Fulvio Grimaldi – 13/02/2024
In margine a un giorno dei ricordi… storti
MEGLIO SERBI CHE SERVI
“Novosti”
Il titolo in cima a questo testo è quello che un importante quotidiano di Belgrado mise a titolo di una intervista fattami nella primavera del 1999, sotto le bombe sulla capitale, in piena aggressione NATO alla Serbia, a completamento della disintegrazione della Jugoslavia, portata avanti da Germania, Regno Unito, USA, Francia e Vaticano di Woytila, nel silenzio complice del rinnegato russo Boris Eltsin.
Quel titolo non piacque al segretario di Rifondazione, Bertinotti e, a scendere per li rami, al caporedattore trotzkista Cannavò (oggi a “Il Fatto”) di ”Liberazione”, un giornalista corretto che, senza avvertirmene a Belgrado, cestinava molti dei miei servizi da laggiù perché, a suo avviso, troppo “appiattiti su Milosevic”. Ne gioirono i Comunisti Italiani, secessionisti di Rifondazione, per giustificare il salto dall’opposizione all’ingresso nella maggioranza e nel governo di D’Alema e Mattarella. Ne conseguì che si accreditarono in Occidente contribuendo al bombardamento della Serbia in nome della NATO. Si trattava di Cossutta, Diliberto e…di Marco Rizzo, oggi zio-padrone di DSP.
“Meglio Serbi che servi” uscì in coincidenza con la mia visita a un ospedale di Belgrado nel quale il taglio bombarolo di tutta la rete elettrica stava facendo morire i neonati nelle incubatrici. Modello perpetuato in massa a Gaza. Ora l’intervista fattami da “Novosti” che vedete qui esce nell’imminenza del convegno internazionale del Forum di Belgrado per un Mondo di Uguali nel quale si commemora l’inizio dell’aggressione della Nato nel marzo del 1999. Mi hanno chiesto di intervenire e di proiettarvi i due docufilm che ho girato durante l’aggressione: “Un popolo invisibile” e “Serbi da morire”.
Un’altra coincidenza, non voluta, ma estremamente significativa, è che questa intervista esce nel Giorno del Ricordo, quello celebrato in Italia a commemorazione, strumentale e del tutto faziosa, delle foibe e dell’Esodo dei Giuliani dall’Istria.
Di quella parte della strumentalizzazione, che dai media presstitute e dal regime mica tanto post, si arrampica fino al colle del Quirinale e che attiene a un preciso obiettivo di fase, dirò dopo. Ora interessa rischiarare di luce pulita quanto avvenne in Istria tra fine guerra e dopoguerra. A noi quella situazione, di una complessità estrema, militare, politica, etnica, culturale, viene somministra nella brodaglia dell’antislavismo, antisocialismo, antitismo. Si tratta di italiani cacciati dalla loro terra a forza di pressioni, vessazioni, attentati (Pola), infoibamenti nel Carso. Lievemente, di passaggio, si accenna alla possibilità che nelle foibe sia finito anche qualche gerarca fascista.
Facciamo un passo cognitivo avanti e leggiamo il controcanto della ricercatrice triestina Claudia Cernigoi in libri come “Operazione Foibe”, “La memoria tradita”, “La banda Collotti” e ne spremiamo qualcosa di più e di vero sul mito Foibe Titine, dove, nella vulgata di regime, sarebbero finiti italiani semplicemente perché italiani e non disposti a seguire Tito verso il suo particolare sole dell’avvenire. Vi troviamo dati che ci documentano quanti fascisti abbiano infoibato quanti slavi, quanti antifascisti, quanti comunisti. Insieme, certamente, anche a gerarchi fascisti macchiatisi di strisciante genocidio in Jugoslavia. Anche molto prima di Tito.
Facciamo un passo indietro e chiediamoci: chi ci ha parlato, nel Giorno del Ricordo, dell’invasione italiana della Jugoslavia e del relativo campionario di orrori, tali da far pensare automaticamente allo Stato sionista invasore della Palestina? I nazifascisti, assistiti dagli Ustascia croati e a collaborazionisti serbi, occuparono la Jugoslavia dal1941 all’8 settembre del 1943. Spezzettarono il paese in pseudostatarelli (alla maniera di Bush e Clinton, mezzo secolo dopo) e ne assegnarono un terzo all’Italia. Le cui truppe, al comando di un criminale di guerra, paragonabile al capo di Stato Maggiore israeliano di oggi, il generale Mario Roatta, inflisse alla popolazione civile e alla resistenza jugoslava atrocità mai viste prima.
Le conseguenze di questi eventi furono catastrofiche per le popolazioni locali, vittime di violenze sommarie, deportazioni e distruzioni. Si stima che causarono circa un milione di morti nel periodo 1941-1945. Le truppe italiane si distinsero per ferocia, eseguirono rappresaglie, devastazioni di interi villaggi, esecuzioni sommarie e crearono campi di concentramento in cui furono internati circa 100.000 jugoslavi. Roatta lasciò agli jugoslavi un ricordo personale: il motto “Non dente per dente, ma testa per dente”. A Podhum, vicino a Fiume, fece fucilare 91 civili e nel campo di concentramento sull’Isola di Arbe morirono, a forza di violenze, malattie, fame e stenti, oltre 1.400 jugoslavi.
Chi ci ha ricordato, nel giorno a questa attività dedicato, che nelle fosse sul Carso finirono anche – e forse soprattutto – coloro che ordinarono ed eseguirono questo tentativo di genocidio di una popolazione e poi dei massacri di coloro che lottarono per la sua liberazione? O che genti esasperate compirono vendette per quanto inflitto ai propri congiunti, amici, concittadini, dall’ italianizzazione – fascistizzazione – forzata dei vari gerarchi, amministratori, poliziotti, ai tempi in cui l’Italia era padrona coloniale dell’Istria? Senza nulla togliere alla condanna di chi, nella rappresaglia, ha potuto includere anche nostri concittadini innocenti.
Concludo precisando che ho avuto e ho una grande partecipazione emotiva e politica per i miei connazionali che persero le proprie radici, o perché indotti dalle pressioni dei nuovi poteri, o perché a disagio in una terra abitata da secoli, ma della quale non erano più coloro che ne avrebbero rappresentato e determinato il destino. Gli italiani che hanno vissuto la tragedia dell’esodo e dell’esilio. Anche per come un’irriconoscente Italia ha accolto e trattato questi suoi figli. Me ne sono occupato ripetutamente, visitando quelle terre e incontrandovi chi era rimasto, con articoli, reportage e servizi per il TG3. Raccontando quella vicenda con affetto e indignazione. La stessa indignazione che va indirizzata contro i mistificatori dell’oggi. Dall’Alto Colle in giù.
E sapete cosa si intravvede di strumentale e insincero, oltre a quanto ho cercato di rievocare, dietro ai cantori del Giorno del Ricordo? I conti che l’Occidente atlantista e eurocratico vuol fare con la Serbia. In primis perché è amica della Russia, che la copre militarmente e con i cinesi che contribuiscono al suo progresso. In secundis, perché, con 100mila suoi patrioti e martiri assediati e vessati dalla KFOR (NATO) e dal gruppo dirigente banditesco installato in un Kosovo amerikkkano, patrioti sopravvissuti alla cacciata di tutto un popolo, non rinuncia a rivendicare l’identità serba di questa culla della sua storia di nazione. In tertiis, perché, nella frammentazione della Jugoslavia, continua a rappresentarne il cuore slavo, libero e fiero. Slavo come la Russia, ohibò. Non basta?