasti sono stati fatti sparire e sostituiti da altri molto più cauti, mentre le autorità facevano sapere che stavano investigando sull’accaduto.
Per tutto il pomeriggio il dispositivo propagandistico di Twitter ha tentato di limitare i danni lanciando varie supposizioni più o meno strampalate e tutte tese o ad accusare la Russia o a negare che sul volo ci fossero prigionieri in attesa di liberazione (tra le migliori: i 65 erano militari russi e non prigionieri ucraini; solo tre guardie? E come mai i prigionieri non hanno preso il controllo dell’aereo?; non c’era nessuno a bordo tranne l’equipaggio; il volo proveniva dall’Iran; il volo era un trasporto eccezionale per rifornire urgentemente di missili le batterie di S-300 russe che avevano finito i colpi) ma al momento una versione ufficiale, da parte ucraina, manca.
Per ora dobbiamo accontentarci del comunicato del Ministero della Difesa, dal quale risulta evidente che a Kiev (o a Washington o Londra) non si sono ancora messi d’accordo su una versione definitiva.
Emiliano Brancaccio: Yemen e Occidente, un Mare rosso di vergogna
Yemen e Occidente, un Mare rosso di vergogna
di Emiliano Brancaccio
«Bisogna garantire la libertà della navigazione e la sicurezza dei commerci nel Mar Rosso». Così il ministro degli esteri Tajani spiega la volontà del governo Meloni di partecipare all’intervento militare anglo-americano per proteggere i mercantili dagli attacchi degli Houthi.
Le parole di Tajani non giungono nuove. Di fatto, rappresentano un copia e incolla dei comunicati delle diplomazie statunitensi e britanniche per giustificare i bombardamenti contro gli Houthi. Di analogo tenore sono anche le dichiarazioni dei responsabili della politica estera tedesca e francese, a perorare un’ampia partecipazione europea all’azione militare guidata dagli americani.
L’apertura dell’ennesimo fronte bellico viene insomma motivata ricorrendo al vecchio ideale della globalizzazione: se l’Iran e i suoi alleati usano la forza per bloccare la fondamentale via commerciale che passa per Suez, è giusto che l’alleanza occidentale intervenga militarmente per preservare il libero scambio tra ovest ed est del mondo. Nel parlamento britannico c’è chi ha persino affermato che aprire il nuovo teatro di guerra nel Mar Rosso è necessario per tutelare il libero commercio internazionale, il quale a sua volta è ritenuto indispensabile per assicurare la pace perpetua nel mondo.
Giacomo Gabellini: Operazione Spade di Ferro. Le ragioni del “riorientamento” israeliano
Operazione Spade di Ferro. Le ragioni del “riorientamento” israeliano
di Giacomo Gabellini
Lo scorso 15 gennaio, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato che la fase bellica a maggiore intensità prevista dall’Operazione Spade di Ferro era ormai prossima a concludersi, sia nelle aree settentrionali della Striscia di Gaza che presso Khan Younis. Contestualmente, migliaia di truppe inquadrate nell’Israeli Defense Force sono state ritirate dalla Striscia, per ragioni che il «Wall Street Journal» rintraccia nella crescente esigenza del governo di Tel Aviv di venire incontro alle richieste statunitensi per quanto concerne l’adozione di un approccio maggiormente “chirurgico” al conflitto.
L’esecutivo israeliano necessita di preservare l’appoggio sostanzialmente incondizionato garantito finora dagli Stati Uniti, sia per assicurarsi la continuità delle forniture militari senza le quali l’Operazione Spade di Ferro verrebbe interrotta da un giorno all’altro, sia in un’ottica di “regolamento dei conti” con l’Asse della Resistenza. Verso cui Netanyahu e i suoi collaboratori stanno puntando in maniera piuttosto evidente, come si evince dai quattro raid arei perpetrati in Siria e Libano culminati con l’assassinio dell’alto ufficiale dei Pasdaran Razi Mousavi; dell’esponente di punta di Hamas Saleh al-Arouri, di Wissam Tawil, vertice di uno dei corpi d’élite inquadrati in Hezbollah; di cinque ufficiali delle forze al-Quds iraniane.
Alberto Giovanni Biuso: Transizioni
Transizioni
di Alberto Giovanni Biuso
Un recente libro di Lucia Tozzi (L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane, Cronopio, Napoli 2023) analizza Milano, i suoi sviluppi urbanistici e politici, mostrando come questa città sia in Italia un laboratorio che coniuga «le più aggressive politiche economiche di concentrazione della ricchezza a un ethos del riconoscimento dei diritti civili e della diversità culturale». Un laboratorio che dunque mostra la dissoluzione della ‘sinistra’ nel liberismo e la tipica tendenza di quest’ultimo a presentarsi come alfiere dei diritti nel momento stesso in cui li cancella anche attraverso il lusso, la globalizzazione, la gentrificazione, cioè l’espulsione degli abitatori di antichi quartieri per far posto ai nuovi ricchi, cosa che a Milano – città dove abito – sta accadendo sistematicamente ed è sostenuta da tutte le amministrazioni, che si autodefiniscano di ‘destra’ o ‘di sinistra’, come quella attuale.
Si tratta di un tassello significativo della tendenza propria delle oligarchie liberiste e delle multinazionali a imporre prima nelle menti e poi nelle cose una «transizione» che tocca sino in fondo le esistenze delle persone. E anche in questo caso lo fa incurante delle palesi contraddizioni che tale tendenza comporta.
Giacomo Cucignatto, Lorenzo Esposito, Matteo Gaddi, Nadia Garbellini, Joseph Halevi, Roberto Lampa, Gianmarco Oro: Profitti reali ed eresie immaginarie
Profitti reali ed eresie immaginarie
di Giacomo Cucignatto, Lorenzo Esposito, Matteo Gaddi, Nadia Garbellini, Joseph Halevi, Roberto Lampa, Gianmarco Oro
Una risposta a Problemi e contraddizioni del capitalismo negli anni del ritorno dell’inflazione di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri
Gli autori del volume L’inflazione: falsi miti e conflitto distributivo hanno risposto alla recensione di Riccardo Bellofiore e Andrea Coveri
Diamo spazio alle loro argomentazioni perché ci sembra interessante poter guardare da vicino un dibattito su temi economici spesso lasciati alla sola disputa tra esperti. Sempre più sentiamo la necessità di riflettere su proposte di politica economica che vengano però da una prospettiva di classe e in conflitto con le sfide poste dal capitalismo contemporaneo.
Premessa
Sono contro le discussioni astratte. Il marxismo ci richiama sempre al concreto
(G. Lukács, 1968)
Quando abbiamo deciso di scrivere L’inflazione. Falsi miti e conflitto distributivo il nostro obiettivo era quello di preparare il materiale didattico per un corso di formazione sull’inflazione rivolto a funzionari e delegati sindacali. In particolare, ci premeva chiarire alcuni punti di carattere generale e avanzare un’analisi dell’esplosione della dinamica dei prezzi nel 2022-2023. Scopo del corso era quello di fornire ai lavoratori e ai loro rappresentanti strumenti per rispondere concretamente al crollo dei salari reali.
Dopo le prime giornate di inizio marzo – a Milano, Mestre e Bologna – il corso è stato replicato una ventina di volte in svariati contesti territoriali, e altre “repliche” sono in preparazione.
Si è trattato di uno sforzo realmente collettivo: sebbene ciascuno di noi abbia partecipato direttamente alla stesura di uno o più capitoli, la struttura del volume e i contenuti di ogni saggio sono stati discussi e condivisi collettivamente, e dunque il contenuto di ciascun capitolo è da attribuire a ciascuno di noi.
Il nuovo radicalismo di destra secondo Adorno (e come potremmo contrastarlo)Marco Rizzo:
Il nuovo radicalismo di destra secondo Adorno (e come potremmo contrastarlo)
di Marco Rizzo
Parte I
Poco più di tre anni fa è stata tradotta ed edita per la prima volta in Italia una conferenza che Adorno tenne nel 1967 presso l’Università di Vienna, su invito dell’Unione degli studenti socialisti dell’Austria1. Oggetto della conferenza, la riemersione e la crescita elettorale in Germania del neofascismo, nella fattispecie dell’NPD (Partito Nazional Democratico di Germania), allora appena fondato. Nel momento in cui si tiene questa conferenza l’NPD è in una fase di ascesa, tale da lasciar presagire un suo possibile ingresso nel parlamento tedesco alle elezioni federali del 1969; da qui la misurata ma ferma preoccupazione che fa da filo conduttore al discorso di Adorno.
Vale la pena riprendere in mano anche oggi questo breve testo per due motivi. In primo luogo occorre evidenziare che quando Adorno identifica alcuni caratteri ricorrenti della propaganda della nuova destra, quando descrive gli strumenti di cui questa si serve per catturare le menti di alcuni ceti sociali specifici, ha il pregio di impostare l’argomento su un piano che è già direttamente volto alla lotta politica: si tratta di costruire una cassetta degli attrezzi, un insieme di pratiche di base, degli strumenti di osservazione e di analisi da cui partire e mettersi al lavoro per contrastare un pericolo che avanza. Il secondo motivo deriva conseguentemente dal primo, ed è, un poco sorprendentemente, lo stile della conferenza. A differenza della complessità concettuale e della densità di riferimenti letterari ben noti ai lettori e alle lettrici di opere come Dialettica dell’illuminismo o Minima moralia, il linguaggio a cui Adorno ricorre in questo discorso risulta invece sobrio e comunicativo. Forse a causa della presenza di un uditorio e della conseguente natura orale della trattazione, o forse a causa dell’argomento in questione, che non ammette elitarismi di sorta, il fondatore dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte ha insomma cura di far sì che i suoi spunti possano essere compresi e raccolti senza troppa difficoltà anche da un pubblico di non iniziati.
Fulvio Grimaldi: Giorni della memoria, giorni dei ricordi
Giorni della memoria, giorni dei ricordi
di Fulvio Grimaldi
Il 27 gennaio, Giorno della Memoria a Ivrea, il 28 Giorno dei Ricordi a Biella.
Chi si ricorda che i non ebrei non possono comprare o affittare terreni in Israele? Chi si ricorda che i palestinesi non possono spostarsi da una loro città all’altra senza aver ottenuto un visto da Israele? Chi si ricorda che Israele assegna l’85% dell’acqua della Palestina agli ebrei e solo il 15% ai palestinesi e che a 400 coloni israeliani a Hebron è dato l’85% dell’acqua e a 120.000 palestinesi il 15% (Israele-Palestina: 7,5 milioni palestinesi, 7 milioni immigrati ebrei). Chi si ricorda che Israele se ne è infischiato di oltre 80 risoluzioni delle Nazioni Unite contro i crimini che va commettendo? Chi si ricorda che ci sono più rifugiati palestinesi che quelli di qualsiasi altra popolazione del mondo?
Chi si ricorda che tra il 1967 e il 2002 Israele ha espropriato il 79% dei territori occupati in Gaza e Cisgiordania? Chi si ricorda che, dal 1967 a oggi, Israele ha incarcerato e spesso torturato oltre 700.000 palestinesi? Chi si ricorda che in tre mesi Israele ha ucciso più giornalisti di quanti siano morti nelle due guerre mondiali e in Vietnam? Chi si ricorda che Israele ha ucciso in tre mesi più persone e più donne e bambini, in rapporto alla popolazione e ai chilometri quadrati, di quelli uccisi in qualsiasi altra guerra?
comidad: Non è possibile autonomia differenziata senza illegalità istituzionalizzata
Non è possibile autonomia differenziata senza illegalità istituzionalizzata
di comidad
Ci sono testi di legge talmente sconclusionati da non essere assolutamente in grado di prospettare un assetto istituzionale preciso, per cui il loro vero senso va cercato oltre la lettera, cioè nei margini di abuso, e nei relativi alibi, che si aprono nello spazio tra le righe. Lo abbiamo sperimentato nel caso della famosa Legge 107, la “Buona Scuola” di Renzi; come nel caso del “superpreside”, il cui potere reale non consiste nelle procedure ma nella possibilità di fare mobbing nell’assoluta garanzia di impunità, per cui al dipendente non rimane che l’alternativa di essere vittima oppure complice. Il superpreside ricattatore, che può fare il despota nel suo feudo, risulta poi a sua volta ricattabile dal dirigente provinciale, quello che una volta si chiamava provveditore. La cosiddetta “autonomia scolastica” del ministro Berlinguer avviava la “aziendalizzazione”, cioè una gestione privatistica degli istituti scolastici e poneva le condizioni per l’ipertrofia dirigenziale che tracima nei margini di illegalità/impunità offerti dal sedicente “ordinamento”; ma la “Buona Scuola” ha rotto gli argini al dilagare dei deliri di onnipotenza e all’ebbrezza dell’impunità. La vecchia Scuola pubblica non era immune dalla corruzione, e infatti venivano derubati persino i supplenti; il punto sta nel cambio completo di ragione sociale, che non è più l’istruzione, bensì i business della formazione dei docenti, dell’alternanza Scuola-lavoro e dei gadget digitali.
Giuseppe Masala: Derisa e umiliata: come l’Europa si appresta a divenire mera merce di scambio
Derisa e umiliata: come l’Europa si appresta a divenire mera merce di scambio
di Giuseppe Masala
Ho avuto modo di leggere molte reazioni positive al mio articolo sulla fine della Nato a causa della probabile uscita degli Stati Uniti d’America dall’alleanza. Ovviamente non sono mancate le reazioni negative, peraltro ben argomentate e perciò a queste ultime vorrei rispondere.
L’idea dell’uscita degli USA dall’Alleanza Atlantica circola ormai da anni, suffragata da dichiarazioni assolutamente chiare provenienti da Trump in persona: la Nato è uno strumento inadeguato e costosissimo per gli USA e conseguentemente non più necessario. Senza contare il fatto che i paesi europei hanno approfittato dello strumento – questa è l’idea del tycoon newyorkese – per risparmiare sulle spese militari indirizzando le risorse per fare concorrenza nei mercati mondiali proprio alle aziende americane.
Una situazione che si è dimostrata insostenibile, causando a Washington un deficit di partite correnti e di bilancio mercantile enorme che sta mettendo a rischio il sistema finanziario a stelle e strisce e anche l’egemonia del dollaro nel mercato delle valute.
Emanuele Zinato: Contro la scuola e l’ università neoliberali
Contro la scuola e l’ università neoliberali
Cinque punti per un dissenso leopardiano
di Emanuele Zinato
1) Le Università propongono agli istituti scolastici dei “pacchetti per l’orientamento”: frequenti, tra gli altri, i corsi Che leader sei? e i laboratori sulle Soft Skills. I docenti delle scuole apprendono dalle circolari dei loro Dirigenti che l’istituzione universitaria dove si sono formati sulle “vecchie” discipline ora eroga competenze sulle nuove “dinamiche di leadership e di followership in un team”. Vengono così invitati a simulare in appositi “laboratori esperienziali di gruppo”, come si “orientano” le studentesse e gli studenti a “diventare dei leader”. Le stesse Università, in base al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 agosto 2023, hanno varato in fretta l’ “alta formazione” per i futuri docenti, il cui costo è a carico dei corsisti: circa duemila euro per acquistare un “pacchetto” di crediti, con lezioni atomizzate e in parte on line, in cui uno spazio non marginale sarà dato alle questioni di leadership e di skills. La giustificazione che serpeggia fra i docenti universitari meno cinici è che “se non li facciamo noi, questi corsi li faranno le università telematiche private”. I più disinibiti (i cosiddetti “docenti Alfa”) cercano di delegare queste incombenze che vanno espletate comunque perché, nella logica del monitoraggio e degli indicatori, sono computate dal “Ranking reputazionale”, il dispositivo che valuta, algoritmo su algoritmo, accanto alla produttività dei ricercatori, le terze missioni e il livello di gradimento dell’Ateneo presso i propri stakeholders.
Il Pungolo Rosso: Dossier – No alla memoria a senso unico
Dossier – No alla memoria a senso unico
di Il Pungolo Rosso
1. Introduzione
Abbiamo deciso di intervenire nel “giorno della memoria”, dominato dalla generalizzata esaltazione istituzionale del sionismo e dello stato di Israele (che è si materializzata in queste ore con lo spostamento coatto dei cortei per la Palestina previsti per sabato 27 gennaio), a modo nostro. Partendo cioè dall’indiscutibile dato storico delle multisecolari persecuzioni e discriminazioni ai danni della massa degli ebrei, per poi andare a contestare lo sfacciato abuso che di questo indiscutibile dato storico si fa per legittimare, in generale, il colonialismo sionista, e in particolare il genocidio in atto a Gaza per mano dello stato di Israele.
La storia delle persecuzioni e delle discriminazioni contro gli ebrei è lunghissima e tragica, e non si limita affatto allo sterminio operato in Europa dal nazismo. La sua partenza su larga scala coincide con l’assunzione del cristianesimo a religione di stato dell’impero romano, e in qualche caso è di poco anteriore.