Claudia Cernigoi – 4 agosto 2014
(tratto da un articolo pubblicato su: https://www.diecifebbraio.info/)
Succede, a Trieste. Durante una manifestazione davanti alla sede Rai, indetta in protesta della messa in onda dell’orripilante (sia dal punto di vista storiografico che da quello artistico) della fiction “Il cuore nel pozzo”, un compagno esibiva il tricolore (quello italiano, per la precisione, dato che molte altre bandiere sono “tricolori”) con la stella rossa e veniva denunciato da un esponente politico post-fascista, per “vilipendio alla bandiera”. Naturalmente nel corso dell’inchiesta il compagno è stato prosciolto, in quanto la bandiera da lui esibita era quella ufficiale delle brigate Garibaldi, e parificata alle altre bandiere storiche dell’Esercito italiano.
Diritto che, detto per inciso, invece non sussiste per la bandiera di Salò, il tricolore italiano con l’aquila, che vediamo molto spesso sventolare durante le manifestazioni alla “foiba” di Basovizza, manifestazioni alle quali ci risulta si rechi anche colui il quale aveva denunciato la bandiera con la stella rossa, ma che invece pare accettare di buon grado le bandiere apologetiche del fascismo repubblichino. Sono cose che succedono, a Trieste.
È successo anche che taluni (non solo fascisti, anche antifascisti, purtroppo), avendo visto durante le manifestazioni la bandiera jugoslava con la stella rossa, abbiano apostrofato coloro i quali le esibivano con le parole “ma come fate a sventolare le bandiere degli infoibatori?”. Questo è successo anche in altre città, non solo a Trieste.
A Trieste succede anche però che, dopo avere visto nel corteo del 1° maggio (che a Trieste non è solo la giornata della Festa del lavoro, ma anche l’anniversario dell’arrivo degli Alleati a Trieste: solo che a Trieste sono arrivati prima gli Jugoslavi che non gli Angloamericani…) persone che esibivano le bandiere con la stella rossa (italiane e slovene), un paio di consiglieri circoscrizionali hanno protestato dicendo che esibire a Trieste bandiere con la stella rossa o le effigi di Tito è paragonabile a portare svastiche ad Auschwitz.
Oltre a ribadire che la bandiera italiana con la stella rossa è la bandiera storica delle divisioni garibaldine in Italia, e la sua esibizione è del tutto legittima, e che la bandiera jugoslava (con la stella rossa, of course) ha la stessa dignità di tutte le altre bandiere dello schieramento alleato (Gran Bretagna, Unione Sovietica, Francia, Stati Uniti…) e quindi può “offendere” solo chi rimpiange la sconfitta dell’Asse nazifascista ad opera degli Alleati, aggiungiamo anche che, se è vero che tra i partigiani, così come tra gli eserciti di liberazione, vi sono stati coloro che hanno commesso dei crimini (esecuzioni sommarie, ma anche altre violenze, come gli stupri operati dalle truppe marocchine al seguito dell’esercito francese) è un fatto che va riconosciuto e condannato, ma che non può inficiare il significato della lotta al nazifascismo. Dato che nessuno oserebbe dire che a seguito degli stupri in Ciociaria esibirvi la bandiera francese sarebbe come portare una svastica ad Auschwitz, riteniamo che i simboli dell’esercito di liberazione jugoslavo siano più che legittimi a Trieste e dappertutto.
Ma a Trieste succede anche un’altra cosa. Dal 2013, alle celebrazioni istituzionali che si svolgono alla Risiera di San Sabba (unico campo di concentramento e sterminio nazista in Italia, unico anche perché Trieste non era in Italia ma direttamente assorbita dal Reich e quindi sotto l’amministrazione germanica), nel settore delle autorità (sindaci, presidente della Provincia e della Regione, autorità religiose ed istituzionali) è stata ammessa la presenza del labaro della Brigata ebraica.
Perché un privilegio simile? Annotiamo che non vi sono altri labari o bandiere nel settore delle autorità: persino i labari dei comuni medaglia d’oro, come Trieste e Muggia, rimangono nel settore riservato al pubblico, così come le bandiere dell’Anpi e degli altri partecipanti.
Aggiungiamo che la Brigata ebraica non ha partecipato alla liberazione di Trieste (al contrario di altri raggruppamenti, i cui stendardi, però, vengono tacciati di “bandiere degli infoibatori”…): allora, come mai questo posto d’onore, richiesto dal rappresentante della Comunità ebraica triestina, Mauro Tabor, in una delle riunioni della Commissione per il museo della Risiera, e subito accolto dal sindaco Roberto Cosolini?
Nella nostra regione la Brigata ebraica fu presente, agli ordini delle truppe britanniche, solo nella zona del tarvisiano. Ed in questa zona si sarebbe svolta l’“Operazione vendetta” (Nakam in ebraico), come raccontato da un ex ufficiale della Brigata ebraica, Jonathan Pelz, che ne ha parlato nel 2009 al Circolo ufficiali di Udine e poi a Tarvisio. Uno dei protagonisti dell’Operazione Nakam, il viennese Chaim Miller, ha così spiegato:
«Tarvisio era diventata allora un punto di transito di migliaia di ebrei, che fuggivano da ogni angolo d’Europa per raggiungere il Mediterraneo e poi la Palestina. Noi li vedevamo passare e apprendevamo da loro le atrocità subite. Già in Palestina avevamo avuto notizia delle persecuzioni naziste, ma la realtà che ci veniva riferita da questa gente in fuga superava ogni immaginazione.
L’idea di fargliela pagare è nata da questa esperienza. E dalla constatazione che le autorità britanniche, che presidiavano la Carinzia, non muovevano un dito per punire i nazisti che si erano macchiati dei crimini».
Così all’interno della Brigata ebraica si formarono cellule di 8-10 persone, che agirono indipendentemente l’una dall’altra in tutta la Carinzia, fino al Tirolo orientale (Lienz) da una parte, ma anche fino a Vienna dall’altra. E prosegue Miller:
«Di giorno facevamo sopralluoghi per localizzare le persone. La nostra uniforme britannica (distinta soltanto dalla stella di Davide su una manica, ndr) ci consentiva di attraversare il confine di Coccau e di muoverci liberamente (…). Bussavamo alla porta, presentandoci come polizia militare. Invitavamo le persone ricercate a seguirci al comando per essere interrogate, ma anziché al comando le portavamo in Italia, dove potevamo agire senza problemi. Raggiungevamo una baita in un bosco tra Tarvisio e Malborghetto, dove la persona fermata veniva interrogata da altri membri della cellula. Se le accuse nei suoi confronti trovavano conferma, lo si fucilava sul posto, seppellendolo in una fossa che prima lo avevamo costretto a scavare» (1)
Una perfetta descrizione di ciò che da decenni la propaganda antijugoslava attribuisce all’OZNA, la polizia politica jugoslava. Con l’unica differenza che prove che l’Ozna abbia veramente agito così non ve ne sono (non si è mai trovato neppure un “pentito” che raccontasse di queste cose): e così la conclusione cui arriva un altro giornalista:
«Per molti rievocare la Brigata ebraica è motivo di angoscia e rancore. Sono tante, infatti, le famiglie che per il solo fatto di avere un cognome tedesco o di parlare correntemente la lingua del Reich sono state oggetto di pestaggi o minacce da parte dei soldati contraddistinti dalla stella di Davide» (2) è esattamente quello che dicono i detrattori delle bandiere con la stella rossa.
Dunque, al posto d’onore tra le autorità nelle cerimonie ufficiali alla Risiera di San Sabba sta una bandiera di “infoibatori” (volendo estendere per similitudine la terminologia che gli storiografi del confine orientali al momento in auge hanno deciso che vada usata per definire le esecuzioni sommarie alla fine del conflitto). Vorremmo vedere come reagirebbe il signor Sindaco (e l’opinione pubblica) se gli domandassimo di poter esibire, accanto a quella della Brigata ebraica, anche la bandiera del IX Korpus jugoslavo, o quella della IV armata, che hanno liberato Trieste, o semplicemente il tricolore italiano della Brigata Garibaldi, quello con la stella rossa.
Probabilmente vi sarebbe un sollevamento da parte di tutti i benpensanti cittadini, perché, parafrasando Orwell, in fin dei conti le foibe sono tutte uguali, ma alcune sono meno uguali delle altre… e così anche per gli “infoibatori”.
(1) “Operazione Vendetta” nei boschi di Tarvisio criminali nazisti giustiziati dalla Brigata ebraica – Messaggero Veneto (gelocal.it)
(2) Non è più presente il riferimento