In Ucraina si muore anche ‘grazie’ alle bombe italiane: l’export italiano di armi è aumentato del 24%

Antonio Maria Mira – 28 marzo 2024

Effetto-Ucraina sull’export italiano di armi: è aumentato del 24% (avvenire.it)

 

Presentata al Parlamento la «Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento»

Aumenta di più del 24% l’esportazione di armi italiane, soprattutto grazie alle vendite all’Ucraina, passate da zero a quasi mezzo miliardo di euro. È quanto riferisce la “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, relativa al 2023, inviata dal governo al Parlamento. Un documento che, se fosse approvata la riforma della legge 185 del 1990 sul commercio delle armi presentata dal governo, conterrebbe molte meno informazioni. E quello di questo anno è molto importante, visti i conflitti in atto. Come si legge nella parte elaborata dal ministero degli Esteri, malgrado il numero delle operazioni di esportazione autorizzate sia leggermente diminuito, è invece cresciuto il valore delle esportazioni individuali, da 3,83 miliardi a 4,76, con un incremento di ben il 24,43% rispetto al 2022, che diventa il 30,63 rispetto al 2021. La cifra più alta dal 1991 dopo gli anni 2016, 2015, 2008 e 2011. E che arriva addirittura a 6,31 miliardi se aggiungiamo anche le licenze globali.

Dove finiscono le armi italiane? Per il 46,37% in Paesi Ue o membri europei della Nato, il 15,33% in Africa settentrionale e Medioriente, il 12,71% in Paesi europei non Ue e Nato, e Osce extraeuropei, il 9,82% in Asia, il 9,68% in America del Nord. La Francia, che nel 2022 era al sesto posto, è passata al primo, con 465,4 milioni, seguita con 417,3 milioni dall’Ucraina, che era 49esima nel 2022 e addirittura a zero importazioni negli anni precedenti. Seguono gli Usa, con 390,3 milioni, l’Arabia Saudita (nona nel 2022) con 363,1, il Regno Unito a 277,6, e la Turchia a 231,3.

Il dato relativo all’Ucraina, si legge nella Relazione, «evidenzia come il conflitto in corso, dopo una prima fase in cui l’assistenza militare è stata gestita quasi interamente tramite le forniture organizzate dal ministero della Difesa (che non necessitano di licenza e dunque non figurano nei nostri dati), nel 2023 ha coinvolto in maniera più ampia le capacità produttive dell’intero sistema Paese, con sempre maggiore apporto da parte del settore privato».

Invece nell’altro scenario di guerra, «per quanto riguarda Israele, nel 2023, il valore delle esportazioni autorizzate (9,9 milioni) è rimasto stabile rispetto all’anno precedente. Come noto, le caratteristiche dell’azione israeliana su Gaza in reazione al criminale assalto condotto da Hamas, dopo il 7 ottobre 2023 hanno indotto a valutare la concessione di nuove autorizzazioni verso Israele con particolare prudenza. È stata, come noto, sospesa la concessione di nuove autorizzazioni all’esportazione di armamenti».

Cosa vendiamo? La Relazione riferisce che anche nel 2023 la categoria “materiali” costituisce la tipologia maggioritaria con l’83,85%. E sono armi decisamente letali. Si tratta di bombe, siluri, razzi e missili per 993 milioni, munizioni per 889 milioni, aeromobili per 679, veicoli per 526, apparecchiature elettroniche per 313. I primi quattro operatori sono Leonardo (26,96%), Rwm Italia (12,88%), Iveco defence vehicles (11,27%), Avio (8,17%), che rappresentano circa il 59% del valore degli scambi. Ricordiamo che Rwm è la società tedesca con sede in Sardegna al centro di polemiche per la vendita ad Arabia Saudita e Emirati Arabi di bombe usate nella guerra nello Yemen.

Armi che ora sono vendute all’Ucraina. Nel corso del 2023 sono state effettuate dagli intermediari 20.756 comunicazioni su transazioni bancarie per operazioni relative agli armamenti, per un importo di quasi 12 miliardi. Nel 2022 erano state 19.646 e dunque l’aumento è stato del 5,65%, «a conferma – si legge nella Relazione – del diffuso coinvolgimento degli istituti di credito e di altri intermediari finanziari». Gli enti accreditati sono più di 70 e gli utenti abilitati oltre 500. Il 69% delle transazioni è stato negoziato da tre istituti di credito (Unicredit, Deutsche Bank, Intesa Sanpaolo). Informazioni che se passasse la riforma del Governo non sarebbero più disponibili.

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