Rassegna del 09/02/2024
Francesco Schettino: Le radici valutarie del conflitto in Ucraina
Le radici valutarie del conflitto in Ucraina
di Francesco Schettino (Università della Campania L. Vanvitelli, Napoli/Caserta)
1. L’ultima grande crisi e la conflittualità valutaria
Anche il più grande sostenitore delle logiche dell’attuale modo di produzione, se mosso da onestà, non potrebbe negare che da almeno 25 anni il capitale mondiale, nella sua interezza, versa in uno stato di difficoltà, come mostrato dalla Figura 1, seguendo una tendenza ribassista già emersa almeno dalla fine degli anni sessanta, come avremo modo di spiegare più avanti.
Il denominatore comune di questa tendenza di medio-lungo periodo può essere individuato nell’eccesso patologico di sovrapproduzione1 che impedisce a tutto il valore prodotto di essere collocato adeguatamente o, in altre parole al plusvalore complessivo di tradursi in profitto a causa della limitatezza del mercato mondiale e della domanda pagante in grado di assorbire tale sistematico eccesso. In questo capitolo tenteremo di focalizzare il nostro campo di indagine sulle evoluzioni del ritmo di accumulazione delle ultime due decadi, ossia a partire dal biennio 2007/2008, periodo ricordato da molti come quello della “crisi finanziaria”. Già l’adozione diffusa di questa limitativa definizione, ormai ampiamente acquisita e sussunta, descrive adeguatamente la natura e l’entità del tentativo di nascondere le vere peculiarità della crisi emersa nel 2008 come epifenomeno di un problema che, come abbiamo già iniziato a vedere è più antico ed endemico al sistema.
Thomas Fazi: La Germania in crisi è il futuro dell’Europa
La Germania in crisi è il futuro dell’Europa
di Thomas Fazi
Le proteste degli agricoltori hanno messo in luce la debolezza di Berlino
Per gran parte dell’era Merkel, la Germania è stata un’isola di stabilità economica e politica in mezzo alle acque perennemente tempestose dell’Europa. Quei giorni, tuttavia, sembrano un lontano ricordo. L’Europa è ancora in crisi, ma ora la Germania ne è l’epicentro. È ancora una volta il malato d’Europa.
Le manifestazioni antigovernative sono rare in Germania. Così, quando a metà dicembre centinaia di agricoltori arrabbiati e i loro trattori sono scesi a Berlino per protestare contro il previsto taglio dei sussidi per il gasolio e delle agevolazioni fiscali per i veicoli agricoli nell’ambito di una nuova ondata di misure di austerità, è stato chiaro che c’era qualcosa in ballo. Il governo, evidentemente preoccupato, ha fatto immediatamente marcia indietro, annunciando che lo sconto sarebbe rimasto in vigore e che le sovvenzioni per il diesel sarebbero state eliminate gradualmente nell’arco di diversi anni, invece di essere abolite immediatamente. Gli agricoltori, tuttavia, hanno detto che non era abbastanza e hanno minacciato di intensificare le proteste a meno che il governo non si riservasse completamente i suoi piani.
E sono stati di parola: nelle settimane successive, migliaia di agricoltori hanno inscenato proteste di massa, non solo a Berlino ma in diverse città, bloccando persino le arterie autostradali e portando di fatto il Paese alla paralisi. Il governo, a sua volta, ha fatto ricorso a uno dei trucchi più vecchi ed efficaci del manuale politico: affermare che dietro le proteste c’era l’estrema destra, nel tentativo di delegittimare gli agricoltori e spaventare la gente. Ma questa volta non ha funzionato. Le proteste non solo sono continuate, ma sono cresciute e hanno attirato anche lavoratori di altri settori — pesca, logistica, ospitalità, trasporto su strada, supermercati — e comuni cittadini.
Micaela Frulli: Il primo giudice a Gaza
Il primo giudice a Gaza
di Micaela Frulli
Con una storica ordinanza la CIG obbliga Israele a prendere tutte le misure necessarie per evitare un genocidio. Sebbene poco vincolante la decisione può innescare azioni politiche in sede ONU e dei singoli Stati, in attesa della sentenza definitiva
La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) con sede all’Aja è il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite, con competenza a dirimere le controversie tra Stati. Si tratta di un organo che fa parte delle Nazioni Unite, lo Statuto della CIG è allegato alla Carta dell’ONU e gli Stati lo sottoscrivono nel momento in cui aderiscono all’organizzazione, pur non accettando automaticamente la giurisdizione della Corte per ogni controversia che li riguarda. Il collegio è composto da 15 giudici, in rappresentanza di tutte le principali aree geografiche e culture giuridiche, che vengono eletti dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Le sentenze e le ordinanze emesse dalla CIG sono vincolanti per le parti in causa. È importante distinguere la CIG da un altro importante tribunale internazionale con sede all’Aja, la Corte penale internazionale, che esercita la propria giurisdizione nei confronti degli individui sospettati di avere compiuto crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e aggressione.
È proprio di fronte alla CIG che il 29 dicembre 2023 il Sudafrica ha citato in giudizio lo Stato di Israele per una serie di atti compiuti nel contesto delle operazioni militari condotte nella striscia di Gaza a seguito degli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023: tali atti infatti sono contestati come potenziali violazioni della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948. Nella storia della CIG, ci sono state altre controversie tra Stati relativamente alla violazione della Convenzione sul genocidio. Due di questi casi sono ancora pendenti (Gambia c. Myanmar e Ucraina c. Russia) mentre, tra i casi meno recenti, il più importante è sicuramente quello che ha visto contrapposte la Bosnia-Erzegovina e la Serbia (all’epoca Serbia-Montenegro), nel quale la CIG nel 2007 ha condannato la Serbia per mancata prevenzione del genocidio di Srebrenica.
Francesco Cappello: L’Italia riconosca lo Stato di Palestina
L’Italia riconosca lo Stato di Palestina
di Francesco Cappello
Un invito a Mattarella a farsi promotore del riconoscimento bilaterale dello stato di Palestina e di annullare qualsiasi cooperazione militare in atto e futura con lo stato di Israele per tentare di evitare che l’Italia sia individuabile quale stato complice, a livello internazionale, nella commissione di genocidio a danno del popolo palestinese. La Palestina nel corso del tempo ha funzionato da Poligono di tiro dove provare e sperimentare armi di nuova concezione concepite grazie alla cooperazione italo israeliana codificata nella legge 94 del 2005
Il 29 novembre 1947 le Nazioni Unite, con la risoluzione 181, decisero la suddivisione della terra di Palestina in due Stati. Lo Stato di Israele esiste dal maggio del 1948; quello di Palestina non è mai esistito come Stato sovrano. Da sempre, l’espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati nel 1967, la confisca di terre di privati palestinesi, la distruzione di case e strutture civili e produttive e di tutti quei beni essenziali alla vita, sacrificati alla predazione quotidiana che Israele ha praticato a danno del popolo palestinese, hanno reso impraticabile il progetto di “due Stati per due popoli“, sancito diplomaticamente con il trattato di Oslo del 1993 quando era in carica il primo ministro, Yitzhak Rabin. Viceversa i 30 anni di impegno politico di Netanyahu, sono stati focalizzati nell’opposizione alla nascita di uno Stato palestinese.
coniarerivolta: Controllo dei prezzi: per cosa e per chi?
Controllo dei prezzi: per cosa e per chi?
di coniarerivolta
Un anno fa parlavamo, sempre su queste frequenze, del controllo pubblico dei prezzi. Si tratta di un potentissimo strumento che uno Stato ha a disposizione e che dovrebbe utilizzare per difendere il potere d’acquisto di lavoratori e lavoratrici, compromesso in questi ultimi anni da ritorno dell’inflazione.
Come sappiamo, infatti, le grandi imprese hanno prontamente approfittato della crisi per difendere, se non aumentare, i propri margini di profitto, scaricando sulle famiglie il costo dell’ennesimo crack economico, iniziato con la pandemia e protrattosi con la guerra.
L’ultima novità in tal senso è che anche una parte consistente delle grandi aziende europee ha iniziato a richiedere a gran voce l’introduzione di prezzi energetici amministrati, al fine di tutelare la competitività europea a livello internazionale. L’esempio più esplicito in tal senso ci è stato fornito dalle richieste presentate da European Round Table for industry (ERT) – un’associazione datoriale che include alcuni tra i più grandi gruppi industriali europei – a Mario Draghi, in un incontro orientato alla stesura del rapporto sulla competitività che l’ex presidente del Consiglio sta preparando su mandato della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Gianfranco Cordì: L’egemonia monca di Giorgia Meloni
L’egemonia monca di Giorgia Meloni
di Gianfranco Cordì*
Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo il seguente, denso, articolo, che apre un dibattito sul pensiero che oggi va maturando la destra italiana sul concetto di egemonia
Intanto: quello di “egemonia” non è un concetto gramsciano. È addirittura imbevuto di zarismo. Siamo alla fine dell’Ottocento e i marxisti russi si erano posti un interrogativo: politica o economia? Per combattere lo zar, ne conclusero, era necessaria la lotta “politica” (e quindi “culturale”) che la classe operaia avrebbe dovuto combattere sul terreno dell’”egemonia” rispetto alle altre classi sociali. Insomma: supremazia della cultura e supremazia del “proletariato”. Quest’ultimo soggetto politico avrebbe dovuto esercitare una doppia “preminenza”: a livello simbolico e, anche, a livello sociale. Cultura e società, oltre che essere il titolo dei Saggi di teoria critica (1933-165) pubblicati da Herbert Marcuse nel 1969, era anche, nel caso in questione, l’esatta ripartizione dell’impegno dell’“egemonia” negli ambiti della sociologia e della politica, evocando, in una parola, la questione dell’“egemonia intellettuale”.
Pasquale Vecchiarelli: La flessibilità del lavoro nel modello toyotista
La flessibilità del lavoro nel modello toyotista*
di Pasquale Vecchiarelli
Diversi studi confermano l’impatto psicosociale della precarietà del lavoro in particolare sulla salute mentale
La “flessibilità” del mercato del lavoro -termine quanto mai ambiguo usato per nascondere quello più appropriato di precarietà- è divenuta sempre più la norma nell’attuale modello di sfruttamento della forza lavoro organizzata secondo i principi, caratteristici del neoliberismo, del toyotismo elaborati a partire dal secondo dopoguerra.
Tali principi hanno come obiettivo principale quello di superare i limiti del fordismo nel quadro di un più elevato sfruttamento della forza lavoro, sempre più necessario per far fronte alla tendenziale caduta del saggio di profitto. Uno degli aspetti principali caratteristici del toyotismo è infatti quello di aumentare notevolmente lo sfruttamento della forza lavoro aumentando i ritmi e l’orario di lavoro ma per far ciò diviene indispensabile dividere i lavoratori e annichilire i sindacati. Il genio del male giapponese che ha ideato per primo i principi toyotisti – ingegnere della famosa casa automobilistica nipponica- immaginava che l’impresa del futuro dovesse avere la struttura di una “costellazione” al centro della quale doveva brillare la stella più grande, cioè l’impresa più forte, e intorno a essa dovesse ruotare un pulviscolo di piccole e medie imprese, in concorrenza spietata tra loro, con l’obiettivo di proporsi alla stella centrale per offrire servizi e semilavorati ricchissimi di plusvalore cioè realizzati con un altissimo tasso di sfruttamento.
Chris Hedges: Il silenzio dei dannati
Il silenzio dei dannati
di Chris Hedges – The Chris Hedges Report
Le nostre principali istituzioni umanitarie e civili, comprese le più importanti istituzioni mediche, si rifiutano di denunciare il genocidio di Israele a Gaza. Questo smaschera la loro ipocrisia e complicità
A Gaza non c’è più un sistema sanitario efficace. I neonati muoiono. Ai bambini vengono amputati gli arti senza anestesia. Migliaia di malati di cancro e di persone che hanno bisogno di dialisi non vengono curati. L’ultimo ospedale oncologico di Gaza ha cessato di funzionare. Si stima che 50.000 donne incinte non abbiano un luogo sicuro dove partorire. Vengono sottoposte a parti cesarei senza anestesia. I tassi di aborto spontaneo sono aumentati del 300% dall’inizio dell’assalto israeliano. I feriti muoiono dissanguati. Non ci sono servizi igienici né acqua pulita. Gli ospedali sono stati bombardati e bombardati. L’ospedale Nasser, uno degli ultimi funzionanti a Gaza, è “prossimo al collasso“. Le cliniche e le ambulanze – 79 a Gaza e oltre 212 in Cisgiordania – sono state distrutte. Sono stati uccisi circa 400 medici, infermieri, operatori sanitari e operatori sanitari – più del totale di tutti gli operatori sanitari uccisi nei conflitti di tutto il mondo messi insieme dal 2016. Altri 100 sono stati detenuti, interrogati, picchiati e torturati o sono scomparsi ad opera dei soldati israeliani.
I soldati israeliani entrano abitualmente negli ospedali per effettuare evacuazioni forzate – mercoledì le truppe sono entrate nell’ospedale al-Amal di Khan Younis e hanno chiesto ai medici e ai palestinesi sfollati di andarsene – e per rastrellare i detenuti, compresi i feriti, i malati e il personale medico. Martedì, travestiti da operatori ospedalieri e civili, i soldati israeliani sono entrati nell’ospedale Ibn Sina di Jenin, in Cisgiordania, e hanno assassinato tre palestinesi mentre dormivano.
I tagli ai finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) – punizione collettiva per il preteso coinvolgimento nell’attacco del 7 ottobre di 12 dei 13.000 operatori dell’UNRWA – accelereranno l’orrore, trasformando gli attacchi, la fame, la mancanza di assistenza sanitaria e la diffusione di malattie infettive a Gaza in un’ondata di morte.
Diego Viarengo: La macchina della dipendenza
La macchina della dipendenza
di Diego Viarengo
Lo smartphone è stato progettato per rubarci l’attenzione, e il tempo: esiste un modo per disintossicarsi?
“You don’t get cured”. In una battuta di The West Wing, scritta da Aaron Sorkin, c’è una lezione sulle dipendenze. Leo è il capo gabinetto del Presidente degli Stati Uniti, il personaggio che risolve problemi: affronta crisi di stato con incrollabile senso di giustizia, prima di fare colazione segnala al New York Times un errore nelle parole crociate e – in segreto – partecipa alle riunioni degli alcolisti anonimi. La cura non c’è. Le persone dipendenti sono in trattativa perenne con l’oggetto della loro dipendenza. Non si guarisce. Ci sono periodi di astinenza più o meno lunghi. È la situazione in cui ci troviamo con il nostro smartphone.
Scrive Juan Carlos De Martin nel libro-manifesto Contro lo smartphone (add, 2023): “lo smartphone è una macchina che è stata esplicitamente progettata, anche con l’apporto di neuroscienziati e di psicologi, per creare dipendenza”. Nel 2014 l’iPhone era più redditizio delle sigarette Marlboro, un prodotto incessantemente pubblicizzato che contiene una sostanza in grado di dare assuefazione fisica. Le applicazioni dello smartphone sono costruite per non essere abbandonate e, a differenza delle sostanze, si adattano alle modalità d’uso creando un percorso di rafforzamento basato sulle abitudini individuali, osserva lo psicologo Matthias Brand su Science, in un articolo sulla dipendenza da internet. Siamo dipendenti dal telefono e non c’è cura, solo periodi più o meno lunghi di astinenza.
Torno nelle aule in cui seguivo le lezioni all’università con più curiosità che nostalgia: sto andando al Laboratorio di disconnessione digitale, primo piano, aula 22, Palazzo Nuovo, Torino. È la terza sessione del seminario, si discutono le regole dell’esperimento di auto-etnografia condotto da Simone Natale, professore di storia e teoria dei media oltre che autore di Macchine ingannevoli (Einaudi, 2022).
Algamica: I kulaki di ieri e la tosse dei contadini di oggi
I kulaki di ieri e la tosse dei contadini di oggi
di Algamica*
Il giornale la Repubblica del 3 febbraio in un articolo di Massimo Giannini dedicato alla generalizzata e composita rivolta dei contadini europei titolava «le proteste degli agricoltori: il doppio schiaffo dei nuovi kulaki». L’uso spregiudicato del termine “kulako” per definire l’agricoltore in sommossa di questi giorni è suggestivo. Sappiamo che il termine origina dal “turco-tataro” e che divenne comune nel gergo popolare tra i russi delle campagne nel suo senso figurato di “arraffatore”. Questo sostantivo andò poi a definire quello strato sociale delle campagne che risultò dalla riforma agraria del 1906 nella Russia zarista e che prevedeva l’assegnazione delle terre ai contadini attraverso il pagamento in denaro. Un passaggio che si rendeva necessario per velocizzare l’accumulazione nella estesa campagna russa, che per una serie di circostanze storiche materiali arrivò in ritardo a sviluppare quei rapporti di mezzadria nonostante la riforma della servitù del 1861, che viceversa si era sviluppata in maniera più marcata nelle regioni più occidentali dell’odierna Ucraina, nelle quali già sotto il possedimento della Confederazione Polacco-Lituana e fin dal 1500 gli investitori di capitali e ricchi mercanti tedeschi, olandesi e francesi favorivano la produzione delle derrate agricole per l’esportazione nell’Europa continentale e dunque alimentando aspettative di maggiori guadagni. Un fattore materiale che andò a comporre il quadro generale della relazione storica conflittuale tra città e campagna, che sarebbe divenuto successivamente nella Russia bolscevica l’elemento sociale endogeno cavallo di troia del processo storico impersonale della penetrazione finanziaria dei paesi imperialisti occidentali e anche l’anello reale della aggressione militare contro la rivoluzione bolscevica, negli anni venti e in quelli a seguire.
Piccole Note: La Nuland dimissiona Zaluznhy e la Ue dà i soldi a Kiev…
La Nuland dimissiona Zaluznhy e la Ue dà i soldi a Kiev…
di Piccole Note
La visita a sorpresa della Nuland a Kiev per dimissionare Zaluznhy giunge in contemporanea con il finanziamento della Ue a Kiev. I neocon vincono e rilanciano la guerra persa
Zelensky alla fine licenzierà il Comandante delle forze armate Valery Zaluznhy. I neoconservatori hanno infine vinto la partita e si apprestano a rimodellare la guerra ucraina secondo la loro visione esoterica, che fa di questo conflitto uno scontro esistenziale contro la Russia fino all’ultimo ucraino.
Una vittoria netta arrivata, non a caso, in contemporanea con la vittoria neocon sul fronte dell’Unione europea dove, superate le ultime resistenze, Bruxelles ha stanziato 50 miliardi di euro in favore di Kiev.
Anche il presidente ungherese Viktor Orban, simbolo di tale resistenza – che non avrebbe potuto esercitare se non avesse avuto sponde riservate all’interno dell’Unione – ha dovuto piegare la testa, sotto la minaccia della revoca del diritto di voto in seno alla Ue e quella più feroce di incenerire l’economia del suo Paese.
Francesco Dall’Aglio: Gli Usa rilanciano: mini-offensiva aerea di Kiev
Gli Usa rilanciano: mini-offensiva aerea di Kiev
di Francesco Dall’Aglio
Proprio mentre Victoria Nuland si trovava a Kiev, e non è certamente una coincidenza, la NATO (come ho già detto in passato l’Ucraina ormai ci mette solo i corpi, le armi non sono più sue e probabilmente nemmeno la strategia) ha organizzato un attacco congiunto, aereo e navale, sulle installazioni militari della Crimea dal pomeriggio di ieri a stamattina (l’altro ieri c’era già stato un attacco di droni sugli aeroporti, sventato senza eccessivi problemi).
L’attacco, come al solito, è stato preceduto da un gran traffico di aerei spia sul Mar Nero e sulla Romania, almeno sei tra cui anche il nostro PERSEO71, un Gulfstream G550 CAEW del 14° stormo partito da Pratica di Mare (da Sigonella invece sono partiti due aerei USA. Qui qualche info e i tracciati di quattro dei sei aerei: https://www.itamilradar.com/…/busy-skies-in-the-black…).
La prima fase dell’attacco è stata aerea. Da Starokostantinov e Kanatovo si sono alzati tre Su-24 e un numero imprecisato di Su-27 e Mig-29 – non voglio dire tutti gli aerei ancora in grado di volare dell’areonautica ucraina ma poco ci manca. Gli Su-24 e i Mig-29 hanno lanciato una combinazione di ADM-160 MALD e di missili antiradar AGM-88 HARM per ingaggiare le difese antimissile russe, mentre gli Su-24 hanno lanciato sei Storm Shadow (o SCALP che dir si voglia) in direzione degli aeroporti della Crimea. Tutti i missili risultano abbattuti o dalla contraerea o dai caccia russi.
Francesco Maringiò: Il futuro dell’Italia tra geopolitica, commercio marittimo e nuova globalizzazione
Il futuro dell’Italia tra geopolitica, commercio marittimo e nuova globalizzazione
di Francesco Maringiò
C’è un allarme generalizzato in Italia rispetto alla crisi che riguarda il Canale di Suez e lo Stretto di Bab el-Mandeb, i due colli di bottiglia delle rotte commerciali via nave che portano le merci dall’Oriente nel cuore dell’Europa. Dal Canale di Suez transita circa il 12% del commercio mondiale e oltre il 40% di quello marittimo italiano, per un controvalore che uno studio di Srm-Alexbank di Intesa Sanpaolo ha valutato nel 2022 pari a 82,8 miliardi di euro. L’allarme in Italia è giustificato, dato che circa un terzo di tutto l’import italiano (incluso quello energetico) passa per quella tratta. La decisione di alcune compagnie di trasporto marittimo di non passare più per il Mar Rosso e circumnavigare l’Africa può quindi avere un impatto devastante per i porti italiani e, conseguentemente, per l’economia del nostro paese.
Apparentemente, quindi, la situazione è molto seria e, forse per questa ragione, non ha suscitato alcuna formale obiezione nel paese la decisione di partecipare all’operazione militare Aspides, voluta dall’Unione Europea a difesa – così ci viene spiegato – dei mercantili in viaggio nel Mar Rosso.
Giorgio Agamben: Gli anni Trenta sono davanti a noi
Gli anni Trenta sono davanti a noi
di Giorgio Agamben
Nel novembre del 1990 Gérard Granel, una delle menti più lucide della filosofia europea di quegli anni, tenne nella New School for Social Research di New York una conferenza il cui titolo, certamente significativo, non mancò di provocare fra i benpensanti qualche reazione scandalizzata: Gli anni trenta sono davanti a noi. Se l’analisi condotta da Granel era genuinamente filosofica, le sue implicazioni politiche erano infatti immediatamente percepibili, dal momento che in questione, nel sintagma cronologico apparentemente anodino, erano puramente e semplicemente il fascismo in Italia, il nazismo in Germania e lo stalinismo nell’Unione sovietica, cioè i tre tentativi politici radicali di «distruggere e sostituire con un “ordine nuovo” quello in cui l’Europa si era fin allora riconosciuta». Granel aveva buon gioco nel mostrare come la classe intellettuale e politica europea fosse stata altrettanto cieca di fronte a questa triplice novità di quanto lo fosse – negli anni Novanta come oggi – di fronte alla sua inquietante, anche se mutata, risorgenza. Si fatica a credere che Leon Blum, leader dei socialisti francesi, potesse dichiarare, commentando le elezioni tedesche del luglio 1932, che, di fronte ai rappresentanti della vecchia Germania, «Hitler è il simbolo dello spirito di cambiamento, di rinnovamento e di rivoluzione» e che pertanto la vittoria di von Schleicher gli sarebbe parsa «più desolante ancora di quella di Hitler».