Rassegna 11/02/2024
Erasmo Sossich: La convergenza impossibile. Pandemia, classe operaia e movimenti ecologisti
La convergenza impossibile. Pandemia, classe operaia e movimenti ecologisti
di Erasmo Sossich
Sono seduto a una lunga tavolata natalizia, circondato dal ramo materno dei miei familiari. Alla mia destra siede mio zio, il primogenito. Alla mia sinistra, a capotavola, mia zia, terza e ultima venuta, ormai oltre una cinquantina di anni fa. Mia madre, nata nel mezzo, sta all’altro capo del tavolo, e come molti altri familiari rimarrà sullo sfondo di questo racconto.
A questa tavola sta per verificarsi, per causa mia, un’accesa discussione.
Mio zio, da tempi non sospetti, cerca di sensibilizzare la famiglia, il pubblico, le aziende, gli anziani, le istituzioni e la società civile sul tema del cambiamento climatico. Lavora per un ente di ricerca, spesso in smart working, e ha potuto frequentare la Bocconi grazie agli sforzi dei genitori, immigrati meridionali in bilico tra la classe operaia e una borghesia piccola piccola, così piccola che il salario di mia nonna, per anni, è stato destinato interamente a sostenere il suo percorso formativo.
Mia zia, in tempi ben più sospetti, ha cominciato a sensibilizzare la famiglia, il pubblico, le aziende, gli anziani, le istituzioni e la società civile sul pericolo delle reti 5G, del vaccino, della digitalizzazione, del Nuovo Ordine Mondiale. Lavora come operatrice socio-sanitaria in un ospedale di Trieste dopo aver rinunciato a portare a termine un percorso di formazione professionale più qualificante segnato da diverse interruzioni e tortuosi nuovi inizi.
Il primo è parte dell’esecutivo nazionale della Rete per la decrescita in Italia, non ha profili social e da anni mi segnala i nuovi articoli pubblicati su riviste ambientaliste e decresciste.
Fabio Ciabatti: Il fascismo prima e dopo il fascismo
Il fascismo prima e dopo il fascismo
di Fabio Ciabatti
Alberto Toscano, Late Fascism: Race, Capitalism and the Politics of Crisis, Verso, London-New York 2023, € 22,36
Il fascismo contemporaneo può ancora rappresentare una concreta minaccia dal momento che si presenta privo di alcuni degli elementi essenziali che ne hanno determinato l’affermazione negli anni Venti e Trenta del secolo scorso? Senza un movimento di massa, una spinta utopistica per quanto pervertita e un incombente pericolo rivoluzionario cui contrapporsi, può di nuovo sovvertire l’ordine liberale e democratico?
In effetti, sostiene Alberto Toscano nel suo libro Late Fascism, le soluzioni elaborate dai movimenti di Mussolini e di Hitler appaiono “fuori tempo” dato il loro intimo legame con la crisi capitalistica successiva alla Prima guerra mondiale, con l’era del lavoro manuale di massa, della coscrizione universale maschile in vista della guerra totale e dell’imperialismo esplicitamente razzista. Possiamo allora dormire sonni sereni, fiduciosi nel carattere straordinario dei regimi fascisti?
Non proprio, sostiene sempre Toscano, perché il quadro cambia se abbandoniamo una concettualizzazione meramente analogica del fascismo. In altri termini, se lasciamo da parte l’idea che per parlare di questo fenomeno politico la cosa essenziale sia raffrontare gli epigoni contemporanei con il loro modello originale, stilando una sorta di checklist dei sintomi in grado di diagnosticare lo stato di avanzamento della malattia.
Abbandonare il piano analogico significa concepire il fascismo come un fenomeno di lunga durata e storicamente mutevole. Vuol dire intenderlo come una dinamica che precede la sua stessa denominazione, sempre strettamente legata ai prerequisiti della dominazione capitalistica, anch’essa diversificata nel tempo. Utilizzando la definizione di W. E. B. Du Bois, si può parlare di “controrivoluzione della proprietà”.
Geraldina Colotti: Venezuela: il 2 di febbraio inizia il sogno bolivariano
Venezuela: il 2 di febbraio inizia il sogno bolivariano
di Geraldina Colotti
“Nel centenario della morte di Lenin, si può intendere, seguire e apprezzare lo sforzo per richiamare la storia, come maestra di lotta e di vita, che compie costantemente la rivoluzione bolivariana, e prima ancora la rivoluzione cubana.”
Se la storia non viene ridotta a museo, date e ricorrenze ricordano la lotta delle classi subalterne, che ne hanno costruito o subito i corsi e ricorsi. Se la storia non viene ridotta a parodia, celebrare momenti e figure che ne hanno interpretato il senso, anticipandone salti e rotture, aggiunge nuove pagine al libro del futuro. Innalza nuove bandiere.
Se la storia non viene consegnata ai tribunali o agli specialisti in complotti e dietrologie, come accade nella “civilissima” Europa, anche dalle sconfitte i giovani possono innalzare nuove bandiere.
È così che, nel centenario della morte di Lenin, si può intendere, seguire e apprezzare, lo sforzo per richiamare la storia, come maestra di lotta e di vita, che compie costantemente la rivoluzione bolivariana, e prima ancora la rivoluzione cubana, che si è inserita nel corso di quelle venute prima. È così che si può intendere, come ogni anno, l’omaggio a un febbraio punteggiato di rivolte, di orgoglio e di vittorie. Un omaggio non rituale, ma una guida per l’azione, un monito a non dimenticare il 2, il 4 e il 27 di febbraio.
Il calendario degli anni imporrebbe di leggerle al contrario, a partire da quel 27 febbraio del 1989 in cui dalla rivolta del Caracazo si levò il primo grido del popolo contro il neoliberismo, autoproclamatosi allora come unica via dopo la caduta del Muro di Berlino – che anticipava la fine dei 70 anni di grande paura provati dalla borghesia.
Michele Paris: UNRWA, ipocrisia e complicità
UNRWA, ipocrisia e complicità
di Michele Paris
La conferma della validità dell’accusa di genocidio presentata dal Sudafrica contro Israele alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) si sta avendo in questi giorni, oltre che dai massacri senza sosta nella striscia di Gaza, dalla vicenda dei finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA). Le responsabilità in questo senso non sono solo dello stato ebraico, ma anche dei paesi occidentali – Italia compresa – che hanno vergognosamente assecondato le macchinazioni del criminale di guerra Netanyahu, tagliando una parte vitale dei fondi da destinare a una popolazione letteralmente allo stremo.
Lo stesso giorno in cui i giudici della ICJ hanno deliberato preliminarmente contro Israele, il governo di Tel Aviv ha avanzato l’accusa contro 12 dipendenti della UNRWA di avere partecipato con vari compiti all’operazione “Diluvio di al-Aqsa” del 7 ottobre scorso, portata clamorosamente a termine da Hamas e Jihad Islamica. Le accuse non sono in nessun modo dimostrate e si basano esclusivamente su confessioni estorte tramite tortura.
Giacomo Marchetti: Francia: Il “riarmamento agricolo” e la lotta di classe nelle campagne
Francia: Il “riarmamento agricolo” e la lotta di classe nelle campagne
di Giacomo Marchetti
Il movimento degli agricoltori in Francia è a un punto di svolta. Il 1 febbraio, gli annunci del governo del primo ministro Gabriel Attal, hanno in pratica soddisfatto le due associazioni di categoria di agricoltori e allevatori più vicini all’agro-business (FNSEA e JA) e alle sue richieste di “deregolamentazione” di tutela ambientale.
É stata la Confédération Paysanne stessa a denunciarlo, insieme a importanti confederazioni sindacali generali per mano dei propri dirigenti (CGT, Modef, Solidaires e FSU), alle varie associazioni e movimenti che si occupano della difesa dell’ambiente, nonché delle forze politiche progressiste raggruppate dalla NUPES.
La FNSEA e i Jeunes Agriculteurs, onnipresenti negli spazi dei media-mainstream, hanno invitato a levare i blocchi sulle autostrade e a un sostanziale ‘ritorno alla calma’ dopo gli ennesimi annunci del governo che – oltre a non affrontare la questione di un giusto prezzo per le derrate agricole, e a dimenticare i vari accordi di “libero scambio” che mettono in ginocchio gli agricoltori francesi – sta facendo carta straccia di quelle già deficitarie tutele verso la transizione del settore in una “agro-economia” che riduca il drammatico inquinamento e la penuria di risorse per la collettività.
Valerio Romitelli: Operai e capitale. A proposito di “Il capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto” di Kepler-452*
Operai e capitale. A proposito di “Il capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto” di Kepler-452*
di Valerio Romitelli
Operai alla ribalta sotto i fari con tanto di pugni chiusi alzati di fronte a un folto pubblico plaudente dal quale emergono pure numerosi altri pugni chiusi! Stiamo forse parlando di anni Sessanta, Settanta od Ottanta ? Niente affatto. Stiamo parlando dei giorni nostri; in particolare, della sera del 24/01/2024 al teatro bolognese dell’Arena del sole.
La notizia forse stupisce meno del dovuto dal momento che è già ben noto che lo spettacolo cui si sta facendo cenno e dal titolo sorprendente, Il Capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto, non solo ha già inanellato non pochi successi in Italia e all’estero, ma ha anche ricevuto lo scorso anno il premio Ubu.
Di che si tratta, dunque, più in dettaglio? Cominciamo dall’inizio, cioè dal titolo, per l’appunto sorprendente. Avendo voglia di rifletterci su, esso si dimostra ben altro che una semplice stranezza finalizzata ad attrarre curiosità. Sotto una simile insegna al limite dell’assurdo si dà infatti perfettamente conto di quella che è stata la prima intenzione all’origine di tutto il lavoro che ha portato alla costruzione dello spettacolo.
Vincenzo Maddaloni: Quando la guerra sembra non finire mai
Quando la guerra sembra non finire mai
di Vincenzo Maddaloni
Dall’inizio della guerra in Ucraina, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno aumentato oltre ogni immaginazione gli arsenali. Lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) ha calcolato che, nel 2022, la spesa militare statunitense è stata intorno agli 877 miliardi di dollari, ovvero circa il 39%, della spesa militare globale.
Tuttavia, come mostra un recente rapporto pubblicato da Monthly Review (1 novembre 2023) , queste cifre sono ampiamente sottostimate: la spesa militare effettiva degli Stati Uniti è più vicina ai mille e 537 miliardi di dollari, quasi il doppio del calcolo del SIPRI e dei “dati ufficiali” dell’amministrazione americana.
Queste cifre ci ritornano in mente dopo che, gli aerei a lungo raggio statunitensi hanno bombardato, l’altro giorno, degli obiettivi militari iraniani in Iraq e Siria. E’ il primo dei molteplici cicli di ritorsione previsti per l’attacco di droni contro le truppe statunitensi in Giordania, durante il quale sono morti tre soldati americanie 34 sono rimasti feriti.
Domenico Moro: Piano Mattei: cooperazione o neocolonialismo?
Piano Mattei: cooperazione o neocolonialismo?
di Domenico Moro
Tra il 28 e il 29 gennaio si è tenuto a Roma il vertice Italia-Africa che ha visto la presenza di 25 tra capi di governo e di stato africani e che ha posto le basi del cosiddetto Piano Mattei. Tra le iniziative politiche promosse dal governo Meloni in questa prima fase della legislatura, il Piano Mattei ricopre un ruolo importante, in quanto mira a ritagliare un ruolo specifico e di primo piano all’Italia nel rapporto tra Ue e Africa. Infatti, il continente africano ricopre una importanza fondamentale per la sua ricchezza di materie prime e per la sua demografia. Infatti, l’Africa nei prossimi decenni registrerà una crescita demografica consistente a fronte del calo demografico che caratterizza e caratterizzerà anche in futuro i paesi avanzati del cosiddetto Occidente collettivo, in particolare l’Europa occidentale e il Giappone.
Sul rapporto tra l’Europa e l’Africa, però, pesa come un macigno l’eredità di cinque secoli di storia in cui l’Europa ha esercitato sul continente nero un ferreo dominio coloniale. Tale dominio si è mantenuto anche più di recente in una forma nuova, neocoloniale appunto, dopo che tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso i Paesi africani si erano liberati del dominio coloniale formale dei Paesi Europei, che era stato sostituito da una dipendenza diretta, sul piano economico, e indiretta, sul piano politico, da quelle stesse potenze ex coloniali, come ad esempio la Francia.
Per quanto riguarda l’Italia, l’iniziativa della Meloni si innesta in un Paese che è abituato a nascondere le parti scomode della sua storia sotto il tappeto.
Afshin Kaveh: Per la critica del cibo in forma di merce
Per la critica del cibo in forma di merce
A proposito del pamphlet di Wolf Bukowski
di Afshin Kaveh
Si intitola La merce che ci mangia. Il cibo, il capitalismo e la doppia natura delle cose (Einaudi 2023, pp. 50, 2,99 euro) ed è l’ultimo libricino – purtroppo non disponibile in formato cartaceo ma edito esclusivamente in ebook – di Wolf Bukowski. L’autore ruota attorno al blog Giap della Wu Ming Foundation, è collaboratore della rivista Internazionale e in passato aveva già dedicato alcuni sforzi riflessivi al medesimo argomento, per esempio nei volumi Il grano e la malerba (Ortica Editrice 2012) e La danza delle mozzarelle (Edizioni Alegre 2015), oltre ad essersi impegnato nella critica alle narrazioni dell’organizzazione urbanistica del “decoro” nel libro La buona educazione degli oppressi (Edizioni Alegre 2018) di cui conservo un piacevole ricordo personale: la sua presentazione a Sassari nel 2020, immersi, alla sera, nella cornice di Piazza Santa Caterina ai piedi della scalinata della facciata della chiesa monumentale.
Da allora non mi sarei mai aspettato che, a distanza di pochi anni, mi sarebbe capitato tra le mani un testo come La merce che ci mangia, una breve ma intensa riflessione critica che prende avvio da una costruzione teorica profondamente diversa dalle precedenti stesure di Bukowski. L’autore, infatti, fin dalle prime battute si domanda: «il cibo è una merce?». Potrebbe sembrare un quesito di poco conto, di frivola importanza, soprattutto di fronte «alle navi cariche di cereali che attraversano gli oceani, alle grigie fabbriche di conserva che divorano pomodori, ma anche alle colorate corsie d’un ipermercato, tra le quali ci smarriremmo se i marchi, le etichette, non ci prendessero per mano», esempi che condurrebbero chiunque a rispondere affermativamente al quesito.
Alberto Bradanini: La questione Taiwan, all’inizio del 2024
La questione Taiwan, all’inizio del 2024
di Alberto Bradanini
In un incontro dell’American Enterprise Institute tenutosi il 2 novembre 2021 in Florida – alla presenza di personalità politiche del fronte trumpista, tra cui H. Brands, D. Blumenthal, G. Schmitt, M. Mazza, J. Bolton e altri – la destra repubblicana era giunta alla conclusione che la strategia cinese di riassorbimento dell’isola non ha nulla di eccentrico o ideologico. Persino un immaginario governo amico degli Stati Uniti metterebbe in cima all’agenda politica il recupero di Taiwan, territorio storicamente cinese, che però si scontra con la maggioranza dei taiwanesi, per ora contraria.
Per la dirigenza del paese, ça va sans dire, la via preferibile dovrebbe essere quella pacifica, consapevole che un ipotetico conflitto con Taiwan avrebbe pesanti riflessi sulla stabilità e la crescita economica, senza contare che le forze armate di Taipei (a prescindere dal possibile intervento americano) renderebbero assai costosa sotto ogni punto di vista un’ipotetica invasione dell’isola.
Le elezioni presidenziali tenutesi a Taiwan il 13 gennaio scorso hanno decretato la vittoria di Lai Ching-te (William Lai), vicepresidente uscente della Repubblica di Cina (è questa la denominazione ufficiale dell’isola). Lai, il cui insediamento è previsto per il 20 maggio, è oggi l’esponente di punta del Partito Democratico Progressista (DPP) che ha governato negli ultimi otto anni.
La presidente uscente, Tsai Ing-wen, prima donna a vincere le elezioni, per di più per due volte consecutive (2016 e 2020), si era dimessa da presidente del partito lo scorso autunno dopo la sconfitta alle elezioni amministrative. La Tsai non era comunque rieleggibile per limiti di mandato.
Norman Filkelstein: “L’industria dell’Olocausto”. L’introduzione
“L’industria dell’Olocausto”. L’introduzione
di Norman Filkelstein*
L’Olocausto non è un concetto arbitrario, si tratta piuttosto di una costruzione intrinsecamente coerente, i cui dogmi-cardine sono alla base di rilevanti interessi politici e di classe.
Per meglio dire, l’Olocausto ha dimostrato di essere un’arma ideologica indispensabile grazie alla quale una delle più formidabili potenze militari del mondo, con una fedina terrificante quanto a rispetto dei diritti umani, ha acquisito lo status di «vittima», e lo stesso ha fatto il gruppo etnico di maggior successo negli Stati Uniti.
Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l’immunità alle critiche, per quanto fondate esse siano. Aggiungerei che coloro che godono di questa immunità non sono sfuggiti alla corruttela morale che di norma l’accompagna.
Da questo punto di vista, il ruolo di Elie Wiesel come interprete ufficiale dell’Olocausto non è un caso. Per dirla francamente, non è arrivato alla posizione che occupa grazie al suo impegno civile o al suo talento letterario: Wiesel ha questo ruolo di punta perché si limita a ripetere instancabilmente i dogmi dell’Olocausto, difendendo di conseguenza gli interessi che lo sostengono.
Giampaolo Conte: Riformare per dominare
Riformare per dominare
Le origini storiche del riformismo liberal-capitalista
di Giampaolo Conte
Dietro le riforme neoliberiste, c’è una strategia di dominio politico e di classe. A tal fine è essenziale controllare lo Stato
A partire dalle recenti crisi finanziarie, la parola “riforma” è entrata nel lessico comune quale immagine evocativa di austerità e malessere economico, specialmente per le classi lavoratrici e una parte del ceto medio. Ma a cosa si riferisce esattamente questo termine?
La riforma (neo)liberista è uno strumento funzionale a promuovere un ordine economico che vede nell’accumulazione del capitale, nella ricerca del profitto e nella trasformazione sociale alcuni dei suoi valori fondanti.
Le riforme (neo)liberiste hanno lo scopo di agganciare sempre di più gli Stati nazionali a un paniere di regole mirato a permettere una maggiore fluidità del capitale, nonché a semplificare la trasformazione della struttura sociale per facilitare il processo di accumulazione. Tali regole permettono al capitale straniero di trovare le stesse norme di impiego, sfruttamento e investimento presenti in patria, cioè nello Stato egemone che domina e controlla in un determinato periodo storico il mercato internazionale.
Federico Giusti: Un invito alla discussione tra i lavoratori e le lavoratrici conflittuali
Un invito alla discussione tra i lavoratori e le lavoratrici conflittuali
di Federico Giusti
È sufficiente circoscrivere la crisi del movimento operaio al tradimento dei vertici delle burocrazie sindacali? E qual è il ruolo delle rappresentanze dei lavoratori?
Dovremmo trovare tempo e modo di aprire un confronto tra i lavoratori e le lavoratrici comunisti/e, farlo in fretta senza ripetere gli errori del passato quando, un trentennio or sono, si cullava l’illusione di indirizzare le organizzazioni sindacali a una prassi conflittuale inserendosi nei loro gruppi dirigenti senza essere peraltro capaci di sviluppare movimenti di lotta, vertenze avanzate e un innalzamento sostanziale del conflitto tra capitale e lavoro. Molti degli assertori di quelle tesi li abbiamo ritrovati nelle segreterie sindacali, nella veste di burocrati e senza mai avere spostato di un centimetro le arrendevoli politiche intraprese nel corso del tempo.
La questione sindacale può essere affrontata in molti modi, per esempio riprendendo i testi di Lenin sul rapporto tra organizzazione politica e movimento sindacale; il rischio che corriamo è sempre lo stesso, ossia la banalizzazione del problema per trovare formule astratte ma rassicuranti, soluzioni frettolose che alla fine condannano i comunisti a un ruolo subalterno o di comoda attesa nelle organizzazioni sindacali con maggiori iscritti.
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