Mario Tronti: L’attualità della rivoluzione. Il Lenin del giovane Lukács

Rassegna del 07/02/2024

 

Mario Tronti: L’attualità della rivoluzione. Il Lenin del giovane Lukács

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L’attualità della rivoluzione. Il Lenin del giovane Lukács

di Mario Tronti

A cent’anni dalla morte del grande rivoluzionario, un estratto di un testo inedito di Mario Tronti sul Lenin del giovane Lukács. Il saggio completo farà parte di «Che fare con Lenin? Appunti sull’attualità della rivoluzione», a cura di Andrea Rinaldi, con contributi di Guido Carpi, Rita di Leo, Maurizio Lazzarato, Damiano Palano, Gigi Roggero, di prossima pubblicazione per DeriveApprodi.

«Il politico è portato a proseguire sulla stessa strada che ha dato il via alla rivoluzione; il teorico della politica è capace di vedere la necessità di passare a una fase ulteriore, che in qualche misura smentisce anche i presupposti della Rivoluzione stessa».

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Il primo capitolo di Lenin. Teoria e prassi nella personalità del rivoluzionario porta il titolo «L’attualità della rivoluzione».

Quali sono gli elementi per cui una rivoluzione operaia di stampo marxista si può considerare attuale? Ci sono due condizioni che si devono incontrare, ma storicamente succede molto raramente: una crisi di sistema di fondo, che non si può più gestire, che non si può più risolvere, quindi un dato oggettivo che favorisce evidentemente l’iniziativa rivoluzionaria; una soggettività rivoluzionaria già pronta, che sta lì, già organizzata, pronta a cogliere il momento e portare a termine l’evento rivoluzionario. Quella di Lukács era l’epoca in cui queste due condizioni si erano incontrate proprio in Russia, paese sconfitto nella Seconda guerra mondiale e allo sbando, tra guerra e miseria. Lì era presente un nucleo bolscevico, un’organizzazione che aveva già attraversato un momento rivoluzionario – dal carattere cosiddetto «democratico», non ancora socialista – nel 1905, che vede l’occasione di sfruttare questa situazione di crisi.

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Alessandro Mantovani: Cosa attendersi da Hamas

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Cosa attendersi da Hamas1

di Alessandro Mantovani

823023052Le voci di un imminente cessate il fuoco a Gaza e di uno scambio di prigionieri-ostaggi fra Hamas e Israele si rincorrono da giorni2 e, con le dichiarazioni di Londra e Washington di un possibile riconoscimento dello Stato palestinese, non si può escludere una prossima fine delle operazioni militari. Cosa avverrà dopo? Una parte di questa risposta si trova nella natura e nella storia dell’organizzazione che più delle altre ha lasciato il suo segno sullo storico attacco a Israele del 7 ottobre 2023: Hamas, che in arabo significa “zelo”, ed è l’acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya (“Movimento di resistenza islamica”).

 

I Fratelli musulmani

Nel 1928 in Egitto, allora sotto mandato britannico, nasce un movimento islamista chiamato Fratellanza musulmana. Fondatore Hassan Al-Banna, il quale predica un ritorno all’Islam originario, non conseguibile senza fine del dominio straniero. Il rigorismo dei Fratelli musulmani respinge tanto il conservatorismo delle gerarchie quanto la secolarizzazione sul modello occidentale (per Al-Banna l’Islam contiene in sé la dimensione politica).

Inizialmente i “Fratelli” si limitano al terreno religioso e culturale. Presto Al-Banna realizza che per il suo progetto è necessario permeare la società. Si rivolge allora agli ulema, ai capi delle confraternite religiose, ai notabili, ai funzionari dello Stato, ma anche agli studenti, ai contadini, ai lavoratori. Mano mano che la “Fratellanza” cresce, e cresce rapidamente (siamo negli anni ‘20 del secolo scorso e l’Egitto è in ebollizione), essa non solo penetra nelle istituzioni caritative e di assistenza, bensì ne fonda e sviluppa una rete capillare. Prassi che diventerà il suo marchio distintivo. Dalla metà degli anni ‘30, pur non costituendo un partito, i Fratelli entrano anche nell’agone politico.

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Giacomo Gabellini: La “cronicizzazione” del conflitto russo-ucraino e il futuro della Nato

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La “cronicizzazione” del conflitto russo-ucraino e il futuro della Nato

di Giacomo Gabellini

Nei giorni scorsi, il «Financial Times» ha affermato, basandosi su quanto rivelato da quattro fonti interne al governo ucraino, che il presidente Volodymyr Zelens’kyj era sul punto di sollevare dall’incarico il Capo di Stato Maggiore Valerij Zalužny.

Nello specifico, Zelens’kyj avrebbe proposto al generale il ruolo di suo consigliere militare, mettendo tuttavia in chiaro che, a prescindere dalla sua risposta, la posizione al vertice delle forze armate ucraine sarebbe stata affidata a qualcun altro. Zalužny avrebbe comunque rifiutato. Le confidenze raccolte dall’autorevole quotidiano britannico hanno inoltre precisato che la decisione non avrebbe necessariamente trovato immediata applicazione, anche a causa dei “tempi tecnici” necessari a individuare un sostituto all’altezza. I due candidati più accreditati rientrerebbero entrambi nella cerchia ristretta di Zelens’kyj, vale a dire Oleksandr Syrs’kyj, comandante delle forze di terra ucraine, e Kyrylo Budanov, a capo della direzione dell’intelligence militare.

La notizia dell’aut-aut sottoposto dal presidente ucraino al Capo di Stato Maggiore fa seguito a mesi di speculazioni in merito al deterioramento dei rapporti intercorrenti tra i due, alimentate dalla reciproca ostilità che è andata montando quantomeno dal fallimento della controffensiva ucraina sferrata nella tarda primavera del 2023.

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Carla Gagliardini: La ICJ non si pronuncia per il cessate il fuoco a Gaza

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La ICJ non si pronuncia per il cessate il fuoco a Gaza

di Carla Gagliardini

Nessun cessate il fuoco. Gaza può aspettare”, sembra aver pronunciato, venerdì scorso, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sulla richiesta presentata dal Sudafrica (1) a fine dicembre che, oltre a richiedere alla ICJ di riconoscere che Israele sta commettendo il crimine di genocidio nei confronti dei palestinesi di Gaza, sollecitava alla Corte di emanare misure cautelari urgenti per fermarlo.

La ICJ, la cui giurisdizione è stata contestata da Israele, ritenendola di conseguenza incompetente a decidere nel merito, ha dovuto prima esprimersi su tale punto.

La Corte ha risposto di avere giurisdizione, ha quindi accolto la richiesta e porterà avanti il procedimento per giudicare se Israele sia colpevole oppure no di tale crimine.

Rispetto alla questione delle misure cautelari, l’articolo 41.1. dello Statuto della ICJ sancisce che:

La Corte ha potere di indicare, ove ritenga che le circostanze lo richiedano, le misure cautelari che debbono essere prese a salvaguardia dei diritti rispettivi di ciascuna parte”.

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Turi Comito: L’aggeggio

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L’aggeggio

di Turi Comito

Chip nel cervello? È incredibile come questi stravolgimenti scientifici non tengano in alcun modo “banco” nella discussione politica pubblica (e privata). Come siano largamente ignorati e relegati quasi ad argomenti di costume, di chiacchiericcio

Come sempre, ogni volta che ci imbattiamo in notizie che mettono a dura prova la nostra idea di mondo nei suoi fondamenti più basilari, istintivamente o razionalmente ci si schiera. O si è entusiasti o si è preoccupati. Molte volte, anche, si resta indifferenti. E anche quello è schierarsi.

Sta accadendo così con la notizia che Neuralink, una delle futuristiche società di Elon Musk, ha impiantato nel cervello di un essere umano con gravi handicap fisici un aggeggio che gli consente di usare il “pensiero” per interagire con un pc e altri dispositivi elettronici atti a ridurre questi handicap.

Gli indifferenti non hanno intenzione di occuparsi della questione. Gli entusiasti toccano il cielo con un dito perché questo è solo l’inizio di un’altra (l’ennesima) rivoluzione che migliorerà la vita di moltissime persone affette da mille problemi fisici e mentali. I preoccupati vogliono mettere subito mano alla legge perché temono che queste innovazioni vadano a finire in mani sbagliate e possano danneggiare individui e collettività.

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Sergio Fontegher Bologna: 2023: un anno di scioperi USA

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2023: un anno di scioperi USA

di Sergio Fontegher Bologna

Questo articolo di “Labor Notes” ripreso da “In These Times” traccia un bilancio degli scioperi che si sono succeduti negli Stati Uniti nel 2023. Per questo va letto e rilanciato

Il bilancio è assai positivo: gli scioperi ufficialmente registrati (cioè con più di 1.000 scioperanti) sono stati il doppio e hanno coinvolto un numero di lavoratori doppio rispetto al 2022. Ma gli scioperi più piccoli, di cui si ha notizia solo localmente o spulciando le pagine interne dei giornali, sono molto più numerosi.

L’articolo merita di essere letto anche perché offre una spiegazione dell’aria nuova che tira nel movimento operaio americano. Questa andrebbe cercata a) nella ripresa delle rivendicazioni dopo la mazzata della pandemia sul mondo del lavoro e b) nel netto cambiamento di leadership all’interno del sindacato, con la sconfitta di dirigenze corrotte e colluse con i padroni e la vittoria, seppure per un pugno di voti nel caso della UAW, di leader combattivi come Shawn Fain.

“No Concessions, no Corruption, no Tiers”, è stato uno degli slogan che hanno permesso ai reformer di vincere. Ancora una volta un ruolo importante sarebbe stato svolto dai Teamsters.

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Fulvio Grimaldi: Come ti educo il pupo… E’ LA STAMPA, BELLEZZA!

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Come ti educo il pupo… E’ LA STAMPA, BELLEZZA!

di Fulvio Grimaldi

Ieri a S-Marinella, con “Araba Fenice il tuo nome è Gaza”, per la Palestina, con un sacco di brava gente. 

Byoblu (canale 262), MONDOCANE 3/12, in onda domenica 21.30 e, salvo modifiche,  lunedì 9.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 09.00.

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Genocidi

In Francia ogni due giorni si suicida un agricoltore, A Gaza ogni 8 minuti viene ammazzato un bambino e, quanto ai genitori, siamo a 20.000 orfani, e 27.000 assassinati con non si sa quanti morti o agonizzanti sotto le macerie. Intanto gli Stati civili della Comunità Internazionale (leggi NATO, il 17 % dell’umanità) taglia gli aiuti ONU ai moribondi di Gaza, Cisgiordania e ai 5 milioni nei campi profughi, mentre israeliani dello Stato Sionista,  l’unico democratico della regione, bloccano gli aiuti ai valichi tra Israele e Gaza.

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Gianmarco Pisa: Cento volte Lenin

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Cento volte Lenin

di Gianmarco Pisa

Il contributo di Lenin, nella storia del movimento operaio e democratico, in tutta la sua profondità e attualità

leninnhygb.jpgMovimenti democratici, lotte partigiane, resistenze antifasciste e antiautoritarie, lotte di liberazione dei popoli, scalate al cielo rivoluzionarie, tutte devono qualcosa a Lenin, ai contenuti dei suoi scritti, alle iniziative della sua direzione politica, alle realizzazioni dell’esperienza sovietica.

Tra i più grandi, se non il più grande, dei prosecutori e innovatori del pensiero dei fondatori, Karl Marx e Friedrich Engels, Lenin (Vladimir Il’ič Ul’janov: Simbirsk, 1870 – Gorki, Mosca, 1924) ha fornito un impulso formidabile, essenziale, allo sviluppo del marxismo e, in generale, del pensiero e della prassi del movimento operaio, e ha rappresentato un’ispirazione luminosa, prospettica, per generazioni di comunisti, partigiani, rivoluzionari, per l’oggi e per il domani, letteralmente ai quattro angoli del pianeta.

Organizzatore della frazione bolscevica in seno al marxismo russo; principale protagonista dell’Ottobre rosso, la vittoriosa rivoluzione d’Ottobre del 1917; capo del primo governo della Russia sovietica, il primo compiuto Stato socialista della storia, e poi, dal 1922, dell’Unione sovietica; teorico e costruttore della democrazia consiliare attraverso il sistema dei Soviet, della programmazione economica, della Nuova Politica Economica, delle grandi conquiste sociali da lui inaugurate e quindi proseguite dalla successiva direzione politica dell’Unione sovietica; e ancora, ispiratore della moderna teoria dell’imperialismo e teorico del moderno diritto dei popoli all’autodeterminazione, è impossibile sintetizzare grandezza e attualità del contributo di Lenin, sul piano politico e filosofico, alla storia e al pensiero del movimento operaio.

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Antonio Mazzeo: La NATO guida il riarmo globale tra cyberwar e tecnologie quantistiche

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La NATO guida il riarmo globale tra cyberwar e tecnologie quantistiche

di Antonio Mazzeo

standard compressed Seasparrow 1200x640.jpgAlea iacta est. Il dado è tratto. Ciò che disse Cesare prima di varcare il Rubicone e iniziare la guerra contro Pompeo, lo hanno ripetuto duemila anni dopo i Capi di Stato maggiore della difesa dei 31 paesi membri della NATO più la new entry di Svezia. Solo che stavolta sarà guerra totale e in ogni angolo del pianeta, prima contro Mosca e poi contro Pechino. E se sarà necessario, generali e ammiragli si dichiarano pronti a usare le più sofisticate tecnologie di distruzione di massa.

Il 17 e 18 febbraio i vertici delle forze armate dell’Alleanza si sono dati appuntamento a Bruxelles per il Military Committee NATO: all’ordine del giorno come accelerare il processo di trasformazione delle strategie e delle “capacità di combattimento” e come garantire l’implementazione immediata dei nuovi “piani di difesa” approvati al summit di Vilnius della scorsa estate. È in atto una spasmodica corsa verso il riarmo globale e la NATO si candida a divenire il motore della ricerca e dello sviluppo delle tecnologie di morte, possibilmente in partnership con le grandi holding del complesso militare-industriale e con un ampio numero di attori della società “civile” (università, centri di ricerca, start up, agenzie spaziali nazionali e internazionali, ecc.).

“Le regole su cui si basa l’ordine internazionale sono sotto un’immensa pressione”, ha esordito il vicesegretario generale della NATO, Mircea Geoană, all’apertura della sessione di lavoro del Military Committee dedicata alle “priorità della deterrenza”. Geoană è pure ricorso al minaccioso frasario dei tempi più bui della Guerra fredda, condendolo con suggestivi accenni geologici. “Le placche tettoniche del potere stanno cambiando”, ha enfatizzato il vicesegretario NATO.

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Salvatore Bravo: Adam Smith a Pechino

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Adam Smith a Pechino

di Salvatore Bravo

ascesa cinese ott.pngIl comunismo nella formula cinese è nell’Occidente motivo di discussione. Non pochi comunisti ritengono che in Cina il montante capitalismo del dragone sia soltanto mera apparenza, in quanto lo Stato cinese usa e incentiva gli appetiti borghesi e capitalistici per sollecitare la produzione e risolvere la piaga della povertà. I risultati sono strabilianti, la Cina è oggi avviata a superare gli Stati Uniti nella produzione ed è concorrente temibile in campo tecnologico, funge da katechon all’onnipotenza a stelle e strisce.

Nel testo di Arrigo Giovanni Adam Smith a Pechino, l’autore dimostra che la via cinese al comunismo passa attraverso la formula smithiana. Adam Smith con la sua “La ricchezza delle nazioni” è spesso citato, ma nei fatti pochi sono i lettori del testo di Adam Smith. Due sono gli obiettivi che si desumono dal saggio di Arrigo: rimuovere i pregiudizi su Adam Smith e dimostrare come la via cinese verso il benessere collettivo passi attraverso il mercato efficacemente controllato e non certo dal pensiero marxista e marxiano.

Adam Smith non è stato il fautore dell’autoregolamentazione del mercato, ma dello Stato forte che regola il mercato. La Cina applica la formula smithiana inconsapevolmente. Il mercato in Cina è solo un mezzo, i capitalisti e la borghesia sono al servizio del benessere collettivo. Non vi sono monopoli, ma capitalisti in competizione, per cui la Cina comunista risulta essere più liberale nei principi degli Stati che si dichiarano baluardo del sistema liberale e liberista:

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Seraj Assi: Rappresaglia contro l’Unrwa

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Rappresaglia contro l’Unrwa

di Seraj Assi

I paesi occidentali hanno sospeso i finanziamenti all’Agenzia dell’Onu che si occupa di rifugiati in Palestina. È una scelta che suona come una vendetta dopo il recente pronunciamento della Corte internazionale di giustizia

Appena un giorno dopo che la Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di fermare l’uccisione di civili a Gaza – ritenendo plausibile l’accusa secondo cui il paese potrebbe violare la Convenzione sul genocidio – i paesi occidentali, guidati dagli Stati uniti, hanno sospeso i finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi, meglio conosciuta come Unrwa.

È stata una mossa sorprendentemente vendicativa, uno sfrontato atto di punizione collettiva nel contesto della carestia a Gaza, dove più di due milioni di persone dipendono dall’Unrwa per la sopravvivenza di base. L’Unrwa gestisce rifugi per oltre un milione di persone, fornendo cibo e assistenza sanitaria di base ai palestinesi sfollati. Circa tremila membri dello staff, la maggior parte dei quali rifugiati palestinesi, continuano a operare a Gaza sotto gli incessanti bombardamenti israeliani (Almeno 156 lavoratori dell’Unrwa sono stati uccisi da Israele negli ultimi tre mesi, e Israele ha anche bombardato innumerevoli rifugi e scuole dell’Unrwa, uccidendo migliaia di civili sfollati).

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comidad: Israele è una proiezione della cleptocrazia statunitense

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Israele è una proiezione della cleptocrazia statunitense

di comidad

Fanpage è una testata giornalistica online che può essere considerata la Radio Maria della religione del politicamente corretto. Nella scorsa settimana Fanpage si è occupato del modo in cui le comunità ebraiche hanno affrontato mediaticamente la questione del confronto tra la Giornata della Memoria dell’Olocausto con quanto sta avvenendo a Gaza per opera delle bombe sganciate da Israele e pagate dal contribuente americano. Fanpage ci fa sapere che criticare quei massacri commessi da Israele a Gaza non è antisemitismo, quindi non si fa peccato contro il politicamente corretto; cosa che ci permetterà finalmente di dormire la notte. Ma forse quando si parla di Israele, “quella” Giornata della Memoria c’entra poco o nulla, mentre sarebbe il caso di coltivare la memoria di tutti i soldi statunitensi che mantengono artificiosamente gonfia una bolla sionista che da sola si affloscerebbe all’istante.

Per tutto il suo mandato Barack Obama è stato considerato uno dei presidenti statunitensi più critici nei confronti di Israele, perciò nel 2016, quando stava proprio lì per lasciare la Casa Bianca, il poverino pensò bene di redimersi e decise di riscattarsi da quella brutta fama.

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Nico Maccentelli: Strangelove a Fort Alamo

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Strangelove a Fort Alamo

di Nico Maccentelli

In questi giorni mi viene in mente il ritornello del soundtrack finale di Strangelove di Stanley Kubrick, quando il capitano cowboy si lancia dal B52 a cavallo della bomba atomica.

Mai titolo fu più calzante di questo lp sui film di guerra americani: “Hollywood goes to war” e Kubrick lo sapeva bene. Lo sappiamo pure noi che su un film di fiction abbiamo subìto l’attacco dei war boys american and ucrainian per Il Testimone (1), un film di fiction. Solo il grande ufficio stampa del sogno americano che è la guerra dei “buoni” è depositario della narrazione unica: da “Patton”, “Il grande uno rosso” a “Salvate il soldato Ryan”, passnado per “Rambo” nei suoi molteplici sequel.

Il resto è censura o, una volta storicizzata una vicenda, roba da cinema d’essai. Ma torniamo al ritornello che mi ronza in testa, perché un motivo, e non è solo musicale, c’è: ed è la Seconda Guerra Civile Americana alle porte, con il Texas che sfida lo Stato Federale e 25 stati in mano ai repubblicani che lo appoggiano. E già Nord Carolina, Oklahoma e Florida sono in procinto di inviare la propria guardia nazionale in appoggio a quella texana (2).

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Giuseppe Sapienza: L’obsolescenza programmata dell’uomo

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L’obsolescenza programmata dell’uomo

di Giuseppe Sapienza

All’inizio del dopoguerra, un gruppo di grandi produttori di lampadine si unì per formare il cartello Phoebus, con l’obiettivo di standardizzare e controllare la produzione e la distribuzione delle lampadine a incandescenza. Il cartello stabilì un accordo per ridurre la durata media delle lampadine a incandescenza da circa 2.500 ore a sole 1.000 ore.

Progettando le lampadine in modo che si guastassero più rapidamente, i produttori potevano garantire un maggiore turnover delle vendite.

Alfred P. Sloan Jr., un dirigente della General Motors, propose di introdurre modifiche annuali al design per incoraggiare i proprietari di veicoli ad acquistare nuovi ricambi ogni anno. Nonostante si fosse ispirato al settore delle biciclette, e avesse coniato il termine di “obsolescenza dinamica”, l’origine del termine ‘obsolescenza programmata’ veniva attribuita a Sloan, con intenti detrattivi. Nel 1932 l’economista Bernard London propose il concetto di obsolescenza programmata come una potenziale soluzione alle difficoltà economiche durante la Grande Depressione.

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