1. Nella stessa giornata in cui, dopo che il governo aveva chiesto di costituirsi parte civile, il Giudice dell’Udienza preliminare di Trapani chiude il processo Iuventa, dichiarando che “il fatto non sussiste”, rendendo evidente la montatura imbastita contro i soccorsi umanitari, il Tribunale civile di Crotone, dopo avere ascoltato le parti, conferma la sospensione del fermo amministrativo della Sos Huamnity, riconoscendo allo stato degli atti, come riferisce l’ANSA, che “quella della guardia costiera libica era un’operazione di salvataggio “insussistente” e quindi “nessuna condotta ostativa è riscontrabile” nei riguardi della Humanity 1 “la quale, in tale, contesto, è risultata l’unica imbarcazione ad intervenire per adempiere, nel senso riconosciuto dalle fonti internazionali, al dovere di soccorso in mare dei migranti”. In attesa dell’udienza di merito che si terrà il 26 giugno, secondo l’ordinanza del Tribunale di Crotone, “non può ritenersi che l’attività perpetrata dalla guardia costiera libica sia qualificabile come attività di soccorso per le modalità stesse con cui tale attività è stata esplicata. Costituisce infatti circostanza incontestata e documentalmente provata che il personale libico fosse armato e che, in occasione di tali attività, avesse altresì esploso colpi di arma da fuoco; parimenti, costituisce circostanza evincibile dalla corrispondenza in atti che nessun luogo sicuro risulta essere stato reso noto dalle stesse autorità libiche intervenute per coordinare sul posto le operazioni di recupero dei migranti”.
Il giudice del Tribunale di Crotone, richiamando la Convenzione sui soccorsi in mare (SAR) di Amburgo, il Memorandum tra il governo italiano e il governo provvisorio di Tripoli del 2 febbraio 2017, ed i rapporti ONU del 2021, afferma che “allo stato attuale non è possibile considerare la Libia un posto sicuro ai sensi della Convenzione di Amburgo, essendo il contesto libico caratterizzato da violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani e non essendo stata mai ratificata la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati da parte della Libia”. Dunque, “stante l’insussistenza di una operazione di salvataggio concomitante perpetrata dalla guardia costiera libica, nessun ordine di allontanamento è giustificabile nei confronti dell’unica imbarcazione che ha posto in essere condotte in adempimento del dovere assoluto di soccorso in mare”.
Come nel caso Iuventa a Trapani, dove si procedeva in sede penale, e sono emerse falsità evidenti nelle contestazioni dell’accusa, nel caso della SOS Humanity la sanzione pecuniaria e la misura accessoria del fermo aministrativo erano state stabilite sulla base di prove ritenute in questa fase di giudizio non attendibili. Secondo quanto dichiarato dalla presidente dell’Associazione Sos Humanity, gli operatori umanitari della nave erano stati i primi a rispondere alle segnalazioni di emergenza e ad arrivare sul punto nel quale si trovavano tre imbarcazioni in situazioni di evidente distress (pericolo). I soccorsi erano già avviati, dunque, quando sopraggiungeva all’imptovviso un gommone libico, A quel punto, per quanto riferito dalla stessa rappresentante, “sostanzialmente persone armate hanno preso il controllo di due imbarcazioni in difficoltà con manovre spericolate, costringendo le persone a cadere o a saltare in acqua. La cosa grave è che hanno sparato dei colpi in acqua vicino ai gommoni. E in ultimo l’equipaggio è stato minacciato con i fucili e costretto ad abbandonare la scena che fino a poco prima era sotto controllo”. Al contrario di quanto affermato dal governo, attraverso i suoi organi periferici, e dall’avvocatura dello Stato , il Tribunale di Crotone riconosce a tale riguardo che tra la situazione di pericolo nella quale versavano i naufraghi e la condotta degli operatori della SOS Humanity non c’è alcun “nesso di causalità”.
2. L’ordinanza del Tribunale di Crotone appare di particolare importanza perchè richiama tra le motivazioni la nota giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n.6626/2020 sul caso Rackete) secondo cui “ non si potrebbe ritenere, come argomenta il ricorrente, che l’attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla Convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (cd. place of safety)”.
Per il Tribunale di Crotone, anche ammettendo che le attività di intercettazione in acque internazionali della sedicente Guardia costiera “libica” si possano qualificare come attività di ricerca e salvataggio (SAR), si deve riconoscere come “nessun ordine di allontanamento formulato possa ritenersi legittimo, sia a livelo nazionale che a livello sovranazionale”, in quanto la stessa Guardia costiera non è in grado di garantire lo sbarco in un porto sicuro.
L’ordinanza del giudice di Crotone colpisce il punto nodale del Decreto Piantedosi che si riverbera nelle motivazioni più ricorrenti nei provvedimenti di fermo amministrativo adottati nei confronti delle navi delle ONG. basati sull’accusa di avere creato una situazione di pericolo per non avere interrotto le loro attività di ricerca e salvataggio, a seguito dell’arrivo della motovedetta libica di turno, in assenza di un vero coordinamento unificato dei soccorsi. Che le autorità di Tripoli, con il loro centro congiunto di coordinamento (JRCC), non sono evidentemente in grado di garantire, senza il supporto continuo degli assetti aerei di Frontex, impegnati nel tracciamento delle imbarcazioni, e senza le comunicazioni comunque garantite dalla Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana (IMRCC) di Roma, su indicazione del Nucleo centrale di coordinamento interforze (NCC) del Ministero dell’interno. E’ infatti da Roma, dopo le richieste di intervento nelle attività di soccorso in acque internazionali, in quella che si assume come zona SAR “libica”, che partono le indicazioni di rivolgersi alla sedicente Guardia costiera “libica”. Ma la situazione rilevata dalla Corte di cassazione con riferimento al caso ASSO 28 nel 2018 oggi non è affatto migliorata. Lo confermano i più recenti rapporti della missione UNSMIL al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Appare ancora oggi evidente come la Libia, che non ha neppure ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, non possa garantire porti sicuri di sbarco.. Questo dato non può essere contraddetto dal preteso carattere illegittimo delle attività di ricerca e salvataggio operate in acque internazionali dalle ONG. Le sentenze della Corte di Cassazione sul caso Rackete (n.6626/2020) e le numerose archiviazioni dei procedimenti penali intentati contro le ONG impediscono di considerare quelli che sono doverosi eventi di ricerca e salvataggio (SAR) come meri “eventi connessi al fenomeno migratorio” se non come “eventi di immigrazione illegale”, come li qualifica ancora oggi il ministero dell’interno. Si tratta invece, come sta emergendo nei procedimenti cautelari in sede civile che si concludono con la sospensione dei provvedimenti di fermo amministrativo, di situazioni nelle quali le persone a bordo dei barconi partiti dalla Libia, o dalla Tunisia, si trovano già in distress (pericolo grave ed attuale) conclamato, di fronte alle quali non ci si può limitare alla mera comunicazione, al comandante della nave soccorritrice, della competenza delle autorità libiche per coordinare gli interventi di soccorso, magari per attendere l’arrivo della motovedetta tripolina che intima la sospensione delle attività di ricerca e salvataggio sparando colpi di arma da fuoco.
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