Fulvio Grimaldi: “25mo dell’aggressione NATO alla Serbia”

Fulvio Grimaldi – 20/03/2024

MONDOCANE: 25° dell’aggressione NATO — IN SERBIA L’EUROPA SI SUICIDA — Nasce la Sinistra Nato (fulviogrimaldi.blogspot.com)

 

Byoblu-Mondocane da Belgrado – Fulvio Grimaldi al Convegno Internazionale, 21-24 marzo 2024, nel 25° anniversario dell’aggressione Nato. In onda domenica 21.30. Repliche, salvo imprevisti, lunedì 09.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 09.00.

 

Quelle che vedete qui sopra sono le copertine di documentari che ho realizzato in Serbia nel corso dell’aggressione Nato del 1999 ed eventi successivi. Scusate se stavolta parto da una vicenda personale. Credo lo giustifichi il suo carattere emblematico per quanto riguarda il passaggio della stampa dall’informazione, nei paesi sedicenti democratici, alla propaganda di servizio all’Impero. Una transizione che ha coinvolto ciò che si dichiarava di sinistra, con conseguenze di cui stiamo vedendo gli esiti, tra il catastrofico e il criminale, nel tempo dello scatenamento bellico dell’Occidente politico.

Ci sono due eventi nella mia vita e professione che mi paiono investiti di valore paradigmatico, per quanto capitati a un semplicissimo cronista di strada.

Bloody Sunday, la Domenica di sangue di Derry, Irlanda del Nord, quando accadde che fossi l’unico giornalista internazionale in presenza a documentare la strage di 14 inermi manifestanti per mano dei parà britannici; e una riunione di redazione al TG3, la mattina del 25 marzo 1999, dopo la notte in cui la NATO aveva iniziato l’attacco alla Serbia che avrebbe visto 78 giorni di bombardamenti a tappeto, anche all’uranio impoverito. Genocidio non è un concetto che nasce a Gaza.

Dopo aver per quasi un decennio operato a disintegrare la Federazione multinazionale, multiconfessionale, socialista della Jugoslavia, i quattro maggiori paesi europei, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, più il Vaticano del polacco Woytila, inserendosi con ruolo di mercenari nella “Guerra dei cent’anni” degli Stati Uniti (1917-2024), si avventano direttamente sull’ultima roccaforte di resistenza anticapitalista nei Balcani. Era la regione una volta di più da “normalizzare” in vista della conquista dell’Eurasia, innesco di una conflittualità che avrebbe coinvolto, e sempre più coinvolge, l’Europa.

Noi, avendo le basi USA e NATO in Friuli e nell’Adriatico, ci ponemmo in prima linea, a dispetto dell’opposizione maggioritaria alla guerra e di alcune manifestazioni oceaniche che ne denunciavano il carattere criminale. Protagonista assoluto di questo ritorno alla guerra  in Europa, quella che funambolescamente ancora oggi viene definita e, umoristicamente, si definisce “sinistra”. Al governo c’è il primo presidente del consiglio “comunista”, Massimo D’Alema, supportato da altri comunisti, addirittura più duri e puri, Cossutta, Diliberto e Rizzo (oggi in barca con Alemanno), tanto entusiasti dell’impresa da scindersi da Rifondazione Comunista, principale partito d’opposizione, per entrare nel governo di guerra. Noticina non irrilevante, alla luce dei suoi pronunciamenti di oggi: Sergio Mattarella è vicepremier e, poi, ministro della Difesa. Contribuisce a uccidere l’articolo 11 della Costituzione. Tutta gente spuntata dal taschino di Togliatti e De Gasperi, con inserimenti Gladio.

Torniamo alla mattina di quel 25 marzo. Direttore del TG3, Ennio Chiodi, democristiano “de sinistra”. Parola d’ordine per le varie edizioni di tg e rubriche: “E’ iniziato l’intervento umanitario contro il dittatore Milosevic”. Poco dopo partono le colonne dei buoni e giusti, spesso clericali, ONG e Centri Sociali, gli uni in perfetta malafede, gli altri ignoranti come cocuzze. Armati di razzismo suprematista, pregiudizio nazi-atlantico, elevati valori umanitari. Gli stessi, oggi, dei migranti, di Putin zar, del clima. Tutti a Sarajevo, “città martire”.

Spiccano Luca Casarini (oggi navigante migrantista, “santo subito” in Vaticano) e le sue tutine bianche, ospiti della TV di opposizione B52 di George Soros (Milosevic dittatore!), Sant’Egidio, Donne in Nero, ACLI, ARCI, la Caritas (ne fu scoperta ad Ancona una nave piena di armi per i kosovari). Insomma tutta la prospera brigata di pacifinti che tanto facilita le imprese imperiali. Nacque e si distinse allora la “Sinistra NATO”, o “dei diritti umani”, newsletter “il manifesto”, assurta sempre più ad autentica quinta colonna nelle marche dell’Impero.

Parto anch’io. Per Belgrado, con telecamera appena acquistata, in corriera con slavi che non volevano rassegnarsi al disfacimento del più originale e interessante esperimento politico, sociale e culturale, realizzato al di qua della cortina di ferro.

Sapevo della Serbia, dei tanti partiti che liberamente operavano nelle repubbliche e provincie (li ho incontrati in piena guerra a Belgrado, attivissimi nella loro sede), dei cittadini che liberamente votavano e, soprattutto, di una morsa economica micidiale sulla Jugoslavia, commissionata a FMI e BM dopo la scomparsa del maresciallo Tito perché, con il solito cappio del debito e poi della “riforme strutturali, approfittando di inediti disagi sociali e di attriti nazionalistici che, immancabilmente fomentati, ne sorgono, si arrivasse a rimuovere dalla scena una configurazione infida e spuria come la Jugoslavia, amica dell’URSS, capofila degli insidiosissimi Nonallineati.

Sapevo dello zuccherino dello spazio economico tedesco offerto da Berlino ai sudditi di Slovenia e Croazia, di Woytila e Pannella in mimetica, del panalbanesimo islamista coltivato in Kosovo, Bosnia e Macedonia dai petrotiranni del Golfo, dove operavano in concorso Gorge Soros, con i suoi istituti e le sue università etnicamente puliti (riservati ai soli albanesi), e l’albanese Teresa di Calcutta, con i suoi presidi sanitari etnicamente mondi.

Operava, efficacissima, anche Giovanna Botteri, inviata del mio TG3 che, glorificando le bande mafiose dell’UCK del trafficante di organi e killer di massa, Hashim Thaci, addestrato dalla CIA, amato da Madeleine Albright, segretaria di Stato e coperto dalla KFOR (forza ONU tuttora impegnata a garantire il narcostatarello), e attribuendo ogni sorta di nefandezza ai difensori dell’unità jugoslava, si guadagnò la corrispondenza RAI più pregiata, New York e poi Pechino e poi Parigi. La incrociai a Baghdad, sotto attacco del 2003. Irrinunciabile.

A Belgrado le bombe e i missili. Ottenuto un blackout in tutta la Serbia, tanto da far spegnere le incubatrici e chi ci stava dentro, non c’era più partita. A Pancevo polverizzata la concentrazione petrolchimica con sostanze tossiche sparse su mezza provincia. A Kragujevac, colpito con l’uranio il cuore della classe operaia balcanica, la Zastava (poi ricostruita in un anno dai soli operai). A Novi Sad un allarme da panico ogni trenta minuti, le raffinerie in fiamme e la diossina in tutto il sangue, i tre ponti più belli d’Europa sbriciolati con la gente sopra. A Nis un diluvio di bombe a grappolo, proibite, a seminare schegge e necrosi in tutti gli organi. Milioni di serbi profughi dai macelli nella Krajina e nel Kosovo.

E i treni, e le case, e gli ospedali e il Danubio fatto dilagare a forza di piogge da nuvole inseminate, e la TV di Stato da azzittire, con i missili, come ogni voce altra, al costo di 16 vittime, e l’ambasciata cinese con tre morti, e i due missili dribblati nella Zastava, e l’albergo incenerito dove per un pelo, mezz’ora prima, non ci eravamo acquartierati e la prima rivoluzione colorata CIA con i mercenari fascistoidi di Otpor, e Slobodan Milosevic da me intervistato prima che lo arrestasse, Zoran Đinđić, un Abu Mazen che da Vienna indicava alla NATO i suoi concittadini da colpire, prima di consegnare il presidente patriota ai sagomati yankee he facevano i magistrati all’Aja che, non potendolo condannare, lo fecero morire in cella.

Tutto finito allora. Macchè, l’Impero i suoi sguatteri il lavoro non riescono a finirlo mai. La Serbia è sotto tiro come non mai. A prescindere. Basta che esista, lì in mezzo, davanti alla Russia, con i suoi “serbi da morire”.

Nella trasmissione c’è altro. Ma voglio chiudere con un’immagine che apre e chiude il mio docufilm ben titolato “Serbi da morire”. Immagine che ho presente con la stessa vivezza di colori e profili di 25 anni fa. Serbi, donne, uomini, ragazzi, vecchi, tutti sul ponte Branco, centro di Belgrado, in pieno bombardamento di tutti i ponti, con sul petto un cartello “Target”: colpisci me, figlio di puttana! Non mi fai paura.

 

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