Rassegna 28/04/2024
Piero Bevilacqua: Gli Usa e il “metodo Giacarta”: il massacro delle popolazioni come politica estera
Gli Usa e il “metodo Giacarta”: il massacro delle popolazioni come politica estera
di Piero Bevilacqua
Chi legge il libro di Vincent Bevins, Il metodo Giacarta, La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo (Einaudi, 2021) ne uscirà con una visione rovesciata della storia mondiale dopo il 1945, e con l’animo sconvolto. È successo anche a me, storico dell’età contemporanea, e testimone del mio tempo, a cui tanti fatti e vicende qui raccontate erano noti. L’autore è un prestigioso giornalista americano, che è stato corrispondente del Washington Post, del Los Angeles Times, del Financial Times, ha scritto per il New York Times e tanti altri giornali americani e inglesi. Già questa appartenenza al giornalismo USA, per quel che racconta di gravissimo in danno dei governi del proprio paese, costituisce una prima garanzia di imparzialità e obiettività. D’altra parte non sarebbe la prima volta. Quello dei giornalisti americani che scavano nelle carte segrete e denunciano le malefatte dei loro governanti è un fenomeno non raro, che fa onore a quei professionisti. È sintomatico dell’onestà di fondo dell’animo e della cultura antropologica di gran parte del popolo americano, comunque ormai ampiamente manipolati. È così clamorosa la contraddizione con gli ideali democratici della loro formazione, che non pochi giornalisti, allorché scoprono azioni omicide segrete del loro Stato, sono spinti a una ribellione morale che li porta a intraprendere vaste indagini e a scrivere libri come questi.
Ma l’autorevolezza del Metodo Giacarta si fonda sullo scrupolo scientifico di Bevins, sulla vastità e rilevanza documentaria delle sue fonti, che sono carte desecretate degli archivi americani e di vari paesi del mondo, pubblicazioni di altri studiosi, registrazioni dirette di riunioni segrete, telegrammi, testimonianze rese dai protagonisti e soprattutto dai sopravvissuti ai massacri ecc.
Pepe Escobar: Il genocidio di Gaza come politica esplicita: Michael Hudson fa tutti i nomi
Il genocidio di Gaza come politica esplicita: Michael Hudson fa tutti i nomi
di Pepe Escobar – Strategic Culture Foundation
Israele, Gaza e Cisgiordania dovrebbero essere viste come l’inizio di una Nuova Guerra Fredda
In quello che può essere considerato fino a oggi il podcast più cruciale del 2024 [1], il professor Michael Hudson – autore di opere fondamentali come Super-Imperialism e il recente The Collapse of Antiquity, tra gli altri – stabilisce clinicamente il contesto essenziale per comprendere l’impensabile: un genocidio del 21° secolo trasmesso in diretta 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in tutto il pianeta.
In uno scambio di e-mail, il Prof. Hudson ha spiegato che ora sta sostanzialmente ‘svuotando il sacco’ su come “50 anni fa, quando lavoravo all’Hudson Institute con Herman Kahn [il modello per il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick], venivano addestrati i membri del Mossad israeliano, tra cui Uzi Arad. Ho fatto due viaggi internazionali con lui e mi ha descritto più o meno quello che sta succedendo oggi. È diventato capo del Mossad e ora è il consigliere di Netanyhau”.
Il professor Hudson dimostra come “il piano di base di Gaza è lo stesso che Kahn aveva progettato con la divisione in settori della guerra del Vietnam, con canali che tagliavano ogni villaggio, come stanno facendo gli israeliani con i palestinesi. Inoltre, già all’epoca, Kahn aveva individuato il Belucistan come l’area in cui fomentare disordini in Iran e nel resto della regione”.
Non è un caso che il Belucistan sia stato per decenni un territorio “fiore all’occhiello” della CIA e, più recentemente, con l’ulteriore incentivo dell’interruzione con ogni mezzo necessario del corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) – un nodo chiave della connettività per l’Iniziativa cinese del Belt and Road (BRI).
Luigi Alfieri: Essere uomini, essere in-relazione
Essere uomini, essere in-relazione
di Luigi Alfieri
Il Tu è più difficile da pensare che l’Io, quasi che l’io per essere vero debba prescindere dall’altro. Ideologia. Il primo atto comunicativo non è lo scambio economico, ma il pianto. Il rapporto sociale primario è il bisogno inerme e il dono gratuito
Cosa ci dà certezza del nostro esistere? Per quale ragione, sebbene le profondità della nostra esistenza siano insondabili e resti sempre aperta la domanda circa il suo senso, nessuno di noi nutre alcun dubbio sulla realtà del proprio essere al mondo, pur non sapendo chiarire definitivamente né che cosa significa esistere, né che cosa è il mondo?
Solipsismi filosofici. La rimozione del Tu
La risposta classica, a tutti nota, è quella di Cartesio: in quanto soggetto pensante e cosciente del mio pensiero, non posso dubitare che il mio pensare implichi immediatamente l’essere[1]. Meno classica, ma ugualmente importante e forse nel complesso più credibile, è la risposta di Schopenhauer: prima ancora del pensiero, è la corporeità, con le sue emozioni e i suoi appetiti, a dirmi indubitabilmente che esisto[2]. Entrambe le posizioni sono tendenzialmente solipsistiche. Che io penso implica che io esisto, ma non implica la reale esistenza di altri, che a me si danno solo come possibili oggetti del mio pensiero che potrebbero non avere autonoma realtà: tanto che alla fine solo la dimostrazione della necessaria esistenza di Dio ha come conseguenza la reale esistenza del mondo e di ciò che ne fa parte, e quindi degli altri esseri umani[3]. In Schopenhauer il solipsismo è addirittura presentato come verità metafisica suprema: la pluralità degli esseri fenomenici è illusoria, c’è un unico soggetto che è oggetto a sé stesso, la mia stessa egoità empirica ricade nell’illusione, ciò che chiamo “io” è solo il riflesso nel fenomeno dell’unico essere e il più alto valore morale è la compassione non in quanto riconoscimento dell’alterità, ma in quanto consapevolezza che né l’Io né il Tu hanno realtà sostanziale e non c’è dunque dolore che non sia dolore di tutti perché dolore del Tutto[4].
Leonardo Sinigaglia: 25 aprile: la vera lotta oggi è contro il nichilismo storico
25 aprile: la vera lotta oggi è contro il nichilismo storico
di Leonardo Sinigaglia
Anche questo Venticinque Aprile, con l’assunzione di Antonio Scurati al ruolo di novello Matteotti e la “contro-sfilata” milanese della Brigata Ebraica e delle associazioni ultranazionaliste ucraine, promette di coprirsi di ridicolo per opera del cosiddetto “antifascismo istituzionale”, aiutato, da destra e “sinistra”, dalla vasta area dei disobbedienti di ogni specie.
Questo è il secondo anniversario della Liberazione con in carica il governo Meloni, e quale migliore occasione per i fieri “partigiani” del centrosinistra per rinnovare la propria caricaturale e macchiettistica identità “antifascista”! Le forze attualmente al governo sarebbero “fasciste”, l’unico ostacolo rimasto alla piena instaurazione di una nuova dittatura in Italia non sarebbero che loro, i valorosi parlamentari piddini, con la loro visione europea, la loro coscienza progressista e l’attenzione rivolta verso i problemi dei diseredati, come il maschilismo e la fluidità sessuale. Poco importa che il Partito Democratico e Fratelli d’Italia, assieme a praticamente ogni forza dell’arco parlamentare, abbiano sostenuto ottusamente e fanaticamente la guerra per procura della NATO in Ucraina, diffondendo ogni genere di menzogne sulla Russia e armando la mano di veri e propri nazisti che non fanno mistero dei propri propositi genocidi.
Ferdinando Pastore: L’antifascismo ridotto a marketing
L’antifascismo ridotto a marketing
di Ferdinando Pastore
Non esiste un antifascismo sconnesso da una cultura antifascista. Ma è proprio la seconda a essere stata immiserita negli anni del progresso di mercato. Prendiamo ad esempio la filosofia del merito, quella secondo cui un curriculum vitae prestigioso consentirebbe meccanicamente di esercitare le funzioni politiche o di governo. Un medico alla Sanità, un avvocato alla Giustizia, un ingegnere ai Trasporti, un economista al Bilancio; anzi un economista al vertice del Governo, perché oggi sono i mercati a dettare regole e limiti alla democrazia. Nessuna visione dunque, la tecnica è neutra e va applicato buon senso, o intelligenza studiata, perché sia raggiunta l’efficienza amministrativa. D’altronde lo Stato è un’azienda e anche l’essere umano lo è. Quindi perché logorarsi nella militanza, perché immaginare orizzonti collettivi quando l’applicazione scolastica dei vademecum d’impresa coincide con la razionalità? Chi si è formato nel patinato mondo dell’internazionalismo del business, chi ha accumulato patenti di onorabilità tra le correnti dei fiumi azionari, non ha impostazioni ideologiche; è legittimato di per sé nel porsi al comando delle truppe.
Giuseppe Masala: Il “piano Draghi”: ora sappiamo in cosa evolverà l’UE
Il “piano Draghi”: ora sappiamo in cosa evolverà l’UE
di Giuseppe Masala
Io credo che le prossime elezioni europee andrebbero inquadrate nel modo più corretto possibile. Provo a dare la mia interpretazione.
1 Si dà troppo spazio alla candidatura di quella sciagurata di Ilaria Salis alle elezioni europee. Siamo di fronte alla solita arma di distrazione di massa utile a far distogliere lo sguardo dell’opinione pubblica dai problemi che contano (vedi punto 2). L’unico aspetto interessante della candidatura della Salis è che dimostrano come le elezioni siano solo puro teatro che non influisce sui destini né dei singoli né dei popoli europei. Puro intrattenimento orientato alla distrazione delle masse mentre le élites hanno già deciso i nostri destini nella nostra totale inconsapevolezza.
2 Le élites europee indipendentemente dalla “volontà popolare che verrà espressa nelle elezioni” hanno già deciso il da farsi. Per esporci il progetto hanno messo come front man il miglior cavallo di razza della scuderia: Mario Draghi dal quale il piano prende il nome. Di fatto il cosiddetto “Piano Draghi” non è nient’altro che la evoluzione dell’UE fino alla sua definitiva trasformazione in “Stati Uniti d’Europa”.
Il Pungolo Rosso: Una sola parola d’ordine: armarsi. Come anche le ferrovie vanno alla guerra
Una sola parola d’ordine: armarsi. Come anche le ferrovie vanno alla guerra
di Il Pungolo Rosso
Non sarà una sorpresa, ma ora è ufficiale: esiste un vero e proprio programma articolato per settori che riguarda i molti reparti dei preparativi di guerra. Uno di questi è il Piano d’Azione Military Mobility 2.0 più volte implementato e di origini non recentissime1.
L’Italia fa la sua parte in questi adempimenti richiesti da NATO e UE con sicuro ardore. e così il ministero dei trasporti ha dato immediatamente seguito al bando CEF 2 Transport dotato di 330 milioni di euro sotto forma di sovvenzioni a fondo perduto, una pacchia che convince subito gli antieuropeisti alla Salvini. Il bando era intitolato agli adattamenti delle reti di trasporto civile a scopi di “difesa” sviluppando la mobilità militare. Naturalmente partecipa – e viene ammessa a pieni voti – la Leonardo, che stipula un apposito accordo con le Ferrovie Italiane per intervenire in questo senso sui 24.000 km della rete ferroviaria nazionale. Qui è obbligatoria una pausa per denunciare che questo governo al soldo dei guerrafondai impiega per le spese militari miliardi di euro mentre non dedica neppure un centesimo alla sicurezza dei lavoratori delle ferrovie, alla sicurezza dei passeggeri e all’efficienza del servizio di trasporto ferroviario, e neanche alla riduzione dei prezzi di quel servizio.
Carlo Formenti: Dodici provocazioni per un rinnovamento del marxismo
Dodici provocazioni per un rinnovamento del marxismo
di Carlo Formenti
Premessa. Un bilancio critico e autocritico dopo 20 anni di ricerca di una casa politica
A cavallo del cambio di secolo, di fronte all’approfondirsi della crisi globale (il crollo dei titoli tecnologici al Nasdaq preannunciava la catastrofe finanziaria del 2007/2008), al precipitare del reddito e delle condizioni di vita dei lavoratori e all’acuirsi dei conflitti geopolitici, ho avvertito l’urgenza di riprendere la militanza politica attiva, dopo essermi a lungo impegnato esclusivamente nella ricerca teorica.
Alla fine dei Sessanta, dopo avere militato in alcuni gruppi maoisti e contribuito alla nascita del Gruppo Gramsci, ho intrapreso la carriera sindacale nella federazione unitaria dei meccanici, interrotta nel 1974. Nella seconda metà dei Settanta, dopo una breve esperienza in Autonomia, mi allontanai dalla politica attiva, demotivato dal riflusso delle lotte operaie e dall’evoluzione del PCI e dei partitini della sinistra extraparlamentare, i quali, pur seguendo traiettorie diverse, convergevano verso il postmodernismo liberale. Nei decenni seguenti mi sono limitato a svolgere la professione di giornalista, saggista e ricercatore universitario (caporedattore del mensile “Alfabeta”, autore di diversi libri dagli Ottanta ai primi del Duemila, infine ricercatore all’Università di Lecce).
Il primo passo verso la ripresa di un impegno politico diretto è stato un prudente tentativo di avvicinamento a Rifondazione Comunista tramite la mediazione dell’amico Piero Manni, editore leccese nonché consigliere regionale del Partito. Il rapporto si è interrotto nel 2013, dopo il coinvolgimento di Rifondazione nel cartello elettorale Rivoluzione Civile, che proponeva il giudice Ingroia come “front runner”. Nell’occasione spiegai ai compagni (che avevano adombrato una mia possibile candidatura) che consideravo indigesta l’ammucchiata con forze genericamente “progressiste”, incompatibili con il progetto di ricostruire un partito di classe in Italia.
Geraldina Colotti: Venezuela. Sanzioni e manovre USA sulle presidenziali del 28 luglio
Venezuela. Sanzioni e manovre USA sulle presidenziali del 28 luglio
di Geraldina Colotti
In questo anno di elezione presidenziale, fissata per il 28 luglio, il Venezuela bolivariano è di nuovo nell’occhio del ciclone. L’attualità ne dà conto, anche a livello internazionale. Intanto, perché il Dipartimento di Stato nordamericano ha deciso di non rinnovare la “General License 44” che aveva autorizzato, fino al 18 aprile, il ripristino delle transazioni commerciali nel settore del petrolio e del gas venezuelano.
Alle numerose imprese multinazionali, sia statunitensi che europee, tornate a investire nel paese, ora viene dato un lasso di 45 giorni per fare i bagagli, o per presentare specifiche richieste di deroga per restare. A loro, la Legge contro il bloqueo, varata dal parlamento venezuelano per far fronte al blocco economico-finanziario (innescato a suo tempo da Obama, incrementato da Trump e mantenuto da Biden), aveva consentito ampi margini di profitto, pur lasciando saldamente in mano dello Stato venezuelano (e della sua principale impresa petrolifera, Pdvsa), il controllo delle risorse.
I risultati della deroga alle “sanzioni” sono subito apparsi evidenti agli indicatori economici internazionali. Da quando, a dicembre del 2023, a seguito degli Accordi delle Barbados, conclusi tra governo e opposizione, per far fronte alla “sete” di petrolio dovuta al contesto internazionale Biden ha flessibilizzato le “sanzioni” a Pdvsa, l’economia petrolifera venezuelana è cresciuta del 18 per cento nel primo trimestre del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023.
Anche per questo, le ultime inchieste (per esempio la firma Hinterlaces) stanno dando un ampio margine di gradimento a Nicolas Maduro, candidato – dal Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), dagli alleati del Gran Polo Patriottico e dai movimenti popolari – per un terzo mandato.
Alfonso Gianni: La costruzione di un sistema di guerra nella Ue
La costruzione di un sistema di guerra nella Ue
di Alfonso Gianni
Ora se nel mondo c’è una cosa che conviene affrontare con esitazione – ma che dico, che bisogna in tutti i modi evitare, scongiurare, tenere lontana – di sicuro è la guerra: non c’è iniziativa più empia e dannosa, più largamente rovinosa, più persistente e tenace, più squallida e nell’insieme più indegna di un uomo, per non dire di un cristiano. Invece – chi lo crederebbe? – oggi si entra in guerra di qua, di là, dappertutto, con estrema leggerezza, per le ragioni più futili; e la condotta di guerra è caratterizzata da un’estrema crudeltà e barbarie.1
Erasmo da Rotterdam
Sono trascorsi cinque secoli abbondanti da quando le parole del grande intellettuale olandese, poste in esergo, uscirono a stampa dai torchi di Aldo Manuzio.2 Se può esserci ancora qualche dubbio sulla validità delle teorie sul progresso più o meno lineare della civiltà umana, la loro falsificazione trova conferma nei terribili avvenimenti di questi ultimi mesi. La guerra continua, si incancrenisce e si allarga. I vari pezzetti della guerra mondiale descritta da papa Francesco, si congiungono tra loro in un mostruoso puzzle. Da ultimo Israele conduce un attacco “mirato” contro il consolato iraniano a Damasco, uccidendo comandanti dei “guardiani della rivoluzione”; l’Iran riempie il cielo di droni e missili; aerei statunitensi, francesi e britannici, unitamente a quelli israeliani, si alzano in volo per abbatterli. Nel contempo la guerra “dimenticata” in Sudan assomma un bilancio di 12mila morti e oltre sette milioni di sfollati. Ogni appello alla moderazione, per non dire alla trattativa e alla pace, viene immediatamente travolto, per quanto sia alto lo scranno dal quale è stato rivolto.
L’anonima sentenza latina, Si vis pacem para bellum, che ingenuamente consideravamo ormai persino impensabile, esce con sempre maggiore frequenza dalla bocca dei leader europei.
Piccole Note: I fondi all’Ucraina, escalation della follia
I fondi all’Ucraina, escalation della follia
di Piccole Note
Una nuova dose di droga per la tossica macchina da guerra americana che ha inebriato Zelensky
Il partito della guerra americano, che abbraccia democratici e parte dei repubblicani, vince il braccio di ferro contro la pattuglia dei repubblicani avversi a fornire altri aiuti all’Ucraina. La legge destina 52 miliardi di dollari al complesso militar industriale Usa e al Pentagono e 8 miliardi direttamente a Kiev per pagare stipendi e altro, ma 10 sono di prestiti, che l’Ucraina non potrà mai restituire (la trappola del debito usuale per le colonie).
Una nuova dose di droga per la tossica macchina da guerra americana che ha inebriato Zelensky, il quale ha rilanciato le sue stupefacenti narrazioni sulla vittoria, e i tanti corifei delle guerre infinite.
Su quest’ultimo punto è di interesse l’articolo di Matthew Blackburn, pubblicato su Responsibile Statecraft, che riferisce di come l’Institute of Study of war ha commentato questa svolta.
L’ISW, annota il cronista, “è stato uno dei think tank più citati nei media mainstream relativamente alla guerra ucraina e ha svolto un ruolo di primo piano nel creare e sostenere l’ottimismo” sulle sorti del conflitto. “I suoi report quotidiani sul campo di battaglia hanno ripetutamente messo in risalto le vittorie ucraine e sottolineato i fallimenti e le perdite russe, riproducendo quasi sempre acriticamente la versione di Kiev”.
Il Chimico Scettico: La lotta alle fake news: uno strumento versatile per il potere
La lotta alle fake news: uno strumento versatile per il potere
di Il Chimico Scettico
Fake news, definizione: tutto quello che non è in linea con il pensiero unico. Durante la pandemia sono state derubricate alla voce fake news cose che provenivano da Peter Doshi e dal British Medical Journal, da Tom Jefferson, da Ioannidis, da Guido Silvestri, dalla stessa Sara Gandini e via dicendo. Che la lotta alle fake news debba essere centrale in una pandemia non deve stupire, perché ormai lo avrete capito, anche se poi ve lo siete scordato: in una epidemia, vera o presunta (cfr vaiolo delle scimmie), non importano i dati, importa il messaggio, e il messaggio è quello teso a disciplinare la popolazione. E per produrre sparate moralizzanti (il new normal, lo zerocovid etc) non servono competenze particolari. Infatti dalla prima delle virostar all’ultimo dei divulgatori le competenze e le capacità di comprendere qualcosa della dinamica delle malattie infettive erano nulle, e il termine “esponenziale” aveva un puro valore metaforico. Ma attenzione, non era una questione di incompetenza, per niente.
Paolo Desogus: Caso Scurati. Censura, antifascismo e gli “indignati in poltrona”
Caso Scurati. Censura, antifascismo e gli “indignati in poltrona”
di Paolo Desogus
Sappiamo già che nei banchi del governo siedono gli eredi del vecchio fascismo. E stiamo facendo esperienza di come quella tradizione sia del tutto compatibile con la ragione neoliberale, oggi egemone, e con il paradigma euroatlantico.
Arrivare alla vigilia del 25 aprile e scoprire che questi signori applicano il principio della censura all’antifascismo è dunque un tantino ingenuo. Può andare per i lettori di Repubblica, cioè agli indignati in poltrona.
Quello su cui mi concentrerei riguarda piuttosto le condizioni di possibilità che consentono al governo di intervenire, senza una reazione generale, agli atti di censura.
Io credo che il governo si possa permettere tutto questo perché il 25 aprile non è più rappresentativo del paese. E non lo è perché i valori dell’antifascismo sono stati svuotati del loro senso politico da parte dei partiti che si sono impossessati della sua bandiera, in particolare Pd e affini.
L’Italia del 25 aprile si proponeva di trasformare il paese, di renderlo migliore, più giusto, vicino alle istanze del lavoro, ostile alla guerra e soprattutto democratico, non solo in senso formale, ma sostanziale attraverso il coinvolgimento diretto delle classi popolari nella vita politica nazionale.
Giuseppe Masala: L’avviso (finale) del Fondo Monetario Internazionale all’Impero Americano
L’avviso (finale) del Fondo Monetario Internazionale all’Impero Americano
di Giuseppe Masala
Abbiamo sempre sottolineato che questa enorme crisi geopolitica in corso abbia una origine di tipo economico e monetario. Del resto solo le persone ingenue possono credere che agenti razionali come sono gli USA (o per meglio dire le sue élites) possano rischiare la distruzione di buona parte del mondo a causa di una guerra termonucleare per delle mere rivendicazioni territoriali peraltro relative a paesi neanche particolarmente ricchi e importanti come l’Ucraina. Si può rischiare il mondo per quale stato – tra Ucraina e Russia – avrà la sovranità su Mariupol o Krivoy Rog? Senza offesa per queste ridenti e senza dubbio graziose cittadine ipotizzare che si possa rischiare di uccidere miliardi di persone per quale stato debba controllarle è letteralmente impensabile.
Molto più congrua e razionale invece è l’ipotesi che il vero “Nodo di Gordio” che sta portando il mondo sull’orlo del baratro sia di natura economica e monetaria.
Gli Stati Uniti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale hanno assunto il ruolo prima di finanziatore di ultima istanza per consentire la ricostruzione delle aree del mondo distrutte dal conflitto e poi, successivamente, hanno assunto il ruolo di “compratore di ultima istanza” (uso un’espressione molto felice coniata dall’economista Marcello De Cecco), ovvero sia, si sono incaricati il ruolo di assorbire le merci in eccesso prodotte nel resto del mondo inondando contemporaneamente il mondo di dollari.