[SinistraInRete] Stefano Lucarelli: La sinistra italiana, prigioniera dell’uso dell’economia

Rassegna 06/05/2024

 

Stefano Lucarelli: La sinistra italiana, prigioniera dell’uso dell’economia

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La sinistra italiana, prigioniera dell’uso dell’economia

di Stefano Lucarelli

Antonio Calafati: L’uso dell’economia. La Sinistra italiana e il capitalismo 1989-2022, in-corso-d’opera, 2023

È un breve viaggio quello che si compie in questo libro, per comprendere ciò che è accaduto alla Sinistra italiana dopo la caduta del Muro di Berlino, per mostrare che la sua metamorfosi è stata un tradimento delle ragioni del socialismo e della democrazia”.

L’economia politica come scienza nasce per interpretare il capitalismo. Un modo di produzione capace di rivoluzionare non solo l’organizzazione del lavoro, di dare un senso nuovo alla produttività, di concepire e realizzare città industriali, ma anche di determinare nuove contraddizioni sociali. È questo il punto di partenza del ragionamento che Antonio Calafati sviluppa nel suo ultimo libro, tessendo una trama, per certi versi inattesa ma estremamente coerente, fra le retoriche della scienza economica contemporanea, che egli svela grazie una lettura rigorosa dei Classici e in particolare di Adam Smith, e il sentiero di sviluppo intrapreso, e forse concluso, dalla Sinistra italiana.

L’economia politica come scienza nasce per interpretare il capitalismo. Un modo di produzione capace di rivoluzionare non solo l’organizzazione del lavoro, di dare un senso nuovo alla produttività, di concepire e realizzare città industriali, ma anche di determinare nuove contraddizioni sociali.

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Carlo Formenti: Perché l’America fatica a mantenere il dominio globale

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Perché l’America fatica a mantenere il dominio globale

Appunti su un numero della rivista Limes

di Carlo Formenti

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Il numero 3 (marzo 2024) di “Limes”, la prestigiosa rivista italiana di geopolitica, dovrebbe essere una lettura obbligata per gli intellettuali e i militanti marxisti che vogliano comprendere a fondo quali sfide orientano le attuali scelte di politica internazionale degli Stati Uniti. A incuriosirmi al punto da acquistare il corposo fascicolo (compro “Limes” solo saltuariamente) sono stati, più del titolo “Mal d’America”, i tre sottotitoli; “Il peso dell’impero mina la repubblica”, “Il Numero Uno non si piace più”, “Come perdere fingendo di vincere”. Li ho trovati stuzzicanti, anche se ad alcuni potrebbero sembrare un modo criptico e allusivo di evocare le contraddizioni che riducono le speranze di chi auspica che il XXI possa essere un nuovo secolo americano. Inoltre mi rendo conto del fatto che possano suonare depistanti alle orecchie d’una cultura comunista ancorata all’analisi “classica” (variamente aggiornata) dell’ imperialismo, appiattita sui meccanismi economici tardo capitalisti e poco propensa a valutare il peso dei fattori “sovrastrutturali”. Motivo per cui si perde la possibilità di capire le motivazioni del nemico che, da un lato, vengono ridotte a un chiacchiericcio ideologico che serve a mascherarne i suoi “veri” obiettivi, dall’altro, vengono depurate dalle tensioni e dalle contraddizioni che le attraversano, neutralizzandone la complessità.

Un’attenta lettura di queste trecento pagine consente a mio avviso di evitare la duplice trappola appena descritta. In primo luogo perché è lo stesso statuto della geopolitica a favorire un approccio “realistico” ai problemi, sfrondandoli (in parte) degli (inevitabili) pregiudizi valoriali.

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Il Pungolo Rosso: La tensione tra Israele e Iran non giova alla causa palestinese

ilpungolorosso

La tensione tra Israele e Iran non giova alla causa palestinese

di Il Pungolo Rosso

iran palestina ansa.jpg 613881476.jpgAbbiamo voluto attendere che si concludesse lo scambio di colpi tra Israele e Iran per dire la nostra, che – però – a vicenda per il momento conclusa, resta identica: nonostante le possibili (e realmente esistenti) illusioni a riguardo, l’innalzamento della tensione tra i due stati non giova alla causa palestinese.

Un indizio di fondamentale importanza dovrebbe essere nel fatto che è stato il regime sionista a prendere l’iniziativa di colpire duro a Damasco abbattendo mezza ambasciata iraniana e alcuni alti ufficiali del regime di Teheran. Un avvertimento dato in due direzioni: verso gli Stati Uniti e l’Europa; verso l’Iran. Ai suoi protettori la banda di Netanyahu (e la sua finta opposizione) hanno mandato a dire: noi siamo in grado, e siamo determinati, se necessario, a far deflagrare la guerra in tutto il Medio Oriente, ben sapendo voi Stati Uniti, voi Unione Europea, non siete pronti a questo. Ricatto pesante. Ai prudentissimi ayatollah (che, ricordatelo, avevano sconsigliato Hamas dall’agire in modo offensivo, e che fino alla fine di marzo hanno tenuto un profilo d’azione molto basso) lo stato sionista ha mandato a dire: continuate a restare prudenti, perché noi siamo in grado di colpirvi duro (il sottinteso riguarda le centrali di arricchimento dell’uranio e quant’altro di strategico possa essere colpito). Altro ricatto pesante.

Dopo l’attacco del 1° aprile, era impossibile, per Teheran, restare con le mani in mano, salvo perdere la faccia. La risposta è stata accorta, spettacolare, di sicuro dannosa per il mito di invincibilità di Israele – già fatto a pezzi dall’offensiva della resistenza palestinese del 7 ottobre -, ma nello stesso tempo prudente. Un piccolo capolavoro tattico, nell’esclusivo interesse dell’Iran come potenza regionale, senza nessuna ricaduta positiva per il popolo palestinese. Anzi.

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Gianandrea Gaiani: Foreign Affairs è “putiniana” e i russi continuano a bombardarsi da soli

analisidifesa

Foreign Affairs è “putiniana” e i russi continuano a bombardarsi da soli

di Gianandrea Gaiani

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ca5a75efd7d6cd2399e18d8fbad45bd7Nei giorni scorsi ha fatto scalpore, ma forse in Italia non abbastanza, l’articolo di Foreign Affairs in cui Samuel Charap e Sergey Radchenko hanno ricordato i punti salienti della trattativa tra Russia e Ucraina che grazie alla mediazione turca erano giunte a fine marzo del 2022 a un accordo per interrompere le ostilità dopo poco più di un mese di guerra.

Come ricorda Roberto Vivaldelli su InsideOver, il magazine americano ha dedicato, con tanto di documenti e testimonianze inedite, un lungo articolo ai negoziati. “Alcuni osservatori e funzionari (tra cui, soprattutto, il presidente russo Vladimir Putin) hanno affermato che sul tavolo c’era un accordo che avrebbe posto fine alla guerra, ma che gli ucraini se ne sono allontanati a causa di una combinazione di pressioni da parte dei loro protettori occidentali e delle supposizioni di Kiev sulla debolezza militare russa” nota Foreign Affairs ammettendo che “i partner occidentali di Kiev erano riluttanti a lasciarsi coinvolgere in un negoziato con la Russia”, in particolare “in un negoziato che avrebbe creato nuovi impegni per garantire la sicurezza dell’Ucraina”.

La bozza di accordo visionato da Foreign Affairs prevedeva un’Ucraina “neutrale e priva di armi nucleari”, che avrebbe rinunciato a “qualsiasi intenzione di aderire ad alleanze militari o di permettere la presenza di basi militari o truppe straniere sul proprio territorio”.

I possibili garanti della sicurezza ucraina sarebbero stati i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (inclusa quindi la Russia) insieme a Canada, Germania, Israele, Italia, Polonia e Turchia.

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