Rassegna 15/02/2024
Giovanni Bonacina: Sull’insegnamento della filosofia nella scuola e nell’università
Sull’insegnamento della filosofia nella scuola e nell’università*
Una risposta a Massimo Mugnai
di Giovanni Bonacina (Università di Bologna)
Grazie per questo invito e grazie all’autore per avermi mandato le bozze del suo libro, senza le quali – da storico della filosofia aggrappato al materiale cartaceo come àncora di salvezza – non avrei saputo che cosa dire… È vero – ha perfettamente ragione il collega Enzo Fano – si tratta di un libro vivace e frizzante; di conseguenza ho preparato anch’io un intervento che almeno in parte abbia questo taglio, come di solito i miei colleghi storici della filosofia non praticano. Perciò incomincerò con un apologo.
Immaginate di starvi recando a prendere il treno la mattina presto e di aver molta fretta e di non sapere che ore siano, poiché avete dimenticato a casa l’orologio e il vostro telefono cellulare è maledettamente scarico. Finché non sarete seduti in treno, non potrete collegarlo alla corrente. Per vostra fortuna vedete venirvi incontro leggendo il giornale un signore molto distinto, al quale subito pensate di rivolgervi.
Prima possibilità: il signore che avete di fronte è Massimo Mugnai. La risposta suonerà: «Sono le ore 6 e 14 minuti primi, 56 secondi». Avrebbe potuto dire: «Le sei e un quarto» obietterete! Ma poiché la filosofia deve il più possibile assomigliare a una scienza esatta, dotata di un linguaggio incontrovertibile e aderente all’esperienza, è così che il nostro collega vi avrà dato la risposta. Riuscirete a prendere il treno.
Seconda possibilità: siete un po’ più sfortunati, il signore molto distinto che vi viene incontro è chi vi parla, è Giovanni Bonacina. Gli domandate l’ora. Estrae dal taschino il suo orologio e vi legge: «Vacheron et Constantin, Genève». E aggiunge: «Genève… la città di Jean-Jacques Rousseau! Ma Lei sa che quando Jean-Jacques faceva Rousseau, o quando Rousseau faceva Jean-Jacques… perché Lei sa che fu autore di un’opera dal titolo Rousseau juge de Jean-Jacques, nevvero? anno di pubblicazione? 1780!
Barbara Bernardini: Proteste, agricoltura e ambientalismo: una finestra per l’agroecologia (e per il possibile)
Proteste, agricoltura e ambientalismo: una finestra per l’agroecologia (e per il possibile)
di Barbara Bernardini
Riprendiamo un articolo uscito nell’ultimo numero della newsletter Braccia Rubate
Queste settimane di proteste hanno come primo merito l’aver portato all’attenzione un aspetto messo costantemente ai margini nei discorsi sulla transizione ecologica: tutta la filiera agroalimentare è sempre sembrata solo uno dei tanti fronti della sfida posta dalla crisi ambientale e, anzi, dal peso che le viene dato nelle varie COP, nell’informazione e, spesso, anche dai movimenti ambientalisti, uno dei fronti secondari.
Come abbiamo fatto a relegare il cibo a questione marginale? Quanto dovrebbe invece essere più importante evitare che gli effetti della crisi climatica rendano sempre più elitario l’accesso a un’alimentazione sana? Quanto è più importante assicurarsi che una, necessaria, transizione ecologica nel settore agroalimentare non ricada per intero né sulle spalle degli agricoltori né su quelle dei consumatori, ma venga condivisa in modo equo e giusto?
Anche nel mezzo della confusione e dei tentativi della politica di appropriarsi dei temi e mistificare le proteste – un nuovo, sempre più feroce, attacco all’ambientalismo che come al solito sfrutta rabbia, ansia e paura delle persone –, e al netto della prevalenza di un certo mondo che viene dritto dai forconi e dall’estrema destra, non si possono ignorare i punti critici che stanno mettendo in luce i trattori scesi in strada. Non possiamo prendere tutto e metterlo nel calderone del populismo, perché fare di questa la protesta univoca e compatta contro le misure ecologiche, come ci viene raccontato e come fa molto comodo e chi è sempre stato contro quelle misure, è pericoloso.
Roberto Iannuzzi: Nessuna de-escalation a Gaza e in Medio Oriente
Nessuna de-escalation a Gaza e in Medio Oriente
di Roberto Iannuzzi
La guerra nella Striscia prosegue senza sosta, mentre l’inconcludente diplomazia USA nella regione consente di fatto a Israele di andare avanti con le operazioni militari
Le ultime settimane sono state caratterizzate da una specie di sanguinoso limbo in Medio Oriente.
Le operazioni militari israeliane sono proseguite in tutta la loro violenza, provocando fra i 100 e i 200 morti al giorno a Gaza (sebbene il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia avesse ordinato a Tel Aviv di adottare tutte le misure necessarie per prevenire un genocidio contro i palestinesi nella Striscia).
Ma un laborioso negoziato era sembrato decollare, sotto la spinta di Stati Uniti, Qatar ed Egitto, per giungere a un cessate il fuoco che portasse alla liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, e che potesse eventualmente trasformarsi in una tregua permanente.
L’iniziale decisione americana di rispondere in maniera relativamente contenuta a un attacco con droni, che il 28 gennaio aveva portato all’uccisione di tre soldati statunitensi in una base al confine tra Giordania e Siria, aveva spinto alcuni a ipotizzare che Washington intendesse non esacerbare le tensioni regionali, sperando nel successo di un negoziato che potenzialmente avrebbe aperto la strada alla fase successiva del suo aleatorio piano per la Palestina.
Quest’ultimo, in tutta la sua problematicità, era così articolato: riabilitare una delegittimata Autorità Nazionale Palestinese (ANP), imporre una nuova amministrazione palestinese da essa guidata a Gaza, eventualmente sotto il controllo di una missione araba capeggiata dai sauditi, i quali avrebbero accettato una riconciliazione con Israele in cambio di un accordo di sicurezza con gli USA e della creazione, in prospettiva, di uno Stato palestinese demilitarizzato, e sotto ogni aspetto fittizio.
Fulvio Grimaldi: “Novosti”
Meglio Serbi che servi
In margine a un giorno dei ricordi… storti
di Fulvio Grimaldi
“Novosti”
Il titolo in cima a questo testo è quello che un importante quotidiano di Belgrado mise a titolo di una intervista fattami nella primavera del 1999, sotto le bombe sulla capitale, in piena aggressione NATO alla Serbia, a completamento della disintegrazione della Jugoslavia, portata avanti da Germania, Regno Unito, USA, Francia e Vaticano di Wojtyla, nel silenzio complice del rinnegato russo Boris Eltsin.
Quel titolo non piacque al segretario di Rifondazione, Bertinotti e, a scendere per li rami, al caporedattore trotzkista Cannavò (oggi a “Il Fatto”) di ”Liberazione”, un giornalista corretto che, senza avvertirmene a Belgrado, cestinava molti dei miei servizi da laggiù perché, a suo avviso, troppo “appiattiti su Milosevic”. Ne gioirono i Comunisti Italiani, secessionisti di Rifondazione, per giustificare il salto dall’opposizione all’ingresso nella maggioranza e nel governo di D’Alema e Mattarella. Ne conseguì che si accreditarono in Occidente contribuendo al bombardamento della Serbia in nome della NATO. Si trattava di Cossutta, Diliberto e…di Marco Rizzo, oggi zio-padrone di DSP.
Francesco Galofaro: Il conflitto in Ucraina e le contraddizioni dell’Unione Europea. Editoriale
Il conflitto in Ucraina e le contraddizioni dell’Unione Europea. Editoriale
di Francesco Galofaro – Università IULM
In Polonia è recentemente cambiato il governo, ma non la linea sciovinista in politica estera. Durante una conferenza stampa tenutasi il 5 febbraio scorso, il giornalista di un quotidiano scandalistico di taglio popolare, Super Express, ha chiesto al ministro della Difesa, Władysław Kosiniak-Kamysz, se ha preso in considerazione la possibilità di una sconfitta militare dell’Ucraina e di una conseguente invasione della Polonia. Il ministro ha risposto: “Mi aspetto ogni scenario e tengo conto seriamente di quelli peggiori”. Inoltre, avrebbe già iniziato passi concreti per prepararsi alla possibile minaccia, esaminando anche lo stato dei rifornimenti di materiale bellico. Il ministro ha poi sottolineato che, per quanto siano importanti i rifornimenti di armi su larga scala, anche l’equipaggiamento di ciascun soldato va preso molto sul serio. Il riferimento, nemmeno troppo implicito, è alla sospensione degli aiuti militari a Kiev voluta dal governo precedente nel contesto del conflitto commerciale con l’Ucraina sulle importazioni del grano. Il governo precedente aveva motivato la sospensione con la necessità di non sguarnire le proprie difese militari.
Piccole Note: Gaza e il delirio della guerra infinita
Gaza e il delirio della guerra infinita
di Piccole Note
Le pressioni Usa su Israele perché fermi la mattanza sono spuntate. Anche perché ormai il senile Biden è un’anatra zoppa….
Israele si appresta ad attaccare l’ultima ridotta palestinese, la città di Rafah, al confine egiziano, nella quale sono ammassati 1.4 milioni di rifugiati ridotti alla fame a causa delle restrizioni degli aiuti. Sarà un massacro che si aggiunge ai precedenti. Non ci sono parole per quanto sta accadendo, 28mila i morti, per lo più bambini, ma bisogna trovarle.
Biden, l’anatra zoppa
L’America continua a esercitare le sue cortesi pressioni sull’alleato: dopo le dichiarazioni del Segretario di Stato Tony Blinken, che ha detto che Israele non può usare la disumanizzazione del 7 ottobre “per disumanizzare gli altri”, è stata la volta di Biden, che ha parlato di una reazione “esagerata” da parte di Israele, aggiungendo che “ci sono un sacco di persone innocenti che muoiono di fame, molte persone innocenti che sono nei guai e muoiono e tutto questo deve finire“.
Francesco Dall’Aglio: Il Putin che l’America non è solita sentire
Il Putin che l’America non è solita sentire
di Francesco Dall’Aglio
Mi devo limitare a poche riflessioni sparse e frettolose sull’intervista di Carlson – o sul discorso di Putin, a scelta. È durato due ore, l’ho ascoltato una volta sola e devo rivedermi alcuni passaggi (l’ho commentato “in diretta”, anche se ovviamente non era una diretta, sul mio canale Telegram che è questo: https://t.me/BravagliosWarRoom).
Non è stato un discorso rivoluzionario o sconvolgente e non sono state rivelati incredibili segreti: diciamo che una serie di fili sono stati annodati in un filo unico.
Bisogna però immediatamente considerare che il pubblico di questa intervista è il pubblico medio statunitense, lato sensu occidentale, che le parole di Putin o non le ha mai sentite o le ha lette in sintesi partigiane e al quale lo stesso Putin è stato presentato come un sanguinario tiranno del tutto irrazionale.
Ora certamente si può non credere a una sola parola dei suoi discorsi di ieri, ma sicuramente l’impressione che si ricava è quella di una persona razionale, determinata e competente, in grado di citare a memoria fatti, date e cifre spaziando dalla storia medievale ai rapporti commerciali tra i membri del BRICS+.
Nico Maccentelli: Che ne è stato del fascismo?
Che ne è stato del fascismo?
di Nico Maccentelli
Ne Il Fatto Quotidiano di sabato 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, spicca una dichiarazione di Giorgia Meloni, che recita: «Disegno criminale nazifascista»(1) riferito allo sterminio nei campi di concentramento di Hitler di milioni di ebrei. E rincara la dose annunciando la nascita del museo della Shoah a Roma e affermando che darà:«… un contributo determinante affinché la malvagità del disegno criminale nazifascista e la vergogna delle leggi razziali del 1938 non cadano nell’oblio», con buona pace di chi ancora vede nella destra istituzionale (Forza Nuova e Casa Pound sono un’altra cosa), una forza fascista, nel senso che è rimasta ancorata al fascismo del Ventennio.
Dunque, se parliamo del fascismo classico, quello di Mussolini e l’orbace, mi pare proprio che la destra di FdI abbia saltato lo steccato e oggi sia qualcosa d’altro, anche se c’è qualche antifascista da ztl che usa questa fanfaluca per motivi elettorali e di salotto per non fare vero antifascismo.
Ma la questione è più inquietante perché questo atto in realtà, iniziato con Fiuggi, era dovuto da parte della destra istituzionale di origini missine, per poter aderire alle nuove forme di fascismo che attraversano tutte le istituzioni della società italiana e lo stato stesso.
Carlo Rovelli: Guerra e pace. Intervista a Carlo Rovelli
Guerra e pace. Intervista a Carlo Rovelli
Luca Busca intervista Carlo Rovelli
Carlo Rovelli è un fisico, un professore, un instancabile ricercatore e un fine pensatore. È divenuto famoso nel mondo come divulgatore scientifico grazie ad una serie di libri, tradotti in quarantadue lingue, in grado di spiegare gli arcani della meccanica quantistica anche a tutti coloro che, come il sottoscritto, non sanno neanche di non sapere.
Il suo ultimo libro, “Lo sapevo, qui, sopra il fiume Hao” edito da Solferino, è invece una raccolta di articoli in cui vengono riassunti i grandi temi che caratterizzano il suo pensiero: la Pace, con le sue implicazioni sociali e politiche, e la Scienza, o meglio la Scienza pura, il suo settore di ricerca e di studio con le relative connessioni filosofiche, e le scienze applicate.
Questa intervista si concentra in particolar modo sul pensiero politico di Rovelli e sulle inevitabili riflessioni sul difficile momento che l’essere umano sta attraversando. Perso come è tra guerre, crisi ambientale e disuguaglianze mai raggiunte prima.
* * * *
In un’intervista rilasciata a Piazza Pulita il 9 marzo scorso parlando della guerra in Ucraina, lei ha affermato che la Comunità Internazionale Occidentale racconta una storia in cui il resto del mondo, che costituisce la stragrande maggioranza, non crede più. Quello che vede il resto del mondo è l’Occidente che prevarica per mezzo del dominio militare e non più con quello economico. In quest’ottica come valuta il nuovo conflitto israelo-palestinese?
C.R.: Il conflitto fra Israele e Palestina mette bene in luce la disparità di vedute in corso. Una vasta maggioranza globale giudica criminale e immorale l’attuale comportamento dello stato israeliano, anche quando condanna passate azioni di Hamas. Basta leggere la stampa non occidentale, o contare i voti all’assemblea delle Nazioni Uniti, dove le condanne per Israele sono continue, e non diventano politica ufficiale dell’ONU solo perché gli Stati Uniti, in barba alla democrazia, pongono continuamente il veto.
Giacomo Gabellini: La deriva dell’Occidente nell’intervista di Tucker Carlson a Vladimir Putin
La deriva dell’Occidente nell’intervista di Tucker Carlson a Vladimir Putin
di Giacomo Gabellini
Oggi, a mezzanotte (ora italiana; 18.00 a Washington, 2.00 di notte a Mosca), verrà diffusa l’intervista rilasciata nei giorni scorsi dal presidente russo Vladimir Putin a Tucker Carlson, popolarissimo giornalista licenziato mesi addietro da «Fox News» per via della sua incontrollabilità. La conversazione andrà in onda simultaneamente sul sito di Carlson e su Twitter/X, in seguito alla promessa strappata dal noto conduttore a Elon Musk, proprietario del social network, di non interrompere né censurare in alcun modo la trasmissione.
Che il noto conduttore si trovasse in Russia per questioni di lavoro era evidente, vista l’imponenza della squadra di tecnici e dell’equipaggiamento che aveva portato con sé, ma che si fosse recato a Mosca per intervistare un personaggio del calibro di Putin era tutt’altro che scontato, sia in virtù dell’elevatissima conflittualità internazionale tra Occidente e Russia, sia per le potenziali ripercussioni su Carlson stesso. Il quale è stato puntualmente bollato come “traditore” dall’ex deputato repubblicano Adam Kinzinger, e bersagliato dagli strali più o meno sarcastici di Bill Kristol, redattore della pubblicazione «The Bulwark» secondo cui «avremmo forse bisogno di un blocco totale e completo del rientro di Tucker Carlson negli Stati Uniti finché i dirigenti del nostro Paese non capiranno cosa sta succedendo».
Guy Verhofstadt, già primo ministro belga, ex presidente del Consiglio Europeo e attuale capogruppo dei Liberali al Parlamento Europeo, ha addirittura invocato l’intervento dell’Unione Europea, esortandola a valutare l’imposizione di restrizioni sui viaggi nel “vecchio continente” nei confronti di Carlson, definito come «un portavoce di Donald Trump e di Putin», sulla base della seguente argomentazione:
Stefano Bellucci: Il Sud Africa e il dovere di prevenire il genocidio
Il Sud Africa e il dovere di prevenire il genocidio
di Stefano Bellucci*
Se le parole hanno un senso, gli stati non sono i governi e le nazioni non sono gli stati. Israele è uno stato ma la nazione israeliana non è il governo che guida il suo stato. Le accuse del Sud Africa al governo israeliano non sono un atto contro gli ebrei o contro lo stato di Israele, che anch’essi non sono la stessa cosa. La richiesta del governo del Sud Africa alla Corte internazionale di giustizia di adottare misure cautelari nei confronti di Israele affinché il suo governo non attui un genocidio a Gaza è stata accolta favorevolmente dalla Corte stessa.
L’ANC, razzismo e genocidio
Il procedimento per evitare un genocidio istituito dal governo del Sud Africa a guida African National Congress (ANC) è rivolto al governo di emergenza nazionale guidato da Benjamin Netanyahu e non contro gli ebrei, come afferma qualche scellerato. Proprio come Hamas non è il volto di tutto il popolo palestinese, il governo israeliano non riflette il volere di tutta la nazione, che comprende anche arabi, musulmani e cristiani, non ce lo dimentichiamo. Il governo d’emergenza israeliano, infatti, comprende tutta una serie di piccoli partiti espressione di una galassia di destre religiose invasate e pericolose per gli israeliani stessi oltre che per i palestinesi. L’opposizione di sinistra è piccola ma esiste in Israele ed è formata dai laburisti e dai comunisti di Hadash.
Il Sud Africa ha un governo guidato dall’ANC, il partito di Nelson Mandela, ovvero dell’africano più popolare del ventesimo secolo. L’ANC è un partito di sinistra, anche se lo è solo sul piano sociale e non più su quello economico, dato che dopo trent’anni al potere il Sud Africa è uno dei paesi africani con i più alti tassi di disuguaglianza e criminalità del continente.
Chris Hedges: Che mangino terra
Che mangino terra
di Chris Hedges – chrishedges.substack.com
La fase finale del genocidio israeliano a Gaza, affamare un’intera popolazione, è iniziata. La comunità internazionale non intende fermarla
Non c’è mai stata alcuna possibilità che il governo israeliano accettasse la pausa nei combattimenti proposta dal Segretario di Stato Antony Blinken, tanto meno un cessate il fuoco. Israele è sul punto di assestare il colpo finale alla sua guerra contro i palestinesi di Gaza: lo sterminio per fame. Quando i leader israeliani usano l’espressione “vittoria assoluta”, intendono la decimazione totale, l’eliminazione totale. I nazisti nel 1942 avevano deliberatamente affamato i 500.000 uomini, donne e bambini del ghetto di Varsavia. Questo è un numero che Israele intende superare.
Israele, insieme al suo principale protettore, gli Stati Uniti, tentando di chiudere l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) che fornisce cibo e aiuti a Gaza, non solo sta commettendo un crimine di guerra, ma è in flagrante sfida alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ).
Gigi Sartorelli: Passi avanti della Schengen militare per una UE armata nella NATO
Passi avanti della Schengen militare per una UE armata nella NATO
di Gigi Sartorelli
Il 31 gennaio a Bruxelles, a margine di un incontro tra ministri della difesa europei, Olanda, Germania e Polonia hanno firmato una dichiarazione di intenti per la creazione di un corridoio militare tra i tre paesi. L’accordo è aperto ad altri possibili partecipanti e ha l’obiettivo di facilitare e accelerare il movimento di materiali e truppe da una parte all’altra del continente.
Sono la burocrazia ai confini e l’inadeguatezza delle infrastrutture a rappresentare il principale problema. Per questo i firmatari dell’intesa hanno intenzione di standardizzare le condizioni per i movimenti militari, che in concreto significa semplificare i controlli di frontiera, dare priorità ai convogli militari e ridurre in generale le regolamentazioni sui movimenti di armi.
Boris Pistorius, ministro della difesa tedesco, ha detto che il focus per ora sono i collegamenti dai “porti sul Mare del Nord al fianco est della NATO, particolarmente esposto“, riferendosi allo scontro con Mosca. Ma tutti hanno fatto presente che questa è solo una tappa di un processo che deve portare a una “Schengen militare“.
Guido Salerno Aletta: Se la biodiversità richiede meno agricoltura, l’Italia l’ha già massacrata
Se la biodiversità richiede meno agricoltura, l’Italia l’ha già massacrata
di Guido Salerno Aletta
La morsa economica in cui vivono gli agricoltori fa davvero paura, stretti come sono tra costi incomprimibili e ricavi non trattabili: non solo si fanno una concorrenza spietata tra di loro, ma tanto nei costi di produzione quanto nei ricavi delle vendite hanno a che fare con imprese multinazionali o con grossisti che operano in regime di oligopolio, colludendo.
In Italia, poi, da quarant’anni a questa parte, dal censimento del 1982, la superficie agricola totale si è ridotta di ben 59 mila Kmq, una superficie più che doppia rispetto a quella dell’intera Sicilia che non arriva a 26 mila Kmq. Questi sono i dati rilevati dall’Istat, che nel 2020 ha effettuato il 7° censimento agricolo. Inoltre, il numero delle aziende agricole censite nel 2020 si era ridotto, sempre rispetto al 1982, del 63,8%, il che significa che sono scomparse quasi due aziende agricole su tre. La velocità di riduzione è stata più accentuata negli ultimi vent’anni: nel 2020, infatti, il numero di aziende agricole è stato di 1,1 milioni, più che dimezzato ai 2,4 milioni censito nel 2000.
Anche il numero delle persone che lavorano in agricoltura si è drasticamente ridotto, di un milione tondo di unità in appena un decennio, passando dai 3,8 milioni del 2010 ai 2,8 milioni del 2020.
Leonardo Sinigaglia: I veri ideatori dell'”autonomia differenziata” e l’opposizione di facciata del PD
I veri ideatori dell'”autonomia differenziata” e l’opposizione di facciata del PD
di Leonardo Sinigaglia
L’immagine dei senatori piddini intenti a sventolare il tricolore in protesta contro l’approvazione del ddl Calderoli sull’autonomia differenziata non deve trarre in inganno. Questo progetto, per quanto faccia gola alle mal celate tendenze secessioniste di certe “signorie” regionali, ha una matrice ben precisa, che più che in Padania sta nell’Atlantico, tra Washington e Bruxelles.
Quello che si ha davanti è il progetto euro-federalista, che sin dai tempi dell’American Committee on United Europe e dell’European Recovery Program ha avuto l’unico scopo di unire il continente nella subordinazione all’egemonia statunitense, garantendo mercati di sbocco alle merci americane, ingenti flussi di capitale, il venir meno di imperialismi concorrenti e, cosa di non poco conto, una salda testa di ponte nel continente eurasiatico, elemento necessario per indebolire la posizione degli avversari strategici. Non a caso, i più decisi sostenitori del regionalismo in Italia furono gli appartenenti all’ala destra della Democrazia Cristiana, saldamente agli ordini di Washington almeno dal viaggio di De Gasperi negli USA nel ‘47, ma in stretta connessione con le forze d’Oltreoceano già da prima dell’armistizio.
Francesco Prandel: Vero o falso?
Vero o falso?
di Francesco Prandel
Lo scienziato teorico non è da invidiare. Perché la natura, o più esattamente l’esperimento, è un giudice inesorabile e poco benevolo del suo lavoro. Non dice mai “Sì” a una teoria: nei casi più favorevoli risponde: “Forse”; nella stragrande maggioranza dei casi, dice semplicemente: “No”. Quando un esperimento concorda con una teoria, per la Natura significa “Forse”; se non concorda, significa “No”. Probabilmente ogni teoria un giorno o l’altro subirà il suo “No”.
Albert Einstein
Qualche anno dopo la pubblicazione della teoria della relatività generale, durante una conferenza viennese del 1919, Einstein sosteneva che «se non esistesse lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso a opera del campo gravitazionale, allora la teoria della relatività generale risulterebbe insostenibile». In buona sostanza, il fisico tedesco proponeva di eseguire un esperimento che avrebbe potuto confutare la sua stessa teoria. Popper, che era tra il pubblico, così ricorda quel momento: «Sentivo che era questo il vero atteggiamento scientifico.