Rassegna 10/05/2024
Susan Abulhawa: La storia riconoscerà che Israele ha commesso un olocausto
La storia riconoscerà che Israele ha commesso un olocausto
di Susan Abulhawa
In questo momento a Gaza e in Palestina sono le 20.00: è la fine del mio quarto giorno a Rafah e il primo momento in cui ho potuto sedermi in un posto tranquillo per riflettere. Ho provato a prendere appunti, foto, immagini mentali, ma questo è un momento troppo grande per un taccuino o per la mia memoria in difficoltà. Niente mi aveva preparato a ciò a cui avrei assistito. Prima di attraversare il confine tra Rafah e l’Egitto ho letto tutte le notizie provenienti da Gaza o su Gaza. Non ho distolto lo sguardo da nessun video o immagine inviata dal territorio, per quanto fosse raccapricciante, scioccante o traumatizzante. Sono rimasta in contatto con amici che hanno riferito della loro situazione nel nord, nel centro e nel sud di Gaza – ciascuna area soffre in modi diversi. Sono rimasta aggiornata sulle ultime statistiche, sulle ultime mosse politiche, militari ed economiche di Israele, degli Stati Uniti e del resto del mondo. Pensavo di aver capito la situazione sul campo. Ma non è così. Niente può veramente prepararti a questa distopia. Ciò che raggiunge il resto del mondo è una frazione di ciò che ho visto finora, che è solo una frazione della totalità di questo orrore. Gaza è un inferno. È un inferno brulicante di innocenti che boccheggiano in cerca di aria. Ma qui anche l’aria è bruciata. Ogni respiro irrita la gola e i polmoni e vi si attacca. Ciò che una volta era vibrante, colorato, pieno di bellezza, possibilità e speranza contro ogni aspettativa, è avvolto da un grigiore di sofferenza e sporcizia.
Quasi nessun albero
Giornalisti e politici la chiamano guerra. Gli informati e gli onesti lo chiamano genocidio. Quello che io vedo è un olocausto, l’incomprensibile culmine di 75 anni di impunità israeliana per i ripetuti crimini di guerra.
Mauro Gallegati, Pier Giorgio Ardeni: La trappola dell’efficienza
La trappola dell’efficienza
di Mauro Gallegati, Pier Giorgio Ardeni
La crescita del Pil di oggi è sempre più realizzata a scapito del benessere futuro, e la crisi ecologica è un segno di come il mercato non possa funzionare come regolatore del sistema economico. Un’anticipazione dal libro “La trappola dell’efficienza”
Il capitalismo ha cambiato il mondo di vivere di gran parte dell’umanità, migliorandone enormemente le condizioni materiali di vita.
Negli ultimi duecento anni, l’aumento del reddito globale e medio – oggi incomparabilmente maggiore di ogni altra epoca – è avvenuto in modo non uniforme per tutti i Paesi e le fasce sociali, beneficiando più alcuni di altri, sistematicamente, provocando una distribuzione delle ricchezze iniqua. L’aumento del reddito non è stato lineare e costante, ma soggetto a variazioni e a crisi che hanno contribuito a esacerbare le disparità. A ciò si aggiunga che lo sviluppo capitalistico industriale ha portato a un degrado ambientale sempre più insostenibile, all’origine della crisi ecologica attuale, di cui il riscaldamento globale è solo un aspetto.
Il nostro benessere, che era parso migliorare a ritmi vertiginosi negli ultimi decenni, ci appare compromesso se guardiamo a come sostenerlo. Vi sono tante storture nella distribuzione, nei meccanismi di funzionamento del sistema, nei presupposti per la sua riproducibilità, che è lo stesso capitalismo ad apparirci giunto a un punto critico. Oggi non siamo più sicuri che esso sarà in grado di produrre ulteriore benessere. Come se una parte del nostro benessere di oggi dovesse essere sacrificato se voglio garantircene uno domani. E ciononostante sembriamo procedere nella stessa direzione, pur consci dei problemi che si prospettano.
Questo libro si occupa di come siamo potuti arrivare a sacrificare il benessere futuro in cambio del Pil di oggi e di come uscirne. Il capitalismo è un sistema economico affermatosi negli ultimi due secoli e mezzo in questa parte del mondo. Un sistema che per consolidarsi ha plasmato la società e la politica, creando un ordine sociale.
Arianna Cavigioli: La scuola del futuro: un grande regalo alle aziende High-Tech
La scuola del futuro: un grande regalo alle aziende High-Tech
di Arianna Cavigioli
Con decreto del Ministro dell’istruzione n. 161 del 14 giugno 2022 è stato adottato il Piano Scuola 4.0, il ramo di investimenti in ambito educativo e scolastico dell’arborescente PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Il progetto è stato delineato sulla scia di azioni già attivate precedentemente grazie ai fondi del PNSD e del PON per la scuola, con i quali dal 2014 al 2021 sono stati finanziati con 1,9 miliardi di euro l’acquisto di dispositivi e tecnologie digitali (quali schermi, computer, registri elettronici, connessioni in fibra ottica, sistemi di gestione informatizzati), ma anche formazione tecnica ai docenti e veri e propri ambienti didattici digitali. L’urgente obiettivo dichiarato con il Piano Digitale 4.0 è quello di “accelerare il processo di transizione digitale della scuola italiana e allinearlo alle priorità dell’Unione Europea”. La missione prevede cospicui investimenti soprattutto nella Didattica Digitale Integrata (DDI) – percepita dai sostenitori del Piano 4.0 come uno strumento inclusivo e rivoluzionario -, nello sviluppo didattico di competenze maggiormente legate ai lavori del futuro come scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, nella formazione digitale di docenti e nella costruzione di innovativi laboratori di apprendimento – tali principalmente per via dell’uso di nuove tecnologie come realtà virtuale e aumentata. Il più grande teatro sperimentale di queste pratiche digitali sono stati sicuramente gli anni della pandemia. Nella maggior parte dei governi occidentali la dichiarazione di lockdown fu accompagnata dalla chiusura temporanea delle scuole e, persino nella loro successiva riapertura, dal continuo tracciamento di casi positivi tra studenti e docenti, al fine di escludere gli infetti reali o potenziali dalle lezioni in presenza.
Andrea Zhok: La lettera di 12 senatori Usa alla CPI: “Siete stati avvertiti”
La lettera di 12 senatori Usa alla CPI: “Siete stati avvertiti”
di Andrea Zhok
Mentre l’esercito israeliano prosegue nella sua attività di bullismo omicida su Gaza, emerge la notizia della simpatica missiva inviata da 12 senatori statunitensi al procuratore capo della Corte Penale Internazionale Karim Khan. Come noto la CPI sta valutando, bontà sua, l’incriminazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e di altri alti funzionari israeliani in quanto responsabili diretti del più grande massacro di civili nel più breve tempo dal 1945. Che siano stati compiuti crimini di guerra a mazzi su base quotidiana a Gaza lo sa chiunque non si sia informato sui nostri tiggì.
Ma ciò che merita qui menzione è lo spirito della lettera dei senatori americani, che dopo aver spiegato le loro ragioni, alquanto idiosincratiche, per cui l’incriminazione non dovrebbe avvenire, passano nella chiusa a toni più consoni alla cultura da cui provengono:
“If you issue a warrant for the arrest of the Israeli leadership, we will interpret this not only as a threat to Israel’s sovereignty but to the sovereignty of the United States. Our country demonstrated in the American Service-Members’ Protection Act the lengths to which we will go to protect that sovereignty. (…) Target Israel e we will target you. If you move forward with the measures indicated in the report, we will move to end all American support for the ICC, sanction your employees and associates, and bar you and your families from the United States. You have been warned.”
Mario Lombardo: Ucraina, fallimento e “linee rosse”
Ucraina, fallimento e “linee rosse”
di Mario Lombardo
Le dichiarazioni e le notizie circolate nei giorni scorsi sul possibile prossimo impiego di militari NATO o di singoli paesi membri nella guerra in Ucraina hanno prevedibilmente aggravato il clima già rovente delle relazioni tra Russia e Occidente. L’ennesimo avvertimento del Cremlino a evitare ulteriori escalation dello scontro non hanno in apparenza prodotto alcun frutto, ma i vertici del Patto Atlantico e i leader maggiormente impegnati nelle provocazioni verso Mosca, come il presidente francese Macron, potrebbero rivedere le rispettive posizioni dopo la decisione di Putin di pianificare esercitazioni militari con armi tattiche nucleari.
La notizia è arrivata lunedì e il ministero della Difesa di Mosca ha collegato esplicitamente le manovre programmate alla necessità di “aumentare la preparazione” nel portare a termine “obiettivi di combattimento” in conseguenza delle “dichiarazioni provocatorie e alle minacce di alcuni leader occidentali”. Le armi “tattiche” nucleari si distinguono, ancorché informalmente, da quelle “strategiche” per dimensioni, capacità distruttive e gittata. La loro costruzione nel periodo della Guerra Fredda rispondeva alla richiesta di disponibilità di armi nucleari che potevano consentire una maggiore manovrabilità e per soddisfare obiettivi militari più limitati rispetto a quelle “strategiche”.
Lorenzo Serra: Socialismo e barbarie
Socialismo e barbarie
di Lorenzo Serra
L’unica speranza che potremmo ancora avere sarebbe forse quella del proletariato e del socialismo: [..] la speranza insomma che sopraggiungano dei barbari i quali mandino brutalmente in frantumi tutte le raffinatezze.
(G. Lukács, Cultura estetica)
Il socialismo come forma di barbarie in contrasto a tutta la cultura estetica moderna, e, ancora, il socialismo come possibilità di una nuova Cultura contro la civilizzazione borghese.
È questa, infatti, la faglia che costituisce uno dei potenziali punti di innesco di crisi della nostra società: tra coloro che aderiscono al mondo delle convenzioni e coloro che ne rimangono ai margini, tra gli integrati e gli esclusi – tra coloro che si auto-definiscono come civili e coloro rimasti al di fuori di quest’orizzonte, barbari, appunto (anche se non si ha, neanche, il coraggio di dirlo). È una semplificazione, evidentemente, che mira, tuttavia, a cogliere un centro: che ad una borghesizzazione, ormai pervasiva, della nostra società si contrappone un residuo, innanzitutto antropologico, ormai sempre più marginale, che non si integra, e che fa di tutto per non integrarsi. Una componente residuale, appunto, della società che predilige l’esser-periferico, finanche la solitudine, all’integrazione nella Civiltà – che non insegue, ma che anela, sul lungo periodo, a farsi inseguire.
Giovanni Di Fronzo: La Turchia decreta il blocco commerciale con Israele, l’Arabia Saudita prova il riavvicinamento
La Turchia decreta il blocco commerciale con Israele, l’Arabia Saudita prova il riavvicinamento
di Giovanni Di Fronzo
La Turchia interrompe gli interscambi commerciali con Israele. È quanto dichiarato dal Ministro del Commercio turco Omer Bolat: “La Turchia ha sospeso tutte le esportazioni e importazioni con Israele fino a quando non sarà stabilito un cessate il fuoco permanente e gli aiuti a Gaza saranno consentiti senza alcuna interruzione”.
La conferma è arrivata dal ministro degli esteri israeliano Katz, il quale ha scritto su X che Erdogan si comporta “come un dittatore” e “trascura gli interessi del popolo e degli uomini d’affari turchi e ignora gli accordi commerciali internazionali”. Ha, inoltre, allertato i funzionari del ministero affinché trovino alternative al commercio con la Turchia, concentrandosi sulla produzione locale e sulle importazioni da altri paesi.
Questa decisione fa seguito a quella a poco di più di un mese, quando Ankara decise le prime sanzioni, imponendo lo stop all’export di 54 prodotti, fra cui ferro, acciaio, carburante per aerei, pesticidi e materiale edilizio; inoltre, qualche giorno fa, il Ministro degli Esteri Hakan Fidan aveva annunciato l’intenzione del paese di aderire alla causa intentata dal Sudafrica presso la Corte Penale Internazionale per genocidio.
Roberto Iannuzzi: Perdita di potere e deriva autoritaria dell’Occidente
Perdita di potere e deriva autoritaria dell’Occidente
di Roberto Iannuzzi
Dal rinnovato militarismo alla repressione delle proteste universitarie, ultimo presidio di democrazia, le élite occidentali si mostrano incapaci di leggere la mutata realtà globale
Con una spesa militare globale che continua a crescere, avendo toccato lo scorso anno la cifra record di 2,443 trilioni di dollari, la parte del leone continuano a farla i paesi occidentali e i loro alleati (dove risiede un sesto della popolazione mondiale), i quali contribuiscono a circa due terzi di essa.
Ciò non sembra rassicurare i nostri leader su nessuna delle due sponde dell’Atlantico, malgrado il pacchetto da 95 miliardi di dollari recentemente approvato dal Congresso USA per sostenere militarmente Ucraina, Israele e Taiwan.
Difendere l’egemonia occidentale
Da oltreoceano continuano a giungere appelli, debitamente rilanciati dai politici del vecchio continente, affinché l’Europa si riarmi per impedire una sempre più probabile vittoria russa in Ucraina, che potrebbe preludere nientemeno che a un attacco di Mosca alla NATO.
Ultimo a lanciare l’allarme, in ordine di tempo, è stato l’ex premier britannico Boris Johnson, il quale ha affermato che, se Kiev verrà sconfitta dai russi, “sarà una totale umiliazione” per i paesi occidentali, e anche “un punto di svolta nella storia, il momento in cui l’Occidente perderà definitivamente la sua egemonia”.
I timori di Johnson non sono nulla di nuovo. I leader occidentali sono terrorizzati all’idea di perdere la supremazia mondiale.
Linda Dalmonte: Note su “Categorie della politica” di Vincenzo Costa
Note su “Categorie della politica” di Vincenzo Costa
di Linda Dalmonte
Della scomparsa della diade destra/sinistra si può parlare in diversi modi, e con scopi più o meno espliciti. Nel dibattito degli anni Ottanta, segnato dalla fine del comunismo nella storia mondiale e dal trionfo della democrazia liberale, la critica alla distinzione destra/sinistra poteva maturare in seno all’orizzonte della perdita di alternative reali, di fronte alla quale si aveva buon gioco nel dichiarare la fine delle ideologie minimizzando le differenze politiche, tanto più se all’alba di quel nuovo Manifest destiny verso un mondo unico e omogeneo, presuntivamente pacificato secondo le categorie del mercato. In questa contingenza, destra/sinistra si sarebbero ridotte a semplici varianti del neoliberalismo: due alternative vuote, artificiosamente reimpostate di fronte al fatto della globalizzazione, e di cui – perfino dal versante socialista – si sarebbe potuta ribadire una «natura inservibile»[1] di contro a Bobbio e al criterio – resosi presto pilastro teorico – dell’eguaglianza come valore discriminante. E non solo perché, a conti fatti, «esse applicano le stesse ricette economiche e sociali»[2], in linea cioè con la prosecuzione del modo di produzione capitalistico e dell’equilibrio di mercato; ma, più radicalmente, per la loro strumentalità al nuovo spazio economico: c’è il sospetto di una nuova tassonomia fatta ad arte per riorganizzare la politica in maniera innocua, così da respingere come “radicali” ed “estremiste” le alternative reali, escluse dal bipolarismo costruito. Tanto da suscitare una tesi, scriveva Costanzo Preve, «molto più folle e scandalosa, quella della profonda affinità di fondo tra cultura di sinistra e il “fatto della globalizzazione”»[3]. Oppure, questa la tesi di Vincenzo Costa, da far pensare a una ricaduta oligarchica, a «una regressione a un’organizzazione concettuale ottocentesca e all’articolazione politica che precedette l’introduzione del suffragio universale e la conseguente affermazione dei partiti popolari di massa» (p. 12).
Peter Beinart: La grande frattura tra gli ebrei americani
La grande frattura tra gli ebrei americani
di Peter Beinart
Questo articolo è stato pubblicato originariamente dal New York Times. Ringraziamo l’autore e la direzione del giornale per avere autorizzato la traduzione, curata da Giovanni Pillonca
Negli ultimi dieci anni circa, un tremore ideologico ha scombussolato la vita degli ebrei americani. Dal 7 ottobre è diventato un terremoto. Riguarda il rapporto tra liberalismo e sionismo, due fedi che per più di mezzo secolo hanno definito l’identità ebraica americana. Negli anni a venire, gli ebrei americani dovranno affrontare una sollecitazione crescente a fare una scelta tra queste due opzioni.
Dovranno affrontare questa sollecitazione perché la guerra di Israele a Gaza ha accelerato una trasformazione nella sinistra americana. La solidarietà con i palestinesi sta diventando essenziale per la politica di sinistra quanto il sostegno al diritto all’aborto o l’opposizione ai combustibili fossili. E come accadde durante la guerra del Vietnam e la lotta contro l’apartheid sudafricano, il fervore della sinistra sta rimodellando la corrente principale del pensiero liberale. A dicembre, la United Automobile Workers ha chiesto un cessate il fuoco e ha costituito un gruppo di lavoro sul disinvestimento per considerare i “legami economici del sindacato col conflitto”. Nel mese di gennaio, la task force del Comitato Nazionale L.G.B.T.Q. ha chiesto un cessate il fuoco. A febbraio, la leadership della Chiesa episcopale metodista africana, la più antica denominazione protestante nera della nazione, ha invitato gli Stati Uniti a sospendere gli aiuti allo Stato ebraico. In tutta l’America blu [le zone degli Usa in cui prevale il voto democratico, ndt], molti liberali, che una volta sostenevano Israele o evitavano l’argomento, stanno facendo propria la causa palestinese.
Questa trasformazione rimane nelle sue fasi iniziali. In molte importanti istituzioni liberali – in particolare nel Partito Democratico – i sostenitori di Israele rimangono non solo i benvenuti ma sono anche maggioranza. Ma i leader di quelle istituzioni non rappresentano più gran parte della loro base. Il leader della maggioranza democratica, il senatore Chuck Schumer, ha riconosciuto questa divisione in un discorso su Israele all’aula del Senato la scorsa settimana.
Pino Arlacchi: “Effetto Kissinger”: come l’Europa è stata suicidata dagli USA
“Effetto Kissinger”: come l’Europa è stata suicidata dagli USA
di Pino Arlacchi
Diceva Henry Kissinger che essere nemici degli Stati Uniti può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale. E nel caso dell’Europa odierna la fatalità, il “fattore Kissinger”, consiste nel suicidio economico impostole dagli Stati Uniti e culminato con la guerra in Ucraina, ma preparato e istigato da lungo tempo. La vocazione autodistruttiva del nostro continente è stata preconizzata da Nietzsche due secoli fa con il concetto di “nichilismo europeo”. La sua prova generale sono state le due guerre mondiali del Novecento, e il percorso verso la soluzione finale è iniziato con il vassallaggio verso gli Usa instaurato dopo il 1945. La sudditanza dell’Europa non è stata lineare. Si è dipanata in fasi alterne, con sussulti di indipendenza durante i quali il Vecchio continente ha reclamato la sua sovranità.
Il più importante sobbalzo ha prodotto la nascita dell’Unione europea e di una valuta, l’euro, potenzialmente alternativa al dollaro. Ma si è poi caduti sempre più in basso, fino alla corrente fase terminale.
La rottura con la Russia del 2022, con la guerra in Ucraina, capovolge il cammino verso Est dell’Unione europea e vanifica la formula del suo capitalismo.
coniarerivolta: Il Governo Meloni alla fiera del nulla
Il Governo Meloni alla fiera del nulla
di coniarerivolta
Il Consiglio dei Ministri del 30 aprile passerà alla storia come tentativo del Governo Meloni di vendere fumo. Il Governo ha infatti annunciato ben due misure (il “bonus 100 euro” e il Decreto coesione) che a suo dire servirebbero a rilanciare l’economia, mentre rappresentano semplicemente due scatole vuote.
Analizziamole entrambe, cominciando dal “bonus 100 euro”, e ricordando anzitutto la sua genesi.
Il Governo verso metà aprile annuncia che è imminente una misura, che esso stesso definisce “bonus tredicesime”, e che doveva inizialmente consistere in un contributo di circa 80 euro (annui) ai titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore a 15.000 euro l’anno. La misura doveva essere approvata nel Consiglio dei Ministri del 23 aprile, ma con l’avvicinarsi della scadenza se ne parla sempre meno: per “approfondimenti contabili”, dice il Governo. Passa qualche giorno, e la misura diventa il “bonus 100 euro” che viene effettivamente approvato nel Consiglio dei Ministri del 30 aprile. Sembrerebbe che l’importo, benché sempre misero, sia aumentato, ma ci son un sacco di fregature.
Luciano Canfora: La storia è conflitto e il “politicamente corretto” è da fessi
La storia è conflitto e il “politicamente corretto” è da fessi
di Luciano Canfora
Un manuale politico* – L’illusione ottica. L’Occidente si è convinto di essere il mondo intero, ma non è così. L’Islam, la cultura cinese e africana producono tante altre sensibilità e modi di pensare
Qualche tempo fa, una scuola superiore di Edimburgo ha deciso di non proporre più come lettura agli studenti Il buio oltre la siepe perché, secondo gli insegnanti, il romanzo promuove una narrazione in cui i neri sono salvati da un bianco.
L’editore inglese di Roald Dahl ha modificato i testi dei suoi libri eliminando le parti in cui lo scrittore, con il suo stile irriverente, connotava i personaggi negativi con caratteristiche fisiche di bruttezza e di grassezza.
Il dipartimento di Studi classici dell’Università di Princeton ha deciso di eliminare l’obbligo di studio del greco e del latino, nonché la sua conoscenza intermedia, e sostituirlo con lo studio della razza e dell’identità degli Usa.
Tutto ciò per migliorare l’inclusività e l’equità dei curricula e combattere il razzismo sistemico perché, come ha scritto più di qualcuno, i classici sarebbero complici di varie forme di esclusione, schiavitù, segregazione, supremazia bianca, destino manifesto, genocidio culturale ecc.
Luigi Basile: Genocidio Palestina: censura e repressione soffocano università, scuola e manifestazioni di piazza
Genocidio Palestina: censura e repressione soffocano università, scuola e manifestazioni di piazza
di Luigi Basile
Sui crimini di guerra di Israele e sul genocidio in atto in Palestina la censura nelle scuole e nelle università italiane diventa sempre più soffocante, così come la repressione violenta delle manifestazioni di piazza. Nonostante il pensiero unico imposto da governo e altre istituzioni pubbliche, anche vicine al centrosinistra, ossequiato dai mass media, la mobilitazione cresce. Ma gli spazi di libertà e di agibilità democratica si riducono pericolosamente.
Vietato manifestare, parlare, pensare: censura e repressione stanno diventando un’inquietante prassi in Italia quando si denuncia il genocidio messo in atto da Israele, si esprime solidarietà ai palestinesi o si evidenziano complicità con il regime sionista, responsabile di un’occupazione che dura da 75 anni, di violenze, vessazioni e discriminazioni sistematiche, di reiterate violazioni del diritto internazionale, della guerra perenne contro un popolo che difende il proprio diritto a esistere, della pulizia etnica, di crimini contro l’umanità, perpetrati dal governo fascista e razzista di Netanyahu e dalle fazioni religiose integraliste e fanatiche che lo sostengono, ma anche dai suoi predecessori.