Rassegna 18/04/2024
Andrea Pannone: Lenin a Wall Street: imperialismo e centralizzazione nel XXI secolo (I)
Lenin a Wall Street: imperialismo e centralizzazione nel XXI secolo (I)
di Andrea Pannone
A 100 anni dalla morte di Lenin (21 gennaio 1924) e nel pieno di una fase storica nuovamente caratterizzata dalla contrapposizione diretta tra superpotenze mondiali, una riflessione critica sul concetto di imperialismo formulato dal leader bolscevico nel 1917 assume una specifica rilevanza. Partendo da qui, questo scritto si focalizza sul nesso tra eccesso di capacità produttiva e centralizzazione internazionale dei capitali alla luce del processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale che sta caratterizzando il XXI secolo. La nostra tesi, infatti, è che i connotati assunti da questi tre fenomeni negli ultimi quindici anni concorrano in modo decisivo a interpretare la natura delle recenti tensioni belliche tra alcune nazioni.
Il lavoro è organizzato come segue. Nel primo paragrafo si esamina la categoria centrale della teoria dell’imperialismo di Lenin ossia il concetto di esportazione di capitale in eccesso. Nel secondo paragrafo si cerca di evidenziare l’attuale rilevanza di questa categoria concettuale alla luce di quella che può essere considerata una sua proxy: gli investimenti diretti esteri. Nel terzo paragrafo si esamina il nesso tra eccesso di capacità e centralizzazione del capitale nella sua evoluzione storica, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. Il quarto paragrafo analizza la crescente influenza delle oligarchie economico-finanziarie sulle politiche degli Stati e sulle relazioni internazionali. Il quinto paragrafo conclude evidenziando il ruolo dei conflitti bellici nell’equilibrio instabile tra gruppi di potere che perseguono logiche di accumulazione diverse.
Pubblichiamo oggi la prima parte dello scritto (A.P.)
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I. L’esportazione di capitali in eccesso e la teoria dell’imperialismo di Lenin
Scott Ritter: I missili di aprile
I missili di aprile
di Scott Ritter
L’attacco di rappresaglia dell’Iran contro Israele passerà alla storia come una delle più grandi vittorie di questo secolo
Scrivo sull’Iran da più di due decenni. Nel 2005 ho compiuto un viaggio in Iran per accertare la “verità di fondo” su quella nazione, verità che ho poi incorporato in un libro, “Target Iran”, che illustrava la collaborazione tra Stati Uniti e Israele per creare una giustificazione per un attacco militare all’Iran volto a far cadere il suo governo teocratico. A questo libro ha fatto seguito un altro, “Dealbreaker”, nel 2018, che ha aggiornato questo sforzo USA-Israele.
Nel novembre 2006, in un discorso alla School of International Relations della Columbia University, ho sottolineato che gli Stati Uniti non avrebbero mai abbandonato il nostro “buon amico” Israele fino a quando, ovviamente, non lo avremmo fatto. Cosa potrebbe far precipitare un’azione del genere, chiesi? Feci notare che Israele era una nazione ubriaca di arroganza e di potere e che, a meno che gli Stati Uniti non avessero trovato un modo per togliere le chiavi dall’accensione dell’autobus che Israele stava guidando verso l’abisso, non ci saremmo uniti a Israele nel suo viaggio suicida da lemming.
L’anno successivo, nel 2007, durante un discorso all’American Jewish Committee, ho sottolineato che le mie critiche a Israele (da cui molti tra il pubblico si sentirono fortemente offesi) provenivano da una preoccupazione per il futuro di Israele. Sottolineai la realtà che ho trascorso la maggior parte del decennio cercando di proteggere Israele dai missili iracheni, sia durante il mio servizio in Desert Storm, dove ho avuto un ruolo nella campagna contro i missili SCUD, sia come ispettore delle Nazioni Unite, dove ho lavorato con l’intelligence israeliana per assicurarmi che i missili SCUD dell’Iraq fossero eliminati.
Lelio Demichelis: La sinistra sedotta dalla guerra
La sinistra sedotta dalla guerra*
di Lelio Demichelis
Dei tre secoli di guerra mondiale alla biosfera, all’uomo e alla libertà è complice anche ciò che oggi resta delle sinistre e del marxismo, adeguatosi alle esigenze del capitale e della tecnologia
È utile rileggere Rosa Luxemburg e la sua Crisi della socialdemocrazia, scritta in carcere nel 1915 e pubblicata agli inizi del 1916, opera famosa per la frase “socialismo o barbarie” e dove tutto è contenuto in quella “o”disgiuntiva che le sinistre hanno sempre più dimenticato. Testo nato dopo che la socialdemocrazia tedesca, rinnegando se stessa, la sua storia e gli ideali dell’internazionalismo in nome del nazionalismo e della difesa della patria, aveva approvato i crediti di guerra e legittimato l’entrata nella prima guerra mondiale della Germania contro – la storia sembra ripetersi – la Russia zarista. Ma con la differenza non da poco che allora la sinistra aveva rinnegato se stessa e la lotta di classe davanti al nazionalismo e alla guerra militare, mentre oggi (in realtà da troppo tempo) ha rinnegato se stessa e la lotta di classe (analogamente ha fatto la sinistra illuministica per quanto riguarda ragione e libertà e autonomia individuale) davanti al neoliberalismo ma soprattutto davanti alla tecnica, perché anche i marxismi sono sempre stati positivisti e industrialisti e per lo sviluppo crescente delle forze produttive. La fabbrica era il modello (Marx e Gramsci) per la società socialista ma senza il capitalismo. Senza capire, il marxismo, che la causa vera dell’oppressione sociale (ancora Simone Weil) era proprio la fabbrica con la sua divisione tra chi comanda (oggi, un algoritmo/piattaforma) e chi deve eseguire (noi tutti forza-lavoro digitalizzata nella società-fabbrica), non la proprietà dei mezzi di produzione. E non vedendo, il marxismo, che anche la tecnica – parte della razionalità strumentale/calcolante-industriale – è totalitaria, antiumanistica ed ecocida di per sé.
Eugenio Pavarani: Il “piùEuropa” e il male della banalità
Il “piùEuropa” e il male della banalità
di Eugenio Pavarani
Gabriele Guzzi, attraverso le pagine di LIMES, ha lanciato l’invito a sviluppare una discussione franca sugli effetti della moneta unica per la nostra economia. Credo che abbia voluto individuare un target specifico e che si sia rivolto, in particolare, a chi ancora non ha capito che l’euro non è soltanto una moneta ma è anche un potente strumento a supporto di un’ideologia che sta profondamente modificando la costituzione materiale del nostro Paese e sta fortemente penalizzando la nostra economia. È lodevole l’intento di comunicare con coloro che non hanno ancora maturato la consapevolezza dello “iato tra l’immagine edulcorata di Europa e l’Europa reale che si fa ogni anno più insostenibile”. Comunicare e stimolare il dibattito, d’accordo; ma che cosa comunicare? e, soprattutto, come comunicare?
Credo che tutti coloro che conoscono le argomentazioni proposte da Guzzi nel suo articolo, e le condividono, si siano anche domandati, prima o poi, come si possa impostare, sul piano del metodo, una comunicazione mirata sul target individuato. L’articolo di taglio scientifico è il medium adeguato? (gli esperti della comunicazione insegnano che “il medium è il messaggio”). Sul piano del metodo, c’è un enorme problema di fine tuning, di adeguatezza della comunicazione in relazione al target se si tiene conto, soprattutto, delle barriere da superare che sono costituite, da un lato, dalla complessità del tema (sotto questo aspetto è molto apprezzabile l’evidente sforzo di chiarezza espositiva che permea l’intero articolo), complessità che richiede, da parte dell’interlocutore, una preliminare base di conoscenza del lessico e degli strumenti concettuali dell’economia.
Dante Barontini: Un mondo nelle mani dei “cani pazzi”
Un mondo nelle mani dei “cani pazzi”
di Dante Barontini
Nell’analizzare gli ultimi sviluppi del conflitto mediorientale sono molti i rischi, o le tentazioni, che possono portare fuori bersaglio.
Anche l’analisi di classe mostra qualche limite, se si fa attenzione al concreto della struttura sociale israeliana – quanto meno – dove ai “cittadini a pieno titolo dello Stato ebraico” (la definizione è stata assunta nella “legge fondamentale”, para-costituzionale) sono riservati tutta una serie di diritti e privilegi, anche in termini di posizioni lavorative, mentre il “lavoro bruto” o lo sfruttamento senza mediazioni è riservato ai palestinesi (il 20% della popolazione) o agli immigrati (thailandesi, cingalesi, ecc).
E’ insomma la struttura tipica delle società coloniali o schiavistiche (tipo l’Atene antica) che riduce la dialettica politica, anche fortemente conflittuale, alla sola “frazione affluente”. Dove si può contestare – e lo si è fatto anche duramente, negli ultimi anni – la torsione autoritaria implicita in alcune riforme istituzionali volute dal governo Netanyahu, ma non certo la sostanza dei rapporti interni e con i paesi vicini, né riguardo ai palestinesi che vivono al di là del Muro di separazione.
Clara Statello: La fine dell’impunità di Israele
La fine dell’impunità di Israele
di Clara Statello
Il mondo intero è di nuovo con il fiato sospeso, per il terrore di una grande guerra che infiammi il Medio Oriente. L’attacco di ritorsione lanciato dall’Iran, nella lunga notte tra sabato e domenica, ha lasciato senza sonno Israele. Per cinque ore oltre 300 munizioni sono state scagliate contro il territorio israeliano.
La rappresaglia per l’attacco dell’1 aprile a Damasco è arrivata dopo quasi due settimane, ampiamente annunciata, lenta ma imponente.
Secondo le stime ufficiali riportate dal New York Times, l’Iran ha utilizzato 185 droni kamikaze Shahed, 36 missili da crociera e 110 missili terra-superficie. Inoltre è stato accertato l’utilizzo di missili balistici. La maggior parte dei lanci proveniva dall’Iran, anche se una piccola parte proveniva dall’Iraq e dallo Yemen.
E’ il primo confronto diretto tra i due Paesi e una dimostrazione militare dell’asse della resistenza.
Non ci sono vittime, meno di una decina di feriti, tra cui purtroppo una bambina di 7 anni in terapia intensiva per una grave ferita alla testa, riporta il Times of Israel. Le forze israeliane (IDF) affermano che il 99% dei lanci è stato intercettato dall’Iron Dome. USA, Gran Bretagna, Francia e Giordania hanno contribuito a intercettare la massiccia raffica di missili e droni.
Pierluigi Fagan: Decidere in contesti complessi
Decidere in contesti complessi
di Pierluigi Fagan
Molti neuroscienziati notano come il nostro cervello-mente si sia lungamente evoluto, quindi formato, alle prese con problemi vicini (fame, sete, sicurezza), immediati (giorno per giorno, ogni giorno) relativamente semplici (amico/nemico, sesso, utile/inutile), in gruppi piccoli tendenzialmente egalitari, relativamente isolati tra loro, in cui ognuno conosceva ogni altro.
Oggi ci troviamo associati in gruppi enormi, di una certa densità territoriale che si estende ormai alla dimensione planetaria, in cui i più ci sono sconosciuti, dentro formali e informali gerarchie multilivello, con un gran numero di problemi complessi e con decisioni che avranno effetti e conseguenze decennali, che spesso vanno anticipati perché “dopo è tardi”. Si tratta di problemi spesso percettivamente invisibili eppure decisivi come la questione ecologica, climatica, geopolitica, economo -finanziaria, le nuove tecnologie. I gruppi umani molto antichi erano per lo più natura, i gruppi contemporanei sono per lo più cultura.
C’è chi da tutto ciò, trae motivo per promuovere lo sviluppo di protesi cibernetiche e info-tecniche, dagli impianti di chip agli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, che dovrebbero potenziare e correggere il nostro strumento decisionale.
Piccole Note: Ucraina, per il New York Times la matematica la condanna
Ucraina, per il New York Times la matematica la condanna
di Piccole Note
L’unica possibilità, per l’Ucraina, è aprire negoziati su una base realistica e abbandonare i miraggi neocon
Nonostante sia palese che la guerra ucraina è persa, l’Occidente resta aggrappato ai dogmi neocon, incapace non solo di trovare, ma anche solo di pensare una exit strategy da una guerra disastrosa per Kiev e per l’Europa, che il conflitto sta degradando sia a livello economico che politico.
Quest’ultimo aspetto inquieta e interpella sia perché denota un asservimento della Politica europea ai circoli neocon, dipendenza mai registrata in tale misura in precedenza, sia perché evidenzia il degrado delle dinamiche democratiche, dal momento che l’opposizione alle linee guida neocon non ha alcuno spazio di legittimità.
Ironico che tale processo involutivo della democrazia, sempre più accentuato, sia alimentato dagli ambiti che sostengono che è in corso una lotta tra democrazia e autoritarismo…
Niente senza l’Ucraina?
Tra i dogmi irrevocabili della narrativa di guerra, quello che vuole che l’Occidente non debba prendere iniziative sui negoziati senza il placet ucraino, conferendo a Zelensky un ruolo di dominus assoluto, ruolo ovviamente solo di facciata essendo egli una marionetta dei neocon.
Sandro Moiso: Non bisogna mai tornare indietro, nemmeno per prendere la rincorsa
Non bisogna mai tornare indietro, nemmeno per prendere la rincorsa
di Sandro Moiso
City Lights e Collettivo Adespota (a cura di), Quando muoiono le insurrezioni. Italia 1922 – Germania 1933 – Spagna 1936-1939, Edizioni Colibrì, Milano 2024, pp. 400, 25 euro
Per battere Franco, occorreva prima battere Companys e Caballero.
Per sconfiggere il fascismo, bisognava prima schiacciare la borghesia e i suoi alleati stalinisti e socialisti. Bisognava distruggere da cima a fondo lo Stato capitalista e instaurare un potere operaio che sorgesse dai comitati di base dei lavoratori […]. L’unità antifascista non è stata altro che la sottomissione alla borghesia. (Manifesto dell’Union Communiste, Barcellona, giugno 1937)
Il titolo di questa recensione, ripreso da Andrea Pazienza, serve a rendere bene l’idea del contenuto del testo appena pubblicato dalle Edizioni Colibrì e della necessaria e irrinunciabile radicalità dell’opposizione di classe al capitalismo, alle sue guerre e ai suoi sgherri fascisti, in divisa o meno che questi siano. Ma anche a ricordare, a un mese dalla sua scomparsa, Stefano Milanesi, militante NoTav e rivoluzionario, al quale questo libro sarebbe probabilmente piaciuto.
In un’epoca di ritornante e ammorbante dibattito politico e mediatico sul pericolo rappresentato dal fascismo per l’ordine democratico e il buon vivere civile, in entrambi i casi “borghesi”, la lettura dei testi contenuti nella raccolta curata dalla Calusca City Lights e dal Collettivo Adespota si rivela assolutamente necessaria, se non indispensabile ed essenziale.
Jodi Dean: Capitalismo o neofeudalesimo? Un’introduzione
Capitalismo o neofeudalesimo? Un’introduzione
di Jodi Dean
Come pensare insieme la crisi della riproduzione sociale, l’intensificarsi delle disuguaglianze economiche e la riduzione dell’orizzonte politico? In Capitalismo o neofeudalesimo? Jodi Dean delinea le coordinate per reinterpretare i mutamenti globali del modo di produzione capitalistico e proporre una nuova ipotesi finalizzata a comprendere la fase attuale dello sviluppo del capitalismo stesso. Su Scenari proponiamo un estratto del libro.
1. Panoramica
Che cosa definisce il capitalismo contemporaneo? Come lo descriviamo? Quali sono i suoi tratti salienti? È addirittura corretto descrivere il nostro presente come capitalista? La mia ipotesi è che il capitalismo stia diventando qualcosa d’altro, qualcosa che possiamo proficuamente descrivere come neofeudale. Le dinamiche proprie del capitalismo si stanno avviluppando su se stesse in una sorta di sussunzione assoluta, con nuovi signori e nuovi servi, con una micro-élite di miliardari delle piattaforme e un massiccio settore di servizi, ovvero di servitori. Nel chiederci se l’ipotesi neofeudale abbia senso, se il capitalismo stia veramente diventando qualcosa di diverso, dobbiamo tenere a mente che il capitalismo si è sempre sovrapposto ad altri modi di produzione, su cui ha fatto leva e che ha sfruttato a suo vantaggio. Il capitalismo li deteriora, smantellando le condizioni a cui essi si erano adattati e assoggettandoli a leggi a loro estranee.
Da alcuni anni ormai sono alle prese con la questio ne posta da McKenzie Wark: “e se non fossimo più nel capitalismo, ma in qualcosa di peggiore?” [1]. Sulle prime pensavo che tale questione fosse assurda: certo che siamo nel capitalismo, in un capitalismo veramente orribile, estremo e neoliberale; in un capitalismo che ha abbandonato il compromesso a esso imposto dai movimenti operai nel XX secolo e procede a briglia sciolta nella sua corsa al profitto. Ma più esaminavo la questione, meno l’idea di un capitalismo eterno e sempre in grado di adattarsi diventava convincente. Harry Harootunian, ad esempio, critica l’immagine di un “capitalismo compiuto in occidente”.
Emiliano Gentili, Federico Giusti, Stefano Macera: Attraversando il PNRR. Parte II (III)
Attraversando il PNRR. Parte II (III)
di Emiliano Gentili, Federico Giusti, Stefano Macera
Pubblichiamo la terza puntata della seconda parte dello studio sul PNRR condotto da Emiliano Gentili, Stefano Macera e Federico Giusti. Dopo aver analizzato, nella prima parte, il contesto economico italiano e la strategia perseguita dall’Unione Europea nella programmazione del Piano, nel nuovo articolo, gli autori analizzano l’idea di politica energetica dell’Ue e dell’Italia ed esaminano alcuni investimenti previsti dal PNRR particolarmente significativi per lo sviluppo dell’economia italiana, con particolare riferimento alla filiera dei semiconduttori, dell’idrogeno e della logistica, ai processi di digitalizzazione industriale.
Qui la prima puntata, qui la seconda.
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IV. La digitalizzazione industriale
La Missione 1, Componente 2 del Pnrr italiano vuol dare impulso a processi di digitalizzazione e innovazione industriali, nonché a «un’infrastruttura di reti fisse e mobili ad altissima capacità (Very High Capacity Network)»[1]. Investire per rendere le imprese più tecnologiche sarebbe un inutile sperpero di risorse nel caso in cui il territorio nazionale non offrisse una capacità di connettività sufficiente all’utilizzo ottimale delle nuove tecnologie.
Se da un lato, dunque, questa Componente elargisce soldi pubblici per gli investimenti in tecnologia e in ricerca e sviluppo, supportando poi in maniera più corposa alcuni settori strategici dal punto di vista comunitario[2], dall’altro «include importanti investimenti per garantire la copertura di tutto il territorio con reti a banda ultra-larga (fibra FTTH, FWA e 5G), condizione necessaria per consentire alle imprese di catturare i benefici della digitalizzazione e più in generale per realizzare pienamente l’obiettivo di gigabit society»[3].
Salvatore Bravo: Nichilismo adattivo e capitalismo
Nichilismo adattivo e capitalismo
di Salvatore Bravo
Il capitalismo nell’attuale fase logora ogni memoria identitaria al fine di rendere i soggetti funzioni del sistema, perché vi sia l’esodo dal capitale è fondamentale domandarsi che cosa il capitalismo: violenza e dominio mediante l’adorazione idolatra del plusvalore.
Vi è la violenza percettiva e la violenza psichica, entrambe nella loro azione coordinata producono e disseminano in ogni punto della comunità saccheggiata tensione e privazione. L’abbondanza materiale è consustanziale alla privazione ontologica del bene e dei fini oggettivi.
Il capitalismo deforma la natura umana, bombarda “gli stati canaglia” e saccheggia l’ambiente; a livello psichico sottrae memoria, contenuti e identità per rendere i soggetti flessibili e adattivi. La percezione del mondo è alterata dal frastuono delle immagini e dei suoni, si tutto regna la cinesi della dispersione. La velocità mito e croce della modernità divide il soggetto da se stesso e dalla comunità. Non si ascolta il corpo vissuto, le relazioni si consumano velocemente, per cui la percezione è distorta al punto da fondare il soggetto deterritorializzato, regna la scissione in ogni direzione relazionale. L’alterazione è tale che il soggetto diviene incapace di distinguere il mondo reale dall’immaginario indotto. Confusione e caos sono i mali in cui il soggetto precipita.
Per trasformare i popoli in materiale inerte il capitalismo sottrae loro la lingua e la storia. Senza lingua non vi è logos, ma solo un soggetto sempre più simile al “niente”.
Il caso italiano è emblematico: l’anglo-italiano si coniuga con l’ostracismo perenne alla tradizione culturale e filosofica italiana.
comidad: L’oppio delle masse arabe e la cocaina di Israele
L’oppio delle masse arabe e la cocaina di Israele
di comidad
Le parole dovrebbero essere annoverate nell’elenco delle droghe pesanti, e purtroppo a chiunque può capitare di farsi ogni tanto una “pera” eccessiva. Il quotidiano neocon “il Foglio” si è approfittato del “trip” di uno dei padri costituenti, Umberto Terracini, per fargli fare una figuraccia postuma mettendo in evidenza alcune sue frasi poco felici in sostegno di Israele. Dopo averci ammonito sul fatto che anche Terracini considerava l’antisionismo una forma di antisemitismo, ci viene proposta una citazione nella quale il vecchio comunista contestava ai governi dei paesi arabi “il rifiuto testardo al riconoscimento di Israele, vero oppio per quelle masse immiserite e incolte”. Ma, con tutta la buona volontà, riconoscere cosa? Le masse arabe saranno anche “immiserite e incolte”, però si sono accorte del fatto che Israele non ha mai chiarito quali siano i suoi confini territoriali, cioè dove intende fermarsi e neppure se intende fermarsi.
Le diatribe pretestuose su antisionismo e antisemitismo sono a loro volta nuvole di una fumeria d’oppio, mentre la domanda concreta su quelli che Israele considera i propri confini definitivi non se la fanno soltanto i palestinesi, ma soprattutto i libanesi e i siriani, visto che sono in gioco le loro fonti idriche.
Agata Iacono: I successi del boicottaggio al regime israeliano: il caso McDonald’s e l’app “No Thanks”
I successi del boicottaggio al regime israeliano: il caso McDonald’s e l’app “No Thanks”
di Agata Iacono
Da questa parte del “mondo democratico occidentale”, molti di noi si dibattono tra rabbia e la sensazione drammatica di impotenza nell’assistere allo sterminio in diretta di un intero popolo.
A volte questo senso di frustrazione si trasforma in disagio somatizzato, in depressione (parlo per me e per gli amici e compagni con cui mi confronto ogni giorno). In altri casi, invece, rischia di generare reazioni di autoconservazione fatalista, ricerca del deus ex machina, rimozione.
Eppure qualcosa si muove. Qualcosa possiamo fare. Una piccola goccia insistente sta scavando la roccia.
McDonald’s è costretta a riacquistare il franchising israeliano. L’azienda si riprenderà 225 punti vendita dopo che il franchising è diventato un punto di riferimento per le proteste contro il genocidio del popolo palestinese. La catena di fast food è stata oggetto di boicottaggio, soprattutto dopo la dichiarazione di aver fornito pasti gratuiti ai militari israeliani dal 7 ottobre.
McDonald’s Corporation ha dichiarato che il franchising israeliano “ha agito senza l’approvazione della sede centrale”. McDonald’s aveva respinto quelle che aveva definito “notizie inesatte” da parte della rete internazionale BDS (Boicottando Disinvestimento Sanzioni), sulla sua posizione nei confronti di Gaza.
Alberto Bradanini: Ancora su Julian Assange, sì ancora e ancora, fino alla libertà
Ancora su Julian Assange, sì ancora e ancora, fino alla libertà
di Alberto Bradanini
1. Seguendo un copione creato a tavolino per ingannare la mente di chi si abbevera ai telegiornali della sera, gli Stati Uniti continuano a tirare il guinzaglio legato al collo del cagnolino d’oltremanica. Quel cagnolino era un tempo l’Impero britannico’, oggi solo un maggiordomo che esegue gli ordini dell’Impero Atlantico: tenere Julian Assange in prigione fino alla morte.
Per la più grande democrazia al mondo – da esportare, se del caso, a suon di bombe e che ormai solo i politici europei (e italiani) credono sia tale – il rischio più esecrabile è costituito dall’emergere della verità. Avendo coltivato l’impudenza di esporre al mondo i crimini commessi da americani e britannici in Iraq e Afganistan, esercitando la professione di giornalista, egli deve morire!
Quel bel tomo di H. Kissinger affermò un giorno che occorreva far rinsavire il popolo cileno che aveva osato votare per Allende, con le buone o con le cattive maniere. In analogia, secondo l’avariata narrativa a guida Usa, democrazia e verità sono valori da difendere solo se non interferiscono con le loro impudicizie e quelle dei loro compagni di merenda. Dietro tale narrativa si celano individui spietati, affetti da gravi patologie e per i quali ricchezze e potere non sono mai abbastanza. Coloro che stanno spingendo il mondo nel baratro della distruzione sono gli stessi che prosperano con il sostegno di politici/burocrati, giornalisti e accademici, tutti ben remunerati con carriere e prebende.
Martino Dettori: Benvenuti nella seconda guerra mondiale 2.0
Benvenuti nella seconda guerra mondiale 2.0
di Martino Dettori
La rappresaglia dell’Iran nei confronti di Israele ha fatto salire la tensione in Medioriente e tutti parlano di rischio di WW3, ma la verità è un po’ diversa
Qualcuno parla di rischio di terza guerra mondiale davanti alla rappresaglia dell’Iran verso Israele, ma cari miei, una terza guerra mondiale sarebbe solo nucleare. Perciò, definitivamente distruttiva dell’umanità. Avete presente l’anime e il manga “Ken il Guerriero”? Lì, almeno, le armi nucleari sono state relativamente innocue: hanno distrutto il mondo, ma non hanno lasciato radiazioni. Ma nella realtà, una guerra di tale portata, ridurrebbe il mondo a una landa desolata radioattiva, invivibile. E per quanto noi siamo governati dai sociopatici dell’anglosfera e dai loro viceré, è difficile credere che la loro sociopatia arrivi fino al punto da considerare l’autodistruzione un’opzione.
Perciò, oggi l’unica guerra che costoro sono disposti a combattere, è una guerra mondiale a pezzi, fatta di sanzioni economiche, terrorismo e guerre regionali, il cui scopo è mantenere alta la tensione e l’egemonia che si sono costruiti pezzo per pezzo con la fine della seconda guerra mondiale e la vittoria strategica contro l’URSS quarantacinque anni dopo.