Pubblichiamo su Pressenza in tre parti questo interessante articolo. Ecco la terza e ultima parte:
Giocare con l’identità
L’identità deve trasformarsi da strumento di possibile emancipazione in un’arma di potere, emarginazione e segregazione.
Secondo Heiner Keupp, l’identità è “un atto di costruzione sociale”, dove la propria persona o un’altra persona sono legate da una serie di significati interconnessi. La questione dell’identità ha una dimensione universale e culturale specifica e riguarda sempre la creazione di una corrispondenza tra il “dentro” soggettivo e il “fuori” sociale, ovvero un modo di collocarsi socialmente e individualmente nel mondo.
La necessità di costruire un’identità individuale deriva dalla necessità fondamentale di farsi riconoscere e di appartenere ad una categoria sociale. Ciò implica già alla sua base una separazione nella contrapposizione tra l’”io” e il “noi” (appartenenza) e “l’altro” (non appartenenza), che necessita di essere categorizzato nella distinzione dall’altro. Questo aspetto diventa più chiaro con la politica dell’identità sovraindividuale, ovvero, posso definirmi “uomo”, ad esempio, solo nella consapevolezza di essere, presumibilmente, diverso da una “donna” per una serie di caratteristiche o di aspetti. Tuttavia, quando sono presenti l’esclusione e persino l’emarginazione (spesso quando il senso di identità è fragile) sono sempre riconducibili alla questione dell’identità, ovvero una tematica sensibile ai movimenti populisti che costruiscono la propria gerarchia e politica proprio sulle differenze.
A prescindere da questo problema fondamentale, spesso in passato chiarire ed enfatizzare l’identità nei movimenti di sinistra è servito inizialmente come strumento di emancipazione – definirsi “nero”, “donna”, “gay”/”lesbica”, “storpio” (sì, è esistito perfino il movimento degli storpi). Era anche un atto di auto-emancipazione e di incoraggiamento per “deboli” contro i “forti” – per il proprio status sociale, legale o economico. Questa identificazione però comporta anche delle difficoltà, ovvero se una persona non si limita a identificarsi solo come dipendente, quindi si definisce anche in base alla categoria sessuale, di genere, religiosa, eccetera, allora il peso dell’appartenenza di classe scompare e, invece di riconoscere interessi comuni, si crea un mix individuale, che a sua volta si armonizza perfettamente con l’egemonia neoliberale dell’individualismo.
Tuttavia, non solo questo elemento di emancipazione è in gran parte scomparso, ma ha ceduto il posto ad un’altra questione che riguarda la cosiddetta tendenza all’autosacrificio, facendo emergere così un ulteriore problema: se un gruppo di persone si definisce non solo attivo sulla via dell’emancipazione, ma si sente anche “vittima” delle circostanze, può sentirsi in diritto- non da ultimo attraverso delle deviazioni morali – di richiedere l’uso del potere per la sua affermazione. La situazione si complica quando diversi membri appartenenti a dei gruppi di queste “vittime” si ritrovano ad essere in competizione tra loro. Se da un lato, tutto ciò porta all’instaurarsi di strane situazioni contradditorie- ad esempio, quando dei partiti apparentemente di sinistra tedeschi etnici vietano l’ingresso in una struttura privata ad una persona che porta i dreadlocks, perché questi vengono interpretati come un’ “appropriazione culturale”, mettendo in dubbio la propria comprensione del concetto di antirazzismo – dall’altro porta anche a lotte di potere, comportamenti autoritari ed esclusione.
Essendo un argomento troppo complesso per essere riassunto in poche righe ci limiteremo a far notare quanto segue: 1. da una parte, la politica identitaria porta ad assumere posizioni difensive nei confronti degli “altri”, e dall’altro ad avere idee preconcette delle rispettive caratteristiche identitarie; 2. La politica dell’identità è sinonimo di una segregazione astorica delle persone, vedasi per esempio il concetto di “appropriazione culturale”, eppure la storia dell’umanità è inconcepibile senza la mescolanza culturale; 3. L’emarginazione e l’esclusione autoritaria, con il suo relativo sentimento di “vittimismo”, e le presunte identità “puriste” finiscono per fare il gioco della destra, per la quale la mescolanza culturale è sempre stata un abominio, vedendosi vittime dei “verdi di sinistra”.
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